Martedì 22 agosto, ore 15

UN DIO MOLTE RELIGIONI

Seminario di Julien Ries

Modera:

Roberto Barbieri.

R. Barbieri:

L'introduzione che il professor Ries ha preparato al nostro incontro di oggi è ricca di suggestioni. Il tema, come sapete, è: un solo Dio, diverse religioni, il paradosso dell'uomo e delle sue religioni (…). Il professor Ries è docente all'Università di Lovanio "La Neuve", ed è direttore del Centro Studi dell'università, che si occupa delle religioni e del dialogo tra le religioni. È autore di diverse opere, tradotte anche in italiano.

J. Ries:

Sono contento di trovarmi tra voi, per la quinta volta, a questo Meeting che rappresenta un avvenimento religioso e interreligioso, culturale e scientifico, di una dimensione internazionale veramente straordinaria (…). Come dice De Lubac, il paradosso è il rovescio la cui sintesi sarebbe il diritto, ma questo diritto ci sfugge sempre; la tappezzeria meravigliosa che ciascuno di noi, con la sua esistenza, contribuisce a tessere, non può ancora essere abbracciata con lo sguardo. Nei fatti come nello spirito, la sintesi non può essere che cercata. E De Lubac continua: il paradosso è la ricerca o l'attesa della sintesi, è un'espressione provvisoria, sempre incompleta, ma che si orienta verso la pienezza. E ancora: "Il paradosso è nella realtà prima di essere nel pensiero, dimora in ogni luogo. L'universo stesso, il nostro universo è in continuo divenire e paradossale, la sintesi del mondo non è compiuta". Paradosso è un termine ripreso dal greco paradoxa che significa bizzarro, straordinario, stupefacente, contrario all'opinione comune. Secondo De Lubac il paradosso, nel suo significato più appropriato, corrisponde a obiettività, tocca il reale e ancora De Lubac aggiunge: "Paradosso, la parola designa innanzitutto le cose stesse e non il modo di dirle". Il primo punto ha come titolo: l'uomo, un paradosso vivente, e un primo sottopunto ci fa affrontare la storia biblica della creazione. Mobilitato dalla ricerca scientifica e dalla scoperta, l'uomo moderno è alla ricerca delle sue origini. Una narrazione molto bella sulle origini dell'uomo la troviamo nel Libro della Genesi. Il Signore modellò l'uomo dalla polvere della terra, alitò nelle sue narici un soffio di vita e l'uomo divenne una persona vivente. Segue poi la narrazione della creazione del giardino dell'Eden e la creazione della donna, che è modellata a partire dalla costola dell'uomo (…). L'uomo biblico è un paradosso vivente, creato e creatore, è padrone della terra ma sta sotto la direzione di Dio. Un sottopunto, dopo questa creazione dell'uomo, ci fa passare alla storia della paleoantropologia della creazione. Gli archivi della terra africana ci svelano i loro segreti sull'origine dell'uomo (…). Da circa 30 anni i paleoantropologi sono impegnati nella ricerca dell'uomo, dell'Adamo biblico e dell'Eva biblica, nell'Africa orientale. La conclusione di queste scoperte è che la culla dell'umanità è l'Africa dell'Est, una culla unica dove gli uomini si sono evoluti dai rami delle grandi scimmie atropomorfe. Un milione e mezzo di anni fa, l'homo erectus è apparso in Africa ma, molto rapidamente, è uscito dall'Africa e noi lo troviamo in Cina, nell'Europa meridionale e a Giava. La scienza, allora, scopre il paradosso dell'origine dell'uomo, è il paradosso scientifico. Il terzo punto di questa prima parte riguarda la formazione della coscienza religiosa dell'uomo. La spiegazione del testo biblico della creazione dell'uomo compete alla esegesi biblica, mentre le scoperte di archeologia paleolitica sono di dominio della paleoantropologia. Ora affrontiamo un'altra fase delle origini: è quella dell'homo habilis africano, della sua capacità di fabbricare utensili e nello stesso tempo quella dell'homo erectus, che ha coperto pressoché tutta là preistoria. Questo homo è esistito da un milione e mezzo a trecentomila anni prima della nostra era e progressivamente si è trasformato in homo sapiens. Lo studio dell'homo erectus, del passaggio da habilis a sapiens, compete alla paleoantropologia ma anche ad altre scienze e tra queste la scienza delle religioni. Ed è proprio sotto questo aspetto che ora io affronto il paradosso dell'homo erectus che diventa religioso e sapiens. Un secondo homo è l'homo simbolicus. Basandosi sulle scoperte dei paleoantropologi, nella storia delle religioni gli studiosi cercano di percepire il mistero della coscienza di questo uomo, le cui uniche testimonianze sono i risultati e le tracce del suo lavoro e del suo comportamento. Il pensiero non può essere fossilizzato, ma gli utensili fabbricati dall'homo erectus ci permettono uno sguardo sulla sua coscienza, dal momento che l'oggetto costruito ci da informazioni sulla coscienza di colui che lo ha prodotto. Noi facciamo una grande e importante scoperta e ora la riassumo in breve: l'intaglio bifacciale degli utensili è il segno della coscienza e della ricerca di una simmetria, la ricerca della bellezza delle selci delle pietre e dei loro colori. In conclusione, diciamo che l'homo erectus scopre la simmetria e la sua coscienza si apre all’estetica: l'uomo diventa creatore di una cultura. Questo uomo è cosciente della sua capacità creativa e la sua coscienza si rivela, in modo particolare, nel suo risveglio per il simboli smo: l'homo erectus è un homo simbolicus. Vediamo ora l'homo religiosus. Il risveglio per il simbolismo è l'inizio di un risveglio della coscienza che si orienta verso l'infinito. I paleoantropologi sono d'accordo nel dire che la posizione verticale dell'uomo fu determinante nella storia umana e che essa ha segnato la tappa decisiva verso l'umanizzazione. E aggiungo precisando che l'homo erectus, ben dritto sui suoi piedi, con le mani libere per fabbricare, per prendere, per toccare, ha scoperto l'orientamento e ha fatto l'esperienza del centro, della centralità Questa esperienza è fondamentale per la messa in atto dell'efficacia simbolica perché l'uomo è diventato un animale alla ricerca dell'infinito (…). Risvegliato alla percezione della trascendenza, l'uomo religioso può moltiplicare le sue esperienze del sacro. Non possiamo parlare ancora di una vera e propria religione costituita, ma di un homo religiosus, di una coscienza religiosa, di riti e simboli nell'esperienza del sacro. Il secondo punto di questa conferenza riguarda l'homo religiosus, cercatore di Dio. Abbiamo visto l'esperienza del sacro e la sua importanza, quest'esperienza continua che si propaga. I pochi elementi archeologici di cui disponiamo mostrano che l'uomo ha tentato delle identificazioni. Questi elementi sono i rudimenti rituali, cioè i riti del fuoco che l'uomo cerca di mantenere in modo permanente e poi i rituali che riguardano la vita ultraterrena, con l'homo sapiens, già cento millenni prima della nostra era. E dopo alcuni elementi, vediamo l'uomo e la morte, riti funerari e la scoperta della trascendenza. I primi elementi che ci permettono di parlare di questa relazione tra l'uomo e la morte risalgono a 1000.000 anni fa, all'inizio del paleolitico medio, in Palestina. Le prime tombe trovate dell'uomo di Neanderthal sono testimonianza di credenze funerarie che risalgono a 80.000 anni prima della nostra era. A partire da questa data, i riti funerari sono in costante progressione e costituiscono delle testimonianze preziose nell'esperienza del sacro (…). In Siria e in Palestina, nell'epoca neolitica, i riti funerari portano l'impronta della vita sociale, con le sepolture collettive e dei crani raggruppati come a Gerico (…). Tutte queste cose e altre ancora sono testimoni della credenza dell'uomo arcaico nella sopravvivenza. Così la credenza nella sopravvivenza e l'esperienza del sacro hanno condotto l'uomo a identificare la trascendenza con una divinità, ad attribuire un viso alla realtà nella quale l'uomo crede e dalla quale l'uomo stesso attende una protezione nell'aldilà. Passiamo a un altro elemento molto importante: l'arte delle caverne e l'esperienza del sacro. Fin dall'inizio del paleolitico superiore, databile a 35.000 anni prima della nostra era, l'arte parietale ci dà la testimonianza di una concezione simbolica dell'universo. L'homo erectus e religiosus è diventato l'homo sapiens sapiens. L'arte delle grotte che va da meno 35.000 a meno 9.000 anni, copre il sud della Francia, la Spagna, l'Italia meridionale e permette di parlare delle cattedrali della preistoria, luoghi sacri delle assemblee, delle comunità umane, luoghi di pellegrinaggio, centri di iniziazione, come mostrano le tracce di passi di adolescenti, conservate nella grotta trovata a Montignac, nella Dordogna (…). In questa 'cappella sistina' della preistoria la volta celeste, dipinta da artisti molto esperti, cerca di esprimere il mistero della trascendenza. I soggetti animali dipinti sulle pareti fanno riferimento a riti e a cerimonie rituali, relativi alla caccia, alla fecondità e al mistero della vita. Mi fermo qui, sull'arte delle caverne, per passare a parlare di Dio e dell'uomo in Mesopotamia e, innanzitutto, la scrittura (…). Alla fine del quarto millennio, in Mesopotamia inizia una scrittura di tipo cuneiforme, che sarà poi diffusa in tutto il vicino Oriente antico ed è precedente alla scrittura dell'Egitto, dell'India e della Cina (…). Grazie ai testi, noi comprendiamo l'uomo arcaico dei millenni precedenti, la sua esperienza con il sacro, il suo sentimento religioso, la sua ideologia fatta di immagini e di idee, il suo comportamento e la sua identificazione della trascendenza. Il segno utilizzato per dire il divino, la divinità, rappresenta lo schizzo di una stella, è un segno che indica ciò che sta in alto, il cielo. Il mondo divino è percepito come superiore a tutto, come celeste (…). I testi sottolineano la trascendenza degli dei, la loro assoluta superiorità, il loro potere, la loro intelligenza (…). Avanziamo un po’, dicendo che la storia inizia a Sumer: la trascendenza è identificata con l'altezza, la forza, il cielo. Ogni divinità è un essere celeste, che diffonde la luce, triade di grandi dei cosmici. Sono almeno quattro i racconti che spiegano l'origine dell'uomo e mostrano l'uomo davanti ai suoi dei. La regalità stessa è discesa dal cielo (…). La costituzione dei templi, palazzi di Dio, è una reiterazione dell'origine del mondo. È da più di due millenni, questa identificazione della trascendenza costituirà la struttura delle religioni mesopotamiche, dei celesti potenti, che sprigionano la loro forza e la loro essenza luminosa per dirigere gli uomini che sono servitori degli dei (…). Vediamo ora gli dei dell'Egitto e l'uomo del Nilo. Verso il 3.500, la popolazione della valle del delta del Nilo inventa la scrittura e pone le fondamenta di una delle più grandi civiltà della storia. In Mesopotamia si trovano più di 1.000 figure che rappresentano la trascendenza, quindi immagini delle divinità. In Egitto invece 753 (…). E per l'egiziano il miracolo è la vita, la creazione che ogni mattina ricomincia, con il levarsi del sole. Da qui il dio per eccellenza, il dio sole. Sulla terra, la rappresentazione divina è il faraone, il re divino, un sacerdote investito di adorazione e, attraverso il culto, il tempio è la casa del dio, presente in terra ed autentico centro per la permanenza della creazione grazie al culto quotidiano. L'amore per la vita, il senso del divino sono i due dati fondamentali della pietà egiziana (…). L'India è lo specchio migliore del pensiero religioso e della organizzazione sociale del mondo ariano. Le tre classi ariane dell'India sono i bramini, titolari della conoscenza del sacro, i guerrieri, difensori e organizzatori della società e gli agricoltori e allevatori, incaricati della sopravvivenza di tutti. Queste tre classi possono accedere al Veda, cioè alla rivelazione. Su un identico schema, l'India ha pensato alla trascendenza divina, che è molto più diluita di quanto non sia in Mesopotamia o in Egitto. Una sottolineatura importante è che l'India ci ha tramandato il nome di dio, dalla radice diu, che vuol dire essere luminoso per eccellenza. Passo alla terza parte di questa relazione: l'homo religiosus e la teofania biblica, in altre parole il Dio vivente rivelatore. Abbiamo visto come l'uomo ha scoperto la trascendenza nella prima parte, come nella seconda ha creato delle figure divine di fronte alla rivelazione suprema, passiamo allora alla terza grande tappa: Dio parla all'uomo. Innanzitutto Dio d'Israele, fin dalle prime pagine la Bibbia ci presenta Jahvè come Dio unico, che ha creato il cielo e la terra, che è onnisciente, onnipotente e che consegna un messaggio fondatore ad Abramo. Jahvè disse ad Abramo: "Lascia la tua terra, la tua gente e la casa di tuo padre, verso il paese che io ti segnalerò. Io farò di te un grande popolo, ti benedirò e magnificherò il tuo nome che sarà di benedizione". Nell'episodio del roveto ardente, Jahvè si rivela a Mosé e gli dice: "Non ti avvicinare, levati i sandali perché il luogo che stai calpestando è terra sacra". E replica: "Sono io il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe". Ancora Dio dice a Mosse: "Io sono colui che sono, ecco in che modo ti rivolgerai ad Israele: io sono mi ha inviato verso di voi". Jahvè rifiuta gli dei pagani. Ed è il Dio personale che si rivela nella storia del suo popolo ed al quale non cessa di rivolgersi. Dice: "Io sono il Signore tuo Dio che ti ha fatto uscire dal paese d'Egitto e dalla casa di schiavitù, non avrai altro Dio al di fuori di me". Ancora troviamo in Isaia: "Vidi il Signore seduto sopra un trono alto ed elevato, le estremità delle sue vesti riempivano il tempio, dei serafini stavano davanti a lui e ognuno aveva sei ali e gridavano l'uno all'altro: "Santo, Santo, Santo è il Signore". La triplice lode di Isaia designa Jahvè come il Dio di una incomparabile, al punto che i serafini stessi sono costretti a coprirsi il volto. I quattro testi biblici citati mostrano la differenza fondamentale tra la religione d'Israele e le religioni dei popoli vicini. L'iniziativa viene da Jahvè stesso che si rivela in persona ad Abramo, ai patriarchi e che darà una missione ai profeti, affinché il popolo eletto prepari il Messia. E con Mosè egli conclude l'alleanza definitiva perché afferma la sua essenza e la sua trascendenza, il cui fondamento è la santità. Attraverso tutto l'Antico Testamento passa il messaggio di Jahvè, che non smette di guidare ed illuminare il suo popolo. A questo popolo egli richiede la fede, che è la risposta dell'uomo alla chiamata divina. Il fedele non è più un uomo alla ricerca di Dio, come nelle altre religioni, ma grazie alla propria fede egli risponde alla chiamata (…). Alla fine del terzo decennio dell'epoca che la storia chiama era cristiana, Gesù di Nazareth incontra sulle rive del Giordano un profeta di nome Giovanni Battista che prega nel deserto. Questo profeta dice: "Il regno dei cieli è vicino, pentitevi". Ai suoi discepoli Giovanni, indicando Gesù, dice: "Ecco l'Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo. Di lui vi ho detto: dopo di me viene uno che è stato posto davanti a me, perché era prima di me". Dei discepoli allora seguono Gesù, che diffonde la buona novella in Galilea, in Giudea e in Samaria. Predica con autorità; sceglie dodici apostoli e a questi pone la domanda: "Chi è il Figlio dell'uomo?". E Simon Pietro prende la parola e dice: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" e in risposta Gesù gli, dice: "Tu sei Pietro, e su questa pietra fonderò la mia Chiesa". Con numerosi miracoli, Gesù conferma il suo insegnamento. L'avvenimento della trasfigurazione annuncia la sua passione e la sua resurrezione. Nel tempio di Gerusalemme egli si proclama Figlio di Dio e conferma questa affermazione davanti al Sinedrio. Il terzo giorno, dopo la sua crocifissione risuscita, appare agli apostoli e ad alcuni discepoli nei 40 giorni successivi e poi, sotto i loro occhi, si innalza verso il cielo. E dieci giorni più tardi, ecco l'avvenimento della Pentecoste e gli esordi della Chiesa, la cui storia è conosciuta da 2.000 anni. Miliardi di uomini e di donne hanno espresso la loro fede in Gesù Cristo, Figlio di Dio, rivelatore di misteri e continuamente presente nella sua Chiesa. Questa fede è la grande novità del cristianesimo, dal momento che traccia una vera linea di demarcazione e di divisione tra le religioni antiche e la religione cristiana. Per i cristiani, l'incarnazione di Dio in Gesù Cristo è la teofania suprema, ma è anche un paradosso supremo e viene ben formulato nel prologo del Vangelo di Giovanni: "Et Verbum caro factum est". Passiamo ora alle conclusioni. Siamo partiti dal paradosso, un solo Dio e diverse religioni, abbiamo poi cercato di comprendere questo paradosso situandolo nello svolgersi della storia umana (…). Nel corso del lungo periodo del paleolitico inferiore, si è formata la coscienza religiosa dell'uomo. La nostra ipotesi di lavoro situa questa formazione nel contesto del simbolismo della volta celeste. L'homo religiosus è diventato un cercatore di Dio e la sua esperienza del sacro si manifesta a noi mediante le tracce della sua attività nel culto funebre e mediante la sua relazione con la morte. Questa esperienza del sacro diventa evidente nel corso del paleolitico superiore e poi, in modo spettacolare, si esprime nell'arte delle caverne e con il neolitico. 9.000 anni prima della nostra era, possiamo parlare di religione. Ed è a partire dall'esplosione delle culture e della scrittura che si costituiscono le religioni. Cercatore di Dio, l'homo religiosus identifica la trascendenza dando dei nomi ai suoi dei e alle sue dee, costruendo templi, sacerdoti, riti e culti. L'esperienza del sacro si struttura intorno a credenze codificate dai preti, attorno ai rituali e ai culti, il tutto incentrato sulle relazioni dell'homo religiosus con la divinità. Le religioni sono tutte diverse, perché in ciascuna di esse l'homo religiosus è contraddistinto dalla propria cultura che impronta, con i suoi gesti, il suo modo di costruire i santuari e realizzare i suoi riti. A differenza delle religioni create dall'homo religiosus alla ricerca di Dio, la religione dell'homo giudaica e dell'homo cristianus è fondata su di un Dio unico, che si rivela personalmente, che ha stabilito un'alleanza tra lui e i suoi fedeli e che ha rivelato loro un messaggio. Il Dio dell'alleanza interviene direttamente nella storia d'Israele e nella vita dei suoi fedeli. La nuova alleanza è fondata mediante Gesù Cristo e su Gesù Cristo si presenta come il definitivo completamento dell'homo religiosus. La grande novità di queste due alleanze, di cui la prima prepara l'alleanza definitiva, è la fede in un Dio personale e unico, maestro del tempo e della storia. Per il cristiano, la fede è la possibilità di partecipare alla vita divina del Padre mediante il Figlio e nello Spirito. Si situa qui l'apice del paradosso, conseguenza dell'Incarnazione.

Segue il dibattito.