In clausura: le estreme frontiere
Mercoledì 21, ore 11,30
Relatori: François-Marie Léthel, Camilo Maccise,
Sua Ecc. Mons. Guy Gaucher, Docente di Teologia Dogmatica e Preposito Generale
Vescovo Ausiliare di Lisieux Spiritualià presso la Pontificia Facoltà dei CarmelitaniScalzi
Sua Ecc. Mons. Christoph Schönborn, e il Pontificio Istituto di Spiritualità Moderatore:
Arcivescovo di Vienna "Teresianum" Carlo Rusconi
Guy Gaucher: Desidero in primo luogo ringraziarvi per questa bellissima mostra su Santa Teresa di Lisieux. Per la prima volta le monache carmelitane di Lisieux hanno concesso in prestito questi oggetti preziosi affinché venissero portati fuori dalla Francia, per la prima volta tornano in Italia le reliquie di Santa Teresa.
Nel novembre del 1887 Teresa era stata in Italia dove aveva visitato Milano, Venezia, Bologna, Padova, Loreto, Roma, dove si era fermata dieci giorni, Napoli, Pompei, Assisi, Firenze, Pisa e Genova. "Ho trovato la mia vocazione in Italia" aveva detto. In Francia e in tutto il mondo stiamo preparando le celebrazioni del centenario della morte di Teresa, avvenuta il 30 settembre del 1897 (ma noi preferiamo chiamarla entrata nella vita. La Santa aveva detto "Non muoio, entro nella vita"). Pochi giorni prima di morire aveva affermato di essere pronta alla sua missione di far conoscere la sua voce d’infanzia alle anime degli uomini affinché essi amino Dio come essa stessa l’amava e si proponeva di passare il suo cielo in terra per farvi del bene fino alla fine del mondo. In questi cento anni Teresa ha mantenuto e continua a mantenere le sue promesse. Il Cardinale Pacelli l’aveva definita come la più grande taumaturga dei tempi moderni; Pio X affermava che era la massima santa dei tempi moderni perché aveva una dottrina spirituale, una dottrina teologica. Ieri un giornalista alla mostra mi chiedeva: "Come mai c’è tanto amore per Santa Teresa, come mai tanti giovani vi si avvicinano per conoscerla?". Io lo definisco il mistero di Teresa che si osserva anche nel grande contrasto tra la sua vita nascosta, la sua vita sconosciuta e il grande entusiasmo, l’uragano di gloria che si è scatenato in seguito.
La storia umana di Teresa è assai semplice: nasce in una famiglia francese di artigiani, con nove figli di cui quattro sono falciati in giovane età dalla mortalità infantile che allora era ancora elevata, restano cinque ragazze. A questo si aggiunga il dramma della madre morta a 46 anni per un cancro al seno. Teresa ha 4 anni e mezzo quando muore la madre; da questo avvenimento rimane colpita, ferita profondamente; lo rimarrà per dieci anni e subirà poi una sequela di guarigioni, per opera del Signore, fino a quando, all’età di 10 anni, nel corso di una malattia, il 13 maggio del 1883, viene confortata dal sorriso della Vergine.
Un altro avvenimento importante è quello della grazia del Natale del 1886, lo stesso giorno della conversione di Paul Claudel in Nôtre Dame a Parigi. Teresa ha 14 anni; "La carità ha raggiunto il mio cuore" dice "e mi ha portato a dimenticarmi per dare la gioia e fui felice". E così si giunge al momento in cui Teresa passa dall’adolescenza all’età adulta, riceve una grazia di forza di cui si avvale per continuare a lottare per riuscire ad entrare al Carmelo; desidera farlo perché vuol consacrare la sua vita a Gesù per salvare il mondo con lui. Comincia con il caso di Henry Pranzini che aveva ucciso tre donne e per il quale ella prega incessantemente per salvarlo.
A 14 anni e mezzo Teresa ha raggiunto la sua vocazione. Nei suoi manoscritti si legge che una domenica, osservando una fotografia di Nostro Signore sulla croce "fui colpita dal sangue che cadeva da una delle sue mani divine e ne provai una gran pena pensando che questo sangue cadeva in terra senza che nessuno si adoperasse per raccoglierlo. Mi risolsi quindi a stare in spirito ai piedi della croce per ricevere la rugiada divina che ne veniva capendo che dopo avrei dovuto distribuirla tra le anime".
Per entrare nel Carmelo nonostante avesse appena quindici anni si reca a Roma dal Papa Leone XIII al quale Teresa domanda di potere essere ammessa. Questa visita si risolve in un quasi fallimento. Eppure il 9 aprile del 1888, a 15 anni e 3 mesi, Teresa entra al Carmelo per amare Gesù e per farlo amare, per pregare per i peccatori e per pregare anche per i preti, perché se i preti sono santi lo saranno tutti i fedeli.
La vita di Teresa al Carmelo è una vita molto semplice e comune per tutti i nove anni che vi trascorre, durante i quali vive in solitudine spirituale perché la spiritualità del giansenismo, ancora imperante in quella Francia di fine ‘800, non la soddisfa. All’età di 22 anni fa la scoperta fondamentale secondo cui Dio è amore misericordioso e a questo amore si dedicherà da quel 9 giugno 1895. È dell’anno dopo la scoperta della sua vera vocazione, carmelitana sposa e madre; tutto ciò non le basta, desidera diventare un profeta, dottore, missionario, apostolo. Questi grandi desideri non sono segno di megalomania; essi sono ispirati dallo Spirito Santo. Con la lettura della 2
a lettera di Paolo ai Corinti giunge alla comprensione piena della sua vocazione: "Nel cuore della Chiesa, mia madre, sarò l’amore e sarò tutto". In quella estate del 1896, la vocazione di Teresa subisce una ulteriore evoluzione verso una certa maggiore universalità. Le sorelle rimangono ignare di tutto, ma questa vocazione viene ancora ampliata dall’esserle assegnati due fratelli spirituali, due giovani preti che partono in missione, in Africa l’uno e l’altro in Cina. Da ciò deriva per Teresa un’ulteriore apertura verso lo spirito della missione universale che si aggiunge al suo desiderio di far del bene sulla terra anche dopo la vita e fino alla fine dei tempi, quando l’elenco degli eletti sarà completo e quando si potrà infine dedicarsi al riposo (ma solo allora lo si potrà fare).Teresa muore sconosciuta, di tubercolosi, al pari di tanti altri giovani in quell’epoca. Aveva scritto, per obbedienza, alcune raccolte di pensieri che si decise di pubblicare. Ne furono stampate allora duemila copie che vennero inviate a tutti i carmeli di Francia. In brevissimo tempo Storia di un’Anima diventò un best-seller e fu la scintilla che innescò quell’uragano di gloria di cui abbiamo parlato all’inizio.
Tutti i Papi, da Benedetto XV a Giovanni Paolo II, furono teresiani, ma più di tutti Pio XI che la beatificò nel 1923, per canonizzarla poi nel 1925, nominarla Patrona universale delle missioni nel 1927, Patrona dell’evangelizzazione della Russia nel 1929; nel 1942 venne fondata la Missione di Francia, di cui Teresa fu nominata Patrona. Pio XII nel 1944 la designò a Patrona della Francia assieme a Giovanna D’Arco.
Nel 1932, in occasione di una conferenza fatta per celebrare l’apertura della cripta della basilica di Lisieux era stato proposto che Teresa fosse nominata Dottore della Chiesa; quella proposta è stata ripresa oggi, è in studio, più di 30 conferenze episcopali hanno chiesto al Papa di procedere a questa nomina.
A conclusione cerco di rispondere ad una domanda che altri ed io stesso mi rivolgo: "Perché questo uragano di gloria?". Nel profondo debbo dire che non lo so, si tratta di un segreto dello Spirito Santo. Forse si può osservare che Dio rivela sempre i suoi segreti fondamentali ai più piccoli, ai più semplici e non ai più savi o ai più sapienti e ai più noti. Nella vita di Teresa si trova un filo conduttore che è quello della ricerca delle verità: "Ho sempre cercato delle verità". In effetti si riscontra una perfetta comunione tra la sua vita e i suoi scritti. Teresa non fa introspezione; ella scrive per obbedienza ciò che lo Spirito Santo opera in Lei. Questa verità di Teresa ha raggiunto milioni di esseri nel mondo intero, con conversioni, guarigioni, vocazioni. Ha raggiunto così anche personaggi come Claudel, Bernanos, Mauriac, Cesbron, Maritain, Bergson, Guitton, Thomas Merton... Ha raggiunto quindi tutti, grandi e piccoli, semplici e sapienti. E la sua influenza spirituale ha raggiunto molti beati e molti santi, mille e mille personaggi fino ad arrivare alla nota Teresa dei giorni nostri.
Vi lascio due frasi di Teresa per alimentare la nostra meditazione e la nostra preghiera: "Amare è dare tutto e dare se stessi"; "Tutto è grazia".
Camilo Maccise: Ieri, vedendo la mostra su Santa Teresa di Lisieux mi è venuta subito in mente una questione che altre volte, visitando un po’ tutto il mondo, come Superiore Generale dei Carmelitani, mi ero posto per la mia riflessione. Pensavo perché una giovane donna, morta cento anni fa, è ancora capace di attirare le persone, i giovani, gente di tutte le età, di tutte le condizioni sociali e anche di tutti gli stati di vita: consacrata, sacerdotale, laicale. Credo che possiamo dare la risposta con due frasi. Innanzitutto Teresa è attuale, nonostante che siano passati cento anni dalla sua morte, perché ci ha mostrato il ritorno ai valori fondamentali del vangelo; in secondo luogo perché, essendo una monaca di clausura, è stata capace di andare a quelle che possiamo chiamare le estreme frontiere dell’essere umano: il deserto, dove le persone devono incontrasi con se stesse; la periferia, dove non c’è il potere ma c’è la debolezza umana; le frontiere, dove si corrono grandi rischi, i grandi rischi dell’avventura della fede.
Vorrei presentarvi in due punti prima di tutto quello che posso chiamare la chiave di lettura o di rilettura di Teresa di Lisieux, della sua esperienza e della sua dottrina. La chiave per capire l’attualità di Teresa di Lisieux è quello che possiamo chiamare, con parole attuali, il Progetto di Dio, quello che nei Vangeli viene chiamato il Regno di Dio. Gesù ci ha parlato del Regno di Dio dicendoci, con altre parole, che Dio è come un architetto che vuole costruire una nuova casa per l’umanità e una casa ha bisogno di fondamenta, di pareti, del tetto. Gesù, attraverso le sue parole e le sue parabole, ci ha detto quali sono le fondamenta di questa casa e come vivere la nostra responsabilità di figli e figlie di Dio, superando il fatalismo, cioè la visione che noi siamo in preda ad un destino che ci viene imposto. Gesù ci ha mostrato un Dio Padre, Madre che ci invita ad assumere la nostra responsabilità nella storia. In un mondo nel quale il giansenismo ci presentava l’idea di un Dio giudice, attraverso la sua esperienza e la sua dottrina Teresa di Lisieux ci ha offerto l’idea di un Dio che ci ama, un Dio vicino a noi, ci ha fatto riscoprire il volto paterno, materno di Dio e ci ha testimoniato la santità non come una perfezione, ma come una comunione con Dio e ci ha invitato alla fedeltà, alla nostra missione, in mezzo alla notte oscura della croce e delle difficoltà. Ecco il primo punto del progetto di Dio che Teresa ci ha ricordato. Questa è stata la sua missione: aiutarci a ritornare al Vangelo, per mettere come fondamenta della nostra vita umana e cristiana, personale e sociale questa nuova immagine di Dio, l’immagine evangelica di Dio.
Una casa ha bisogno delle pareti e le pareti della casa che ci presenta Gesù nel vangelo sono le pareti dell’amore, della comunione, della fraternità, del perdono; anche qui Teresa di Lisieux ci ha detto che la cosa più importante è di vedere in Dio la sorgente della nostra fraternità. Per Teresa Dio è un Dio che crea la fraternità e ci ha insegnato a vivere accanto alle persone che hanno un nome e un cognome, che sono sempre le persone più difficili da amare. Queste persone concrete, ha detto Teresa di Lisieux, sono per noi dei fratelli, delle sorelle, verso le quali dobbiamo vivere un amore concreto ed efficace.
Infine, nel progetto di Dio, come in ogni casa, abbiamo bisogno di un tetto e il tetto che Gesù ci ha proposto nel Vangelo è quello di condividere i beni di questo mondo. Gesù ci ha predicato un messaggio religioso che aveva però delle conseguenze sociali, una dimensione sociale nell’amore, nella carità. E Teresa di Lisieux, monaca di clausura, cosa ci poteva dire su questo? Se noi leggiamo i suoi scritti notiamo che sempre sottolinea che Dio ci chiede di annunciare e di lavorare per far presente la buova novella, cioè l’esperienza di Dio nel cuore dell’uomo, nel cuore della vita e della storia. Dunque l’attualità di santa Teresa consiste innanzitutto nell’invito a tornare al Vangelo.
Di fronte a questa figura possiamo chiederci come una monaca di clausura può essere un modello, può attirare tante persone oggi, noi che abbiamo tante altre preoccupazioni, interessi, in un mondo dove le immagini, i mezzi di comunicazione un giorno ci esaltano una persona e il giorno dopo ce la distruggono. Perché, come monaca di clausura, ha sottolineato con la sua vita quello che è nascosto nel cuore di ognuno, certe dimensioni della vita umana che tutti noi in un modo o in un altro cerchiamo, ad esempio il valore del distacco (tutti noi vorremmo essere distaccati, liberi e le claustrali sono delle persone che fanno della loro vita un segno del totale distacco. Si chiudono in uno spazio, in una piccola comunità, si concentrano nella vita del lavoro e della preghiera. Il distacco ci insegna a vivere con pochi mezzi, ci fa capire che non abbiamo bisogno di tante cose), il valore della ricerca di Dio, della profondità (tante volte tutti noi ci sentiamo insoddisfatti dalla superficialità di tutto. Monaca di Clausura Teresa è andata in profondità, al centro, al cuore della storia, degli avvenimenti, delle persone); tutti noi abbiamo bisogno di altruismo, di offrire la nostra vita per un ideale, e le monache di clausura, questo è il senso della vita claustrale, offrono all’umanità quegli spazi verdi e quelle zone di silenzio di cui abbiamo bisogno dal punto di vista umano e spirituale.
In sintesi: Teresa è attuale perché ci ha aiutato a ritornare al Vangelo, ai valori essenziali, ci ha aiutato a riscoprire il volto paterno, materno di Dio, ci ha fatto riscoprire un Dio che crea la nostra fraternità e un Dio che chiede a ciascuno di noi di annunciare la buona novella e di denunciare tutto quello che nella società va contro questo progetto di Dio. Ed infine come monaca di clausura Teresa di Lisieux ci aiuta a vivere quei valori che sono un po’ addormentati ma che vivono nel cuore di ciascun uomo, il valore del distacco, il valore della profondità, il valore dell’altruismo, della solidarietà. In un mondo di angosce e di timore Teresa di Lisieux ci orienta alla fiducia e all’abbandono nel Signore che vince le nostre paure. In un mondo di odio e di divisione ci invita alla comunione, alla fraternità per creare l’amicizia fra i popoli.
François-Marie Léthel: Il centro di tutta la dottrina di Santa Teresa di Lisieux è l’amore di Gesù. Si potrebbe dire che è Dottore dell’amore di Gesù. Lei stessa aveva definito la sua missione in cielo come in terra con le semplici parole: "Amare Gesù e farlo amare". Tutto il dinamismo di Teresa sta qui: amando Gesù portare i fratelli all’amore di Lui. "Attirami, noi correremo!" Il nome di Gesù è usato più di 1600 volte negli scritti di Teresa, cioè ogni pagina è illuminata da questo sole, dal nome di Gesù. Il nome di Gesù è sinonimo del nome di Dio, del nome dell’amore e questo si vede nel più importante di tutti gli scritti di Teresa, è l’iscrizione fatta da lei con una spilla sulla parete della sua cella: "Gesù è il mio unico amore". Questa semplice povera iscrizione è il simbolo di tutto ciò che lo Spirito Santo aveva scritto nel suo cuore in tutta la sua vita, la sintesi di tutto ciò che Teresa ha scritto sulla carta. C’è la sua interpretazione di Dio amore, cioè Dio in Gesù, Dio incarnato, l’amore fatto uomo, mio amore, cioè per me. Come carmelitana, figlia di San Giovanni della Croce e di Teresa d’Avila, Teresa sottolinea molto l’aspetto del PER ME. Giovanni della Croce diceva: "Dio stesso è mio e per me poiché Cristo è mio e tutto per me".
Se questa iscrizione è la più importante degli scritti di Teresa bisogna spiegarla con la sua parola più importante, l’ultima: "Mio Dio, ti amo". L’ultima parola di Teresa, l’ultimo soffio esprime ciò che era diventato il respiro della sua vita, il battito continuo della suo cuore: "Gesù ti amo". Queste parole non sono sentimentalismo (Teresa parlava a Gesù stringendo nelle sue mani il suo crocifisso), esse sono come il grande ritornello delle sue poesie, delle sue preghiere, è ciò che insegna alle sue novizie, alle sue consorelle, ai fratelli missionari, a tutti noi: vivere in un continuo atto d’amore . Non sentimentalismo, dunque, ma carità teologale, la sua espressione cristocentrica, cioè la più profonda espressione dello Spirito Santo, ciò che lo Spirito Santo vuole sempre gridare insieme alla parola "Padre". Qui bisogna citare tre versi meravigliosi di Teresa nella sua poesia "Vivere d’amore" che mostrano chiaramente il carattere trinitario di questo "Gesù ti amo". Ecco le parole di Teresa: "Ah, tu lo sai divin Gesù, ti amo, lo spirito d’amore mi incendia col suo fuoco; amandoti attirerò il Padre". Questo atto d’amore, Gesù ti amo, è possibile solo con l’aiuto dello Spirito Santo che viene sempre in aiuto alla nostra debolezza. Lo Spirito Santo che ci attira al Padre e che attira il Padre in noi sempre per mezzo di Cristo nostro Signore.
Abbiamo anche riconosciuto nelle parole di Teresa le parole di Pietro nel suo ultimo dialogo con Gesù risorto in Giovanni 21. "Signore, tu sai che ti amo" è la triplice risposta di Pietro alla triplice domanda di Gesù: "Mi ami tu?". Solo così Pietro viene guarito dal suo peccato, dal suo triplice rinnegamento; è il rinnovamento dell’alleanza operata da Gesù risorto e dallo Spirito Santo. Tre volte Gesù tende a Pietro la mano con la domanda: "Mi ami tu?" e tre volte Pietro stringe la mano di Gesù con la risposta ispirata nel suo cuore dallo Spirito Santo: "Signore, tu sai che ti amo". Questa parola evangelica, che è una delle chiavi della sua spiritualità, Teresa l’aveva ricopiata al primo piano sotto l’immagine di Gesù crocifisso in risposta alla parola di Gesù sulla croce: "ho sete", cioè Gesù ha sete d’amore, ha sete di sentire quella risposta: "Tu sai che ti amo".
Qui siamo proprio al cuore dell’interpretazione del vangelo in Santa Teresina e possiamo dire oggi della sua ermeneutica evangelica, cioè il vangelo interpretato nell’amore di Gesù e così pienamente vissuto, la stessa interpretazione che troviamo in San Francesco d’Assisi. Interpretare il vangelo in questo senso significa rappresentare Gesù, diventare immagine vivente di Gesù, specchio limpido di Gesù. Si vede come mediante questo atto d’amore lo Spirito Santo la renda immediatamente presente a tutti i misteri di Gesù rivelati nel vangelo: la sua preesistenza nel seno del Padre eternamente, la sua incarnazione nel seno verginale di Maria, la sua infanzia e vita nascosta, la sua vita pubblica, la sua passione e resurrezione.
Ma in Teresa come in Francesco c’è un amore speciale per i misteri della vita terrestre di Gesù, come i misteri della povertà e piccolezza di Dio. Infatti la povertà francescana e la piccolezza teresiana hanno profondamente lo stesso significato cristologico ed evangelico. Ricordiamo le parole di Francesco nella sua ultima volontà a S. Chiara: "Io frate Francesco piccolo voglio seguire la vita e povertà dell’Altissimo nostro Signore Gesù Cristo e della sua Santissima madre". E più tardi S. Chiara nel suo testamento dava l’espressione più bella del mistero della povertà: "l’amore di questo Dio che povero fu deposto nel presepio, povero visse in questo mondo e nudo rimase sulla croce".
Il privilegio della povertà, secondo l’espressione geniale di S. Chiara, è il privilegio di tutta la vita terrestre di Gesù, come stato di annientamento di Dio dalla povertà dell’incarnazione, povertà del presepio, fino all’estrema povertà della passione, cioè la nudità di Dio sulla croce. I misteri del presepio e della croce hanno la stessa importanza per Francesco e per Teresa – ricordiamoci, Teresa di Gesù Bambino e del Santo Volto, cioè del volto di Gesù nella sua passione –. E come Francesco aveva sposato la povertà di Gesù, così Teresa sposa la sua piccolezza. Lo spiega applicando a Gesù la simbolica biblica del fiore dei campi o piccolo fiore. Durante tutta la sua vita terrestre, secondo Teresa, Gesù si è fatto piccolo come il fiore dei campi. Così la sposa di Gesù, Teresa, vuole farsi piccola come una gocciolina di rugiada per dissetarlo e per essere tutta di lui, tutta in lui, sposando principalmente la sua piccolezza. Sulle orme di Maria e come S. Chiara Teresa è veramente la vergine povera che abbraccia Cristo povero. La povertà o piccolezza evangelica è l’unico luogo dove si può abbracciare Cristo in questa vita, cioè amarlo pienamente, totalmente. Teresa lo vive come Maria e come Maria, la vergine poverissima e piccolissima, lo vive riuscendo a condividere ciò che Giovanni Paolo II ha chiamato l’abbassamento della fede di Maria accanto a Gesù crocifisso, cioè l’estremo della povertà spirituale di Maria come il massimo della prova della fede e questo per la salvezza dei fratelli peccatori. Nella sua passione Teresa porta dolorosamente il peso dell’ateismo moderno. Si vede in lei lo splendore dell’amore di Gesù, cioè della carità vissuta nella fede più oscura, ma in una speranza senza limiti per la salvezza di tutti. Analogamente al suo contemporaneo Charles Péguy, Teresa è una grande teologa della speranza come speranza per la salvezza di tutti, come ha ben sottolineato von Balthasar.
Infine una parola su Teresa come donna. Teresa è una giovane donna pienamente realizzata nell’amore, nella carità; l’unico amore di Gesù e del prossimo fa vibrare tutta la bellezza del suo cuore femminile secondo le sue quattro corde. A Teresa piaceva paragonare il suo cuore a uno strumento musicale, lei diceva una lira, forse sarebbe più bello dire un violino che ha proprio quattro corde, cioè amore di sposa e di madre, di figlia e di sorella. Ecco le sue parole: "Essere tua sposa, o Gesù, essere nella mia unione con te madre delle anime". Teresa è una sposa pazzamente innamorata di Gesù, è una madre piena di misericordia per i poveri e per i peccatori, insieme a Maria, è una figlia piena di fiducia nell’amore del Padre ed è una sorella per tutti.
Cristoph Scönborn: A me resta solo da aggiungere una piccola testimonianza di vescovo e anche di professore di teologia. Ho iniziato il mio ministero di arcivescovo di Vienna il primo ottobre dell’anno scorso. La scelta non era totalmente casuale, ma non avrei mai pensato che Teresa fosse così presente nelle anime e nelle vite di tanta gente, e ciò che conosco e ciò che ricevo come testimonianza è appena un piccolo saggio. Questa presenza ci dà una grande fiducia perché i santi, come dice il Concilio, essendo più uniti a Cristo, adesso sono più vicini di quanto lo furono sulla terra. E questa convinzione già espressa da santa Teresa nella fine della sua vita, si è verificata e si verifica ogni giorno dappertutto. Questa piccola testimonianza dà veramente un incoraggiamento ad affidare le nostre vie e le nostre vite, i nostri ministeri alla protezione di santa Teresa e all’aiuto che ha promesso.
Una seconda considerazione riguarda la teologia, è la questione del dottorato di santa Teresa. Nel 1934 Papa Pio XI aveva ricevuto un dossier per la dichiarazione di Teresa come dottore della Chiesa, ma Teresa era una donna e la donna non insegna nella Chiesa. Oggi le cose sono cambiate perché abbiamo due donne dichiarate da Paolo VI dottoresse della chiesa, Santa Caterina da Siena e Santa Teresa d’Avila. Padre Léthel ha scritto un libro che comincia con questa frase: "tutti i santi sono teologi, solo i santi sono teologi", dove ha messo insieme Sant’Ireneo, Sant’Anselmo, San Tommaso d’Aquino, Santa Giovanna d’Arco, che non sapeva né leggere né scrivere, santa Teresa di Lisieux, e anche Charles Péguy, che non è ancora canonizzato. Von Balthasar ha detto una volta in una grande intervista sulla sua vita: "Solo i santi tra i teologi mi hanno interessato". Perché? Solo i santi hanno quel contatto diretto, quella conoscenza per connaturalità con l’oggetto della teologia; loro non parlano di concetti e di idee, ma parlano della realtà vissuta e conosciuta sperimentalmente nella fede, nel toccare della fede.
Finisco con un esempio di grande teologia teresiana. è un testo molto conosciuto, l’Atto di Offerta di se stessa all’Amore Misericordioso. Von Balthasar diceva che in questo testo troviamo la più profonda risposta, anche teologicamente, che la chiesa cattolica, che la santità ha dato alla sfida di Lutero, al grande tormento su cosa significa la giustificazione, la giustizia di Dio, la grazia e la fede. E cito questo per finire e per mostrare inoltre con un piccolo esempio, la precisione, anche concettuale, ma soprattutto esistenziale della teologia teresiana. "Dopo l’esilio della terra, spero di andare a gioire di te nella Patria, ma non voglio ammassare i meriti per il Cielo, voglio lavorare solo per tuo amore, nell’unico desiderio di piacerti, di consolare il tuo Sacro Cuore e di salvare delle anime che ti ameranno eternamente". Questa visione, che non importa raccogliere meriti, ma lavorare per il solo suo amore, permette a Teresa di formulare la dottrina giusta della giustizia di Dio, della giustificazione e della grazia. "Alla sera di questa vita io apparirò davanti a te con le mani vuote, non ti chiedo infatti, Signore, di contare le mie opere. Tutte le nostre giustizie sono imperfette ai tuoi occhi. Voglio quindi rivestirmi della tua stessa Giustizia e ricevere dal tuo Amore il possesso eterno di Te stesso". Questa è proprio la risposta al tormento di Lutero, da dove viene la giustizia. Penso che questa sia la più bella risposta che è stata data a questa grande sfida che ha diviso l’Occidente e per questo il padre Balthasar considerava già quarant’anni fa Teresa come una delle più grandi teologhe della storia della Chiesa.
Carlo Rusconi: Mi permetto di porre ai relatori una domanda riassuntiva del percorso fatto. La prima cosa che vorrei chiedere è questa: all’inizio della cultura moderna l’umanista Coluccio Salutati diceva: "Degno del cielo è chi compie grandi imprese sulla terra"; a questa affermazione si oppone la definizione del santo come colui che fa le cose quotidiane con grandezza di significato. Coluccio Salutati e la cultura da lui espressa sono alla base del razzismo e delle divisioni del mondo contemporaneo. È possibile affermare che la santità pare essere l’unico sito in cui ci sia la possibilità di reale superamento di ogni divisione, di ogni rivalità e di ogni contrapposizione che caratterizzano il mondo nel quale noi viviamo? In secondo luogo chiederei, per l’accenno fatto alla kenosis, cioè all’abbassamento di Cristo, di essere illuminato sul nesso fra questo e l’espressione paolina della seconda lettera ai Corinzi 3,18, che saremo trasfigurati nell’immagine di lui di gloria in gloria, cercando di collocare questo nella esperienza di santa Teresa.
Camilo Maccise: Riguardo alla prima questione credo che sia in gioco qui anche dal punto di vista cristiano il concetto di santità. Noi possiamo avere e abbiamo purtroppo avuto un concetto della santità come perfezione e in questo senso cadiamo nello stesso peccato in cui è caduto questo autore della cultura contemporanea, cioè di considerare santi soltanto le persone che hanno superato tutti i difetti, tutti i problemi, tutte le mancanze; invece dal punto di vista dei santi la santità è raggiungere la comunione con Dio, e possiamo essere in comunione con Dio con la vita di ogni giorno, come esseri umani imperfetti che devono accettarsi e che devono accettare gli altri. In questo senso sparisce tutta questa divisione alla quale dà adito l’idea che è degno del cielo soltanto chi ha fatto grandi opere, o che è santo soltanto colui che ha superato tutti i difetti e le imperfezioni. Questo concetto di santità che possiamo chiamare teologale significa crescere nella fede e nella speranza, nell’amore a Dio e al prossimo. E in questo caso anche i peccati possono essere una occasione per crescere nella fede, cioè nella fiducia in Dio, e soprattutto crescere nell’amore che significa aprirsi alla gratuità di Dio e essere aperti anche alla comprensione degli altri.
Guy Gaucher: Per quanto riguarda la seconda domanda sono assai sensibile e assai colpito da questa idea dell’abbassamento. Teresa nel prologo del suo primo manoscritto aveva affermato che l’essenza dell’amore è proprio quella di abbassarsi. E Teresa nell’incarnazione di Dio in Gesù Cristo riconosce tre gradi di tale abbassamento. Il primo nel presepio, dove Dio si fa bambino, dove il Verbo si fa carne (Teresa di Gesù Bambino, e in questo Gesù Bambino non si vede il "pupo", bensì il Verbo che si fa carne, Dio che si abbassa per elevarci). Il secondo grado è quello della croce (Teresa del santo volto, dove Gesù crocifisso è il servitore sofferente di Isaia ridotto alla morte, alla morte in croce. Teresa nei suoi scritti cita diversi testi in cui si fa riferimento a questa chenosis).
Il terzo livello dell’abbassamento dell’amore Teresa lo riconosce nell’Eucarestia dove non c’è più né uomo né bambino, ma solo cose: fino a tanto giunge l’amore (Blaise Pascal fa cenno di questo abbassamento relativo all’Eucarestia). L’abbassamento di Gesù lo conduce alla gloria della resurrezione e a sedere alla destra del Padre; l’abbassamento di Teresa la porta o si manifesta in due occasioni terribili, la kenosis fisica della tuber-colosi che distrugge il suo corpo di 24 anni, e la chenosis della fede in quella prova di fede e di speranza a cui si è sottoposta negli ultimi 18 mesi di vita, quando è entrata nella notte per dare agli increduli la luce. Si tratta di una prova fondamentalmente apostolica che giunge a portare Teresa al Getsemani, nel giardino degli Ulivi, con Gesù (in alcuni miei scritti ho chiamato questa condizione la passione di Teresa, come si è parlato della passione di Giovanna D’Arco, e della passione dei santi, in realtà sarebbe meglio definita dal termine compassione come la compassione di Maria ai piedi della croce). Gesù ha umiliato se stesso ("pur essendo di natura divina") e si è abbassato verso ciò che è umano; "per questo Dio lo ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome" (Fil 2,9). L’umiliazione che Teresa ha vissuto nella sua vita l’ha portata a quel misterioso "uragano di gloria" che è un segno del Signore. La sua vita nascosta, la vita di contemplazione e di preghiera si è risolta in una irradiazione di luce per migliaia di persone nel mondo.
François-Marie Léthel: Vorrei dire una parola principalmente a riguardo della prima domanda. Mi sembra che Teresa stessa ci dia la risposta sul suo amore per Santa Giovanna d’Arco che sembra tutto all’opposto di Teresa. Sappiamo che Teresa amava molto Giovanna d’Arco, ha scritto anche due operette teatrali su Giovanna d’Arco, e praticamente si era identificata con Giovanna d’Arco che è l’esempio di una persona che ha compiuto grandi cose sulla terra, la liberazione politica del suo popolo oppresso. Nel primo manoscritto Teresa racconta che leggendo la storia della venerabile Giovanna d’Arco, non ancora né beata né santa, lei ha capito la sua vocazione di diventare una grande santa. Lei va al di là delle grandi opere compiute da santa Giovanna d’Arco per dire che in fondo vive la stessa cosa, lo stesso amore per Gesù e il prossimo, ma in una incarnazione completamente diversa. Anche Charlés Péguy, il contemporaneo di Teresa che era innamorato di Giovanna d’Arco, si era interessato più alla vita interiore di Giovanna d’Arco che alla sua vita pubblica. Avendo uno sguardo propriamente cristiano su Giovanna d’Arco, vedeva che la realtà profonda che cambia la storia si trova nel cuore dell’uomo.
Riguardo alla seconda domanda, bisogna ricordarsi che la gloria è già presente nella croce; questo spesso appare di più nel vangelo di Giovanni, la croce gloriosa, e così dentro il punto massimo dell’abbassamento la croce è già misteriosamente mistero di gloria. Caterina da Siena diceva che Gesù crocifisso era beato e doloroso; Teresa, vivendo quell’annientamento nel corpo e nell’anima di cui parlava mons. Gaucher, con questa tremenda prova della fede vive allo stesso tempo un amore che la trasfigura, e si paragona al ferro reso incandescente dal fuoco. Dunque in qualche modo c’è già l’anticipo della gloria e mi sembra molto importante ritrovare questa presenza della gloria di Cristo già al cuore della sua passione.