Cristo, destino dell’uomo

Presentazione del libro (edizioni Piemme)

Mercoledì 26, ore 18.30

Lino Esterino GARAVAGLIA, Vescovo di Cesena-Sarsina

Elio SINDONI, Orinario di Fisica Generale presso l’Università degli Studi di Milano

Luigi NEGRI, Docente di Antropologia Teologica presso l’Università Cattolica "Sacro Cuore" di Milano

Claudio CHIEFFO

Moderatore: Alberto Savorana

Garavaglia: Il mio intervento è solo una semplice testimonianza di un lettore che ha avuto tra le mani questo libretto e si è non solo interessato, ma immedesimato nel discorso concreto e profondo di don Negri. Voglio subito evidenziare il tono e lo stile vicino, confidenziale, esistenziale, amico, il parlare a dei volti precisi, a storie e aspirazioni umane e spirituali concrete. In questo testo emergono sempre due prospettive: l’incontro con Gesù e la capacità di camminare insieme come ecclesia, come compagnia verso il Signore. Dallo sfondo teologico preciso, di cui è maestro, don Luigi ci porta al Gesù reale vicino nella fede dei discepoli, al Gesù sorgente e norma della libertà umana e della storia della nostra storia.

Un secondo elemento mi sembra dominante in Cristo destino dell’uomo, è il senso dell’incontro. La formazione e l’esercizio della carità in Cristo e la figura di Cristo che illumina e dà significato alla nostra carità, sono i temi fondamentali su cui don Luigi guida a riflettere, ad approfondire, a stimolare all’agire. L’agape è il fondamento, il principio genetico, la struttura della chiesa e dell’esistenza pasquale del cristiano. Nella comunità, dice don Negri, la carità è criterio di discernimento, principio fondatore, regola di vita poiché in Cristo Gesù ciò che conta è la fede che opera per mezzo della carità. Mi auguro che quest’opera possa essere in mano a tanti, giovani e meno giovani, perché edifica e coinvolge, è profondamente valida e coraggiosamente proponente per il nostro cammino.

Sindoni: Cristo destino dell’uomo può essere considerato un vademecum per chi volesse riprendere gli esercizi spirituali. E’ un manuale prezioso da leggere e da meditare. Mi limiterò a sottolineare alcuni punti. "Il Signore è entrato nella vita dei primi che avevano pescato tutta la notte e non avevano preso niente: è l’immagine dell’uomo che non riesce a dire io, e tutto quello che fa gli va male, gli sfiorisce tra le mani. (…) Hai pescato tutta la notte e sei tornato a riva con le reti vuote, e arriva il Signore e dice: "Butta le reti dall’altra parte", cioè fidati di quel che dico io" (p. 81-82). L’unica cosa che ti può permettere una vita veramente felice, dice don Negri, e può farci vedere tutti gli avvenimenti nella giusta luce, è la certezza che Cristo è risorto. Ma l’incontro degli uomini con Cristo può avvenire soltanto grazie ad una presenza. La persona cioè rinasce in un incontro. C’è stata per tutti noi un’ora nella vita in cui qualcuno ci ha accolto per quello che eravamo e ci ha detto che c’è un altro modo di vivere. La grandezza della compagnia nata fra noi da tanto o da poco tempo, è che è tutta rivolta al nostro cammino umano; ci fa dire io con verità perché ci fa andare al fondo del nostro cuore e ci fa sentire quello struggimento per cui non sarà mai soddisfatto di niente se non del volto del Signore. Vale davvero la pena riprendere queste meditazioni che costituiscono una proposta forte, un invito ad affacciarsi su una realtà che dovrebbe almeno suscitare una domanda: perché questi ragazzi sono così diversi dalla gente comune? Io ne ho esperienza perché li vedo in università, e vedo quello che riescono a fare in aiuto a tutti, facendo le cooperative universitarie, i precorsi, aiutandosi a vicenda a studiare. Cosa rende la loro amicizia una cosa unica, che non si riscontra da nessuna altra parte? Si può dare un semplice suggerimento: venite e vedrete.

Moderatore: Dice don Negri in una delle meditazioni contenute nel libro che noi viviamo da cinici preoccupati soltanto di noi stessi; cinico deriva da cane, viviamo da cani. "Distruggono il vostro io facendovi vivere da cani. Riempiendovi di cose e facendovi fare quello che volete, come se questa fosse libertà. Invece, la prima cosa che la compagnia che io ho incontrato, in un contesto totalmente diverso da quello in cui voi la incontrate, mi ha comunicato, è che io c’ero". Vorrei chiedere a don Negri di raccontarci qualcosa di quell’inizio che è la ragione esauriente di questo presente.

Negri: Mentre gli amici dicevano quel che hanno detto mi risuonava in mente una frase che forse è quella che dà il filo conduttore di tutti questi anni: "Con la stessa misura con cui siete stati misurati, misurate gli altri". Con che misura sono stato misurato io? Sono stato misurato da una misura che non è una misura, la misura di Dio, che fa emergere l’essere, ti fa esistere quando non c’eri un istante prima. L’uomo da solo vive in una situazione assolutamente di nullità. La nullità nella mia generazione non era, come purtroppo è nella situazione di oggi che ha così acutamente descritto don Giussani in una delle sue cose più belle che è l’introduzione del libro Alla ricerca del volto umano, una disgregazione, era l’inquietudine di una ricerca, che non trovava risposta. Noi andavamo a scuola pensando di trovare la verità e la scuola era molto diversa da oggi, e qualche spunto, qualche sprazzo in questa direzione lo ricevevamo... Soprattutto in prima liceo ricordo la passione con cui siamo andati a filosofia le prime ore, e la delusione, perché, come tante volte abbiamo discusso con don Giussani (in quegli anni veniva fuori l’idea di cominciare a difendere la libertà nella scuola, nei termini in cui la difendiamo adesso facendo la raccolta delle firme), nei primi 3 , 4 giorni la mia classe ha avuto i quattro professori più importanti, con quattro posizioni ideologiche diverse. Perciò subito, insieme alla ricerca, l’espressione della delusione. L’incontro con don Giussani mi ha introdotto ad un altro livello di rapporto, quello di un amico grande che ti faceva fare la verifica nella vita di quello che ti insegnava la mattina a scuola. E’ stato come dire: "No, la questione della vita non è neanche la ricerca; quello che è impossibile all’uomo, Dio l’ha fatto. Questa frase nei primi mesi della mia esperienza nel movimento, l’avremo ripetuta e discussa e tentata di approfondire infinite volte. Cosa è impossibile all'uomo? Dire io con verità, conoscere l’origine e il destino e perciò vivere con utilità l’esistenza. Questo è il più grande desiderio che uno ha nel cuore e insieme la più grande delusione. Dio mi ha salvato dalla delusione, che avrebbe potuto essere grave dato il mio temperamento, mettendomi accanto una presenza assolutamente normale. Se io ripenso ai primi mesi della mia esperienza, un’esperienza normale di amicizia con don Giussani e con quella decina di persone con cui cominciavamo a stare insieme in modo diverso da quello con cui stavamo insieme in classe la mattina oppure con gli amici che avevamo prima, riconosco che la diversità stava nella certezza che dentro questa compagnia si faceva finalmente presente il mistero di Cristo, anche se quanto tempo c’è voluto perché potessimo abbozzare con un minimo di chiarezza queste parole. L’incontro assolutamente normale con la realtà del movimento ha significato il ritrovare il cuore. Il cuore, cioè la domanda di senso, di bellezza, di giustizia, di verità, la domanda per cui un uomo vive inquietamente l’esistenza, tutto proteso a cercare - quante volte l’ha descritta Giussani nel Senso Religioso - la risposta a questa domanda nelle cose che incontra, negli incontri che fa, nelle idee che trova, nella cultura che studia. Questo si è comunicato a me nella normalità. La novità è stata la dimensione sempre più profonda e quotidianamente ripresa di una cosa che sembrava all’inizio assolutamente normale. Per cui io mi sono trovato dentro ad un amore alla verità di me, e un amore all’incontro fatto e mi sono sentito dalla compagnia con don Giussani e dai miei amici, spinto alla verifica, cioè a confrontare continuamente quello di cui avevo bisogno e quello che mi ero proposto. La parola più strana e un po’ barbara, ma più bella della nostra prima GS era la parola verifica, cioè impostare e vivere gli aspetti dell’esistenza, quelli che avevamo in comune con tutti, lo studio, la compagnia, il tempo libero, le vacanze (per questo passavamo l’estate sulle riviere romagnole facendo nascere GS a Rimini, di qua di là, semplicemente cercando di vivere anche lì la compagnia che vivevamo durante l’anno a scuola). vivere i problemi di tutti (perché abbiamo in comune la natura, dicono i filosofi), dentro la grande certezza che solo Cristo porta. La misericordia di Dio, che è Cristo, dà a questo incontro il carattere dell’assoluta normalità, perché era un uomo come tutti gli altri, era un ebreo del suo tempo, mangiava, parlava e si muoveva, agiva e viveva come un uomo del suo tempo, così che la prima battuta era quella di aver trovato un uomo come tutti gli altri. Nell’impatto con quest’uomo si apriva una possibilità di cammino di approfondimento, di corrispondenza fra quello che era lui e il proprio cuore inaudita. E’ stata una cosa normale, nella quale ho cercato di immedesimarmi giorno dopo giorno, comunicando, per quel che potevo, agli altri quella stessa immediatezza e profondità e verità con cui la vivevo per me. E mi sembra che il segreto di tutti questi anni di compagnia con tanti, soprattutto giovani, sia stato semplicemente una comunicazione di sé. Ma un sé che non conosci e non possiedi tu in partenza, un sé che ti è comunicato, e il primo dono è che ti è comunicato questo sé, e insieme ti è comunicato il senso profondo di questo io e ti è detto: prova. L’incontro con la realtà di Cristo nella vita della Chiesa, del movimento ha rivelato me a me stesso, ha rivelato alla mia vita una possibilità, e questo voglio conclusivamente sottolineare. Però ha potenziato la mia libertà, perché ha spinto la mia libertà alla verifica, e solo io potevo rispondere seriamente. Cioè soltanto io potevo investire le circostanze della vita di quella luce, di quella chiarezza, di quella compagnia, rendendomi conto ogni giorno di fronte ad ogni problema che l’incontro che ho fatto, che mi aveva sconvolto la vita a 17 anni, era anche la strada per capire più me stesso, per capire più Cristo, per capire più Dio, per capire più gli uomini, soprattutto una strada per amare veramente me stesso e per amare tutti gli uomini.

A conclusione dell’incontro Claudio Chieffo, le cui canzoni sono ampiamente citate in Cristo destino dell’uomo, ha cantato: I cieli (n.d.r.).