Tecnologie, ruscelli di sapienza. Ossia, il coraggio della certezza

 

 

Domenica 23, ore 18.30

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Relatore:

Padre Roberto Busa, Docente Emerito presso l’Aloisianum di Gallarate, l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e la Pontificia Università Gregoriana

 

Busa: Vi esporrò anzitutto le mie credenziali e due premesse. Quindi tre capitoli, di cui ciascuno avrà per titolo un testo di san Tommaso. Poi ancora tre perché e perché si riducono a uno. Per ultimo, la seconda parte del titolo sarà la confessione di un mio garbuglio.

Le mie credenziali

Il padre provinciale, ora cardinale Paolo Dezza, mi chiama. "Padre Busa, a Lei piacerebbe fare il professore?". "Padre, per la verità proprio no". Io infatti sognavo di essere mandato missionario. Mi fece un bel sorriso e mi disse: "Va bene: lo farà lo stesso". E lo ho fatto e lo ho prteso sul serio. Nella vita si sa dove si comincia, ma non si sa dove si va a sbattere.

Nel 1949 a New York incontro la IBM. Fino ad allora l'automazione non si era occupata che di numeri: parole ve ne erano solo nelle fatture. Ho chiesto e ottenuto l'uso di macchine per tentare di compiere l'analisi di testi scritti. Ci riuscii. Furono tre tappe. Alle prime due lavorai per trent'anni, beninteso in equipe.

Iniziai con le schede perforate: se Vi interessasse vedere de visu cos'erano, cercatele nei musei delle tecnica o venite da me. Scrivevamo una riga per scheda. Le schede poi venivano a macchina moltiplicate tante volte quante parole contenevano, con sul retro un contesto di 12 righe. Nell'ordinarle secondo alfabeto, vantavamo l'incredibile velocità di ben 20.000 parole all'ora... il che oggi fa ridere. Obiettivo era un schedario unico di 90 metri di fronte, 1,20 di altezza, uno di profondità: peso sulle 500 tonnellate.

Dopo che ne perforai 6 milioni, piacque finalmente al Signore di far inventare agli uomini i nastri magnetici. Questa fu la seconda tappa. Ebbi in lavorazione un parco di 1800 nastri magnetici: grandi "pizze" con 2.400 piedi di nastro di plastica patinato di ossido di ferro. Facevano 1.600 km di nastro, che è la distanza tra Milano e Palermo o Parigi e Lisbona. Scodellandoli e riscodellandoli da uno all'altro per vent’anni, attraverso tutte le generazioni di computer IBM, l'output finale furono 20 nastri, circa 16 km, con 2 giga di bytes. Con questi ho, su un computer IBM di fotocomposizione, stampato (a 4 minuti primi per pagina) le matrici delle quasi 70.000 pagine (formato infolio, 300 righe su 3 colonne) dei 56 volumi dell’Index Thomisticus: circa 20 milioni di righe, 4 volte quelle dell’Enciclopedia Treccani. L’edizione venne terminata nel 1980. Pesa 3,5 quintali. Una università italiana non lo potè comperare perchè - mi dissero - avrebbe sfondato il pavimento della biblioteca...

Nel 1992 da 15 di quei nastri ricavai e pubblicai il "Thomae Aquinatis Opera Omnia in CD-ROM cum hypertextibus", ora già in ristampa della seconda edizione. Nella sua microscopica spirale di 4,5 km, capace di 6,5 megabytes, si è trovato il modo di comprimere tutto, e vi resta ancora spazio. Se la tecnologia dei CD fosse esistita nel 1975, dei 56 volumi cartacei ne avrei al massimo pubblicati 17.

L’Index Thomisticus recensisce e documenta 11 milioni di parole latine. Per collaudare il metodo, con le mie equipes elaborai altri 11 milioni di parole in 18 lingue e otto alfabeti diversi. Menziono solo i manoscritti di Qumran in alfabeto ebraico, il Corano in arabo, volumi di abstracts russi di bio-chimica e bio-fisica in alfabeto cirillico, e gli scritti, epistolario compreso, di sant’Ignazio di Loyola, con le loro sei lingue: catalano, francese, italiano, latino, portoghese e spagnolo. L’elenco delle mie pubblicazioni al 31 dicembre 1997 contava 338 voci, di cui 90 volumi e il resto articoli.

Metodi, formati, codici e classificazione risultarono sorprendentemente eguali in tutte queste lingue, a confermare che un’unica logica interiore illumina ogni uomo. Mi interesserebbe ora esplorare le lingue a scrittura ideografica: ma a 85 anni è troppo tardi. Lo farà qualcuno tra voi.

Prima premessa: quanto dir "pensate in termini non di cose ma di forze"

Quando una "cosa" (ossia un corpo) c’è, c’è e basta. Il verbo "essere" è il verbo dell’assoluto. L’esistere, puro e assoluto, è la definizione di Dio. Fin che stiamo bene di salute, è l’esistere che a noi contribuisce quel senso di concreta assolutezza, per cui "son padrone di me, faccio quel che voglio". Ho ben incontrato persone nelle quali l’ateismo era sostenuto solo dalla felicità con cui ingerivano e digerivano 4 dm cubi di spaghetti...

Per "cose" si scivola con l’intendere "i corpi" visibili e contrapporre loro le realtà invisibili, immaginandole nell’aldilà, fuori del cosmo: "Nel nostro mondo non si sono mai viste e dall’aldilà nessuno è tornato indietro": il che poi non è neanche vero.

Ma vi sfido a segnalarmi una forza, di questo nostro mondo sensibile, di cui noi vediamo quello che è. Di tutte le forze anche corporee vediamo solo quel che fanno, ma mai quel che sono in se stesse: della gravità, elettricità, luce, onde herziane, energie atomiche vediamo soltanto - o con i soli sensi o con i sensi più strumenti - quel che fanno. E quanto ci sia di intelligenza in ognuno lo si appura solo con interrogazioni ed esami... I confini tra invisibile e visibile non sono ai confini del cosmo, bensì in ogni cosa, dappertutto e ovunque.

Seconda premessa: il computer "fa sistema con l’uomo"

Quando nel 1949 con il libro di Norbert Wiener scoppiò la cibernetica, i giornali riempirono il mondo di un mito inconsistente: la macchina è una minaccia per l’uomo, sua concorrente, rivale, nemica. Sarebbe come dire la marcia trionfale dell’Aida è rivale di Giuseppe Verdi e che il Cupolone di san Pietro lo è di Michelangelo. Il computer è opera dell’uomo e sua espressione e sua gloria. Le tecnologie sono una delle espressioni umane, accanto alle arti e al parlare. Le malefatte delle macchine sono loro effetti collaterali, il cui responsabile sarà sempre un qualche uomo.

Capitolo I: sapientis est ordinare (Summa Theologiae. I, 1, 6)

San Tommaso la ripete almeno dieci volte, citandola da Aristotele (982a18). Traduco: "organizzare e programmare è esercizio d’una forza interiore che si chiama sapienza. Immaginate un programmatore quando affronta un programma nuovo. Lavora con la "mente". Ma cos’è questa mente dentro di lui da qualche parte? pensiero, memoria, informazioni, professionalità, cultura, immaginazione, fantasia, ma anche una logica e un’attenzione che come il raggio di un faro gira frugando tra quanto ciascuno ha dentro di sé...

Ancora una metafora: la mente è come un pittore con in mano la tavolozza di quanti colori sia riuscito a raccogliere; essa dentro di sè intravede la formula d’un’immagine ancora in boccio, di qualcosa o già o non ancora incontrato, e la vuole esprimere; esprimerla implica di svilupparla, precisarla, definirla e poi fissarla su un supporto esterno, che sussista per suo proprio conto...

È così nella creazione non solo artistica ma anche tecnologica. Ed è così anche nella quotidianità del parlare di tutti.

L’espressione esteriorizzata vien cioè preceduta da una espressione interiore, realtà virtuale nel senso più vero della parola, appunto perchè essa genera nell’interno della mente la formula d’insieme dei segni che ri-produce ossia duplica ossia fa esistere anche nell’esistenza di un altro, mentre essa continua a sussistere inclusa nell’esistenza di chi la ha mentalmente concepita.

La produzione "esterna" talora segue immediatamente alla concezione interiore. Ma spesso viene anche ritmata a tappe da esteriorizzazioni per dir così transitorie e preparatorie, come sono i disegni, le brutte copie, le sperimentazioni o anche i tempi che un compositore passa al pianoforte per sviluppare un motivo. In tecnologie di costruzione di macchinari o edifici, i disegni esecutivi vengono conservati, per esempio come brevetti, pur restando realtà virtuali. Spessissimo queste "brutte copie" sono indispensabili per portare a maturazione l’idea originaria.

Tutto questo interiore lavorio dell’homo faber, nel senso più pieno che la parola può avere, è appunto esercizio d’una forza che si chiama sapienza.

Capitolo II: secunda (...) agentia sunt quasi particulantes et determinantes actionem primi agentis (Summa contra Gentiles 3, 66, 6).

Traduco: "le creature, per dir così, canalizzano, parcellizzano e specificano la spinta che il Creatore loro dà perchè siano esse a far esistere cose nuove". In mano a Dio vi è un originario "far fare", far cioè eseguire da altri viventi intelligenti che non sono Lui. Per Sua delega ogni umano organizzatore mette in opera assemblando sistemi, pur solo "meccanici", come macchine e strumenti, ovvero anche dispotici o politici, come qualsiasi consociazione di persone.

Immaginate ora la Sapienza Prima come una sorgente in montagna, che manda la propria acqua a canalizzarsi a valle.

Appunto guardando nel cosmo più le forze che le cose, già gli stoici greci avevano congetturato nel cosmo quanto noi oggi diremmo la logica strutturata nell’insieme d’un computer in attività. Denominarono "logos spermatikos" il programma globale incorporato nel cosmo a produrne l’evoluzione. Lo ha cantato Virgilio (Eneide 6,724ss): "Principio caelum et terras camposque liquentis/ lucentemque globum lunae titaniaque astra spiritus intus alit/ totamque infusa per artus mens agitat molem et magno se corpore miscet". Poi Platone intuì che le idee sapienziali prototipe dovevano pur esserci da qualche parte e Aristotele che da qualche parte ci doveva pur essere un "motore immobile" (curioso come la voce "motore", oltre che in automobilistica, sia oggi entrata anche in informatica) per sostenere (e quindi "spiegare" o "giustificare" a noi, ossia di fronte al pubblico ministero della nostra logica) ogni trasformazione ed evoluzione.

Lo stupore di quale Mente abbia concepito il programmone dell’evoluzione e della vita nell’insieme del cosmo, trasuda da quasi ogni pagina del Vecchio Testamento e specificatamente dal Libro della Sapienza. Ma non vi appare, almeno chiaramente, esplicitato che la Sapienza fontale è una Persona, il Verbo, la Seconda della Santissima Trinità, e che la spinta e la forza fontale a far agire le altre cose ne è la Terza (con le creature le Tre Persone agiscono congiuntamente come un unico Dio, ma l’analogia tra le strutture ontologiche delle creature e le relazioni personali della vita divina "ad intra" permette di "appropriare" per esesmpio la Sapienza al Verbo e l’Amore allo Spirito Santo).

Non solo la "struttura" trinitaria della intimità del Creatore, ma anche la logica correlazione di presenza tra Dio autore e le Sue opere nell’enorme computer del cosmo, divennero nel Nuovo Testamento una certezza abituale e vitale, slegata dalle informazioni culturali e accessibile quindi a tutti, nella misura ben’inteso in cui vivano la vita nella Chiesa.

È infatti frutto dell’Incarnazione del Verbo che perfino "ea quae in rebus divinis humanae rationi per se impervia non sunt, in praesenti quoque humani generis condicione ab omnibus, expedite, firma certitudine neque ullo admixto errore cognosci possint", come disse il Concilio Vaticano I sess. 3 cap.2.E sant’Agostino con l’entusiasmo del neo-convertito lo aveva già messo in luce in uno dei suoi primi opuscoli, modernissimo di stile e contenuto, il De Vera Religione (nella Patrologia del Migne al vol.34 coll. 121-172) opponendo (cap.4 col.126) la "manifestam salutem correptionemque populorum" del cristianesimo alle "paucorum timidas conjecturas" della cultura greco-romana, la quale tuttavia - basterebbe rileggere Cicerone - non era scesa ai livelli di autolesiva aridità cui, pur dopo tanta scienza, si è buttata troppa parte della cultura moderna... per lo spavento di dover ammettere di avere un Dio Padre.

Capitolo III: dixerunt "non est Deus" et currupti sunt (Super Psal. 13 n.1).

Quanto sopra ho accennato, potrebbe favorire un sogno idilliaco: ogni organizzazione anche umana viene da Dio: quindi tutto è bello, ordinato, senza né dispiaceri né incongruenze... gli uomini potrebbero abbandonarsi a fare quel che vogliono... La citazione di san Tommaso che congiunge i due temi del Salmo 13, avverte però che la realtà è ben diversa. C’è chi dice di non aver evidenza di Dio e di conseguenza, basandosi non sui programmi del Creatore ma solo su se stesso, guasta anche quanto di bello e buono vorrebbe pur realizzare da solo. È un ritornello biblico, drammaticamente espresso per esempio dai profeti ma anche da san Paolo nella lettera ai Romani.

In informatica, come in ogni tecnologia e ogni arte, si incontra il demoniaco. Ma non è il computer che va esorcizzato, bensì l’uomo che se ne serve. È l’uomo infatti che può usare il computer male per il bene e bene per il male.

Se per esempio non si mette un impegno pieno a curare senza risparmio di tempo tutti i dettagli di un programma, non c’è macchina che eguagli il computer nel far perdere denaro e tempo in tempo reale. Il computer viene usato male per il bene ogniqualvolta si parte dal falsissimo principio: il computer fa tutto da sé, è "intelligente": il computer è intelligenza umana in scatola: un barattolo di conserva ve ne dà tanta quanta ve ne avete messa. Esso viene usato male per il bene, quando per esempio in ricerche di scienze soprattutto umane, lo si usa per ridurre i tempi del proprio lavoro mentale allo scopo di pubblicare di più in meno tempo.

Ma c’è purtroppo chi impiega bene il computer per il male. Come i coltelli di cucina talora vengono usati da omicidi, così anche ogni tecnologia, pur ruscello di sapienza, può venir usata per il male. Già la rete Internet, così meravigliosa nelle promesse e così laboriosa nell’uso, viene pure usata per il male: e non occorre che lo dettagli.

Capitolo IV: per tre ma una ragioni

La prima ."Sembra che Iddio faccia di tutto per far finta di non esserci". Ci ha messi come batiscafi a navigare immersi nel cosmo guardandolo attraverso i cinque oblò dei nostri sensi. Ed Egli, che è la prima forza, ovviamente non lo si vede. Perciò si scivola nella "stupidaggine" di dirsi "Non lo vedo: non c’è". Iddio non vuole forzarci a volergli bene: il voler bene non si comanda. Iddio aspetta di venire cercato con fiducia. I comandamenti, anche il primo, sono anzittutto ricette per una migliore qualità della vita umana già in terra.

Seconda ragione. "Pare che Iddio abbia interessi sportivi", che cioè ami avere figli tanto forti da superare anche le "tentazioni" cioè le "prove" penose e difficili e che Gli luccichino gli occhi quando vede un figlio che risolve bene i problemi che gli si presentano sui banchi di quell’esame che è la vita.

La terza ragione sta dentro l’uomo e sono le sette passioni capitali: superbia, avarizia, invidia, ira, lussuria, golosità, pigrizia. Quando assecondate sono altrettanti vizi. Le passioni sono "passività", cioè spinte e pulsioni interiori, cioè forze, che sollecitano la nostra libertà; sono un motore di forze cieche che tocca alla ragione di frenare e guidare: ragione ed educazione al motore devono aggiungere il sistema dei freni e il cruscotto, e continuare a tenerli d’occhio.

Queste tre ragioni si riducono a una, che è la storia di cosa è avvenuto nella casa di Dio tra Lui e i suoi figli. La teologia la ha riassunta come segue:

a. "natura pura", cioè quale sarebbe stata senza elevazione soprannaturale. Non fu mai mesa in essere, ma la si pensa come riassunta sopra;

b. "natura elevata": Adamo ed Eva ebbero dalla creazione la grazia santificante gratuita, la partecipazione della natura divina, in tanta misura che la ragione in loro organizzava le passioni animali. Durò poco:

c. "natura lapsa", quella di Adamo ed Eva dopo il peccato originale, senza propria possibilità di rimedio. La situazione sarebbe stata quella di cui sopra, con in più il disonore della diserzione, e la perdita dell’eredità divina per sé e per i propri discendenti. Di fatto non fu mai in essere, perchè Gesù Redentore venne subito promesso;

d. "natura reparata" da Gesù Redentore: da allora è la nostra, nella quale alla situazione di cui sopra, Gesù aggiunge la grazia dei sacramenti nella vita entro la Chiesa, offerta e proposta a chi la accetta... con quante e quali rumorose eccezioni al buon successo, per l’oggi ce lo dice il telegiornale e per il passato la storia.

È questa vicenda che fonde in una le tre ragioni di cui sopra.

Al tempo di Paolo VI ad alcuni, anche teologi, non piaceva che il demonio esistesse: nella civiltà del comfort in cui sembrerebbe che quel che piace mai sia - almeno a più lungo termine - autolesivo dell’uomo e cioè peccato, sapere che c’è il diavolo, parrebbe proprio una "seccatura". Mi venne chiesto "Lei crede al demonio?" Risposi "No". Se ne stupirono e continuai "Non si crede a ciò che si vede". Se ne stupirono ancor di più. Continuai "Per la verità, non ho mai visto quel che è, perchè è una forza. Ma continuo a vedere quel che fa". E quel che fa non lo vedrei nelle scope che volteggiassero in soffitta da sole: ma lo vedo nel mondo delle idee, della cultura, della filosofia, della stampa: ogniqualvolta cioè io veda idee vestite di qualche verità bella, con dentro un minuscolo grano velenoso, il quale, sviluppandosi, batte moneta, che su una faccia reca "Né Dio né una Chiesa", ma sotto, sull’altra, "Guerre, confusioni, depressioni".

I demoni sono creature di Dio, angeli e suoi figli ribelli, che Dio mantiene in vita nelle sue proprietà, misurando loro spazi di attività. Non nuocciono alle anime per forza, se non in quanto esse lo permettono: la forza cioè dei demoni è la dabbenaggine degli uomini, che paiono proprio facili a turlupinare. Solo in accessi di speciale "cretineria" i diavoli fanno "il diavolo a quattro", per farsi temere. Ma i migliori loro affari li fanno vestendosi bene, come i pataccari.

Per ultimo: il coraggio della certezza

Come evangelizzare a questo povero mondo la presenza di Dio? È qui che mi ingarbuglio. La certezza di Dio è una certezza vitale, che sboccia naturalmente dalla vita di tutti, come lampante evidenza del mistero del cosmo e della vita. I cristiani hanno le armi della verità. Dalla loro parte, cioè meglio dalla parte di Gesù, ci sta la forza della logica, la più severamente e scientificamente studiata che ci sia: non c’è scienza più scientificamente fondata della teologia cattolica. I cannoni non van difesi ma sparati. Va male quando un’armata si trovi a difendere le proprie armi... Inoltre piuttosto che inseguire chi diffonde l’errore, non sarebbe forse meglio mettersi all’avanguardia e diffondere la verità? Non ci sono "veri" atei, bensì solo persone che non pregano o per pigrizia, o per rifiuto, o perchè nessuno li ha a essa avviati. E a me pare una sottigliezza diabolica che la cultura metta l’accento sul valore delle certezze culturali, e non vi inchiuda le vitali, che pure sono il principio che le genera.

Le certezze culturali sono informazioni elaborat da specialisti. Quando questi assurgano a celebrità, vengono accettate dalle masse come frasi "firmate". Gli spiriti dell’errore cercano di infiltrare tra le affermazioni degli uomini che vengono valutati come grandi e celebri, virus del tipo "Non ci sono certezze". "È solo un’opinione che Dio ci sia" "L’unica certezza la trovi nella tua ragione". (quanto è vero che a tutti piace giudicare e sentenziare e definire!) "Rispetta tanto le opinioni altrui da ritenere solo la tua". "Fa quel che il cuore ti detta". "Quel che ti piace non è mai peccato". Alcuni tra i cosiddetti grandi della cultura sembrano, in fondo, distribuire il mito, magari non professato ma certamente esercitato, "Nessuno è infallibile... eccetto me".

Gesù ha detto (Matt.7,6) di non gettare perle ai porci. E nelle prime catechesi c’era una gradazione nel presentare i misteri: tanto che molti decenni fa si è discusso se esistesse una "disciplina dell’arcano" e ancora oggi nei riti orientali si chiudono le porticine dell’iconostasi prima della consacrazione... Ma san Paolo (1Cor 9,16) ha pur detto "Vae mihi si non evengelizavero". Ma come? Come Geremia o Ezechiele e gli altri profeti del Vecchio Testamento? O non invece come Gesù in Galilea? Ma anche Gesù ha detto parole durissime a certi strati di cultura e potere... Per affidarsi a Dio, certamente non sono le informazioni che mancano. Chi non "crede" sa già che Dio c’è ma è trattenuto da allergie di varia natura, che nasconde sotto la cortina fumogena di parole come "dubbio, fede, problema". Le cinque vie di san Tommaso sono schemi logici riassuntivi che dipanano e analizzano quelle intuizioni illative per cui tutti gli uomini han sempre parlato di divinità e che già gli antichi filosofi del bacino del Mediterraneo avevano più o meno analogamente formulato. Ma che io sappia la lettura delle cinque vie non ha fatto fiorire il Padre Nostro sulle labbra di alcun sedicente ateo.

Mi domando quali fatti interiori stiano di mezzo tra un’informazione scientificamente logica e quella "correptio" che ricorre nel testo citato di sant’Agostino. "Correptus" non vien da "corrigo" ("correctus") ma da "cum-rapio" quasi "strappare": un uomo sta camminando verso un precipizio... ma Uno lo afferra per le spalle e lo gira all’indietro. L’uomo resterà padrone di reagire "Lei come si permette?", ma potrebbe anche riconoscervi un preveniente fortunato atto d’amore. Voi che ne dite?

Permettetemi una piccola frangia. Sono tentato di dire che l’informzione logica generalmente basta solo per interessi immediati e concreti. Il cuore dell’uomo è rapito dalla bellezza. Bisognerebbe parlargli con parole vestite dei colori della bella poesia. La logica del ragionamento è lo scheletro della bellezza: avete mai incontrato uno che si sia innamorato d’uno scheletro?

A colloquio con l’uditorio

Dal pubblico mi si chiede: "Padre, dal suo garbuglio come ne è venuto fuori?".

Rispondo: siccome l’evangelizzazione è un incarico, un’incombenza che viene da Dio Padre, come continuazione della "missione" affidata da Lui a Gesù, il "cosa fare" e le grosse linee del "come farlo" vanno chiesti all’autorità di Dio presente nel Vicario di Cristo. Nei dettagli dell’attuazione si fa come meglio si può: ciascuno ha solo se stesso da adoperare.

Mi si chiede ancora: "Errori di programmazione sono sempre di origine diabolica?"

Rispondo: involontari errori conseguono la fragilità umana. Sono colpevoli solo nella misura in cui non si sia fatto quanto si doveva per prevenirli.

Dall’esperienza mia e della mi equipe è emerso che l’attenzione è fisiologicamnete discontinua. Invece usare il computer per far del male, è errore morale, cioè colpa.

"Ritiene lei che resti vero anche del computer quanto Platone lamentava della invenzione della scrittura, che avrebbe cioè indebolito la memoria? e che nel Medioevo abbiano avuto ragione nel sotterrare scoperte tecnologiche?

Rispondo: la scrittura ha certamente indebolito la memoria personale che muore con l’individuo, ma ne ha allargato le funzioni nel tempo e nello spazio.

Anche i calcolatori tascabili oggi hanno impoverito le nostre abilità nelle operazioni aritmetiche. Quale invenzione non porta effetti collaterali?

Quanto lei riporta su quei fatti del Medio Evo, lo considero leggenda (salvo ovviamente documentazione in contrario). Nella sua generalità lo spirito della Chiesa mai è stato nemico delle scienze, del progresso, delle tecniche: nel Medioevo queste rinacquero con la Chiesa e dalla Chiesa. L’oscurantismo della Chiesa fu un’invenzione mitica dell’illuminismo, e ha quindi più o meno 300 anni di vita

Agli illuministi la storia regalò la condanna di Galileo, sbandierata (ma non subito) quale prova dello spirito antiscientifico della Chiesa. Il che fa vedere una volta di più come miti ripetuti riescano a stabilizzarsi anche in aule di università. Con i valori del metodo matematico e dello spirito di osservazione, Galileo trovò d’accordo per esempio i gesuiti del Collegio romano, così come dovrebbe esserlo ogni cristiano. L’errore del sant’Uffizio affermante essere l’ipotesi eliocentrica in contraddizione con la Sacra Scrittura, fu dovuto alla fiducia che i teologi (anche) allora avevano nella scienza dello "establishment" della cultura contemporanea.