Imprenditoria e comunicazione pubblica e privata: i protagonisti
Franco Viezzoli
Venerdì 30, ore 19
Franco Viezzoli è presidente dell’ENEL.
Viezzoli: Quanto è accaduto in questi giorni in Unione Sovietica crea preoccupazioni anche per ciò che riguarda il problema energetico, di mia specifica competenza. Vorrei ricordare pochissimi dati. A livello mondiale l’Unione Sovietica fornisce circa il 50% del metano e i paesi del Medio Oriente il 60% del petrolio. Entrambi sono fonti delicate di approvvigionamento di olio combustibile e di combustibile fossile, del metano, che sono condizioni indispensabili perché l’intero mondo avanzi in materia economica e quindi anche in campo sociale. Le due crisi del Golfo, con le due guerre del Kippur, hanno fatto ragionare l’intero mondo in modo diverso. Mentre prima si considerava il petrolio a basso prezzo e di sicuro approvvigionamento, dopo le due guerre del Golfo, è sorto il timore della mancanza di petrolio. È iniziata la ricerca di petrolio a prezzi competitivi nel Mare del Nord, in Venezuela, in Columbia, nel Golfo del Messico e sono state costruite circa 450 centrali nucleari.
Per quando riguarda l’Italia è da circa un anno che cerchiamo di comprare una grossa quantità di metano da mettere nelle nostre centrali e non riusciamo a firmare il contratto in quanto prima ancora degli attuali avvenimenti in Unione Sovietica c’era una specie di disfacimento dal punto di vista della burocrazia, per cui non si riusciva a trovare chi firmasse dei contratti per 15 anni per grossi quantitativi di metano o di petrolio. Ora noi rischiamo di avere davanti mesi o forse anni in cui difficilmente avremo a che fare in URSS con una struttura burocratica amministrativa, che potrà prendere impegni con noi per quanto riguarda il petrolio. È un grosso problema per l’Enel, poiché siamo debitori verso l’estero del carbone, di olio e metano per oltre l’82%. Fino a quando non si arriverà alla fusione nucleare (c’è chi parla del 2010, chi del 2050), noi dovremo vivere in Italia con un deficit di combustibile fossile intorno all’80%. L’altro paese che come noi non aveva niente, cioè il Giappone, si è costruito una propria indipendenza, attraverso una produzione nucleare di energia elettrica del 50% circa, e attraverso fonti diverse interne. Noi siamo l’unico paese che è debitore dell’80% verso l’estero. Dico 80%, perché l’altro 20% è costituito da geotermia italiana e da idraulicità. Aumentando i consumi, cala l’autonomia energetica. Perciò dobbiamo attrezzarci per poter utilizzare fonti diverse di approvvigionamento: venti paesi ci forniscono olio combustibile, otto carbone, purtroppo solo tre paesi ci forniscono metano, per cui abbiamo diversificato le nostre centrali, i nostri paesi di produzione e le tecnologie, in modo da poter far fronte, in ogni momento, alle richieste del mercato. Alcuni anni fa scegliemmo centrali policombustibili, cioè centrali che brucino indifferentemente olio, carbone e metano. Questo ci consente, evidentemente, di diversificarci e di essere sempre pronti a produrre tanta energia e tanti chilowatt quanti il paese ne richiede.
Esistono energie alternative, quella eolica, quella solare, ma non sono esenti da problemi. La Danimarca, posta sul mare, sfrutta l’energia eolica, ma essa costituisce solo il 2% dell’energia totale prodotta. In California centrali a vento sono state costruite all’epoca della prima crisi del Golfo, ma ora sono quasi inutilizzate per i grossi costi. Inoltre l’energia fotovoltaica ed eolica non sono ambientalmente perfette: l’energia eolica fa un rumore infernale e spaventa tutti gli uccelli. L’energia solare provoca grossi danni; la nostra centrale di energia solare a Orano, in Sicilia, per esempio, ha bruciato attorno a sé le coltivazioni e nessun uccello passa più sopra la centrale perché andrebbe bruciato. Inoltre mentre la centrale normale occupa un chilometro quadrato di terreno, la centrale eolica ne occupa quattrocento a parità di energia; per una centrale fotovoltaica, cioè solare, il rapporto è di 1 a 3.000.
Il referendum dell’88 ha causato le successive leggi fatte dal Parlamento e decreti del Governo che hanno chiuso il nucleare in Italia. A prescindere dalla grossa perdita economica subita (ricordo solamente che il nostro paese ha buttato via 10.000 miliardi di lire di centrali già fatte o in costruzione), rimane il fatto che viviamo in un mondo in cui esistono 450 centrali nucleari circa; molte centrali dei paesi dell’Est sono del tipo di quella di Cernobyl.
Quale futuro per noi? A parte la fusione, si sta parlando molto del nucleare di seconda generazione, automatizzato, in cui non serve l’azione dell’uomo, un nucleare che non avrebbe bisogno di un piano di emergenza nel caso di rotture di qualche elemento, ma questo tipo di centrale oggi non esiste.
Per quanto riguarda il rapporto tra energia e difesa ambientale, esso è scoppiato con lo sviluppo dell’industria. Negli anni ‘50 in Italia avevamo centrali idro-elettriche, centrali pulite, senza problemi, in cui praticamente il consumo era molto basso. Non esisteva un problema ambientale, salvo problemi di solidità del terreno e costruzione di dighe, ma non inquinamento dell’atmosfera. Poi i consumi sono aumentati, con la conseguenza che oggi abbiamo in Italia circa 55 centrali termiche di fronte alle 0 del 1950, e l’atmosfera si è rovinata.
Il problema dell’inquinamento riguarda evidentemente anche gli altri paesi europei, da qui le recenti norme europee molto severe.
Da parte nostra abbiamo recepito immediatamente queste normative e abbiamo deciso di attrezzare le nostre centrali in modo tale da poter pulire quasi completamente l’atmosfera.
Per costituire questo tipo di impianti nelle nostre centrali noi spenderemo da qui al ‘95 10.000 miliardi di lire e 20.000 miliardi da qui al 2000, che saranno destinati al miglioramento ambientale delle nostre centrali.