Il Cristianesimo e la formazione della civiltà occidentale

Presentazione del libro di Christopher Dawson

Giovedì 28, ore 15.00

Relatore:

Luigi Negri, Docente di Antropologia Teologica presso l’Università Cattolica Sacro Cuore di Milano

Il libro parte notando una novità. Dawson descrive la situazione di disgregazione del crollo dell’impero romano; era finita una società, una cultura, in modo tremendo, non con una deflagrazione atomica ma attraverso una lenta ed inesorabile distruzione di punti di riferimento, di criteri di giudizio, di possibilità di convivenza. I barbari erano dilagati ed avevano distrutto la più grande società, la più grande cultura costruita dal genio dell’uomo: la società greco-romana. Dawson invece nota dentro questa disgregazione un fatto nuovo: il Cristianesimo, un popolo caratterizzato da una positività che veniva prima dei motivi di disgregazione. I greci e i barbari non avevano in comune niente, ma avevano in comune – senza esserne coscienti – una cosa che veniva prima delle loro divisioni: appartenevano a Cristo. E solo da qui poteva ripartire il nuovo popolo.

Il Cristianesimo è apparso l’unica possibilità per poter vivere umanamente in quelle circostanze. La Chiesa è stata la testimonianza, che la fede è sufficiente per la vita; non ci sono precondizioni alla fede, basta la fede. E quando c’è la fede, allora l’uomo investe le circostanze della vita con una certezza e una speranza che non elimina le difficoltà, ma le assume dentro un processo profondo di cambiamento.

Il secondo messaggio di Dawson è che la fede diventa opera. La fede è diventata opera nella fede delle comunità cristiane, nella testimonianza di vita di ogni singolo cristiano.

La comunità è fatta di persone, e c’è un riferimento continuo comunità-persona: la comunità entra nel mondo quando i benedettini hanno creato i primi monasteri, ed è san Benedetto che ha creato i monasteri. Il benedettismo vive autenticamente, è per questo che diventa subito ideale della Chiesa, per questo i benedettini diventano il movimento che tira tutta la Chiesa. Se la fede c’è cambia la vita e la cambia non secondo un progetto, la cambia secondo un lento processo di assimilazione in cui tutti i dati vengono salvaguardati e valorizzati. È esattamente l’opposto dell’ideologia della rivoluzione. L’ideologia è l’affermazione di un punto di vista che per affermarsi elimina tutti gli avversari. Il processo di assimilazione è libero; i cristiani volevano la fede e Dio gli ha dato anche la grandezza della società. Non avevano un progetto sulla società, avevano l’unico progetto di testimoniare Cristo nel mondo.

Questi sono i due capisaldi dell’insegnamento di Dawson: un popolo nuovo nel mondo caratterizzato da una esperienza di appartenenza non naturale, ma per fede; questo popolo nuovo si misura con le circostanze, misurandosi con le circostanze e i problemi più concreti crea cultura e società, crea un modo nuovo di essere, crea un modo nuovo di concepire la natura, crea un modo nuovo di creare il passato. Non distrugge il passato come i barbari moderni che hanno distrutto le epoche recenti; gli illuministi, per esempio, hanno distrutto tutto e quando hanno preso il potere, come in Francia nel 1790, hanno distrutto fisicamente il 70% della grande produzione artistica della Francia.

Nel progetto tratteggiato da Dawson, viene valorizzato il soggetto, l’uomo, la persona. Questo è il terzo punto: il protagonista della storia cristiana è la comunità, cioè la persona che gioca nella vita tutta la forza delle sue convinzioni, tutta la passione della sua intelligenza e tutta la passione del suo cuore, tutti i limiti della sua vita. Non c’è nessun momento della storia senza difetti senza errori, la persona crea perché vive e vivere la vita è un’avventura, perciò è una società che si costruisce dal basso lentamente e porta in ogni livello della sua costruzione il sigillo della libertà. L’età medioevale è l’età che ha più significativamente vissuto la libertà come fattore costruttivo, la libertà nella sua grandezza, nella sua povertà, nella sua capacità di rischio e nel suo limite.

A questi tre fattori è dedicata la prima metà del volume di Dawson. La seconda metà è dedicata invece all’individuazione delle dimensioni di questa costruzione. Si è costruita una civiltà, un modo di vita, e perciò un modo nuovo di rapporti che modifica anche le istituzioni. La città medioevale è per esempio l’espressione di una concezione dell’uomo. Essa si sviluppa attorno alla cattedrale, attorno al mercato luogo degli scambi, in una struttura architettonica ed urbanistica che ribadisce la centralità del fatto religioso: Cristo e la Chiesa. Tre sono le dimensioni che Dawson individua come fondamentali in questa costruzione che ha cambiato la faccia del mondo e ha creato l’Europa.

La prima dimensione è la missione. I cristiani sono andati in giro, non si sono spaventati: basti pensare a sant’Agostino di Canterbury, a san Colombano che evangelizza l’Irlanda, a san Bonifacio. I cristiani hanno costruito perché sono andati in missione.

Ma questa missione, ed è la seconda dimensione, ha dentro una chiarezza ideale, una capacità di giudizio formidabile. Nel momento più alto della società medioevale è nata infatti l’università. L’università nasce perché la società medioevale coglie l’unus versus, il verso unitario della realtà, e alla luce di questo senso profondo del tutto vuole conoscere tutto. L’università medioevale è la più straordinaria impresa di conoscenza della realtà storica, umana, artistica, sociale, naturale, fisica che esista, perché il principio ispiratore è semplicissimo: se Cristo è la verità, spiega tutto. Ma non nasce astrattamente, nasce perché insegnanti e studenti mettono insieme la loro certezza. Gli uni di possedere il verso unitario della realtà, gli altri il desiderio di impararlo. Perciò l’università è l’impresa di singoli. Non nasce perché c’è il ministero dell’università che stabilisce che in tutte le province italiane si facciano le università; nasce invece dalla passione, dall’amore a Cristo e alla Chiesa di singoli, di gruppi. Cosa sarebbe la missione senza cultura? Sarebbe propaganda. Ma la cultura senza carità sarebbe ideologia. Perciò, occorre mettere vicino all’università un altro luogo che esprime la società medievale – ed è la terza dimensione –: l’ospedale. L’ospedale per le malattie più brutte: i primi ospedali sono nati infatti dalle comunità cristiane per le malattie che il mondo antico non voleva neanche sentire nominare, la lebbra, la peste. E il Medioevo cristiano capì che non c’era nessuna situazione che non potesse essere assunta nella fede e non potesse essere vissuta nella carità. Il malato non è più un maledetto, come anche nell’Antico Testamento; il malato è uno che si può baciare sulla guancia, come San Francesco bacia i lebbrosi. È comunque uno che devi accogliere nella comunità, a cui devi far spazio nella comunità, perché segnato come è da questa misteriosa prova, possa fare anche egli l’esperienza che questo è per la gloria di Dio.

L’impeto della missione, la chiarezza della cultura (università), la forza della carità, soprattutto verso i più miserabili (ospedale): ogni esperienza di comunità è sintetizzata da queste tre dimensioni.

La quarta dimensione è l’amore alla libertà. La società medioevale non è la brutta copia della Chiesa, e non è la Chiesa. Hanno fatto credere che durante il Medioevo nella Chiesa il Papa accentrava tutto su di sé (teocrazia), e per reazione la società moderna fa nascere uno Stato che pretende di considerare la Chiesa semplicemente come una parte; la Rivoluzione francese dirà che lo Stato deve occuparsi della Chiesa. I protestanti diranno che uno deve avere la religione del suo principe: la società invece nel Medioevo è il frutto della Chiesa vissuta. L’impero non è la brutta copia della Chiesa, l’impero è la messa in chiaro delle condizioni perché esista una società. Per questo l’imperatore è un’autorità morale, più che politica. E sotto questa unica forma dell’impero, il Medioevo dal punto di vista moderno è un mistero. È compreso in questo periodo il comune italiano, una forma particolarissima di convivenza e di socialità, lo Stato francese, il regno di Spagna, la lega anseatica che comincia come cooperativa di carattere economico e diventa di fatto una struttura di potere, la serenissima repubblica di Venezia che comincia come impresa commerciale e crea una situazione politica che dura fino al 1797: si tratta di una pluralità di forme nate da una pluralità di vita. Il vero grande principio di legittimità per la cultura medioevale è che il governo serva il bene del popolo. Dopo che si è instaurato un governo, l’unico criterio per stabilire se è vero, è che faccia il bene del popolo.

Nell’intreccio delle grandi dimensioni di missione, cultura e carità, con questo afflato di libertà, si costruisce la civiltà medioevale: è una costruzione che non si può assicurare meccanicamente, che non dura perché c’è, dura se si rinnova. Per questo, nelle ultime pagine del libro, Dawson aggredisce il concetto di riforma. Il Medioevo è andato in crisi, perciò sono stati necessari dei movimenti nella Chiesa che hanno costretto tutto il corpo della cristianità a recuperare le radici di fondo. Le ultime pagine sono per descrivere un ritratto che non viene mai formulato con chiarezza, ma è come il grande interlocutore delle ultime pagine: san Francesco d’Assisi. Bisogna ritornare alle origini: perché una cosa possa progredire non deve fossilizzarsi, deve recuperare le sue origini e accusare i suoi limiti, e uscire dalla situazione di fatica o di stasi in cui è messa. La Chiesa costruisce se si rinnova continuamente, se si riforma continuamente. I movimenti, lungo tutto il Medioevo, movimenti allora prevalentemente ecclesiastici, dal benedettinismo iniziale alla riforma cluniacense, hanno rinnovato la Chiesa.

Se dovessimo infine esprimere in sintesi il contenuto di questo libro, dovremmo dire che il protagonista è la fede nella sua creatività storica.