La presenza politica dei cattolici in Italia: 40 anni di storia

Giovedì 26, ore 11

Relatore:

Giulio Andreotti

Moderatore:

Giancarlo Cesana

Cesana: E’ stato scritto che abbiamo invitato il senatore Andreotti per amicizia: questo è vero, perché esiste una reale affezione nei suoi confronti, ma, come abbiamo detto anche in questi giorni, l’amicizia per noi non è semplicemente un sentimento, ma è fondata sul riconoscimento di una storia. L’amicizia con Andreotti è la gratitudine per la personalità più forte di aiuto all’Italia in questi cinquant’anni, contro i suoi avversari e contro l’impopolarità. Chi non considera la storia, chi non pone attenzione alla storia è condannato a ripeterla: si parla tanto di rivoluzione italiana, ma spesso le rivoluzioni nella storia hanno peggiorato la situazione.

Preghiamo Dio che non succeda così anche in Italia.

Il nostro è innanzittutto un contributo positivo, per cui dò la parola al senatore Andreotti, per tenere viva questa memoria storica e questa amicizia di cui ancora lo ringraziamo.

Giulio Andreotti è nato a Roma nel 1919. A 23 anni diventa presidente nazionale degli Universitari di Azione Cattolica. Agli inizi del ‘40 inizia il suo impegno nella Democrazia Cristiana. Stretto collaboratore di De Gasperi all’epoca della Costituente, ha calcato da protagonista la scena politica italiana fino ad oggi. Titolare di vari ministeri, è stato più volte Presidente del Consiglio. Sul piano internazionale si è fatto promotore di delicate e importanti iniziative diplomatiche per costruire un dialogo ed una collaborazione fra i popoli e gli Stati. Al suo attivo anche numerosi libri di successo. Il 2 giugno 1991 il Presidente della Repubblica Cossiga lo ha nominato senatore a vita

Andreotti: Sono grato alla provvidenza di Dio e a voi amici di aver potuto nella mia matura età partecipare ancora una volta al Meeting.

Non sono uno storico e ho vissuto in questo periodo del dopoguerra troppo addentro la vita pubblica per poter fare una analisi asettica della situazione. Né credo che in una sede che non è direttamente politica, sarebbe utile un risfogliare a una a una le pagine di questo difficile e tormentato periodo.

E’ utile domandarsi come, in questi 40 anni i cattolici che hanno assunto responsabilità di servizio politico abbiano corrisposto a quello che è un nostro preciso dovere; e ancora di più è utile analizzare qual è il dovere di una presenza cattolica come tale. Possiamo ricavarlo non solo dal Vangelo _ Dio mi guardi da non avere tutto il rispetto per il Vangelo _ ma anche dalla riflessione compiuta dalla Chiesa attraverso il Concilio e documenti successivi e, in modo particolare, attraverso il nuovo Catechismo. Ho visto con molto piacere che è un best seller nella editoria di questo anno: però non vorrei che capitasse quello che è capitato al Capitale di Marx, che tutti dovevano avere nella loro biblioteca, ma molti confessarono di non averne letto nemmeno la prima pagina.

Bisogna partire da un dato inequivocabile: l’Italia è cresciuta, nessuno può equiparare l’Italia degli inizi, quando c’era la necessità di imporre, per alcuni giorni al mese, la mano d’opera contadina per evitare una miseria totale, all’Italia che è entrata nel vertice dei sette paesi industrializzati. Partiti da una posizione internazionale in cui tutti gli stati erano non solo diffidenti, ma anche, in grandissima parte, contrari all’Italia, abbiamo raggiunto una posizione di stima, di prestigio, scegliendo la giusta alleanza, ma mantenendo nel contempo rapporti corretti con l’altro gruppo che si contrapponeva a questa alleanza e con i paesi non allineati. Ma c’è di più. Io credo che sia pieno di significato il fatto che in questo Meeting Israeliani, Palestinesi, Giordani, che sono qui a parlare, a discutere, a scambiarsi idee, sanno di essere in una nazione che li ha capiti e che li ha sempre spinti verso il dialogo e mai verso la rottura.

Non vogliamo sopravvalutarci, ma se qualche cosa di nuovo c’è stato in Oriente, lo si deve, sia pure in una piccola parte, anche alla politica estera della Repubblica Italiana.

Ma è pur vero che tutti i dati positivi danno un riscontro di angoscia per quello che non si è ancora riusciti a fare. Quando vediamo che in questi 40 anni la mortalità infantile è diminuita dal 67 all’8 per mille, quando vediamo che le famiglie, prima una minoranza, che abitano in casa propria sono ora tre su quattro, vuol dire che qualcosa cammina nella giusta direzione.

D’altro canto in una fase di recessione, di difficoltà come questa, c’è chi ha il peso dell’indebitamento che si è assunto per poter andare in una casa propria e allora quella che era una benedizione viene ad essere un motivo di angoscia, se non un motivo di disperazione.

Sappiamo che tutto questo progresso ha avuto due grandi riscontri negativi: la maggiore possibilità di reddito ha creato anche un enorme aumento del consumo di droga e della criminalità. In un momento di incertezza, di preoccupazione fondata quale il nostro non basta prendere misure di pronto soccorso, che pure sono necessarie, ma piuttosto occorre ritornare alle origini, riproporre un secondo schema Vanoni, ovvero ridare un indirizzo e dei punti di riferimenti alla nostra società, che è cambiata da una società prevalentemente proletaria ad una società prevalentemente di ceti medi, e come tali più critici.

C’è un altro aspetto di questo ritorno alle origini: deve essere un ritorno a momenti nei quali ognuno di noi aveva una ricchezza interiore maggiore, che dobbiamo all’Azione Cattolica, alla formazione religiosa che per dono di Dio ci è stata data.

Vi è una necessità enorme di cambiamento, si parla molto di transizione, anche se una transizione un po’ sui generis della quale si conosce la sponda di partenza ma non si conosce la sponda di arrivo. E’ però falso ed ingeneroso un giudizio negativo generalizzato su quella Democrazia Cristiana che nei momenti più ardui (tra il 1948 e il 1976) ha guidato il popolo italiano sulla via giusta, evitando avventure e disastri: è stato il fulcro della Democrazia Cristiana a salvare il nostro paese!

Lo sforzo che dobbiamo fare per accedere a questa novità, all’acqua salutare dei principi cristiani non deve spaventare nessuno. Certo, nel mondo in cui viviamo accanto al sacrosanto valore laico c’è un eccesso di laicismo. Parlando a Rimini, potremmo forse rifarci anche al fatto che siamo in una zona di confine del vecchio Stato pontificio, dove, confondendosi sacro e profano, certamente era facile, anche per tutti i filoni di storia risorgimentale, confondere la necessaria tutela e salvaguardia di un minimo di potere temporale, con una posizione politica. Il povero Pio IX, elogiato agli inizi del suo pontificato come colui che aveva capito tutto, elogiato nel momento in cui fece partire le truppe pontificie per andare contro l’Austria, fu poi costretto a fermarle a Vicenza per le difficoltà pratiche. La questione romana è stata risolta nel 1929 _ a ciascuno il suo _ quando si era stemperata una parte di incomunicabilità del mondo laicista con il mondo cattolico. Ma proprio agli inizi del secolo, questi cattolici si dimostrarono necessari per evitare che forze eversive prendessero il sopravvento. In un articolo di Albertini del 1904, apparso sul Corriere della Sera alla vigilia delle elezioni comunali di Milano, si dice: "I voti dei cattolici sono accettabili, sono accettati" _ erano indispensabili _, e contemporaneamente: "Guai se qualcuno interpretasse questo come il superamento di una questione che non rende il cattolico libero", perché il cattolico era visto come l’ossequiente, sul piano terreno, anche alle esigenze del papato. Alla vigilia di Porta Pia, si era creata una discussione sulla infallibità pontificia, presentando questa infallibilità come la consacrazione definitiva dello stato pontificio. Un deputato repubblicano nel Parlamento di Firenze presentò un ordine del giorno meravigliosamente sintetico: "La Camera, nulla curandosi dell’infallibilità pontificia, passa all’ordine del giorno". Sono sintomi di un qualche cosa che però è rimasto.

La questione romana ha avuto anche una doppia riconferma nel suo superamento, prima nella Carta Costituzionale, dove i Patti Lateranensi furono consacrati come punto essenziale del rapporto Stato e Chiesa, e poi nella revisione del Concordato che è stata fatta successivamente.

Perché dura allora questa incomunicabilità? Perché dura questa diffidenza? Questa mattina ho letto nell’articolo di fondo de La Stampa di Torino un invito al Presidente della Repubblica a non venire al Meeting, perché romperebbe quell’equilibrio che è riuscito ad instaurare con i laici. Invece: se Mubarack va regolarmente il venerdì nella moschea i copti non trovano nulla da ridire e rispettano questa posizione. Dobbiamo dire, con molta umiltà, che occorre un aggiornamento anche nel laicismo, e vogliamo contribuire a questo ragionamento rinnovatore del loro duro modo di guardarci, dicendo a quale fonte noi vogliamo appunto abbeverarci: i principi della dottrina sociale cristiana. Non dobbiamo rifare le storie lontane, dobbiamo andare a quella che è la nostra esperienza.

Si è sentito spesso parlare di un potere egemonico della Democrazia Cristiana: questo non è giusto. Non solo noi abbiamo _ fin dalla prima legislatura, quando eravamo maggioranza assoluta _ ricercato la collaborazione (e De Gasperi la teorizzò in un modo assai preciso), ma abbiamo anche dimostrato che sentiamo tutte le occasioni e cerchiamo di utilizzarle per trovare questi collegamenti, per farci conoscere meglio. Dobbiamo anche riconoscere che ci sono stati dei momenti nei quali noi abbiamo sofferto, constatando che i cattolici militanti _ non chi va in Chiesa ma chi aderisce alla dottrina sociale della Chiesa _ sono una minoranza. Lo abbiamo visto nei due referendum, sull’aborto e sul divorzio, nei quali la percentuale popolare a favore è stata più alta di quella parlamentare. Dobbiamo cercare di dimostrare la nostra identità di cattolici su alcuni temi essenziali che sono sul tappeto; ad esempio il concetto di libertà della scuola. Aldo Moro ebbe la crisi di un suo governo per due soldi dati con una legge ad un asilo; qualche anno fa Claudio Martelli proprio qui _ e faceste benissimo a invitarlo e applaudirlo _ disse che era giusto, in fondo, fare qualche cosa per la parità della scuola. Ma purtroppo, quando si va dalle coste marittime alla complessità della capitale, le idee vengono abbastanza raffreddate, e non si riescono mai a portare avanti dei principi.

Non meno grave è il campo della bioetica, dove oggi assistiamo al tentativo subdolo e silenzioso di corrompere la società umana, con tutto quello che riguarda l’eutanasia, l’inseminazione artificiale, la ricerca di un gene perfetto per creare l’uomo, proprio come già dicevano Rosemberg e Hitler. A capo della commissione statale che studia questi problemi c’è una persona di grande rispettabilità, sia cristiana che scientifica, Adriano Ossicini: ne siamo soddisfatti, ma vediamo quanto è duro il lavoro per evitare che queste licenze delle bioetica e queste dissacrazioni della persona umana possano fare strada.

Un terzo tema, nel quale non abbiamo saputo sufficientemente puntare i piedi e farne un punto dominante dei nostri accordi, è la disciplina della famiglia, nel campo legislativo e sociale. La Costituzione della Repubblica non ebbe paura _ pur essendo in quel momento difficile dire bene di ciò che aveva caratterizzato la politica demografica del fascismo _ a fissare in un articolo l’obbligo per lo Stato di andare incontro alle famiglie numerose. Noi vediamo invece che gli indici di natalità sono i più bassi a livello mondiale e dobbiamo allora riprendere alcune bandiere. Certamente non è coerente con una politica familiare un sistema in cui gli assegni familiari non corrispondono agli sforzi almeno di un mantenimento della popolazione.

Non siamo pessimisti: dobbiamo riuscire, credendo e vivendo più profondamente questi valori e queste concezioni, a trovare dei punti di incontro con quelli che definirò "gli altri" senza superbia, senza alcuna discriminazione. Su alcuni temi, questo è stato facile: sul piano europeo uomini di fede diversa, Monet, Adenauer, De Gasperi, Schuman, si trovarono a darsi le basi di questa Europa. Ho visto con piacere che Köhl è venuto insieme a Martinazzoli alla inaugurazione di questo Meeting. Vorrei ricordare anche quando per due volte e con grande entusiasmo, venne Genscher, a dare a voi questo suo senso di fiducia nell’Europa che si deve costruire.

Le difficoltà sono certamente tante. Occorre obbligare chi sta bene a prendere tempestivamente coscienza che da soli non si può resistere.

Il trattato di Maastricht in altri Paesi ha provocato grandi dibattiti, da noi è passato con grandissima maggioranza in Senato ed alla Camera dei Deputati. Questo è bene, ma occorre vivere questo senso della unione europea. Non è una delle scelte possibili, è la scelta che noi dobbiamo fare. Alcuni uomini di scienza tra cui Modigliani, che rispetto per altro verso, da una Università americana hanno di recente detto: "Ma lasciate perdere la Germania, lasciatela andare lungo la sua strada". Ma che cos’è l’Europa? L’Europa non solo è un grande fatto positivo per dare al nostro continente, senza alcuna autarchia, la possibilità di resistere dinnanzi alle grandi aggregazioni del mondo, ma è anche un fatto di profilassi dal rischio di avere delle nuove avventure autoritarie. Se si fermasse questo movimento noi non solo torneremo in una situazione pericolosa, ma molto peggiore di prima. Questo movimento che ha creato, per esempio, l’atto unico del Lussemburgo, la libera circolazione dei capitali, e dovrebbe ora sboccare secondo gli accordi di Maastricht verso una moneta unica che faccia smettere il terremoto monetario di questi periodi. Se questo momento si arrestasse, un paese che è indebitato come il nostro, sarebbe portato sicuramente ad una crisi, ad una caduta.

Non abbiate mai paura a rinverdire _ voi non avete bisogno di incoraggiamenti da questo lato _ la coerente adesione al messaggio cristiano, non abbiate paura di essere chiamati confessionali, in senso quasi dispregiativo.

Nietzsche, un autore al di fuori di qualunque sospetto, nel suo libro Al di del bene e del male scrisse: "L’intelligenza degli uomini dei tempi moderni è tanto ottusa da non capire più il senso del linguaggio cristiano". In un suo libro don Luigi Giussani spiega che un tempo per arrivare alla base della parete il rocciatore doveva faticare ore e ore, a volte dei giorni; oggi, invece, con le teleferiche e altri mezzi meccanici, si può andare direttamente, senza alcuno sforzo. Ma questo per molti significa non essere pronti a poter affrontare la montagna.

La nostra civiltà rispetto a civiltà del passato, nelle quali il gradualismo di approccio ai valori cristiani era più sentito, pretende di poter rispondere un suo sì o un suo no senza avere l’adeguata preparazione resa troppo difficile dai mezzi di informazione. Il mondo si avvia, in modo particolare per mezzo della televisione, a fare affidamento più sulla emotività che sulla persuasione. Quando ho visto, nelle ultime elezioni americane, un signore piuttosto ignoto ma pieno di soldi, Ross mobilitare in poche settimane 20 milioni di voti, la metà dei voti del presidente eletto, mi sono chiesto quale ridiscussione dobbiamo fare in tutto il nostro modo di agire nella politica, e fuori, nella evangelizzazione. La formazione del popolo viene ad essere una formazione non oggettiva e, anzi ostilmente pregiudiziale.

Vorrei ora porre un problema centrale: come si pone la Chiesa verso la politica? "La Chiesa, dice il nuovo Catechismo, a motivo della sua missione, non si confonde in alcun modo con la comunità politica". "Non spetta ai pastori della Chiesa intervenire direttamente nell’azione politica e nell’organizzazione della vita sociale. Questo compito fa parte della vocazione dei fedeli laici, i quali operano di popria iniziativa insieme con i loro concittadini". Se la Chiesa ci chiede di servirla _ non di servirsene _ non è per ottenere dei privilegi, ma soltanto la libertà di evangelizzazione. I laicisti non possono discutere con noi in base al Sillabo, devono aggiornarsi. C’è una notevole differenza tra il concetto di libertà di quel periodo e il concetto espresso da Giovanni Paolo II nell’udienza all’Unione interparlamentare, quando ha detto che la libertà religiosa non è che una faccia di un prisma unico di libertà. Senza libertà religiosa, ha detto, non c’è libertà, ma senza libertà in generale non c’è libertà religiosa. Mi ha colpito un passo della Mater et Magistra, che invita gli uomini ad associarsi, a non vivere isolatamente. Nelle categorie di associazione consigliate quella politica è messa al 7° posto, dopo le associazioni a scopo economico, culturale, sociale, sportivo, ricreativo e professionale. Non è un modo di sottovalutare la politica, ma un approccio con cui la Chiesa lascia a noi laici la scelta del regime politico.

Il regime politico e la designazione dei governanti sono libera decisione dei cittadini. Ci sono diversità di regimi politici che sono considerate legittime, purché non siano contrarie alla legge naturale, all’ordine pubblico e ai fondamentali diritti delle persone.

Un sacerdote croato qualche giorno fa riferendosi alla D.C. ha detto, un po’ paradossalmente: "E’ vero che siete alla ricerca di un nome nuovo?" "Ma perché non avete il coraggio di saltare il fosso e riconoscere in concreto che non c’è nessuna autorità se non viene da Dio, chiamandovi Teocrazia Cristiana?". Ho risposto che questo creerebbe molti problemi: però il concetto che l’autorità non trae da se stessa la propria legittimazione morale è fondamentale. Lo stesso S. Tommaso diceva che la legislazione umana non riveste il carattere di legge se non nella misura in cui si conforma alla retta ragione. L’autorità è legittima soltanto se cerca il bene comune del gruppo, e se per conseguirlo usa mezzi moralmente leciti. Se accade che i governanti emanino leggi ingiuste o prendano misure contrarie all’ordine morale, tali disposizioni non sono obbliganti per le coscienze. In tale caso come dice la Pacem in terris l’autorità cessa di essere tale e degenera in sopruso.

E’ preferibile anche, per evitare questo accentramento di potere, che ogni potere sia bilanciato da altri poteri e da altre sfere di competenza che lo mantengano nel giusto limite. Nella Centesimus annus c’è la teorizzazione del bene comune, punto di riferimento che è caratteristico di tutta la nostra storia di cattolici e di cristiani. Il bene comune esige la prudenza da parte di tutti, ma specialmente di chi esercita l’ufficio dell’autorità.

Esso comporta tre elementi essenziali: il rispetto della persona, il benessere sociale e lo sviluppo del gruppo, e implica un culto rigoroso della pace. La Centesimus annus è di una modernità straordinaria, sul cammino dell’abbattimento progressivo dei confini. La terra sta diventando un pianeta, e tutti dobbiamo sentire che non ci può essere benessere in una parte di essa se dall’altra parte vi è una disparità eccessiva. Sempre in questo testo è proclamata la responsabilità dei cittadini che, per quanto possibile, devono prendere parte attiva alla vita pubblica, vi è anche l’enunciazione del senso dell’obbedienza all’autorità. Vanno condannati con fermezza la frode e altri sotterfugi mediante i quali alcuni si sottraggono all’imposizione della legge e dalle prescrizioni del dovere sociale. Si fanno tre esempi di esigenza morale: pagare regolarmente le imposte (questo è controcorrente e presuppone che lo Stato sia un po’ meno fiscale), esercitare il voto e difendere il Paese.

Quando cessa l’obbligo di obbedienza? Il nuovo Catechismo parla del diritto al rifiuto di obbedienza fino al mezzo estremo di difesa con le armi contro l’oppressore, fissando una serie di condizioni: in caso di violazione certa, grave e prolungata dei diritti fondamentali, dopo che siano state tentate tutte le altre vie, senza che si provochino disordini peggiori, qualora vi sia una fondata speranza di successo (questo non è utilitarismo: non dimentichiamo che il Vangelo parla di un re che, avendo 10.000 soldati, se vede venire incontro un altro che ne ha 20.000, deve cercare in qualche maniera di scendere a patti), se, infine, è impossibile intravedere ragionevolmente soluzioni migliori. E’ questa una identificazione quasi completa fra la difesa dalla sopraffazione interna e la difesa dalla sopraffazione esterna, cioè il diritto alla difesa della Patria.

La Chiesa non si identifica con un sistema politico, ma non è estranea da un giudizio sulle autorità; è proprio della missione della Chiesa dare il suo giudizio morale anche su cose che riguardano l’ordine politico, se ciò viene richiesto dai diritti fondamentali della persona e dalla salvezza delle anime. Il Catechismo dice che "il dovere di obbedienza impone a tutti di tributare all’autorità gli onori che ad essa sono dovuti e di circondare di rispetto e, secondo il loro merito, di gratitudine e benevolenza le persone che ne esercitano l’ufficio" (un tempo, la Segreteria di Stato finiva le sue lettere con una frase molto bella: "con tutto il rispetto che la Signoria Vostra merita..." così si lasciava in sospeso se il rispetto meritato era poco o tanto).

C’è una preghiera per le autorità molto bella, riportata nel Catechismo di Papa S. Clemente, che ricorda ad ogni riga che l’autorità viene da Dio.

Per quanto riguarda la politica della difesa, non dimentichiamo che in questi anni vi sono stati delle fasi di non facile comprensibilità, anche con una parte del mondo cattolico, per il Patto Atlantico, per i missili di Comiso. La teorizzazione che il Catechismo fa della politica di difesa ci dà la conferma che abbiamo agito nel senso giusto. Si spiega infatti che la guerra è un omicidio collettivo, una schiavitù (tutti ricordiamo la preghiera perché Iddio ci scampi dalla peste, dalla fame e dalla guerra); ma fintanto che esisterà il pericolo della guerra e non ci sarà una autorità internazionale competente, munita di forte efficacia _ magari dando all’ONU una autorità effettiva, giusta e una tempestiva possibilità di intervento _, una volta esaurite tutte le possibilità di un pacifico accomodamento, non si potrà negare ai governi il diritto ad una legittima difesa. E se si deve ricorrere ai sistemi estremi, l’autorità ha il diritto ed il dovere di imporre ai cittadini gli obblighi necessari alla difesa nazionale; c’è anche un elogio di chi serve la patria in armi, di coloro che nella vita militare sono servitori della sicurezza e della libertà dei popoli. Contemporaneamente l’autorità provvederà equamente, a coloro che per motivi di coscienza, ricusano le armi: essi sono non di meno tenuti a prestare qualche altra forma di servizio alla comunità umana. Questo tema sembra essere nel dimenticatoio: alla fine della passata legislatura trascorremmo giorni di discussioni bizantine per sapere se una Camera nella fase elettorale poteva o no approvare una legge. E’ passato più di un anno e nessuno ha riaperto la discussione.

Il Catechismo, in questo capitolo, enuncia anche una serie di regole morali, dicendo giustamente che per essere in guerra non è lecito qualunque atto ostile verso l’avversario: le azioni contrarie al diritto delle genti sono dei crimini. Non basta una obbedienza cieca a giustificare lo sterminio di un popolo, di una nazione o di una minoranza etnica: questi sono peccati mortali. Si è moralmente in obbligo di fare resistenza agli ordini che comandino un genocidio; c’è anche _ questo è molto importante _ la condanna degli atti di guerra che mirano indiscriminatamente alla distruzione di intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti. Un rischio della guerra moderna, si aggiunge infine, è quello di offrire l’occasione di commettere tali crimini a chi detiene armi scientifiche, in particolare atomiche, chimiche o biologiche.

Vorrei a questo proposito sottolineare che, in tema di disarmo, abbiamo sempre dato il nostro contributo con fermezza e linearità, non di rado non compresi.

La Chiesa ripudia l’antico principio: "Se vuoi la pace, prepara la guerra"; la corsa agli armamenti non assicura la pace. Severe riserve morali vanno fatte sull’accumulo degli armamenti come deterrente, anche perché impedisce di soccorrere le popolazioni indigenti, e ostacola lo sviluppo dei popoli. L’armarsi ad oltranza moltiplica le cause dei conflitti ed aumenta il rischio della loro propagazione; le autorità hanno il dovere di regolamentare produzione e commercio delle armi. Noi abbiamo fatto una legge, ma occorre anche una legge internazionale perché questo principio valga veramente.

Desidero richiamarvi altri due punti di quello che è stato da un lato il corso della nostra esperienza, dall’altro l’impulso a riguardare più profondamente le radici per l’esperienza futura di chi dovrà gestirla. Intendo riferirmi innanzitutto alle attività economiche. Oggi vi è una sorta di ubriacatura per l’economia di mercato. La legge economica è un dato che non può essere disatteso, quasi scientifico, ma la Chiesa, che è sempre stata ostile al collettivismo, non ha mai benedetto il capitalismo. La Chiesa ci induce a ricercare delle forme di contemperamento umano, dando all’economia di mercato una caratterizzazione sociale. Questo è un discorso ostico a molti, ma è l’unico discorso valido, perché si tratta di agire sul cuore, sugli interessi delle persone, delle famiglie: non si tratta di risolvere solo un problema astrattamente economico o finanziario o monetario. Ciascuno ha il diritto di iniziativa economica, ciascuno potrà usare legittimamente i propri talenti per concorrere ad una abbondanza di cui tutti possano godere, e per raccogliere dai propri sforzi i giusti frutti, si conformerà agli ordinamenti emanati dalle legittime autorità in vista del bene comune. E lo Stato deve garantire sicurezza del lavoro, per assicurarne i frutti e stimolarne l’impegno, ma le responsabilità primarie sono dei gruppi e delle associazioni, non dello Stato.

Questo accesso al lavoro, che deve esser fatto senza discriminazioni, quindi anche per gli immigrati, è un discorso difficile a farsi: dobbiamo stare attenti a non lasciarci prendere dal mal sottile dell’antistraniero e del razzismo di ogni tipo, sia come cristiani sia come italiani. Da cent’anni a questa parte, centinaia di migliaia di italiani sono andati come stranieri in condizioni di miseria assoluta a vivere in luoghi dove non potevano trovare risposta alle loro esigenze minime personali e famigliari; alle radici di grandi nomi che hanno sfondato, vi sono miserie, sofferenze, incomprensioni.

Lo spirito che alcuni ingiustamente cercano di introdurre anche nella nostra nazione è contrario alla nostra tradizione.

Quando invitammo il Vescovo di Recife, Mons. Helder Camara, a concludere un bellissimo convegno dei ministri della sanità di tutti i paesi del Sud America, per vedere che cosa si poteva fare per aiutarli, disse: "Non parlerò certamente di medicina, né di programmi, ma farò una preghiera": "Oh Dio, che non hai fatto un primo, un secondo o un terzo mondo, ma hai creato un mondo, fa che noi lo capiamo".

Questo è l’ultimo argomento: lo spirito di solidarietà internazionale. E’ un punto di grande delicatezza, anche per non confondere la Chiesa con il mondo ricco. Nella Sollicitudo rei socialis è detto che la disuguaglianza delle risorse dei mezzi economici è tale da provocare un vero fossato tra le nazioni. Da una parte vi sono coloro che possiedono ed incrementano i mezzi dello sviluppo, e dall’altra quelli che accumulano i debiti. Occorre bloccare i meccanismi perversi che ostacolano lo sviluppo dei paesi meno progrediti e attuare uno sforzo comune per mobilitare le risorse verso obiettivi di sviluppo morale, culturale ed economico, ponendo fine a sistemi finanziari abusivi, se non usurai, a relazioni commerciali inique tra le nazioni, alla corsa agli armamenti.

Le nazioni ricche hanno una grave responsabilità morale nei confronti di quelle che da se stesse non possono assicurarsi i mezzi del proprio sviluppo o ne sono state impedite in conseguenza di tragiche vicende storiche. Si tratta di un dovere di solidarietà e di carità, ma anche di un obbligo di giustizia se il benessere delle nazioni ricche proviene da risorse che non sono state equamente pagate. E’ il grande problema delle materie prime, e dell’iniquità del commercio internazionale. I programmi bilaterali di sviluppo sono utili e talvolta corrispondono ad un senso di generosità: aiuti in casi di epidemie, o di catastrofi, ma questo non basta. La Chiesa si richiama alla necessità di una riforma delle istituzioni economiche internazionali, perché possano promuovere i rapporti equi con i paesi meno sviluppati.

Le nazioni più ricche sono tenute anche nella misura del possibile, ad accogliere lo straniero che è alla ricerca della sicurezza e delle risorse necessarie alla vita che non gli è possibile trovare nel proprio paese di origine. Lo straniero a sua volta deve rispettare il patrimonio materiale e spirituale del paese ospitante, obbedire alle leggi, contribuire ai suoi oneri.

Un piano internazionale certamente verrà fatto, perché è nell’interesse di ogni nazione. A pochi chilometri da noi, l’Algeria, un paese popolatissimo, ha soltanto il 30% della popolazione superiore ai trent’anni. Se non ci sarà una risposta, non di una sola nazione, di un ordine nuovo a cui tutti noi dobbiamo veramente tendere, ci saranno trasmigrazioni di massa di milioni di persone che scuoteranno l’ordine che oggi qualcuno, cercando di chiudere le porte e di esser sordo a questi richiami, ritiene di difendere.

Voglio citare in conclusione un passo molto bello di Giussani (i cui discorsi non mi sembrano "teologici ed esoterici", come invece erano definiti nell’articolo de La Stampa già citato): "Ci si potrebbe domandare: visto che per risolvere bene i problemi occorre l’atteggiamento religioso richiamato dalla Chiesa e visto che tale atteggiamento religioso non sarà mai fino in fondo vissuto dalla nostra libertà, come si può fare? La concezione della vita umana che la Chiesa propone è quella di una tensione, come una vigilanza simile a quella di una sentinella che sugli spalti, bada al minimo rumore, o secondo l’immagine del pellegrino che cammina verso una meta. Ognuno, nella misura in cui ama la propria umanità e vive l’orizzonte di una coscienza cristiana, si deve continuamente sforzare _ e da ciò deriva la parola ascesi _ di attuare l’affronto dei problemi umani dal punto di vista di una religiosità autentica (...) Così l’uomo cristiano _ homo viator, l’uomo viandante secondo la stupenda espressione della cristianità medievale _ è consapevole del fatto che la vita è un cammino, è un andare verso il proprio traguardo e che la soluzione totale sta al fondo di tutti i problemi ed è opera di Dio, non più nostra. Noi siamo incapaci di fronte alla inestinguibile sete del nostro destino e del nostro traguardo, ed è solo la potenza di Dio che ci può completare. Ma la ricerca di una completezza sempre maggiore, la ricerca del meglio quanto si può, questo caratterizza in ogni istante la grandezza del cristiano, caratterizza in ogni istante l’invito che ci fa la Chiesa e con ciò la misura del nostro essere cristiano. E’ quindi un impegno senza limite e senza tregua"(1).

Credo che questo sia il modo di approccio nel rispolverare quello che ruggine e polvere possono avere in parte reso opaco in questi anni e che limita la nostra azione.

Lasciatemi concludere con un concetto molto suggestivo tratto dalla Gaudium et Spes. Ognuno di noi che ha avuto l’avventura di servire a lungo nella vita pubblica e allo stesso modo tutti i nuovi che in una ideale staffetta _ quindi nessuno deve avere paura delle ombre del passato _ sono e saranno chiamati ad impegnarsi nella comunità politica, si abbia sempre dinanzi un solo obiettivo, che tutti, ma in modo particolare voi giovani non potete non apprezzare: "trasmettere alle generazioni del domani ragioni di vita e di speranza".

Cesana: Ringraziamo il senatore Andreotti. Iniziando ha detto che non parlava come storico (ma per i libri che ha scritto, è molto più storico di tanti altri). E infatti noi non l’abbiamo invitato come storico, perché ci fidiamo molto di più di chi vive le cose rispetto a quelli che pretendono di pensarle senza viverle o che, peggio ancora, pretendono di descriverle senza viverle. Per questo lo ringraziamo di questa testimonianza, e anche del fatto che per descrivere la propria storia di 50 anni ha citato ampiamente il Catechismo della Chiesa Cattolica indicando chiaramente l’esperienza a cui lui si è ispirato.

Questa esperienza è anche la ragione della nostra amicizia con lui e di una tensione, come giustamente ha detto citando Giussani. Una tensione verso uno scopo, verso un obiettivo, verso un fondo delle cose di cui noi come uomini siamo incapaci. Il Senatore quello che ha citato del Catechismo della Chiesa Cattolica l’ha vissuto. Vorrei che ci fosse gente che lo vive un decimo di lui perché in questo modo si darebbe un esempio e una testimonianza.

 

 

NOTE

(1) L. Giussani, Perché la Chiesa, Tomo 2°, Jaca Book, Milano, pp. 58-59.