Gerusalemme d’oro, di rame, di luce
Venerdì 27, ore 15
Relatori:
Franco Cardini
Nicola Bux
Cardini: L’espressione che dà il nome alla mostra è un versetto di una canzone israeliana estremamente popolare, "Gerusalemme d’oro di rame e di luce", che a sua volta si ispira al celebre salmo "Se ti dimentichi di Gerusalemme resti attaccata la lingua al palato", che è il salmo dell’esilio di Babilonia. In fondo i figli delle tre religioni abramitiche si sentono sempre esuli quando sono un po’ lontani da Gerusalemme e d’altra parte è estremamente difficile essere veramente lontani da Gerusalemme. La liturgia cristiana cattolica trabocca di allusioni e di ricordi di Gerusalemme. Con questa mostra abbiamo inteso limitarci ad un assaggio della problematica di Gerusalemme: Gerusalemme come centro di un mondo, un centro che affratella le tre tradizioni e purtroppo è nell’ordine della natura che i fratelli si amino ed è nell’ordine della storia che i fratelli litighino.
Non bisogna lasciarsi troppo impressionare dalle vicissitudini mondane che riguardano Gerusalemme. Gerusalemme appartiene direttamente al Padre. Noi vorremmo che Gerusalemme fosse un pegno di fratellanza. Noi sappiamo che Gerusalemme non può essere questo perché lo è ad un livello metastorico e sappiamo che i disegni della metastoria e quelli della storia non coincidono mai.
Siccome a livello del Meeting non potevamo impostare nella sua completezza questo discorso anche in maniera molto rapsodica e inadeguata, abbiamo pensato di ripercorrere semplicemente le tappe di un problema particolare che ci riguarda come occidentali e come cristiani, come il mondo latino ha vissuto la compartecipazione di ebrei, di mussulmani e di cristiani orientali. Abbiamo voluto presentare nella mostra che Gerusalemme non nasce come città sacra. Fra l’eredità ebraica e Gerusalemme cristiana c’è di mezzo l’abbandono da parte degli ebrei, c’è di mezzo la grande profanazione di Adriano che ha distrutto Gerusalemme nel 135 e l’ha fondata come comunità ellenistica e romana e questa profanazione ha conciso con una risacralizzazione. Adriano ha sì profanato l’area del tempio, ma poi l’ha sacralizzata riproponendola come area del suo campidoglio. Successivamente l’imperatrice Elena ha ricreato i luoghi sacri e cristiani. Qui si colloca un grande problema archeologico: possono la storia e l’archeologia supplire alle distruzioni e ripercorrere a ritroso il cammino del sacro? D’altra parte la storia e l’archeologia non sarebbero scienze profane se non operassero quella profanazione che è la ricerca scientifica, la quale d’altra parte è essenziale per recuperare le stesse radici storiche del sacro. Se noi cristiani, ebrei e mussulmani appartenessimo a fedi e a religioni che possono fare a meno della storia, diremmo che la profanazione di un luogo santo è irreparabile. Per Gerusalemme però è diverso, perché attraverso la fede la storia irrompe nel sacro, anzi il sacro irrompe nella storia. Allora è possibile veramente costruire le linee del sacro, è possibile ricercare la roccia di Abramo su cui ha pregato il profeta Mohammed, è possible ricostruire il posto in cui è stato deposto il corpo di Gesù ed è possibile costruire il luogo autentico da cui Gesù ha spiccato il volo verso il Paradiso con le certezze della storia che non sono mai sicure e con gli occhi della fede che rivela i luoghi accertati dalla storia e vede in essi un’ombra delle certezze sacre. La storia non dà certezze, la fede supplisce al "difetto della fede sensoriale", come diceva S. Tommaso.
I cristiani hanno una avventura lunga con Gerusalemme, una avventura non sempre piacevole e non sempre gloriosa e forse chissà, alcune pagine di Gerusalemme sarebbe stato meglio non scriverle. Il cristiano vede in Gerusalemme la meta di un pellegrinaggio, ma ci vede anche il senso, un luogo sacro che solo alcuni previlegiati potrebbero attingere e allora cerca in un certo senso di spartire questo luogo sacro.
Non si può smembrare Gerusalemme e portarla in Occidente anche se qualcuno ci ha provato con qualche pezzo e si può però riprodurre Gerusalemme e trapiantarla così come si fa ordinariamente con le reliquie. L’Occidente cristiano è disseminato di riproduzioni di Gerusalemme, pensate semplicemente a Santo Stefano a Bologna. D’altra parte queste riproduzioni che si visitano non avrebbero valore se non fossero rapportate sempre a questo modello. Il modello si qualifica volta per volta quando i pellegrini che arrivano a Gerusalemme portano con sé la traccia di queste memorie lungamente ricordate in Occidente e quindi ha un senso andare a Gerusalemme nella misura in cui Gerusalemme si è ricercata in Occidente.
Gerusalemme è il risultato di una grande cerca. Una studiosa tedesca ha sostenuto che il mito del Graal non è altro che il risultato della trasposizione in termini mitici della grande ricerca di Gerusalemme a cui l’occidente latino-germanico anela almeno da un millennio. E’ una ipotesi che per certi versi è convincente, è una ipotesi che personalmente mi convince abbastanza, una ipotesi che restituisce la sua reale posizione anche all’avventura crociata, non guerra santa, come molti dicono, non guerra di religione come qualcuno immagina e regna nelle scuole, ma pellegrinaggio armato perché le circostanze del tempo non potevano permettere di fare altrimenti.
Noi abbiamo voluto rendere questa specie di testimonianza a Gerusalemme, una grande città, una città che ha i suoi problemi e le sue tragedie, ma non una città come le altre, una città che può e si deve conoscere ma nello stesso tempo una città che non si può conoscere se non si conosce il piano superiore. Io credo che la grande intuizione di Maometto che un mussulmano non sarebbe un vero musulmano se non conoscesse il luogo santo della Mecca, è una indicazione che in senso analogico dovrebbe essere seguita dai cristiani. Il pellegrinaggio è una realtà di cui l’Occidente ha bisogno. L’Occidente ha perso il senso del sacro quando ha perduto il senso della possibilità di camminare nella storia e nel mondo verso le realtà sacrali che sono a nostra disposizione perché esistono concretamente. Allora siamo caduti in trappola come vittime di Kant, di Hegel, di chi ci ha detto che lo spirito è qualcosa di assolutamente disincarnato rispetto alla carne. Non è così, non era così! Il peccato dell’Occidente è forse questo, rimediare a questo peccato non vuol dire rinnegare l’Occidente, ma vuol dire riportare un piccolo contributo alla risacralizzazione dell’Occidente. E’ evidente quindi che Gerusalemme è quella apocalittica, è quella del cuore, ma è altrettanto evidente che la Gerusalemme di pietra è lì e nessuno che sia figlio di Abramo, cristiano o mussulmano, può dimenticare che quella è la sua eredità. Alla forza delle armi, alla forza dei trattati internazionali io mi permetterei, come fiorentino, di accompagnare un vecchio proverbio della mia città: "Chi ha fratelli ha da spartire".
Nicola Bux, docente di Teologia Orientale e Liturgia Comparata nella Facoltà di Teologia Ecumenica di Bari
Bux: La questione odierna di Gerusalemme, nonostante sia il più difficile problema da risolvere, si rende insistentemente presente nel quadro dei negoziati di pace fra israeliani ed arabi che si svolgono soprattutto a Washington. Non di rado si sentono esprimere perplessità circa le tensioni che vi sarebbero fra i seguaci delle tre religioni abramitiche: ebrei, cristiani e mussulmani. Va detto che, eccettuati i gruppi estremisti, di regola non si verificano tensioni specifiche di carattere propriamente religioso. La divisione principale che travaglia questa città non è tra le religioni, ma tra i due popoli, l’ebraico israeliano e l’arabo palestinese. Cristiani e mussulmani e palestinesi si trovano accomunati dalla solidarietà nazionale più che divisi dalla libertà di religione.
La religione può divenire una fonte di sviluppi concretamente positivi. Non è da escludere, in vista della tanto desiderata pacificazione generale della regione, l’utilità di una previa intesa fra le tre grandi comunità religiose mondiali per fare di Gerusalemme non una città divisa, ma piuttosto condivisa. Sotto questo aspetto con Gerusalemme si intende specialmente la cosiddetta città vecchia, vero patrimonio culturale della umanità, come è possibile comprendere visibilmente nella mostra. Assicurati di comune accordo diritti e libertà delle tre grandi religioni monoteistiche nella città che tutte e tre ritengono singolarmente sacra, non potranno non risultare notevolmente facilitate le eventuali intese arabo-israeliane in vista della soluzione del contenzioso politico che riguarda ugualmente le parti della città. Anche se non si profilano ancora ipotesi concrete di una soluzione consensuale riguardo alla sovranità politica della parte est del territorio municipale, nulla vieta di sperare che tutte e due queste parti concorrano all’elaborazione in seno alla comunità internazionale di un progetto concreto di garanzie per i valori religiosi e culturali degli spazi religiosamente e culturalmente privilegiati che si trovano nel cuore di Gerusalemme.
La via maestra per garantirli è stata più volte tracciata e mostrata dalla Santa Sede in nome di tutto ciò che unisce i credenti del ceppo di Abramo e tutti gli uomini di buona volontà. Non resta che sperare che tutti quelli che sinceramente vogliono la pace per Gerusalemme vogliano seguire questa strada.