Padre Miguel Pro

Giovedì 27, ore 11

Relatore:

Fidel Gonzales

Fidel Gonzales, camboniano, è ordinario di Storia della Chiesa presso la Pontificia Università Urbaniana e membro della Congregazione per le cause dei santi.

Gonzales: Nella storia della Chiesa il Signore ha, anche Lui, delle predilezioni. Ha scelto dei popoli, suoi doni alla Chiesa. Nel caso della storia dell’evangelizzazione dell’America Latina ci sono due gruppi umani e culturali che avranno un’importanza capitale: l’area culturale del Perù e quella dell’attuale Messico. E’ significativo che queste due aree abbiano rappresentato il punto di partenza di un’azione evangelizzatrice notevole e siano state ricchissime in santità, canonizzata e non ancora canonizzata, ma non per questo meno incisiva e feconda.

Un popolo che evidenzia questa predilezione è il Messico. In questo momento, su 93 cause introdotte di beatificazione e canonizzazione nel continente americano, quasi la metà è costituita da messicani e di questa metà una ventina sono vescovi, appartenenti al secolo scorso e a questo.

La storia, così profondamente feconda, inizia da quei primi dodici apostoli, i cosiddetti francescani, fra i quali uno dei più significativi fu Toribio de Benavente, Motolinía, come lo chiamavano gli indios aztechi, "il povero" per la sua radicalità nella sequela evangelica e per la sua povertà. Questi dodici apostoli, le dodici colonne della Chiesa del Messico, hanno percorso a piedi tutto il Centro e il Sud del Paese. Motolinía arrivò fino al Guatemala facendo a piedi questi viaggi non meno di quattro volte. Il fratello coadiutore laico, Pedro de Gantes, parente e vicino dell’Imperatore Carlo V, lascia la corte e un futuro agiato, e diventa un fratello francescano missionario; farà stampare il primo catechismo pittorico, fonderà due scuole, fucine di cultura indigena e di incontro fra i due mondi. Voglio ricordare, tra le numerosissime altre figure, uno dei più grandi vescovi della storia missionaria moderna, dal ‘500 ad oggi, Vasco de Quiroga. Egli fino a sessant’anni lavora come membro della Corte Suprema di Giustizia Spagnola. Laico, discepolo dell’Università di Salamanca, laureato in Diritto, in Teologia, in Lettere, arrivato in Messico, si rende immediatamente conto che la sua fede cristiana deve diventare vita, non può rimanere chiusa nei tribunali di alta giustizia, deve mettersi in contatto con la realtà e diventare una risposta ai bisogni concreti della gente. Trova, nel gennaio del 1531, una città scombussolata da tremende tragedie ed una guerra che ha lasciato tante vittime, orfani, vedove, gente che pullula sulle strade, che non ha un rifugio, spagnoli, avventurieri ed indios dispersi, una realtà dolorosissima. Non si limita a fare giustizia dietro un tavolo dell’Alta Corte quale giudice supremo, ma scende nelle piazze, nelle strade, a contatto con la realtà. Sorge, così, una prima esperienza: Pueblo Hospital de Santa Fè, un villaggio ospedale di accoglienza, in risposta ad un bisogno di integrazione umana e sociale. "Santa Fè" è la fede cristiana che deve partorire questo tipo di iniziativa, che deve illuminarla e sostenerla e farla crescere! Visita una regione infernale, l’attuale regione del Messico centro settentrionale, lo stato del Michoacan. Trova popoli che vivevano in una situazione di grande decadenza morale e sociale, anche a causa dei misfatti dei conquistadores. I francescani avvicinatisi per evangelizzare questa regione falliscono.

In questa regione sconfinata di violenza e di paure, soltanto con la fede nel cuore, la consapevolezza dell’appartenenza a Gesù Cristo ed una profonda comunione, egli produrrà feconde iniziative, dai sessant’anni fino ai novantacinque, quando il Signore lo chiamerà a sé, durante una visita pastorale ad un villaggio indio di allora. Il giudice governatore è divenuto l’apostolo: il centro del Messico è stato evangelizzato non dai frati, ma da questo laico. E quando il vescovo del Messico, Zumarraga, vuole creare una nuova diocesi nel centro-nord, lo propone a Carlo V e, attraverso di lui, a Papa Paolo III. Zumarraga scrive a Carlo V: "Penso che l’apostolo più adeguato sia il vostro governatore giudice, perché lui è un vero cristiano, e nessuno come lui ha un cuore d’apostolo e la capacità per ascoltare i bisogni concreti della gente". Paolo III accetta ed il giudice governatore, come sant’Ambrogio, viene consacrato diacono, sacerdote e vescovo mandato in questa regione, non già come governatore, non già come giudice, ma come successore degli apostoli. Vasco de Quiroga è il fondatore di quel cuore di vita cristiana che ancora si può vedere oggi nello stato di Michoacan. Tante località, non meno di duecento città e paesi, sorgono dalle comunità-ospedali create da Vasco de Quiroga in quest’area del Messico. Quando ho visitato la regione parlando con la gente semplice e con i sacerdoti, sembrava che Vasco de Quiroga non fosse un vescovo di cinque secoli fa, ma un vescovo attuale. Tutti ne parlavano, come fosse una persona presente che ancora sta animando la vita ecclesiale del popolo, donandogli il senso della sua storia e della sua dignità.

Attraverso queste figure missionarie, a volte sacerdoti, altre volte laici, attraverso fatti straordinari di grazia divina, come l’avvenimento guadalupano, comincia la storia di un nuovo popolo, la storia impossibile: in un luogo di scontro, di lotta, di frizione, avviene il miracolo dell’incontro. La Chiesa non è stata mai in favore degli uni contro gli altri, è stata anzi un luogo dove tutti si sono sentiti a casa propria e dove è cominciato il fenomeno del meticciato, una realtà nuova, frutto della grazia divina, con tante espressioni nel campo culturale, sociale ed etnico. E’ un incontro di cuori, che soltanto la fede in Gesù Cristo può operare, anche fra persone che avrebbero tutte le premesse per scontrarsi e per odiarsi. Da questo fatto nasce una storia nuova; la coscienza storica dei popoli dell’America Latina comincia a sorgere e a crescere così. Ed è viva la coscienza di essere una realtà ed un popolo diverso da quello spagnolo o portoghese, diverso anche dai popoli precolombiani. Ciò diventa specificamente riconosciuto già nella seconda metà del ‘500, cresce lungo il ‘600 e diventa chiaro nel ceto popolare del ‘700. E’ una coscienza che nasce dalla stima crescente verso le culture indigene e verso le proprie radici cattoliche e trova, per esempio, nel Messico una chiara e progressiva autocoscienza nell’evento guadalupano, come lo dimostra tutta la letteratura a livello popolare del ‘600. In questo processo i gesuiti ebbero un ruolo fondamentale: sono stati loro i grandi diffusori della devozione alla Madonna di Guadalupe e gli autori delle opere più significative a riguardo nei secoli XVII e XVIII. Furono accusati di concepire l’idea di instaurare delle repubbliche indipendenti nel Nuovo Mondo, le Riduzioni, ma le accuse erano false, immaginarie. Coscienti della loro diversità nazionale e della loro storia, i gesuiti messicani si distinsero. Espulsi dal Messico, lasciarono collegi, università, missioni, parrocchie: fu una tragedia per questo popolo, una tragedia che si sta pagando ancora oggi. I gesuiti sono stati espulsi dai dominatori spagnoli nel 1767 e soppressi in tutta la Chiesa nel 1773. Sono certamente i padri del sano nazionalismo, la cui identità nasce dalla coscienza dell’appartenenza cattolica. Hanno la chiara consapevolezza che si sta forgiando una nuova nazione nelle viscere della Nueva Espagna! La coscienza della propria identità come latino-americani è legata al fatto cattolico, a prescindere da come dopo, nel secolo diciannovesimo, avvennero le indipendenze, le quali nacquero cattoliche e finirono massoniche. Troviamo a confronto due anime: l’anima cattolica latino-americana, che ha forgiato questo meticciato, questo incontro, e un potere che vuole impossessarsi di quest’anima e distruggerla creando una realtà acattolica.

Il 5 febbraio del 1917 in una cittadina a nord di Città del Messico, si consumava un processo di persecuzione laicista contro la Chiesa e contro le radici cristiane della cultura messicana: veniva approvata la nuova Costituzione che ancor oggi è in vigore. E’ senza dubbio la Costituzione più laica, più giacobina, più anticristiana che mai sia stata fabbricata dalla cultura occidentale, molto più della stessa Costituzione emanata durante la Convenzione della Rivoluzione Francese. E’ stato l’intento, da parte di una minoranza di intellettuali, figli culturali di quello stesso schema astratto della Rivoluzione Francese, di applicare quel medesimo schema totalmente contro la volontà della maggioranza, contro le radici culturali del Paese. Cito alcuni degli articoli di questa Costituzione che teoricamente è ancora in vigore. Nell’articolo 3 si legalizza la persecuzione anticristiana, mandando all’esilio tutti i sacerdoti non nati nel Messico. Si ordina la chiusura di tutte le chiese. Si proibisce l’insegnamento religioso e i voti religiosi come voti contro il diritto naturale; la libertà di coscienza viene controllata dallo Stato (art. 27); si limita il numero di sacerdoti e l’esercizio del loro ministero (art. 130); si consente l’esistenza di un solo sacerdote nato nel Messico ogni 100.000 abitanti, se permesso dal Governo. Un sacerdote messicano non ha la personalità giuridica per rendere una testimonianza in un processo o per vendere i suoi beni, per ereditare, per fare un contratto, per votare: non è nessuno. Tali disposizioni vogliono calpestare ed estirpare soprattutto i sacerdoti. Nel 1926 scrivono i vescovi: "I sacerdoti non vengono considerati come tali, ma come semplici professionisti al servizio dello Stato. Si pretende da essi che siano messicani per nascita. Si dà facoltà ai poteri legislativi dei diversi Stati per determinare il loro numero. Si proibisce loro l’esercizio dei diritti politici e civili. Si vuol controllare la loro azione religiosa". Si proibisce anche il culto privato.

Si iniziò così, nel 1926, una delle persecuzioni più cruente di questo secolo. Dei 2335 sacerdoti che c’erano allora in Messico, si permise l’esistenza legale, controllata a 875 e questi dovevano iscriversi in un registro ufficiale e dire le messe e i sacramenti quando il sindaco lo decideva. La maggior parte dei sacerdoti entrò nella clandestinità ed allora cominciò un’azione di polizia.

Padre Miguel Augustin Pro è una delle vittime più nobili di questa storia di fredda persecuzione anticristiana(1). Il suo martirio bisogna vederlo in tale contesto e le sue radici si trovano nell’ideologia di matrice illuminata che si vuole imporre per forza, una corrente decisa di quel riformismo giacobino che aveva tentato di dominare culturalmente il Messico lungo il secolo precedente e l’inizio di questo mette in atto tutto pur di fare dimenticare la propria appartenenza cattolica.

Nessuno gli aveva annunciato la sentenza di morte e non si era celebrato alcun giudizio contro di lui. Erano le 10.30 del mattino del 23 novembre 1927: nel cortile centrale della sede della polizia di Città del Messico si trova un plotone di soldati schierati, poliziotti a cavallo, generali in alta uniforme, avvocati dello Stato, giornalisti e fotografi; un uomo giovane vestito con giacca camicia e cravatta entra nel cortile scortato dalla polizia, un ufficiale gli si avvicina e gli dice: "Padre Zito, perdonami". Il giovane uomo lo guarda sereno: "Non soltanto ti perdono, gli dice, ti dico grazie per l’occasione che oggi mi dai di confessare la mia appartenenza a Gesù Cristo davanti a voi tutti" e indica i generali, i giudici, gli avvocati e tutto lo schieramento dello Stato messicano.

Questo giovane si chiamava Miguel Agostin Pro Quares, aveva trentasei anni e doveva essere fucilato perché prete cattolico e gesuita. Ecco la testimonianza di uno dei poliziotti che sparò: "Che mi lascino pregare un po’" disse Padre Pro, poi si inginocchiò; compose le braccia a forma di croce, tirò fuori il suo rosario ed un crocefisso che baciò e che teneva nelle mani. Lo si vide solo muovere le labbra e chiudere gli occhi perché non volle che lo bendassero. Mosse un poco la testa, fece in tempo soltanto a gridare: "Viva Cristo Re". La parola "Re" non si sentì.

Il fotografo che scattò le fotografie per il più grande giornale del Messico, l’Excelsior, scrisse nella sua testimonianza giurata: "Mai avevo visto una cosa simile. Stese le braccia in croce e ricevette la scarica. Molti abbassarono gli occhi, non osando vedere come cadeva, tutti si erano commossi e si osservò un grande silenzio". Lo stesso generale Roberto Cruz, il più terribile dei massoni, il più grande nemico di Padre Pro, che aveva voluto dirigere la fucilazione, malgrado la sua arroganza appariva pallido e tremante in volto, non poteva sostenere in bocca un avana che fumava e dovette afferrarlo con la mano: si vedeva chiaramente che l’arroganza ostentata in quell’atto era falsa.

Da quella caserma di polizia il corpo di Padre Pro fu portato dalla gente a casa del padre. Il giorno seguente si celebrò il funerale. Ed ecco allora una scena impressionante: il papà, un avvocato, si affaccia al balcone, nel momento più terribile della persecuzione e grida: "Viva, vivano i martiri di Cristo, perché mio figlio è un martire di Cristo". E nella piazza, più di ventimila persone: Viva i martiri di Cristo! E cominciano a cantare il Te Deum. I preti della clandestinità indossano tutti la veste. La polizia rimane agghiacciata. Vanno in processione, passano di fronte alla residenza ufficiale del Presidente della Repubblica che, dietro le tendine, vede passare il corteo. Si fermano e gridano: "E’ morto non per la politica, è morto per Gesù Cristo e per la sua Chiesa!" Il popolo cristiano perse la paura quel giorno.

Il processo di beatificazione di Padre Pro, iniziato nel 1935, si è concluso con la beatificazione, il 25 settembre 1988, da parte di Giovanni Paolo II. In essa è anche la beatificazione di migliaia di cristiani che hanno saputo dare la propria vita per Gesù Cristo e per la Chiesa Cattolica.

Vicino a molte chiese una lapide indica i nomi di tutti i martiri laici fucilati, anche bambini. E’ stato questo Messico popolare, dice uno storico francese in Historia des los cristianos latinos americanos che si è sollevato con la coscienza contro il potere. La gente andava in massa ai governatorati, ai comuni; migliaia di persone venivano ricevute dalle mitragliatrici della polizia che causarono migliaia di vittime innocenti. In un secondo momento si sono organizzati e hanno vinto. Ma il potere, quando ha visto che vincevano, è ricorso ad una strategia. Non volevano la vittoria di questo soggetto popolare, così, attraverso la mediazione degli Stati Uniti, hanno costretto la Santa Sede ad arrivare ad un accordo, con promesse mai compiute. La Santa Sede ha chiesto ai vescovi messicani di dire ai propri fedeli di deporre le armi e di accettare il potere. Lo hanno fatto e migliaia di cristeros sono stati fucilati dopo l’arresto.

Il cattolicesimo messicano non fu un cattolicesimo reazionario ai cambiamenti sociali, anzi, ne fu un promotore. Come mai, allora, questa persecuzione così violenta? La spiegazione di tale intolleranza va cercata precisamente nel carattere popolare del cattolicesimo messicano che il potere massonico e la cultura illuminista hanno cercato di eliminare con la violenza, prima con le leggi anticlericali, poi con la forza, infine introducendo sette protestanti dagli Stati Uniti. Sempre, però, la violenza di questo potere ha incontrato un soggetto popolare cattolico vivo.

Scrive uno storico latino-americano, gesuita, che la storia della Chiesa in Messico si mostra chiaramente come il paradigma del valore della resistenza. Papa Pio XI la comparò alla Chiesa dei primi secoli.

Oggi il cattolicesimo messicano subisce altre persecuzioni non più violente come una volta, ma più subdole e più intelligenti. Prego la Madonna di Guadalupe che doni a questo popolo coscienza del pericolo, che faccia nascere, come, di fatto, sta accadendo, un nuovo movimento ecclesiale. Il Messico è la nazione in tutta la Chiesa Cattolica con più vocazioni sacerdotali. Il seminario di Guadalajara ha 1300 studenti in questo momento. C’è un movimento di Chiesa impressionante. Chiedo al Signore che esso non sia semplicemente un movimento religioso, ma un movimento ecclesiale, dove la fede diventa cultura e vita, attraverso un popolo che ha chiara coscienza della propria storia e della propria appartenenza. "Ecco la vita nelle reliquie di questi martiri; chi può avere un dubbio che loro vivano in mezzo a noi?"

Dice Tertulliano: "Loro hanno un potere che trasmettono ai discepoli: noi cristiani. Noi siamo i frutti dei martiri". Questa è la preghiera che io rivolgo sempre alla Madonna di Guadalupe per i messicani e per i latino-americani nel quinto centenario di una storia fatta dai santi ma dimenticata da tanti.

 

NOTE

(1) Padre Pro non è un caso isolato, ma rappresenta la punta di un iceberg, di una realtà che ha avuto sempre chiara la propria appartenenza. Durante un viaggio fino a San Juan de los Lagos mi sono soffermato in tutti i piccoli paesi ed è stata per me un’esperienza meravigliosa: non c’era nessuna festa liturgica ma in ogni centro la chiesa era aperta, il Santissimo Sacramento esposto e, di fronte al Santissimo alle nove del mattino come alle due del pomeriggio o alle cinque della sera, c’era sempre un gruppo di persone in adorazione. Il messicano che mi accompagnava diceva: "E’ la nostra preghiera, è la nostra mendicanza, affinché la fede, così combattuta, sia sostenuta da Colui che ha il dono della grazia".