martedì 28 agosto, ore 15.00
KOSOVO: IL DRAMMA DEL POPOLO ALBANESE E LA PRESENZA DELLA CHIESA
Incontro con:
Lush Gjergji
Sacerdote albanese del Kosovo
Modera:
Walter Maffenini
W. Maffenini
Nell’incontro di questo pomeriggio abbiamo il piacere di incontrare Padre Lush Gjergji. Oltre l’attività pastorale, è anche giornalista e scrittore, autore del libro La nostra Madre Teresa, pubblicato dalla Jaca Book. E’ anche direttore di una rivista religioso-culturale, l’unica in lingua albanese, La luce. E’ qui per testimoniarci la situazione, le preoccupazioni, le difficoltà, della Chiesa Albanese nel Kosovo, il lavoro che ha fatto con il popolo albanese, ma anche le speranze di questo popolo che, soprattutto in questi ultimi tempi, è salito alla ribalta della cronaca per aver vissuto delle situazioni molto difficili. La parola a Padre Gjergji.
L. Gjergji:
C’è un proverbio albanese che dice pressappoco così: "quando il cuore è pieno, allora la bocca è vuota". Perciò io vi parlerò soprattutto col cuore, da fratello, da amico, e cercherò di trovare le parole giuste anche se non è facile quando si vivono situazioni difficili, in certi momenti anche drammatici. Le difficoltà della Jugoslavia in questi ultimi anni erano, e sono tuttora, di carattere politico, economico, culturale, religioso, per il semplice fatto che essa è un mosaico artificiale di popoli, lingue, culture, tradizioni e religioni. La Jugoslavia attualmente è composta da sei Repubbliche e due Province autonome. Le Repubbliche sono Stati autonomi, e, secondo la Costituzione vigente, hanno il diritto di separarsi dalla Federazione jugoslava. Invece le Province autonome, la Voigodjna e il Kosovo, secondo la Costituzione Federale del 1974, sono elementi costitutivi federali e parti integranti della Serbia, quindi non hanno il diritto di separarsi dalla Jugoslavia é d’essere Stati autonomi. Questa Costituzione Federale, approvata anche dal Presidente Tito, cercava di trovare alcuni...nuovi per garantire la sopravvivenza allo Stato jugoslavo. Dopo la morte del Presidente Tito, anche in Jugoslavia è cominciato il processo di democratizzazione, in particolare nella Provincia autonoma del Kosovo, con la rivolta degli studenti del 1981, trasformatasi poi in rivolta popolare. La richiesta base era quella di una maggiore autonomia, prima di tutto dalla Serbia, con la proclamazione della Repubblica del Kosovo. Gli Albanesi in Jugoslavia sono circa tre milioni, in gran parte vivono nel Kosovo e costituiscono circa il novanta per cento della popolazione totale della regione. Oggi numericamente sono la terza nazione della Jugoslavia, dopo Serbia e Croazia, ma non hanno la Repubblica e non sono considerati come nazione, popolo, ma solo come minoranza etnica. Questa richiesta popolare fu repressa dalla Serbia con la violenza, con molti arresti, morti, licenziamenti e fu interpretata tendenziosamente come un movimento separatista, irredentista, nazionalista, terrorista, in questi ultimi tempi anche cannibalista o come fondamentalista islamico. Golfo Persico. Questa è la presenza della nostra Chiesa; siamo qui per sostenere la fede, per far riscoprire la fede a tanti giovani che, per vicende familiari, personali, sociali, l’hanno persa o si e in qualche modo affievolita. La nostra vuole essere una presenza che dopo aver aiutato l’uomo a promuoversi e ad uscire dalla propria meschinità, lo porta ad essere buon terreno nel quale il buon seminatore getta il seme della Speranza. La Chiesa annuncia a questo mondo giovanile che vive la condizione militare il Vangelo della speranza come fonte d’energia spirituale davanti alla fragilità, alle nuove paure, alle infermità alle quali paiono talvolta incamminate le giovani generazioni. Siamo una Chiesa giovane perché costituita prevalentemente da persone giovani, ma siamo una Chiesa giovane anche perché non possiamo vantare, strutturalmente, una lunga tradizione. Forse qualcuno di voi mi vorrebbe domandare quanti sono i cappellani militari che operano nella nostra chiesa. Abbiamo 250 cappellani e ci sono ancora circa cinquanta, sessanta sacerdoti collaboratori, ma mi piace sempre sottolineare che la nostra Chiesa non si esaurisce nel cappellano militare. Il cappellano militare è il pastore che guida una comunità, ma accanto a lui i cristiani che si riconoscono tali e che assieme a lui vivono la vita cristiana, danno testimonianza e quindi compiono un'opera missionaria, d’evangelizzazione, col loro esempio. Il cappellano è un pastore d’anime che si mette accanto all'uomo, vive con lui, vive la sua condizione militare non certo per operazioni di guerra, ma per sostenere la sua umanità, il suo spirito, la sua fede, e sta con lui dovunque, in pace o in guerra. Certo noi preghiamo per la pace, preghiamo perché mai ci debbano essere guerre, ma il sacerdote è colui che vive tutta la condizione dell’uomo militare. Ho ricordato papa Giovanni; lui era orgoglioso di dire che era cappellano militare. E’ stato cappellano il cardinale Giulio Bevilacqua, don Mazzolari, don Gnocchi, don Facibeni e potrei citare tanti nomi di persone che hanno vissuto questa condizione non certo come scelta d’esaltazione della guerra. Vorrei darvi soltanto alcuni dati di quest’attività che la nostra Chiesa svolge nel mondo militare. Noi, per esempio, ogni anno abbiamo una media di 7000 giovani che chiedono di essere cresimati e di questi 7000 giovani almeno 1500 fanno la prima comunione. Erano totalmente distaccati dalla propria parrocchia, dalla realtà ecclesiale là dove loro vivevano. Questi dati sono soltanto un indice, un segno di quel lavoro missionario di cui vi ho parlato all’inizio, perché veramente il tempo del militare è un'occasione di grande recupero quando veramente non solo i cappellani, ma tutti quelli che si riconoscono di vivere la vita cristiana, sanno dare il loro contributo di testimonianza cristiana. Poi, ovviamente vi sono tante altre attività connesse con il lavoro che il cappellano svolge in quanto parroco della realtà militare dove lui è responsabile. A questo proposito vorrei ricordare due iniziative in modo particolare. La prima è quella di don Cesana, presentare oggi fra noi, che svolge la sua funzione di cappellano militare a Casal Monferrato. Preoccupato dei giovani dopo le ore di servizio militare, ha creato una struttura d’accoglienza dove i giovani la sera possono andare, divertirsi, studiare, leggere, prepararsi a ricevere i Sacramenti, pregare. Un’altra iniziativa che vorrei ricordare è un impegno particolare che i cappellani svolgono per la pastorale vocazionale. Il cappellano aiuta i giovani nella scelta della loro strada e certamente è prevalente la strada del matrimonio, ma vi sono tante altre strade che si maturano durante il servizio di leva: la strada alla vita consacrata, alla vita religiosa, alla vita sacerdotale. Già abbiamo tante esperienze: alcuni sono diventati sacerdoti, altri sono andati tra i Salesiani, i Trappisti. E infine questo è il messaggio che io vorrei dare a voi giovani e a tutto l’associazionismo. Già l’anno scorso il vescovo degli albanesi, Mons. Nicola Prela, ha fatto un accorato appello al pubblico per difendere la vita dei minatori di Trepcja che chiedevano le dimissioni dei capi comunisti albanesi filoserbi; ha fatto poi altri appelli pubblici alle autorità della Provincia, della Serbia e della Federazione jugoslava, contro la segregazione nelle scuole, per la difesa dei fondamentali diritti umani a livello personale, familiare e nazionale, ma senza alcun esito positivo. Si è rivolto all’opinione pubblica jugoslava per denunciare l’uccisione dei giovani, gli arresti, gli avvelenamenti e altri fatti violenti. Infine si è rivolto personalmente anche alla presidenza jugoslava, alla Santa Sede, a Madre Teresa, al governo italiano e, tramite questi alla Comunità Economica Europea, alla Conferenza Episcopale Europea, chiedendo che venisse interrotta qualsiasi ulteriore violenza, per evitare l’abisso del conflitto nazionale. La posizione della Chiesa Cattolica nel Kosovo è questa: siamo fratelli nella fede con il popolo serbo e montenegrino in quanto cristiani ortodossi, perciò desideriamo e cerchiamo il dialogo ecumenico; con gli albanesi musulmani siamo fratelli di sangue, lingua, cultura e tradizione. Allora la Chiesa Cattolica albanese vuole essere intermediaria, creare dei ponti d’amicizia, collaborazione, di stima reciproca in un processo globale di perdono, di giustizia, di pace, d’amore, che sono valori validi e tanto necessari per tutti. Particolarmente con i giovani e con il mondo della cultura, abbiamo iniziato tre grandi azioni che adesso sono cresciute in movimenti popolari. La prima è la riconciliazione universale del popolo albanese. Bisogna lottare con tutti i mezzi contro i comportamenti di vendetta che si sono radicati nel popolo albanese sin dai tempi del dominio turco, come del resto in tutti gli altri popoli balcanici, soprattutto nei territori del dominio turco. Se si va alla genesi del fenomeno, la vendetta era solo in funzione d’autodifesa, unico modo possibile per difendersi dalle ingiustizie e dalle violenze dei turchi che consideravano i cristiani come fuorilegge, senza alcun diritto, nemmeno quello della vita. La vendetta nel popolo albanese non è stata mai una convinzione del popolo ma una tradizione imposta, che poi è stata codificata con la legge consuetudinaria di "Leke Dukagjini". In questi ultimi tempi ha avuto un grande influsso positivo la scuola, lo studio della cultura cristiana che si sta scoprendo come una cultura autentica che ha conservato la lingua, la cultura, la tradizione albanese; è cresciuta la consapevolezza che dobbiamo lottare tutti insieme per sradicare molti mali tramandati dai turchi, come per esempio l’istituto della vendetta, il fanatismo nazionale e religioso, le tradizioni familiari turco-islamiche. La gioventù studentesca albanese, capeggiata dal professor Antonio Cetta, aiutato e ispirato dalla Chiesa Cattolica, ha iniziato quest’opera della riconciliazione universale del popolo albanese. In questo movimento popolare prendono parte tutti, la Chiesa Cattolica, i capi musulmani, gli intellettuali albanesi, la gioventù, gli operai, i contadini, la cittadinanza. 'ispirazione di dar vita a questo movimento è venuta da un fatto accaduto nel marzo 1990. In questo periodo la stampa albanese diffondeva la notizia clamorosa delle uccisioni di trentatré universitari da parte della polizia speciale. La tensione cresceva continuamente, ma anche le provocazioni della polizia. C’era il rischio che scoppiasse un conflitto nazionale. Di fronte a questa drammatica situazione abbiamo proposto di combattere l’ingiustizia, la violenza, l’odio, solo con l’amore: riconciliare le trentatré famiglie albanesi così risuscitare nel popolo il senso del perdono in nome di queste vittime innocenti. La riconciliazione è iniziata chiedendo a queste trentatré famiglie, alle quali erano stati uccisi i figli dalla polizia, di perdonare pubblicamente gli uccisori e così è iniziato un processo di riappacificazione nazionale. E vescovo, Mons. Prela, nella sua lettera pastorale in occasione della Pasqua, ha sostenuto pienamente l’iniziativa, il popolo ha abbraccia con entusiasmo questa proposta e ben presto, in soli quindici giorni, abbiamo ottenuto dei risultati che ci eravamo prefissati. I buoni risultati ci hanno spinto a continuare operando per una riconciliazione a livello nazionale. Così abbiamo fondato il Consiglio Centrale per la Riconciliazione e lo abbiamo diffuso in tutti i comuni della provincia. Questi consigli hanno indagato e compilato le liste delle famiglie che erano in ostilità tra loro per motivi legati a vendette, ma anche per qualsiasi altro conflitto dal tempo dei turchi, dal 1912 fino ad oggi. 'anno 1990 è stato proclamato ufficialmente anno della riappacificazione globale del popolo stesso e del popolo con tutti gli altri popoli che vivono nella provincia, come anche l’anno di Madre Teresa, la madre della pace, che è nostra connazionale. Finora abbiamo riconciliato novecentocinquanta famiglie, e ne restano ancora circa cinquanta in tutta la Jugoslavia e nel mondo. Oggi il popolo albanese perdona incondizionatamente per due motivi fondamentali: il primo religioso, in nome di Dio, della Chiesa, della fede, della pace e dell’amore; l’altro nazionale, in nome del popolo, delle vittime innocenti, degli intellettuali è della gioventù. La forza dell’amore e del perdono, cioè Dio, ha suscitato una meravigliosa opera, una mentalità nuova. La gente che fino a qualche tempo fa riteneva la vendetta un gesto eroico, normale, oggi condanna la vendetta come assurdità, apprezzando e stimando chi ha il coraggio di perdonare. Il limite di tempo che ci siamo dati è stato fissato per la fine dell’anno corrente, ma probabilmente finiremo prima, all’inizio d’ottobre, quando verrà a farci visita Madre Teresa, sorella nostra e madre del mondo, come ha scritto un nostro poeta. Nel nostro ultimo incontro mi disse così: "il premio più grande per il mio compleanno sarebbe la riconciliazione universale del mio popolo; vorrei venire per ringraziare il Signore per tutto quello che ha fatto nella mia vita e per il quarantesimo -della fondazione delle Missionarie della Carità.". Così tutti insieme stiamo cercando di creare una cultura nuova del perdono, della vita, della pace, dell’amore, ispirati prima di tutto dalla fede e anche dall’esempio grande di Madre Teresa. La seconda azione, che è diventata poi movimento, è la lotta contro l’analfabetismo, non solo inteso nel senso stretto del termine, ma come promozione, diffusione della cultura a servizio del popolo, di tutti, cercando così di coinvolgere la gente per una nuova cultura, libera dalle ideologie imposte, al servizio e alla misura dell’uomo. Molti intellettuali, anche pensionati, sono disposti gratuitamente a lavorare per la cultura popolare anche nei paesi più sperduti. In questa direzione lavoriamo per la creazione di una cultura nuova come presupposto essenziale per una umanità nuova. La terza azione, o movimento, è la fondazione dell’Associazione Benefattrice Madre Teresa avvenuta a Pristina il 10 maggio 1990 e ormai diffusa dappertutto nella provincia e anche fuori. Lo scopo principale è questo: essere a disposizione di tutti o, come direbbe Madre Teresa, fare qualcosa di bello per Dio e l’uomo sofferente. Così incarniamo lo spirito di Madre Teresa nell’ambiente suo e nostro, da dove è partita per le strade del mondo diventando oggi l’angelo della bontà e dell'amore, l’amore in azione, il vangelo vivente, la madre del mondo e della sofferenza, la testimonianza più autentica della vita consacrata a Dio e al prossimo. Senza nessuna distinzione nazionale, razziale, religiosa, vogliamo essere al servizio della vita e dell’uomo. Il nostro aiuto non è solo materiale, perché quasi tutti noi siamo poveri, ma offrire prima di tutto noi stessi, tutto quello che siamo, il nostro tempo, la nostra attenzione, la nostra amicizia, il nostro amore, e poi anche quello che abbiamo. Lo stato comunista non ci riconosce, anzi ha vietato con un decreto il festeggiamento pubblico delle riconciliazioni e l’opera dell’Associazione. Cerca anche di ostacolare le opere di beneficenza. L’ultimo esempio è la perquisizione e il sequestro dei medicinali proprio nella mia parrocchia di Ferizai-Urosevac e in un convento delle suore a Binca. La polizia ci ha chiamato per rispondere del reato - cito - di "aver cercato di fare del bene", di aiutare ed assistere la gente che non ha nessuna assistenza medica, soprattutto nel caso dell’avvelenamento. Noi continueremo a fare del bene a tutti i costi e a tendere la mano per chiedere ed offrire la pace e costruire l’unità nella diversità e nel pluralismo. L’amore non può convivere con la violenza, tanto meno con le oppressioni poliziesche. Il popolo albanese nel Kosovo, come anche nelle varie arti della Jugoslavia, vuole vivere in pace e in armonia con tutti gli altri popoli. La Chiesa Cattolica, come anche la Chiesa universale, è, e lo sarà sempre, al servizio di Dio e dell’uomo, fedele a Dio e alle circostanze concrete, difendendo tutti quelli che sono oppressi, che soffrono ingiustizie e che sono senza voce. Ecco allora, questa è la voce del silenzio, la voce della sofferenza, la voce dell’amore che crede, spera ed opera per il bene di tutti. Grazie
W Maffenini:
Sono stato molto impressionato dalla capacità che la Chiesa ha mostrato nel portare tutto il popolo al perdono e della capacità educativa della Chiesa nel fare camminare questo popolo sulla strada della solidarietà. Ringrazio Padre Lush per averci testimoniato che pur in situazioni difficili, pur in situazioni impossibili, si può vivere una vera solidarietà umana cristiana, una vera capacità di andare incontro ai problemi di un popolo dentro un’attenzione a quella che è la tradizione, la storia, a volte complicata, a volte difficile. Ma è solo con questo profondo sguardo di carità e d’attenzione, che si può costruire qualcosa di nuovo e dentro questa condivisione giorno per giorno, dentro la condivisione di quelli che sono i problemi che s’incontrano nel quotidiano, si può cambiare qualche cosa, si può fare una vera rivoluzione, un vero cambiamento e di questo lo ringraziamo e gli assicuriamo la nostra fedeltà.
Segue un lungo dibattito col pubblico che ha toccato in particolare i temi del dialogo tra cattolici e musulmani e della situazione del popolo albanese