Sabato 27 agosto, ore 11
INCONTRO CON GIANCARLO CESANA
L'incontro con Cesana e stato preceduto da due brevi comunicazioni del Dott. Giuseppe Ciarrapico, Presidente di Italfin '80 e sponsor generale del Meeting '88, e dell'on. Enrico Ferri, Ministro dei Lavori Pubblici.
G. Ciarrapico:
Occuparmi del Meeting come sponsor è per me una esperienza molto bella. Perché il Meeting?, mi è stato chiesto da qualcuno. La nostra strategia di impresa è basata sulla promozione di cultura e a Rimini di cultura ne vedo molta. Questo tipo di promozione culturale ci distingue da tutti gli altri. Questo secondo anno in cui sono a Rimini come sponsor del Meeting, mi ha permesso di passare da un rapporto "oggettivo", ad un rapporto "soggettivo" con tutti voi e con questo grande evento. Mi sento partecipe soggettivamente e mi dà enormemente fastidio la definizione di "imprenditore amico dei ciellini". No: io mi sento un "ciellino imprenditore". Mi ha colpito molto sentire che noi, voi, tutti insieme, in quello che abbiamo detto, in quello che abbiamo cercato di far capire in questi giorni, abbiamo contestato il primato della politica sulla morale: io ho avuto invece la sensazione che noi rivendicassimo il primato della morale sulla politica. Abbiamo chiesto in questi giorni allo Stato la libertà di operare (al di fuori delle clientele, delle lobby, dei grandi gruppi privati e pubblici), libertà di proporre. Qual è stata la risposta? La risposta purtroppo, da parte del sistema, è stata quasi unanime: vi si accusa di volervi arruolare in questa o in quella armata. Voi avete invece dimostrato di essere uomini liberi che chiedono soltanto che finisca la logica delle armate contrapposte, per rispondere alle esigenze di una società moderna, piena di ansia verso il nuovo, che guarda con certezza all'infinito. Credo che questo sia il senso di quello che assieme abbiamo vissuto a Rimini. Desideriamo proseguire nell'unica armata che ci interessa, quella della nostra convinzione spirituale, della nostra proposta. L'armata degli uomini di buona volontà che proseguono nell'operare faccia a Dio verso l'infinito, perché nell'infinito credono. Penso di potervi salutare dicendo: viva Rimini '88, viva Rimini '89.
E. Ferri:
Cercare l'infinito e quindi la verità, non è impresa facile, anche perché ci troviamo quotidianamente a cercarlo attraverso le opere, attraverso noi stessi. Ecco perché il tema così stimolante, mi ha attirato molto, sia come magistrato che, ora, come Ministro della Repubblica. Ci sono alcuni valori che, anche se non fossero scritti, troverebbero tutti d'accordo. Chi non è d'accordo nel praticare, nel difendere, nel tutelare la libertà di coscienza, la libertà morale, civile, di pensiero? La Costituzione ha codificato questi valori, ha messo al centro di questa architettura l'uomo. C'è poi il rapporto tra cittadino e pubblica amministrazione: quest'ultima deve rispondere alle domande della collettività civile. Io non credo alle istituzioni "fredde" e alla società "calda", come qualcuno ha detto. Credo ci debba essere un tipo di rapporto, di nuovo modo di fare cultura, di ricercare insieme le strade in cui etica e politica, etica ed economia, etica e storia, etica e uomo, possano trovare un momento di verità praticabile che possa essere lo strumento effettivo e reale per conoscere meglio se stessi e, soprattutto, per realizzare, almeno in parte, se stessi. Questo è il nostro scopo fondamentale, perché nella realizzazione parziale di ciascuno di noi attraverso la solidarietà, la pace sociale, la collaborazione, si arriva, almeno nel tempo limitato della nostra vita umana, a raggiungere la verità. Ecco perché il tema di quest'anno mi è sembrato un momento di riflessione e di meditazione, ma anche un momento operativo e costruttivo, come testimonianza concreta nella vita civile ed istituzionale. Apriamo un dialogo tra società civile e Stato (dialogo anche critico ma sempre costruttivo) perché la gente, ciascuno di noi, ha delle speranze, delle paure, ma ha anche un diritto che gli Stati Uniti d'America chiamano "diritto alla felicità". Nella Costituzione degli Stati Uniti c'è questo diritto che invece manca nella nostra Costituzione. La felicità è un'aspirazione cui tutti tendiamo: è la felicità morale, spirituale, civile, sociale. Ma il senso della giustizia (sarà che mi sento condizionato dalla professione di giudice) quella sostanziale, quella che si celebra quotidianamente nei nostri rapporti, credo sia il modo migliore per raggiungere quella pace della coscienza, quella verità, sia pure relativa, quella ricerca di infinito,. che costruisce la cronaca, la storia e la vita di tutti. Ed allora scompaiono, in un certo senso, le differenze dei partiti, le polemiche, ecc., e tutti cerchiamo le nostre radici profonde nell'etica cristiana.
Il desiderio è ciò che costituisce la struttura dell'uomo, è ciò su cui si accanisce il Potere, nel tentativo di distruggerlo. Con il cristianesimo è stata introdotta nella storia la possibilità di una risposta alla strutturale attesa dell’uomo.
G. Cesana:
Vorrei introdurre la questione del senso religioso con questa osservazione: proprio perché il senso religioso è un'esperienza elementare che caratterizza tutto l'uomo, esso non nasce da uno studio, da un'applicazione intellettuale, ma nell'immediatezza dell'esperienza dell'uomo. All'ingresso del Meeting, su una piramide, sono riportate due frasi di don Giussani che citerò abbastanza frequentemente (perché le cose che dico le ho imparate soprattutto da lui): "In questo momento io, e sono attento, cioè se sono maturo, non posso negare che l'evidenza più grande e profonda che percepisco è che io non mi faccio da me, non sto facendomi da me. Non mi do l'essere, non mi do la realtà che sono, sono "dato". È l'attimo adulto della scoperta di me stesso come dipendente da qualcosa d'altro. (...) Quando io pongo il mio occhio su di me e avverto che io non sto facendomi da me, allora io, io, con la vibrazione cosciente e piena di affezione che urge in questa parola alla Cosa che mi fa, alla sorgente da cui sto provenendo, in questo istante non posso che rivolgermi usando la parola "tu". "Tu che mi fai" è perciò quello che la tradizione religiosa chiama Dio, è ciò che è più di me, è ciò che è più di me stesso, e ciò per cui io sono". L'uomo vive di questa domanda, l'uomo vive di questa percezione per cui la sua vita è totalmente dipendente da altro. Quando l'uomo vive (perché l'uomo che dimentica questa dipendenza non vive), si dibatte all'interno della propria impotenza, cercando magari attraverso un disegno di potere, di trovare una via d'uscita. Ma la sostanza fondamentale dell'uomo è la domanda. Quando l'uomo percepisce la dipendenza gli urge immediatamente una domanda: chi sono io? Per cosa sono fatto? Che ne sarà della mia vita? La mamma che sveglia il bambino alla mattina e lo vede lì nel letto dice: "che ne sarà di lui?" Tutta la vita è piena di questa domanda, tutta la vita è una domanda. Diceva Cesare Pavese: "E’ una cosa grande il pensiero che nulla a noi sia dovuto. Qualcuno ci ha mai Promesso qualcosa? E allora perché attendiamo?". La domanda è il motore dell'esistenza, la richiesta di una risposta a quella che è l'esigenza più vera dell'uomo. Questa domanda è un desiderio che qualifica totalmente la struttura dell'uomo rendendolo grande. Il cristianesimo è, proprio come diceva Peguy, il più grande disordine che sia stato fatto e insieme il più grande ordine, perché nell'uomo è stata introdotta la possibilità di risposta alla domanda. L'uomo vive di domanda e di desiderio e quando comincia a trovare la risposta al proprio desiderio non cessa di desiderare: desidera di più. Il desiderio è ciò che fa la struttura dell'uomo, è la cosa più preziosa che l'uomo ha, tanto è vero che il potere ha il problema di distruggere la domanda. Si distrugge il desiderio e la domanda perché solo così l'uomo può essere messo in ginocchio. Il desiderio dell'uomo si rivolge all'infinito, si rivolge a questo tu che non sappiamo chi è, a questo mistero, a questa x che fa tutta la storia. Il desiderio dell'uomo è desiderio di significato, e significato vuol dire rapporto tra le cose (il significato di una cosa è ciò che mette in rapporto questa cosa con le stelle, con tutto): il significato è vita, perché la vita è rapporto. La vita è nesso e il desiderio più grande è la scoperta del nesso col proprio destino. Gesù diceva: "Se non sarete come bambini non entrerete nel Regno dei Cieli". Il Regno dei cieli non è un'astrazione che sta nell'al di là ma è il luogo della realizzazione del proprio desiderio e, infatti, comincia su questa terra, perché se non fosse così non si potrebbe credere neanche a quello che c'è dopo. Un inciso: per Giustina il bambino è l'immagine della dipendenza e della domanda. Un bambino da solo non si avventura in una stanza buia mentre con la mamma va dovunque. È l'affermazione della totale dipendenza da qualcun altro. Se non si è così non si riesce ad essere perché la struttura fondamentale dell'uomo è questa. Basta pensare che dobbiamo morire, che al mondo siamo venuti senza niente e non porteremo via niente. Ma voglio leggervi un altro passo di don Giussani, che mi sembra utile: "Io, uomo, sono costretto a vivere tutti i passi della mia esistenza dentro la prigionia di un orizzonte sul quale una grande Incognita incombe, irraggiungibile, cioè il mio desiderio, è rivolto a questo destino che è un'incognita che incombe, che è irraggiungibile. E la cosa è tanto più drammatica quanto più io sono consapevole. Perché, se la stupidità suprema è quella di vivere distratti, è evidente che per gli stupidi i problemi a questo riguardo diminuiscono. Io dunque, in piena consapevolezza, sono costretto dalla mia condizione esistenziale a compiere dei passi verso quel destino cui in me tutto tende senza però conoscerlo. So che esiste, perché ciò è implicato nel mio stesso dinamismo, e so che quindi tutto in me dipende da esso". Questa è un'evidenza della ragione, non è un problema della fede, perché l'uomo che pensa deve riconoscere che tutto dipende da qualcos'altro. "Il senso umano - continua Giustina - il gusto di ciò che provo, che approvo o a cui approdo dipende da quel destino, ma esso resta un ignoto. L'uomo consapevole realizza così che il senso della realtà, vale a dire il contenuto ultimo della ragione - la ragione funziona in rapporto al senso del reale, perché la ragione è capacità di dare senso, è capacità di stabilire rapporti, non è un contenitore, non è la misura delle cose, noi non. siamo capaci di misurare la nostra vita (Cesana) - è una "x" non comprensibile, non può cioè essere rinvenuto dentro il processo di reperimento di capacità di memoria della ragione. IL fuori. La ragione al suo vertice può giungere e coglierne l'esistenza, ma una volta raggiunto questo vertice - cioè dell'esistenza di qualcos'altro, di un ignoto che fa tutte le cose (Cesana) - è come se venisse meno, non può andare oltre. La percezione dell'esistenza del mistero - il mistero è un'evidenza, una cosa che si vede e che si tocca ma di cui non si comprende l'origine. Il fatto che ti innamori di una, proprio di quella, è un fatto misterioso ma concreto, e di misteri nella vita ce ne sono tanti (Cesana) - rappresenta il vertice della ragione. Ma pur in questa sua impossibilità di arrivare a conoscere ciò di cui intuisce l'esistenza e che massimamente la concerne - si tratta infatti del senso delle cose, interesse di ogni interesse (Cesana) - la ragione mantiene la sua struttura di esigenza conoscitiva: vorrebbe conoscere il destino. È vertiginoso essere costretti ad aderire, è il dramma dell'uomo: che siamo costretti ad andare verso qualcosa che non siamo capaci di prendere. Provate a dire se non è vero. t come se ogni mio essere fosse sospeso e il cui viso mai io potessi vedere. È bellissima questa affermazione di Schweitzer: "Conosci tu l'assenza più potente della presenza?". È una condizione vertiginosa. L'uomo coglie in un attimo la sua condizione vertiginosa, misura la sua sproporzione, ma il ricordo di questa sua lucidità non dura e l'uomo non regge. La secolarizzazione è esattamente il dramma di un uomo che non regge. Per cui i casi sono due: o tende ad abolire la domanda, o si riduce tutto alla misura della ragione, anche la religione (la religiosità razionale, prodotto della propria ragione). Ma l'uomo dentro questo dramma ha tentato di darsi una risposta, ha cercato una strada e le religioni sono proprio nate così. La religione razionale di cui parlavo prima è un'altra cosa, è quella Illuminista: la religione come geometria delle possibilità di potere, di cui l'espressione più esplicita è la massoneria. Invece nei tempi antichi l'uomo ha cercato di darsi una risposta, di identificare questo infinito e le religioni sono proprio nate come tentativo dell'uomo di dare un volto al destino, riconoscendo in qualcos'altro il destino di sé (sia esso il sole, la natura, la cose, gli animali), riconoscendo che l'universo è più grande. La religiosità nasce non come sforzo della propria mente, non come geometria razionale, ma come riconoscimento di qualcosa d'altro che, seppure individuabile e percepibile nell'esperienza sensibile, rimane un fattore trascendente. Così l'uomo ha venerato l'armonia del creato, ha tentato di fare patti con Dio, si è sempre impegnato in questo sforzo. La situazione di oggi è diversa perché la cultura moderna avendo attaccato il mistero come dimensione dell'umano esistere, ha reso l'uomo incapace di rapporto con l'alterità. E allora è condannato all'idolo e alla superficialità cioè è condannato a legarsi totalmente a ciò che lui stesso fa, (siano i soldi, il potere o altro) come se l'universo, la realtà, non dicesse più nulla e solo le proprie mani dicessero qualcosa. L'umanità invece è sempre stata caratterizzata da uno sforzo religioso che ha prodotto le religioni. In mezzo a questa indomita ricerca come si fa a riconoscere la religione giusta? Una soluzione proposta dai razionalisti è quella di studiarle, documentarsi e poi decidere, ma il rischio è che si muoia prima. Se la religiosità è definita dal tentativo di percorrere la strada verso il destino, allora lo strumento più concreto per fare questo, per non essere sopraffatti dalla vertigine del mistero (l'uomo infatti al vertice della sua ragione arriva a percepire il mistero, ma questa lucidità non la mantiene e decade) è affidarsi a una tradizione, cioè a qualcosa che è stato consegnato (trazione da tradere, consegnare) all'esperienza del popolo, a ciò cui si appartiene come inizio del cammino. Occorre verificare l'ipotesi iniziale: se non sarà vera verrà abbandonata e se ne seguirà una migliore. La modalità umana per vivere l'esperienza religiosa è questa. Quindi la nostra attenzione alle religioni è proprio l'attenzione a una strada, a un cammino che apre verso una -verità sentita come unica e totale. È l'attenzione a un'avventura dell'uomo, allo sforzo che l'uomo compie per essere veramente se stesso, a cui siamo profondamente interessati. Sentite cosa diceva Platone a questo proposito cinquecento anni prima di Cristo: "Pare a me o Socrate, o forse anche a te, che la verità sicura in questa cose nella vita presente non si possa raggiungere in alcun modo, o per lo meno con grandissime difficoltà. Però io penso che sia una viltà il non studiare sotto ogni rispetto le cose che sono state dette in proposito e lo smettere le ricerche prima di aver esaminato ogni mezzo. Perché in queste cose, una delle due: o venire a capo di conoscere come stanno; o se questo non si riesce, appigliarsi al migliore e al più sicuro tra gli argomenti umani e con questo, come sopra una barca, tentare l'attraversata del pelago". La vita è proprio l'attraversata del pelago, cioè del mare, di questo mare a volte tempestoso e a volte tranquillo. Nella Bibbia c'è un'espressione più bella ed è di Giobbe: "milithia est vita hominis" (la vita dell'uomo è una guerra, una lotta). "A meno che - diceva Platone - non si possa con maggior agio e minor pericolo fare il passaggio con qualche più solido trasporto, con l'aiuto cioè della rivelata parola del dio". Cinquecento anni prima di Cristo, l'attesa della rivelazione. E infatti San Tommaso d'Aquino inizia la sua Summa Teologica in questo modo: "La verità che la ragione potrebbe raggiungere su Dio sarebbe di fatto per un piccolo numero soltanto - per gente come Platone, uno ogni qualche secolo (Cesana) - e dopo molto tempo e non senza mescolanza di errori. D'altra parte, dalla conoscenza di questa verità dipende tutta la salvezza dell'essere umano". La salvezza dell'essere umano non è una dimensione spirituale, è poter mangiare e poter bere, è il perché si vive, è la ragione della vita e quindi il sostegno della vita, il motivo per cui si sorride, per cui si prova piacere o ci si arrabbia, questa è la salvezza dell'essere umano. Abbiamo ridotto la religiosità alla meschinità spirituale, al misticismo, al clericalismo: è una cosa ignobile. La salvezza dell'essere umano e di tutta la realtà è in Dio: "Per rendere questa salvezza più universale - continua S. Tommaso - e più certa, sarebbe dunque stato necessario insegnare agli uomini la verità divina con una divina rivelazione". E questo, amici miei, è quello che è successo. Essere cristiani vuol dire che il nome di questo mistero, il nome di questa risposta alla domanda, al desiderio, si è rivelato. A me ha colpito una cosa leggendo la vita dei Santi: umanamente parlando, erano degli avventurieri, era della gente carica di desiderio con una capacità infinita di lavoro, che ha cambiato interi paesi, ha cambiato gli uomini, ha lasciato traccia di sé. Lo dico sempre: ad Assisi vivono ancora adesso su San Francesco. Cristo è il nome di questo mistero: nel mondo la risposta dall'attesa dell'uomo si è resa presente, quello che dicevano Platone e Pavese s'è realizzato. "Perché aspettiamo tanto?", perché deve venire qualcuno, anzi è già venuto. È la promessa, è la possibilità di condividere la propria vita nella compagnia, è il mistero che s'è fatto compagnia all'uomo, Cristo (il nostro volantone di Pasqua recava questo titolo: Cristo compagnia di Dio all'uomo). E’ con timore (per la fragilità della nostra testimonianza, per la nostra debolezza e viltà) che diciamo: la risposta è venuta e noi l'abbiamo incontrata. La verifica che ne facciamo è che siamo resi attenti alla religiosità degli altri, come a rinvenire le tracce di questo avvicinamento dell'uomo a Dio per rendere evidente a tutti una possibilità: questo incontro definitivo può essere fatto da chiunque. La certezza di questo incontro lungi dal chiudere, apre, perché significa avvicinare tutti gli uomini con lo sguardo di proposta senza nessuna pretesa, con la grande attesa che quello che abbiamo riconosciuto noi possano riconoscerlo tutti, possa essere per tutti. È questa grande attesa che ci rende estremamente sensibili ad ogni sforzo dell'uomo: ogni suo tentativo ha dentro l'energia verso questa risposta. Capite allora che il senso religioso è proprio la materia, la terra della laicità, è proprio la carne e il sangue dell'uomo, non è la rinuncia dell'uomo ad essere se stesso. Noi intuiamo questo per l'incontro fatto, per l'avvenimento che c'è stato e approfittiamo anche di questo Meeting sul senso religioso per dire che questo avvenimento è ciò che divide in due, come diceva Eliot, la storia dei popoli e soprattutto la nostra storia personale. Faccio un'aggiunta, Mi ha sempre colpito il commento dell'Ulisse di Dante fatto da don Giussani. Sapete che Dante ha messo Ulisse all'inferno e don Giussani dice che il problema di Ulisse è che questo avventuriero, questo uomo irrefrenabile, arrivato alle colonne d'Ercole (cioè dove finisce il mar Mediterraneo, il Mare Nostrum di cui lui conosceva tutte le onde) incontra l'oceano, cioè qualcosa di assolutamente inesplorato: Ulisse ha preteso andare dentro l'oceano con la stessa barchetta con cui aveva navigato il mar Mediterraneo ed è affogato. Ora il destino dell'uomo è l'oceano. L'avvenimento cristiano, la proposta cristiana, quello che noi siamo, almeno come ipotesi, ci fa dire questo: amico mio, se vuoi varcare l'oceano prova a cambiar la barca.