venerdì 28 agosto, ore 12.30

IL CONTINENTE EUROPEO: LABORATORIO PRIVILEGIATO DI COSTRUZIONE DELLA PACE

partecipano:

Dario Antoniozzi

deputato al Parlamento europeo

Tadeusz Mazowiecki

scrittore e pubblicista polacco, già consigliere di Lech Walesa

conduce l'incontro

Roberto Formigoni

L'Europa conosce da quarant'anni, anche grazie alla Comunità europea, un periodo di relativa tranquillità. Ma l'assenza di conflitti militari non basta a definire la pace: essa si realizza solo là dove i diritti umani sono integralmente rispettati. Così per l'uomo europeo la pace resta un compito verso cui ha una particolare responsabilità, piuttosto che un dato acquisito.

D. Antoniozzi

Il tema di oggi è: "Il continente europeo: laboratorio privilegiato di costruzione della pace". Perché nacque questa idea dell'Europa? La prima metà di questo secolo è stata certamente drammatica per i cittadini europei, con due guerre mondiali combattute in Europa e fuori d'Europa quasi sempre per iniziativa dell'Europa stessa. La saggezza di uomini come Schuman, De Gasperi e Adenauer fu quella di chiedere un momento di pausa per riflettere, per tentare di risolvere pacificamente tanti problemi della vita di relazione dei popoli europei. Allora la proposta fu: cerchiamo di mettere insieme qualcosa che, nella pace, risolva i problemi dell'Europa, che peraltro deve garantire per sé e per il mondo la sopravvivenza di una civiltà. Diamo uno sguardo ai nostri trascorsi storici, guardiamo tutto il mondo. Nell'America del nord, è la cultura europea che ha fondato gli Stati Uniti; la Convenzione di Filadelfia di poco più di due secoli fa, è una convenzione in cui si sono uniti gruppi provenienti dall'Europa. Nell'America del sud, tra il Portogallo e la Spagna c'è stata una larga esportazione di civiltà e cultura, e così nell'Africa e nell'Australia. Vi sono alcune eccezioni nell'area orientale, l'India, la Cina, il Giappone; ma un secolo fa il Giappone ha aperto le porte all'Europa e alla cultura europea e oggi torna con questa cultura elaborata a fare concorrenza sul piano commerciale agli europei. Quindi questa Europa è il centro da cui si è diffusa la cultura in tutto il mondo e sarebbe stato grave se non vi fosse stata questa iniziativa, poiché sarebbe stata in pericolo questa vivacità ed iniziativa della cultura europea e della civiltà occidentale nel mondo. E allora la saggezza degli uomini che lanciarono questa proposta fu: mettiamoci insieme nel tentativo di costruire questa Europa. Perché laboratorio privilegiato per la costruzione della pace? Perché noi siamo coloro che hanno le fonti fondamentali della cultura che poi hanno esportato in tutto il mondo; dobbiamo difendere queste fonti della cultura, esaltarle, essere più forti per consentire che rimangono determinate idee e che si sviluppino nel mondo. Coloro che nel 1951, il 18 aprile, fondarono la CECA, che è stato il primo tentativo di unità europea, nel preambolo, che è parte sostanziale del trattato, scrissero questo (e ciò va ricordato perché allora ci furono molti che votarono contro, molti si astennero, e oggi molti di costoro vanno predicando la pace in termini equivoci, quasi che la pace la volessero loro e non gli altri): "Considerando che la pace mondiale non può essere salvaguardata che da sforzi creativi adeguati ai pericoli che la minacciano; convinti che il contributo che un'Europa organizzata e viva può portare alla civiltà è indispensabile al mantenimento di relazioni pacifiche ... ". Il primo periodo del preambolo di questo e di tutti gli altri trattati, compreso quello della Comunità Economica Europea del 1957, è particolarmente significativo perché al di là dello sforzo dell'unione economica, della valorizzazione delle esigenze commerciali, pone una convinzione: la pace è esito della presenza di una civiltà nel mondo. (...)

Allora, come costruire questa Europa? Siamo partiti trenta e più anni fa con un'Europa che nella CECA vede il primo punto di riferimento, poi è stata la volta dell'EURATOM e infine della Comunità Economica Europea. Siamo partiti sperimentalmente con istituzioni atipiche rispetto alle istituzioni consuete di un sistema democratico, poiché i paesi che si sono messi insieme hanno voluto garantirsi in termini internazionali da ciò che questo oggetto sconosciuto che si metteva in movimento poteva determinare sul piano nazionale. Per cui si è fatto un Parlamento che ha scarsi poteri; ha un potere consultivo e alcuni poteri di bilancio però non ha poteri deliberanti. Il consiglio dei ministri ha potere deliberante però non è espressione del parlamento d'Europa ma dei governi nazionali (e qui c'è un primo punto negativo, se è espressione dei governi nazionali riporta nelle decisioni comunitarie gli egoismi nazionali, i problemi nazionali, le vicende anche elettorali dei partiti che sono nei parlamenti nazionali). E poi c'è la commissione delle comunità economiche europee che è un organo anch'esso atipico, a metà fra il governo e l'amministrazione, l'organo di gestione e di iniziativa della Comunità Economica Europea. Ma perché queste istituzioni atipiche? Perché era un esperimento nuovo, che metteva insieme paesi che si erano combattuti sino a qualche anno prima, metteva insieme soprattutto al confine del Reno, a Strasburgo, la Francia e la Germania, paesi che periodicamente si sono combattuti con le conseguenze drammatiche che noi tutti conosciamo; allora ognuno aderiva a questa idea, però nella incertezza assoluta che le cose potessero andare avanti serenamente. Passato il primo quinquennio, poi il secondo, passato il periodo transitorio durante il quale si trattava di armonizzare gradualmente le diverse situazioni interne, sono venute le prime adesioni, e nel tempo il laboratorio ha funzionato, è stata garantita la pace. Quali i due pilastri fondamentali su cui abbiamo costruito l'Europa? Le libertà democratiche e l'economia di mercato, che con le libertà democratiche corre in parallelo. Perché non è entrato il Portogallo subito? Perché non aveva queste condizioni. Perché non è entrata la Spagna subito? Perché era improponibile una domanda che non rispettasse queste due condizioni; quando si è verificata la novità democratica di Spagna e di Portogallo si è iniziata una procedura che ha portato all'ingresso nella comunità di queste due nazioni. Certo l'aspirazione nostra sarebbe che tutta l'Europa di comune civiltà, di comune storia e tradizione potesse mettersi insieme.

A. Mazowiecki

Sono venuto a questo Meeting con due sentimenti nel cuore. Innanzi tutto un sentimento di soddisfazione, per essere stato invitato a un dibattito che verte sul problema dell'unificazione dell'Europa. Sono stato lieto di costatare che venisse in qualche modo invitato un rappresentante di quella che è la seconda Europa e che di conseguenza il Meeting e questo incontro in particolare fosse la testimonianza della volontà di far sì che esista un'unica Europa; e sono lieto che esista questa volontà di parlarne se non proprio in vista immediata dell'Europa unita almeno in questa prospettiva. Il secondo sentimento è legato al titolo del dibattito di oggi: mi chiedo così se l'Europa sia un laboratorio privilegiato di pace, in quanto la penserei non tanto come un fatto ma come un compito. Non c'è pace se non c'è verità, non c'è verità se non c'è spazio per i diritti umani; è vero, viviamo da quarant'anni a questa parte in uno stato di assenza di guerra, ma per una vera pace ci vuole qualcosa d'altro. Due mesi fa Giovanni Paolo II da Varsavia dichiarava: "Se volete la pace innanzi tutto rispettate l'uomo, che è la base, il fondamento di ogni pace".

Oggi viviamo in un’Europa divisa e almeno per il momento niente sembra indicare che questa divisione potrà essere soppressa, però dobbiamo perseverare per andare oltre e oltrepassare questo stato. Una cosa fondamentale per arrivare al superamento di questa condizione è rifiutare di abituarsi all'idea che tutto questo sia normale. Perché la tentazione che spesso possiamo provare è pensare che tutto sia normale e finché non superiamo certe frontiere come quelle della Cecoslovacchia, finché non vediamo i fili spinati che cingono questi confini, finché non vediamo il muro di Berlino, siamo tentati semplicemente di non pensarci. Poi arriva Chernobyl e ci ricorda che il vento non conosce Yalta porta e lo stesso pericolo in occidente come in oriente, minacciando allo stesso modo l'Europa tutta intera. Non ci possiamo abituare a questo stato di cose, non dobbiamo accettarlo come normale. L'instaurarsi della struttura europea attuale è stato per noi sinonimo dell'entrare in un sistema che ha comportato la perdita della sovranità, dei nostri diritti, e ha determinato un dopoguerra difficile che si perpetua fino ai giorni nostri. Ma noi siamo rimasti consapevoli della nostra europeità, e per europeità intendiamo anche l'aver mantenuto e conservato come parte integrante della nostra identità quelle tradizioni comuni che sono anche le tradizioni cristiane e che ne costituiscono il fondamento. E qui va un riconoscimento particolare alla Chiesa, che in quanto depositaria di questi valori di cristianità ha saputo mantenere in noi viva la coscienza della nostra unione con l'Europa; dobbiamo riconoscere alla Chiesa il merito, in questi quarant'anni di lotte continue, di averci dato un insegnamento instancabile, paziente, perché i valori della cristianità venissero preservati. E il risultato di tutto questo è appunto la nostra cultura, una cultura che resta viva, creativa, che mantiene la consapevolezza di quei valori che sono fondamentali e che ci ricollegano all'Europa intera. Il risultato di queste continue lotte intese a costruire la soggettività della società, la sua identità, ha avuto la sua grandissima espressione nell'80-'81 con la fondazione di quel movimento che voi tutti conoscete coi nome di Solidarnosc. Io vorrei in quanto polacco, a nome della Polonia, porre a voi europei una domanda: come considerate questa nostra esperienza culturale cristiana, come un fatto meramente esotico o come un'esperienza che per i suoi valori di universalità può essere accettata, assimilata, fatta propria anche dalle vostre culture? Ecco la questione fondamentale che io sollevo: Infatti il nostro interesse non è l'isolamento totale, anzi, quello che a noi preme di più è aprire i nostri orizzonti, allargarci e aprirci all'Europa. E rifacendomi a quanto ha detto il mio predecessore a questo tavolo noi siamo lieti di instaurare contatti, incontri, con la comunità, con la gente e in particolare con i giovani, però vogliamo porre una condizione: e in particolare io auspico che questi contatti non avvengano soltanto a livello ufficiale fra stato ma soprattutto a livello sociale, perché i cosiddetti incontri ufficiali si svolgono secondo delle regole ben precise che spesso e volentieri privano questi incontri della loro autenticità, mentre è fondamentale che si instaurino dei contatti autentici; ecco perché auspico che avvengano a livello sociale, della gente, non semplicemente a livello ufficiale. In particolare ho in mente che qui in occidente si crei la possibilità di istituire, sotto l'ispirazione e il patrocinio del parlamento europeo, dei contatti, degli incontri, intesi appunto a raggiungere questo scopo di autenticità. Ovviamente non vorrei essere frainteso in quanto non sono un ingenuo e so che gli incontri al vertice ufficiale sono una cosa inevitabile e necessaria: è chiaro che debbano avere anch'essi uno spazio ma è fondamentale che a conclusione di questi incontri si instaurino anche incontri a livello sociale. Ho sentito ieri la testimonianza drammatica di Irina Ratusinskaja, qualche giorno fa ha parlato Korijagin, per quanto riguarda quello che loro hanno dichiarato a difesa dei diritti degli incarcerati dei perseguitati io non aggiungerei nulla, ma c'è un altro aspetto di cui non si può fare a meno per costruire una politica europea seria. Sono, infatti, ben consapevole che la coscienza dei diritti dei carcerati, dei perseguitati politici è ormai perfettamente radicata nell'animo di tutti voi. Ma forse una minore consapevolezza esiste per quanto riguarda altri diritti che sono pure inscindibili da questi diritti umani, quelli che io chiamerei il diritto di associazione, la libertà di opinione, in parole povere quelli che sono i diritti sociali: noi stiamo lottando perché anche questi diritti vengano rispettati. Noi europei, in particolare noi cristiani, non dobbiamo più assumere il comportamento che ci ha sempre caratterizzato, ossia un atteggiamento difensivo; dobbiamo cessare di essere difensivi e rivendicare quelli che sono i diritti sociali per l'Europa tutta intera. Se non concepiamo l'Europa nella sua interezza e se non formuliamo in modo per così dire offensivo la nostra rivendicazione dei diritti dell'uomo, non possiamo parlare di un'autentica politica europea. Inoltre un ultima riflessione; mi chiedo con timore se per caso le strade dei cristiani dell'Europa occidentale e dei cristiani dell'Europa orientale non si stiano per caso dividendo. Per quanto il tempo scarseggi e non si possa sviluppare questo argomento cercherò di condensarlo in questa unica frase. Voglio che voi tutti comprendiate che se noi stiamo lottando contro il totalitarismo del nostro paese, non lottiamo in vista di un mondo che un domani incorpori ed accetti l'eutanasia. Allora invito tutti affinché insieme andiamo incontro a questa Europa che sia la piena realizzazione dei diritti umani, la piena comprensione di quelle che sono le frontiere dell'uomo.