Domenica 23 agosto 1981
PERSONA UMANA, IDENTITA CULTURALI E COMUNITA SOCIALI
Partecipano:
Dr. Sierger Errist;
On. Carlo Casini,
Presidente Nazionale dei Movimento per la Vita;
Prof. Roberto Formigoni,
Responsabile Nazionale dei Movimento Popolare.
Moderatore
Dr. Pieralberto Bertazzi:
P. Bertazzi
Con questo primo incontro entriamo nel vivo del tema del Meeting: "L’Europa dei popoli e delle culture" e penso che attraverso questo incontro ci verrà anche data una chiave di lettura per poter meglio comprendere, gustare e apprezzare non soltanto il futuro incontro-dibattito, ma anche le mille forme attraverso le quali questo messaggio, questo discorso sull’Europa dei popoli e delle culture verrà fatto nel corso di questa settimana: mostre, manifestazioni artistiche, appelli da firmare, ecc.. Penso che, tra l’altro, gli avvenimenti di queste ultime settimane diano un rilievo drammatico ed acuto al tema che intendiamo affrontare stamani: l’Europa è stata ridefinita nei giorni scorsi su tutti i giornali come teatro di questioni decisive per l’intera umanità. Ma c’è una domanda che subito si pone ed è questa: è possibile che questo ruolo di teatro dei destini dell'intera umanità che è l’Europa si giochi sul tema degli armamenti: com’è avvenuto? La mia e la nostra risposta, penso, è no, non è certamente accettabile questo, perché corrisponderebbe ad una discussione su come tenere tra di loro lontani i popoli, le nazioni, le culture. Noi invece stiamo lavorando, e siamo qui per proseguire questo lavoro, perché questi popoli, queste nazioni, queste culture s’incontrino. Allora ci sono altri protagonisti, ci sono altri copioni che devono trovare spazio sulla scena di questo teatro che è l’Europa. E l’incontro di stamani, tra alcuni movimenti, ha proprio l'intento di contribuire a mettere in luce questi diversi protagonisti che già esistono e che sono certamente più numerosi di quelli che qui hanno potuto essere rappresentati. In fondo questo è anche l’intento di tutta la serie di manifestazioni che ci accompagneranno nel corso di questa settimana. A parlarci stamani ci sono tre relatori, cui è stato affidato un tema non irrilevante, certamente, ma, come dicevo, lo scopo di questo tema è anche di porre le questioni, perché successivamente siano sviluppate in maniera diversa e con tanti diversi strumenti. Sono con noi il dottor Sierger Errist che è membro del Sinodo protestante di Würtenberg; egli è stato candidato al Parlamento Europeo per la C.D.U. ed è presidente di un Movimento che si definisce Europäische Herz Aktion, movimento a cui partecipano molti medici, operatori sanitari e altre persone, che basa la sua azione sul tentativo di ristabilire, contro una visione materialistica della persona umana e dei rapporti tra gli uomini, una visione di tipo diverso, anche con azione contestativa e critica nei confronti dei fenomeni o avvenimenti che sono recepiti come contrari al valore e alla dignità della persona umana, come l’aborto e molti altri. Il dottor Ernst che ha avuto anche una lunga vicenda personale sulla quale sì intratterrà - è passato anche attraverso la prigionia nei campi nazisti - ci parlerà quindi di questo tema della persona umana, dell’identità culturale, della comunità sociale a partire dalla sua esperienza personale e a partire dall’esperienza dei movimenti a cui appartiene. Il dottor Carlo Casini, deputato al Parlamento, leader dei Movimento per la Vita, movimento nato su una questione particolare ma che ha ben presto saputo non solo cogliere, ma anche esprimere, il suo interessamento profondo per il tema della persona, del suo diritto di essere in dall'inizio riconosciuta, rispettata e valorizzata nella sua unicità e nel suo valore. Il terzo intervento sarà svolto da Roberto Formigoni responsabile dei M.P., movimento che è tra gli organizzatori di questo Meeting e che è da alcuni anni nel nostro paese impegnato in un’azione a livello sociale, a livello di base, proprio su questi temi, in maniera, direi, molto specifica e particolare. La sua azione si fonda su questo valore riconosciuto della persona, della sua identità culturale, a partire dal qual è possibile impegnarsi per costruire dentro la nostra società delle comunità che siano riconoscibili come luoghi in cui è possibile vivere e non soltanto come luoghi in cui si viene catalogati da un potere che è al di fuori di noi. Obiettivo di quest’incontro, infine, è non solo quello di mettere in luce alcune questioni, ma anche, coi contributo di tutti, di lanciare seppure in termini essenziali, una proposta di lavoro, per il futuro, una proposta d’impegno per la difesa dei diritto della vita, per la pace, per un’autentica giustizia, per un diritto - perché anche di questo oggi bisogna parlare - che è l’amore della verità, per la sviluppo una diversa qualità della vita, che elimini ogni discriminazione a causa della fede, della religione e dell’etnia. E seppure in maniera non clamorosa, già l’elenco dei partecipanti a questo dibattito vuole essere il segno di un’apertura che è basata non sulla dimenticanza di chi è ciascuno di noi, ma proprio sull’amore alla propria persona, alla propria identità culturale e alla propria comunità sociale. Su queste tre parole noi crediamo che si possa iniziare e possa essere incanalato un discorso che vada al fondo delle questioni che oggi dobbiamo affrontare noi, come abitanti di quest’Europa, se il nostro obiettivo è - e siamo qui esattamente per ribadirlo - quello di una possibilità d’incontro, di collaborazione, di vita comune tra i popoli proprio perché ciascuno è se stesso, proprio perché siamo diversi. Il nostro tema è cogliere e capire a fondo che la persona umana è il valore che solo può stabilire la giustizia d’ogni tipo di convivenza, che l’identità culturale è un fattore fondamentale da riconoscere se si vuole giungere ad un'unità e anche ad un incontro, e che questo è il fondamento sul quale una comunità sociale può nascere su basi rinnovate. Al termine degli interventi dei tre relatori che apriranno quest’incontro-dibattito è aperta la discussione o la possibilità di intervenire da parte dei pubblico.
E. Sierger:
Grazie per la meravigliosa accoglienza che mi avete riservato. Vorrei dalla Germania cercare di portarvi saluti un po’ diversi rispetto a ciò a cui siete abituati voi a Rimini, dove, purtroppo, numerosi tedeschi non offrono altro se non il loro denaro e la loro cupidigia d’immoralità e di piacere. Ho vissuto l'epoca dopo la prima guerra mondiale come un giovane tedesco molto cosciente. Dopo la disfatta della Germania in questa guerra ho visto le umiliazioni dei trattato di pace, l’inflazione, l’occupazione della Renania e della Ruhr da parte dei Francesi, il terrore interno che allora praticamente era ciò che vediamo oggi in Italia oppure, in misura crescente, anche in altri Paesi europei e persino in Svizzera. Allora, numerosi di noi ammiravano Mussolini e la sua rivoluzione fascista in Italia. Il suo esempio ebbe parte decisiva nell’insorgere dei nazional-socialismo che si diramava comunque in due parti, due componenti. A quell’epoca, nel 1932, la Germania contava 7.500.000 disoccupati, il partito comunista era molto forte, come ora in Italia e sapevamo che una rivoluzione comunista significava un assassinio in massa, come lo abbiamo potuto vivere a distanza in Unione Sovietica. Solzenicyn nel suo libro "Arcipelago Gulag" parla di una cifra di 66.000.000 di morti che costò questo sistema. Le tre ideologie materialistiche scaturite dalla crisi economica dei mondo liberistico-capitalistico dopo il crack di New York, i comportamenti nazionalistici dei nostri vicini dopo la guerra, come pure il comunismo minaccioso alle frontiere, furono altrettante cause per l’insorgere di ciò che io chiamo il socialismo di razza. Hitler s’impose, infatti, con l’appello ad una razza e ad un tipo d’uomo, facendo intervenire i fattori positivi dei socialismo in queste ideologie. Comunque si è distinto per questi fattori sociali e biologici rispetto al fascismo italiano. Oggi si può dire che in Germania il nazionalsocialismo è morto, però il socialismo di razza, in Cina e in numerosi paesi africani, è ancora un’ideologia. Se avrà gli stessi effetti un giorno sul mondo, come li ebbe quell’epoca da noi, solo l’avvenire potrà, dirlo. Io ho timore, se noi europei non riusciamo in tempo a tornare al nostro retaggio spirituale e cambiare in qualche modo la direzione presa. Non è la prima volta nella storia che delle idee provenienti dall’Italia arrivano in Germania, anche perché i nostri popoli vivono uno scambio vivo, positivo e negativo, sia nelle idee che nelle merci e i nostri popoli hanno vissuto insieme parecchie lotte. Oggi vorrei parlarvi di tre personalità, che hanno avuto un influsso enorme, anzi, hanno deciso l’avvento della cultura in Germania e che influirono in tal modo sull’Europa intera. Il primo è Sant’Agostino, che visse quando l'impero romano volgeva al termine. Praticamente anche allora, come ora, i cristiani erano sperduti e scoraggiati e quindi portavano la responsabilità della caduta dell’impero romano; ed è in quest’epoca che S. Agostino scrisse le sue opere principali, ossia "Le Confessioni" e "De Civitate Dei". Ambedue queste opere guidarono il pensiero dell’Europa, perché, da Carlo Magno fino all’imperatore Enrico IV, dall'800 al 1056, servirono di base a ciò che è stata poi l’ìEuropa, a ciò che diventerà l’Europa d’oggi e a ciò che viviamo oggi ancora. La seconda personalità di cui vorrei parlare è Benedetto da Norcia che, nel caos delle migrazioni, con il suo motto "Ora et labora" e con la formazione di monasteri come centri di cultura, ha mostrato la via dell'avvenire. In particolare Cluny in Francia e Reichenau nella Germania dei sud-ovest hanno avuto, dopo Montecassino, una parte decisiva in questa evoluzione positiva dell'epoca. E poi venne San Francesco d’Assisi. Quando l'idea di questo stato di Dio, tramite le lotte tra gli imperatori ed i papi, praticamente e diventata inapplicabile ed è stata usata a sproposito semplicemente per giochi di potere e lotte intestine, San Francesco ha testimoniato il Vangelo nella sua forma più radicale. Anche in Germania, in particolare nelle città libere, questa sua influenza è stata decisiva tramite gli insegnamenti e gli insediamenti dei monaci e della Chiesa. Il pensiero della Città di Dio è diventato praticamente un esempio per i Comuni ed ha portato, fra le altre cose, alla realizzazione delle cattedrali di Dio, dei conventi in queste città. Io credo che facilmente nella nostra storia comune possiamo ritrovare l’effetto, le conseguenze delle idee sui nostri destini e le possiamo riconoscere come impronta sul mondo. La domanda è solo: dove sono oggi gli Agostino, i Benedetto e i S. Francesco, Chiara, Caterina ed Elisabetta? Perché lo sentiamo, lo sentiamo tutti, abbiamo bisogno di un miracolo, il miracolo della nuova ispirazione, dei completo rovesciamento, della purificazione. E' un’operazione, un intervento molto importante, se pur decoroso, perché il cancro della società va sradicato almeno nelle sue radici più importanti. Perché ciò che vale per il cancro nella vita, vale anche per quell'energia che si moltiplica e che potrebbe anche essere descritta come una cellula sessuale che cerca di avvelenare l’organismo intero per il tramite di una falsa tolleranza. Questo vale dicevo, anche per il cancro, il cancro della società con lo scatenamento della sessualità e dei terrore. C’è una risposta, oppure la cultura europea, come tante altre culture dei passato, ormai è condannata dalla rivoluzione sessuale e dall’anarchia a perdere ì suoi modelli e quindi a scomparire? Perché anche il cancro comincia con la distruzione dei modello atomico, dei modello esatto, di ciò che è chiamato l’informazione, informazione che è contenuta nel nocciolo stesso dei miliardi di cellule che compongono un organismo. Il ristabilire questo modello per l’Europa è quindi il presupposto per la sua stessa salvezza. Lasciatemi ancora rapidamente parlare della mia storia personale, a mo’ d’illustrazione. Come studente nella Germania nazionalsocialista ho conosciuto studenti in Inghilterra e in Svizzera che in quell’epoca pensavano ad uno stesso tipo di movimento qual è oggi il movimento Comunione e Liberazione. Due linee di condotta erano facili da enucleare; anzitutto la prima: se Dio esiste ha un piano per la mia vita e per la vita dei mio popolo e per la vita della terra. Con Dio, secondo punto, e con i suoi piani non si può barare, si tratta qui dell’obbedienza al cento per cento; è il cercare di armonizzare la mia vita con regole morali assolute e regole di comportamento altrettanto assolute. Quindi un rigore assoluto, una purezza assoluta, un dimenticare se stesso e un amore infinito e assoluto. Inoltre, quando si vuole cercare di seguire Dio nei suoi piani e nella sua ispirazione, ogni giorno e ogni minuto, il nostro cervello, il nostro spirito, la nostra vita, quindi per esprimerci in un linguaggio più moderno, il nostro computer personale, va ripulito di tutti i programmi falsi e fallaci. Sapete come si cancella da una videocassetta un programma mai registrato? Lo si fa ripassare indietro e tutta la programmazione negativa viene cancellata semplicemente schiacciando un tasto. Il problema, oggi, la domanda è: come possiamo cancellare questi programmi fallaci e così lavorare all'evoluzione positiva della storia europea dei suoi popoli, cancellare nella memoria di questi popoli le cose negative per arrivare a programmi positivi, a trovare una nuova fonte d’ispirazione? Dio conduce gli uomini europei, i popoli europei e quindi, anche per il mondo intero, tutto ridiventa possibile. Quando io sono chiamato a dare una risposta sulla situazione attuale, e tale situazione l’ho già vista nei passato, prima della guerra, mi devo decidere, devo fare la scelta di dare, di offrire la mia vita intera a Dio. E questo per me, come protestante, significa che devo essere pronto a ripulire tutte le cose dei passato, dell’io passato che sono stato e ripartire da zero. E questo attraverso Cristo. Se questo è vero, cioè se è vero che un programma errato e fallace nel nostro cervello, nella nostra vita, cioè il peccato, può essere cancellato, che Dio perdona se c'è la purezza e la sincerità e se vogliamo veramente ripulire e purificare le cose, questa esperienza deve essere reale, effettiva, almeno altrettanto quanto effettivi e reali sono i programmi fallaci che sono stati istallati nella nostra testa. Sono felice di avere fatto quest’esperienza e dobbiamo cercare insieme di portare questo messaggio a professori, studenti e anche a tutti quelli che sono chiamati a funzioni direttive, in Germania o altrove. Con la guerra viene la catastrofe; dopo la guerra però avevamo un messaggio da portare per la ricostruzione dell’Europa intera. Organizzavamo allora la conferenza mondiale, quella per una ripresa morale e spirituale; in Svizzera, a Coira, incontravamo anche italiani e insieme abbiamo gettato le basi decisive per ciò che Schuman e De Gasperi con Adenauer volevano fare dell’Europa. Questi basì decisive, queste fondamenta sono state gettate a Coira. In particolare la riconciliazione franco-tedesca, alla quale abbiamo contribuito in modo efficace, cominciò allora e veramente abbiamo chiesto perdono per tutto ciò che il nostro nazionalismo ha potuto fare contro gli altri popoli; i tedeschi si scusano nei confronti dei francesi, come i francesi si scusano nei confronti dei tedeschi. La riconciliazione fu la stessa con olandesi, inglesi e persino con la Polonia. E questo eliminare le vecchie colpe, fare una tabula rasa dei passato, delle colpe, ha creato una nuova fiducia sulla quale appunto noi abbiamo potuto costatare la verità di questo assioma: che Dio guida in numerosi casi, persino nei dramma, persino negli eventi più drammatici. Ero pronto in qualità di studente a dare la mia vita per queste idee e sono stato punito tre volte, li, dove c’erano i caduti, sono stato punito per la mia resistenza. Questa è stata la causa; l'aver visto i massacri d’ebrei, di feriti, e d’altre popolazioni civili. Se non avessi saputo e imparato a quell’epoca come si può ascoltare Dio e come si può dare alla sua mente una via univoca, se non avessi ripulito e purificato il mio computer personale, oggi, ve lo dico, non sarei in vita. L’ho potuto vedere in tanti posti concreti, effettivi, ho potuto vivere, costatare, che Dio guida se l’uomo ascolta e accetta veramente ciò che Dio vuole. Sono particolarmente felice oggi di vivere questa nuova fase, questo nuovo corso dello sviluppo in Europa, soprattutto tramite la riforma che è stata apportata al ministero di Pietro, avvenuta a Roma. Ho il grande onore e la grandissima gioia anche, di essere stato accolto dal Papa Paolo Vi in udienza speciale a Roma; a quell’epoca lottavamo insieme in Europa contro la pornografia e da allora ho potuto incontrarmi tre volte con un altro Papa, con il nuovo Papa. Forse voi in Italia non percepite quest’aspetto altrettanto chiaramente come noi in Germania, il significato dei gesto di Giovanni Paolo I che volle lasciarsi incoronare non con la tiara, ma soltanto con la mitria, perché voleva essere semplicemente il pastore, avere tutti i simboli dei pastore e rinunciare a quelli della potenza. Il secondo passo è stato nominare un Papa non italiano, un polacco e in questo modo liberare nuovamente la Chiesa da ogni aspetto di una qualsivoglia priorità nazionale. Quindi questo Papa, come tanti cristiani hanno recepito, venuto in Germania il 15 novembre dell'anno scorso, anche per noi protestanti è diventato la prima voce della cristianità e vediamo in lui la personalità che ora può combattere il materialismo dell’Ovest e dell’Est e questo alla testa della cristianità in una nuova forma, con una nuova ispirazione spirituale. Il Papa Giovanni Paolo lì ha iniziato questa lotta con grande passione per preservarci da una catastrofe, senza nessuna divisione militare, senza nessuna arma bellica, sfruttando semplicemente la situazione ideologica e politica dell’Europa, in particolare della Polonia. I colpi che avrebbero dovuto raggiungerlo, colpirlo, ferirlo non erano frutto dei caso; sono il simbolo, il segno che entriamo in una nuova fase, nella quale le aspirazioni di potenza degli stati colpiscono la potenza spirituale che sta nel trono di Pietro, la sua autorità, perché il Papa non è lì soltanto per conservare una Chiesa, ma per trasmettere il messaggio dei Vangelo affinché questo possa cambiare il mondo; quindi potrebbe diventare un pericolo per tutti coloro i quali vogliono guidare, pilotare, portare il mondo alla catastrofe. E dunque si spara su un uomo di questo genere, su tutti gli uomini di questo genere. C’è quindi un’immagine satanica, una rappresentazione che sta dietro a tutto questo.
Quando in mezzo alla piazza di San Pietro, fra i bambini, davanti agli occhi di tutta la terra, è stato colpito, questi colpi ci hanno raggiunto tutti. Si è compiuto ciò che ha detto Paolo; ciò che mancava ancora alla passione di Cristo; il successore dell'apostolo Pietro è diventato il rappresentante di Cristo nel dolore davanti agli occhi dei mondo intero e della cristianità intera. Il fatto che l'attentato non abbia ucciso e che la pistola dell'attentatore si sia inceppata ci mostra la dimensione estremamente elevata di questa lotta senza esclusione di colpi, di cui ognuno di noi può costatare la forza perché è stato deciso di attuare i piani di Dio oggi. Siamo sotto la protezione, la guida di Dio onnipotente e nessuno può fermare un movimento così ispirato, nessuno può fermarci. Grazie.
C. Casini
Vi ringrazio per quest’applauso d’incoraggiamento che è motivo per me di riflessione. Ieri sera all'inaugurazione ho sentito fare un riferimento tra il tema di questo Meeting, anzi il tema generale dei Meeting di Rimini "L’amicizia fra i popoli" e la situazione presente nel mondo. E’ stato detto che si tratta di un Meeting, di un incontro estremamente attuale e, direi, provvidenziale in un momento in cui la tensione bellica, la paura della fine dei mondo, è tornata d’attualità. E allora io vorrei svolgere le mie riflessioni proprio partendo da questo. Mi è venuta in mente un’espressione di La Pira che, mi pare, nel ‘58 a Mosca, al Cremino, tenne un discorso sulla pace. Non sono sicuro di ricordare bene l’anno, ma sono sicuro dell’espressione che è rimasta nella mia memoria come in quella di molti. La Pira indicava l’epoca presente come quella dei crinale apocalittico della storia, cioè la nostra epoca sarebbe l’epoca definitiva; da una parte, diceva La Pira, la distruzione definitiva dell’uomo, cioè il fallimento della storia, il naufragio; dall’altra quella che lui chiamava l’epoca millenaria della pace, dei cannoni cambiati in vomeri; egli usava l’espressione biblica "Il sentiero d’Isaia"; è il titolo di un libro pubblicato di recente che raccoglie molti scritti di La Pira su questo tema. La Pira pensava, quando usava quest’espressione "crinale apocalittico della storia" alla possibilità di una guerra nucleare totale e non c’è dubbio che noi non possiamo fare della retorica su questo, perché questa sola possibilità è il segno di un’equivocità ultima della storia, di un accumulo ultimo delle possibilità di bene e di male che si sono trascinate nel corso dei millenni. E’ come se il loglio e l’erba, che nella storia si sono accumulati senza riuscire mai finora a sopravanzarsi l'un l’altro, avessero raggiunto in questo nostro tempo la possibilità di dire la parola definitiva, l'uno o l’altro. E questo non è un pensiero peregrino; Giovanni Paolo Il nella "Redemptor Hominis" ha sottolineato questa equivocità ultima della storia quando ha usato l’espressione della caducità della creazione; l’uomo che sembra aver raggiunto la signoria su ogni cosa, la capacità di dominio sulla terra che gli era stata promessa all’inizio e che, contemporaneamente, vede come sfuggirgli tutte le cose di sotto le mani. Segno di caducità della creazione sono il riarmo, le guerre che zampillano qua e là, il disastro ecologico, l’aborto stesso, dice Roberta Henneis. Ma questo segno dell’equivocità ultima, questo crinale apocalittico della storia, ecco cerco di avvicinarmi al tema d’oggi, credo che prima di passare attraverso le cose che si vedono, passi attraverso le cose che non si vedono, nel pensiero dell’uomo, nella cultura. E qui mi sono segnato una frase che anch’essa, secondo me, indica le caratteristiche di questa nostra epoca. E’ un pensiero che Huizinga in un volume "La crisi della civiltà" ha scritto nel ‘37 alla vigilia dell’ultima conflagrazione mondiale, dove appunto indica nel pensiero la radice della crisi. Scrive Huizinga: "Vediamo come quasi tutte le cose che altre volte ci apparivano salde e sacre si siano messe a vacillare; verità e umanità, ragione e diritto. La rimbombante macchina dei nostro tempo formidabile sembra in procinto di incepparsi; ad un tratto ecco affacciarsi la tesi opposta, mai vi fu un'epoca in cui l’uomo sia stato così autorevolmente cosciente dei suo compito di collaborare al mantenimento e al perfezionamento dei benessere terreno e della cultura". Ora questo senso dei tempi ultimi a me pare la caratteristica di questa nostra epoca moderna e caratteristica soprattutto della cultura europea. Naturalmente, lo dico sempre, non sono un filosofo, non sono un teologo, ma bisogna pure azzardare quando si cerca di interpretare, di capire. E allora, sia pure rendendomi conto dell’azzardo, a me pare di dover dire che al fondo di molti sistemi politici che hanno rivoluzionato questa nostra epoca c'è questa convinzione della stagione ultima, della necessità di ricominciare dall'anno zero, di portare il Paradiso in terra; c'è in sostanza il bisogno dì un infinito reso attuale e non più vissuto come nostalgia, come attesa. Si ricerca la soluzione finale (parola tragica); ricordate l’annuncio al Reichstag di un regno millenario, oppure la cultura marxista che giudica tutta la storia precedente come preparazione dell'anno zero della storia. Il fallimento di questa idea è sotto gli occhi di tutti, il naufragio di questo progetto e l’antitesi dell’esaltazione è la disperazione. Credo che nel pensiero europeo che ha guidato quello mondiale e moderno sia sempre presente il senso di morte, dell’insicurezza su qualsiasi concetto e su qualsiasi valore, sulla libertà, sulla ragione, sulla giustizia, su che cos’è l’uomo, che cos’è il diritto, che cos’è la ragione. Ho sentito dire una volta, e l’immagine mi parve esatta, che il protagonista dei romanzo di Kafka "Il castello", che gira per questa città cercando l’indirizzo di un luogo che mai non trova, è veramente il simbolo, l’immagine più penetrante dell’uomo moderno. E credo che, in fondo, a questo si colleghino i disagi dei giovani d’oggi in tutto, perché, quando non si sa più dove andare, quando si ha il senso del naufragio, o si nasconde la disperazione attraverso il grido, la rivolta, oppure si cade nella solitudine, nell’autodistruzione. Credo che se gli striscianti di questo stato d’animo possano essere considerati da un lato il terrorismo – l’esaltazione, il grido -, dall’altro la droga – l’autodistruzione, la disperazione. E vorrei, per concludere questo punto preliminare, dare proprio il senso drammatico di quest’equivocità della storia, forse l’ultima, non per disperarci anche noi, ma per, come dire, sentire il senso della grandezza del nostro compito. Tanto la storia è nelle nostre mani, cioè è sotto il segno dell’equivocità perché dipende da noi, che dobbiamo leggere nel Vangelo quella terribile, misteriosa frase: al Figlio dell'uomo quando tornerà alla fine dei tempi, troverà ancora la fede? E allora dobbiamo trovare una risposta: la prima risposta, per parte mia, la mia riflessione è questa, è il primato della cultura, il primato del pensiero. Credo che uno degli aspetti di quest’equivocità ultima di questo confronto ultimo, nasca anche da questo: per anni ed anni, per secoli, per millenni, l’uomo è riuscito ad ottenere, a realizzare i suoi scopi attraverso le cose, attraverso le strutture, attraverso l’ìuso della forza, dell’organizzazione; la tecnica è stata lo strumento, la tecnica sociale (Machiavelli), la tecnica materiale, per dominare le leve dell’economia, è stato lo strumento attraverso il quale l’uomo ha perseguito i suoi obiettivi di crescita umana. La mia sensazione è che questo oggi non è più possibile, uno dei motivi di crisi nasce proprio da questo, cioè dalla sensazione che le cose, le strutture non bastano più. Possiamo fare un paio d’esempi ricollegandoci a ciò che dicevo all'inizio: la guerra, la guerra finale, il disarmo. Bastano le strutture, basta il bilanciamento delle forze, basta l'equilibrio del terrore, siamo certi che questo ci garantirà la pace? Possiamo immaginare che ancora, diciamo fra 500 anni - vogliamo mettere un termine ultimo, lontano, fra 500 anni - se qualcosa non cambierà - parlo dei rapporti fra i popoli, del riarmo, degli arsenali militari - se qualcosa non cambierà, non sarà scoppiata questa guerra ultima; è possibile, ma che cosa potrà cambiare quando la corsa al riarmo nasce soprattutto dalla sfiducia, dall’impossibilità di guardarsi negli occhi, dal non fidarsi l’un l’altro, dal non avere, alla fine, valori comuni? E’ ormai chiaro allora che il pensiero, la cultura, le idee hanno la loro responsabilità primaria; di esse c’è bisogno non più come strumento consolatorio, strumento personale per dare alla propria personale vita una consistenza ed una tranquillità, ma c’è bisogno per il progresso della società umana, dei popoli, delle collettività perché queste continuino ad esistere, a crescere. Vogliamo fare un altro esempio? Pensiamo davvero che sia possibile battere il terrorismo moltiplicando le forze di polizia? Io sono stato relatore su due decreti anti-terrorismo, quindi so che questo ci vuole, ma non basta. Non potremo trasformare gli Stati in caserme di cui metà dei cittadini fanno i vigilanti e metà i vigilati; occorre anche qui ricostruire un tessuto ideale di fondo, ricostruire un’integrità del pensiero, senza il quale non riusciremo ad uscire da un tipo di guerriglia che non è controllabile perché può sorgere ovunque, in ogni luogo quando meno te lo aspetti. Dico cose nuove? Voi non avete applaudito la mia frase precedente, avete riconosciuto in voi stessi la verità che il Vangelo ci ha annunciato: "Non abbiate timore di ciò che esce dall’uomo", perché è lì la radice. Abbiamo attraversato epoche storiche in cui i valori ideali, i valori dei pensiero, i valori della cultura, se vogliamo i valori religiosi, non sono serviti a questa promozione umana, riconosciamolo. C’è dei vero in quella terribile frase per cui la religione è oppio dei popoli, tipica della cultura marxista. E’ stato teorizzato: la religione strumento di dominio, "instrumentum regni". Quest'epoca è finita; la sensazione oggi di fronte a questo spartiacque apocalittico della storia è che ogni garanzia di progresso e di liberazione - la Polonia insegna - passa attraverso un recupero di cultura, un recupero dei pensiero. La Pira ha scritto in "Premesse della politica" - scriveva alla fine della seconda guerra mondiale -: "Al fondo d’ogni assetto politico ed economico, d’ogni civiltà vi è un’idea, vera o falsa che sia". Proprio l’opposto dei materialismo storico, questa idea riguardala struttura dell’uomo. E allora ecco l’altro pensiero che voglio offrire alla vostra discussione. "Crinale apocalittico della storia" era l’idea, primato dei pensiero, della cultura, dei valori era la seconda idea, la terza è: primato della persona umana, primato dell’uomo. La Pira ancora nel volume "II valore della persona umana" scrive: "La concezione dell’uomo è il perno al quale si cerca di equilibrare le forze attualmente scomposte dei mondo umano; le forze dell’economia, dei diritto, della politica, della cultura, cercano di comporsi in un equilibrio nuovo, ma questa composizione è in funzione di una data concezione dell’uomo". E allora ecco la crisi ultima. Per uscire dall’equivocità ultima della storia dobbiamo sapere chi è l’uomo, dobbiamo recuperare l’uomo; questo è il punto di partenza, il punto d’inizio. C’è uno scritto, mi pare di Capograssi, Al diritto dopo la catastrofe; la catastrofe è l’ultima guerra, quindi abbiamo già alle spalle un'esperienza, non è che noi parliamo fantasticando. Scrive Capograssi: "Alla base della catastrofe vi è una falsa concezione dell’uomo e della sua vita". E quando alla fine dell’ultima guerra i filosofi - io sono un uomo di diritto e devo soprattutto riferirmi ai filosofi dei diritto - cercarono di ristabilire in tutta Europa, ancora una volta, il punto di partenza per ricostruire un diritto dell’Europa, partirono dalla constatazione della crisi; le leggi, il diritto, non erano serviti ad evitare la catastrofe, anzi erano stati utilizzati per determinare la catastrofe, non a caso le leggi razziali erano leggi. E allora, riprendendo un pensiero di Rosmini, quei filosofi dell’immediato dopoguerra trovarono alla fine, fra tanto relativismo e incertezza, l’accordo fra loro: l’uomo è la sostanza dei diritto, l’uomo è il centro, il messaggio costante, incessante di Giovanni Paolo li; un messaggio soltanto religioso? No, un messaggio in cui oggi c’è una fame essenziale per il progresso e la crescita. Ma quale uomo? Chi è l’uomo, chi ci dirà chi è l’uomo? Jacques Catali, un economista francese, ha scritto su Le Figaro. Magazine, del febbraio di quest’anno, in modo estremamente lucido, quale sia sul concetto d’uomo lo spartiacque culturale che dobbiamo conoscere. J. Catali scrive: "ormai è chiaro che il futuro dell’economia in Europa ha bisogno dell’eutanasia. Io sono socialista - scrive - e l’idea dei socialismo è la libertà. Ora il fondamento della libertà è la facoltà del suicidio. Il diritto al suicidio sarà la grande battaglia degli anni futuri". Una frase terribile che qualche volta fa sorridere, tanto sembra lontana dalla nostra tradizione, dalla nostra cultura, eppure se voi pensate, non esiste risposta accettabile convincente a questa libertà estrema che arriva alla scelta di esistere o non esistere, se non la fondiamo, se non sappiamo chi è l’uomo, qual è la struttura dell’uomo, come dice La Pira. Anche qui non dico cose mie; dice Capograssi che per comprendere l'uomo bisogna comprendere il valore della vita. Ecco la quarta idea, ecco l’impegno per la vita. Discorso settoriale? Discorso marginale? No, discorso centrale, non periferico, discorso politico centrale, discorso culturale centrale. Scriveva Capograssi, sempre esaminando la catastrofe, l’esperienza attraverso la quale siamo passati: "Dove sta l’inizio? Sta in una falsa concezione dell’uomo, inteso com’entità disponibile, capacità d’obbedienza, forza passiva, valore solo in quanto funzione, non fine. Il male consiste nel venire meno dei valore della vita". E allora ecco perché ho iniziato questo mio intervento che adesso devo cercare di concludere, dicendo che il vostro applauso mi ha dato motivo ulteriore di riflessione, come ieri sera dei resto. Ieri sera, quando fu annunciata la mia presenza qui tra voi, voi mi applaudiste e, come al solito, io resto in quei casi commosso e carico di responsabilità, però non è che vi ringrazio, perché credo che voi abbiate con questo applauso non tanto applaudito me, quanto, in qualche modo, voi stessi, o meglio le vostre idee, il vostro pensare, la vostra cultura, il vostro impegno, le vostre energie, la vostra speranza. Questo volete esprimere, io sono convinto. La vostra speranza che avessi finito però andrà delusa, perché ho ancora da dire due parole. Le due parole che cercherò di esprimere in forma sintetica sono ancora queste: il dottor Errist nella sua relazione ha indicato due segni di rinnovamento con particolare riferimento alla Chiesa.
Ha detto che Giovanni Paolo I ha abbandonato la tiara, che Giovanni Paolo Il è un polacco eletto da una maggioranza di vescovi italiani; essi sono il segno di qualcosa che cambia. Io vorrei aggiungere - scusate, ognuno parla delle sue cose e dà testimonianza delle sue esperienze - un terzo segno di rinnovamento, secondo me ancora più marcato. Che cosa vuoi dire - naturalmente è un simbolo, lo indichiamo non come gesto della persona, ma com’esigenza di una comunità, di una cultura, di un'identità culturale di un popolo - che cosa vuoi dire abbandonare la tiara? Vuoi dire non cercare più il dominio, ma il servizio. Che cosa vuoi dire un Papa polacco, simbolicamente? Vuoi dire l’unità fra tutti. Qual è infine il X segnale? L’impegno per la vita è il X segnale di rinnovamento. Tutto sconsiglierebbe dall’intraprendere un impegno di questo tipo, sicuramente minoritario nei numeri, sicuramente dannoso dal punto di vista politico; ma non sono in gioco questioni di potere, è in gioco l’uomo. E allora, se la scelta è quella dei servizio, se la scelta è quella dei disinteresse e della povertà, di una cultura che non diventa strumento di dominio, ma che diventa servizio e ricerca di un’unità che sia fondata sulla roccia, cioè sul valore della persona umana, allora il X segno di rinnovamento è questa capacità d’impegno, nonostante tutto, per l’uomo. Il tema della vita è un punto di partenza, un segno di rinnovamento; tanto più va ripetuto in questo momento in cui di rinnovamento si parla da molte parti. Quel complesso d’energie, d’ideali, di speranze che voi avete espresso non possono essere messi tra parentesi, non possono essere dimenticati, sono molta potente di rinnovamento, e non solo rinnovamento grettamente considerato di una realtà particolare o di una nazione, ma è un problema che sta sul sentiero apocalittico della storia, che riguarda il mondo, cioè il concetto d’uomo. Perché - qui davvero vorrei concludere -, noi possiamo anche constatare il fallimento, poiché la caduta è una realtà sempre presente nella storia. In fondo questo trovarsi nel momento in cui le potenzialità finali di bene o di male si scontrano, è in qualche modo il risultato dei fallimento di cinque secoli di storia europea; la storia europea nasce in nome dell’uomo, nasce nel nome della ragione; tutti gli "ismi" che hanno contrassegnato la cultura europea, umanesimo, razionalismo, positivismo, scientismo, illuminismo, hanno come valore l’uomo e come strumento la ragione e adesso ci troviamo su un crinale apocalittico in cui la città dell'uomo rischia di essere definitivamente distrutta e dove la ragione sembra avere smarrito se stessa. E allora possiamo scoraggiarci per un impegno - quello della vita in tutta Europa, non parlo solo dell’Italia che sembra aver dato finora risultati deludenti? Non è questo il problema; la vita è il senso della storia, la difesa dell’uomo, la ricostruzione dei valori ideali e il senso della storia e la battaglia che noi abbiamo intrapreso ha questo di grande: la sua capacità di mettere sigillo sull’uomo, perché nessun'altra battaglia, o per lo meno poche altre battaglie per l'uomo, hanno a mio avviso questa capacità espressiva: che solo l’uomo è il fine. La guerra? La guerra va combattuta e la pace va cercata, anche perché i nostri stessi personali interessi sono in pericolo. Chi ci garantisce circa la purezza dei valore perseguito? L'elevazione dei popoli oppressi, la lotta contro la fame? Anche qui l’interesse si mescola coi valore perché i popoli affamati diventano ribelli, fanno le rivoluzioni, possono gettare l’insicurezza sulle mie tranquillità. Chi distinguerà ciò che è puro da ciò che è meno puro? E invece, come abbiamo visto, i valori stanno alla base ormai della garanzia di pace e di crescita per il futuro.
E allora questa nostra proclamazione dei diritto alla vita nel punto in cui nessun interesse spinge a difenderlo è il punto di partenza, è la garanzia di un impegno per l’uomo, di una cultura per l’uomo che ormai ha un significato planetario e che risponde ad un'esigenza che investe l’economia, che investe il lavoro, che investe la cultura, che veramente può essere rinnovatrice. Il vostro applauso vuol dire allora fiducia in voi sessi e in queste idee. Chiuderei con un pensiero di Sturzo in "Lettere dall’esilio", agli amici; è un, - pensiero che si può riferire a noi, si può riferire a me, si può riferire ai cattolici in Italia, si può riferire alla cultura europea che sta ricercando se stessa. Scrive Sturzo il 18-1-1926 - e con questo chiudo -: "Riconosciamo che sul terreno politico abbiamo perduto, non è questo un segno che abbiamo fatto male, è solo il segno che non avevamo forza od arte per guadagnarci la vittoria. E’ vile chi è convinto della bontà delle proprie idee ed abbandona il campo per debolezza o mancanza di fiducia, pazienza e costanza, anzitutto fiducia".
R. Formigoni
La premessa che voglio fare è che questo mio intervento sceglie come interlocutore in maniera specifica l’uomo europeo, ogni uomo europeo e non solo noi italiani, anche se qui siamo in maggioranza italiani. E sceglie come interlocutori non solo i cristiani, anche se, siamo cristiani sia pure di diversa confessione quanti sediamo dietro questo tavolo, ma sceglie come interlocutori tutti coloro che hanno a cuore il destino dell’uomo, l’amicizia tra uomini e popoli, sebbene anzitutto il compito che intendo esporre è un compito che sento dobbiamo assumere noi cristiani. Entrando nel vivo dei mio intervento, io vorrei partire con questa osservazione: l’uomo europeo moderno si trova oggi di fronte a due conti che non tornano, a due fatti che non quadrano, che non vanno così come si aspettava andassero. Due conti che non tornano e che per ora prendiamo in maniera distinta, separata, perché separate sono le scienze che studiano questi due campi, anche se in realtà poi vedremo come sono molto collegati tra di loro.
1) il "resto" religioso.
Il primo conto che non torna è costituito dalla presenza di un resto religioso, che non doveva esserci a partire dalla concezione moderna del progresso, sia visto in modo meccanico che dialettico. Questo resto, inoltre, anziché essere di un’entità a destra della virgola, si trova oggi ad aumentare considerevolmente sulla sinistra, cosa per cui non si può solo parlare di un "resto" dato dalle imperfezioni e lentezze di uno sviluppo, ma di una mai dissolta e oggi rinnovata presenza dei religioso nella vita dell’uomo e dei popoli. Molto più che la presenza di guerre e rivoluzioni religiose, che non sono di per se garanzia di un vissuto religioso, ciò che rende imponente questo "resto" è l’applicazione con cui i regimi di grandi potenze e piccoli Paesi, dentro e fuori l’Europa, si sono adoperati a dissolvere la dimensione religiosa e la sua espressione civile. Quando in questo Meeting parliamo d’Europa, è necessario ricordare che non intendiamo soltanto la Comunità Economica Europea (CEE) ma l’intera Europa dagli Urali all’Atlantico, dal Baltico al Mediterraneo. Va aggiunto che - proprio in quest’area geografico-storica - contro la dimensione religiosa dell’uomo, non si sono solo applicati i regimi politici, ma anche i regimi culturali dall’illuminismo in poi, avvenimenti questi capaci di determinare tanto il sentito culturale quanto il modo di gestire il potere. I tentativi di liberazione dal religioso, anziché affrancare l’uomo dai legami che gli impedivano una compiutezza di vita, si sono rivelati un immiserimento dell’uomo stesso. Ed anzi una delle cause dell’alienazione, della distanza da se stesso dell’uomo moderno, della perdita di significato dei suoi gesti, della divisione, è proprio data dall’aver espropriato l’uomo dall'istanza religiosa. E in questo si sono trovati a fianco la mentalità borghese dell’Ovest e i regimi socialisti dell’Est. Ed è proprio all’interno della stessa miseria attuale che, sotto varie forme, si ripresenta il desiderio religioso. Si può aggiungere un'osservazione che, pur con tutta l’approssimazione delle parole usate, comincia un po’ a confondere i piani contabili nel nostro mondo occidentale. Quindi chi ha voluto fare opera di giustizia impostava il fondo della sua vita su una fede cristiana, da cui nasceva questa esigenza. Altri si sono trovati tendenzialmente a combattere il religioso, a negarlo; ma in questo caso, molto spesso, lo spirito socialista e libertario, nel superamento dei religioso, ha radicalizzato la cultura della stessa società repressiva che intendeva combattere e oggi si trova con una contabilità fortemente dissestata. D’altro lato, la mancanza d’impegno con la giustizia di molta "società" cristiana, è stata contemporanea alla stessa caduta dell’identità cristiana sotto l’influenza della cultura contemporanea.
2) Problema di una giustizia sociale ed economica in Europa e tra i Paesi europei ed altri Paesi.
Veniamo perciò al secondo problema. Agli inizi - negli anni ‘60 - si era pensato che il problema di giustizia economica e sociale non potesse essere compreso guardando singolarmente le pur grandi unità produttive, dalla fabbrica dei bacino renano alla fazenda latino-americana, ma cercando di avere uno sguardo mondiale, uno sguardo alla divisione internazionale dei lavoro e alla formazione dei valore dei prodotti. Dopo una stagione di coscienza internazionale dei problema economico, prontamente è stata fatta circolare una parola che ha fatto considerare il precedente problema, che potremmo chiamare di sviluppo e sottosviluppo, superato: è stata la parola crisi. Si è cominciato a parlare di crisi perché - come si è accennato - pur nell’ostilità delle forze economiche, dei partiti politici ed egualmente dei sindacati e d’altre cosiddette forze sociali, aveva potuto filtrare una certa immagine delle questioni internazionali sul piano della giustizia economica. Con la carta della crisi, qualsiasi strumento di comunicazione, per stampa o per immagini, ha potuto far tornare ì cittadini d’ogni paese sviluppato alla preoccupazione più realistica per se stessi. E’ da notare che si tratta di una crisi che non è mai definita e che comunque non ha finora impedito che il tenore di vita dei Paesi europei aumentasse sempre di più allontanandosi sempre di più dai Paesi poveri. Nessun cenno al fatto che non si tratta di crisi economica, ma anzitutto di "paura" della crisi (una delle grandi paure dell’Occidente) e che la maggior parte dei mondo vive, usiamo per intendersi la parola che ci fa paura, in un ormai consolidato stato di crisi economica permanente. L’Occidente si tiene la paura e il resto dei mondo vive nella crisi. In sintesi, la ragioneria economica dei mezzi d’informazione dei vari Paesi europei dice: non è più tempo di sviluppo e sottosviluppo, se vogliamo d’imperialismo, oggi è tempo di crisi; ormai la crisi è mondiale e, in particolare, grave nei paesi europei più deboli. Preoccupiamoci di difendere noi stessi, perché siamo nella condizione di chi sta peggio, chiediamo perciò aiuti a chi ce li può dare e non lasciamo che i colpi di testa di nuovi regimi dei resto dei mondo aggravino la nostra situazione. Il risultato è che i Paesi ricchi, europei ed americani, insieme con il Giappone, hanno aumentato il loro divario dal resto dei mondo. Si è aggiunta al novero dei Paesi ricchi la ristretta cerchia dei Paesi produttori di petrolio che comunque mantengono al loro interno gravissime diseguaglianze sociali. E quando si parla di guerra occorre non dimenticare quanto la guerra sia fomentata dalla disuguaglianza e dall’ingiustizia. Pace e giustizia sono indivisibili e soltanto una pace giusta è rispettata. Naturalmente difesa della pace non è difesa preconcetta dello "status quo", ma necessità di risanare le ingiustizie, coi che si mette in movimento la costruzione della pace vera. La stessa questione dei disarmo deve essere impostata in questo modo. Un’osservazione fondamentale sul nostro Continente è che vi si vive una situazione di privilegio rispetto alla grande parte dei luoghi dei mondo. Noi europei non siamo in guerra, non siamo sotto un'occupazione militare straniera, non siamo sotto una dittatura poliziesca, possiamo abbastanza agevolmente entrare e uscire dal nostro Paese, anche se queste ultime annotazioni valgono solo per l’Europa Occidentale. Non siamo una potenza, in particolare l’Italia, e questo può dare una solida credibilità ad un’azione di pace. Abbiamo ricchezza di cultura, di fede religiosa, di tradizioni umanistiche e laiche, di ricerca scientifica e tutto ciò è un grande patrimonio di pace e d’umanità che può essere giocato nell’attuale momento storico. Invece per il momento l’Europa è - se vogliamo - il recipiente dei nostri problemi, ma comunque appare invidiabile ad oltre il 90% della popolazione mondiale. La questione che si pone a questo punto è la seguente: - a partire da questa situazione di privilegio dell’Europa (economico-sociale e di cultura umana) che cosa sta facendo, che cosa può fare l’Europa per il mondo, per la pace, la giustizia, la libertà, la verità nel mondo? Ieri è stata ricordata la convenzione di Lomè fra CEE e Paesi in via di sviluppo: è certamente buona cosa, ma insufficiente. In altre epoche meno privilegiate, uomini di ben diversa statura hanno fatto molto di più: basta ricordare il benedettinismo e l’opera evangelizzatrice e civilizzatrice di Cirillo e Metodio; più vicino a noi l'azione incessante per la pace di due uomini come il cattolico La Pira e il laico Giovan Battista Pirelli. La difficoltà d’oggi è che, in realtà, nessuna delle cosiddette forze politico-sindacali organizzate del nostro Paese e dell’Europa, desidera realmente che inizi un mutamento. Lo scoglio rimane il desiderio, la pensabilità stessa di una strada diversa. A chi guarderà a distanza questi anni dei nostro Continente, il nostro mondo occidentale questo periodo successivo alla Il guerra mondiale, non potrà non apparire con clamorosità l’esistenza di un dibattito di politica economica annunciato dai contraenti come radicale, un dibattito in cui le parti si autodefiniscono distanti e differentissime, mentre l’osservatore futuro (gli osservatori futuri possiamo già essere noi oggi) non potrà non accorgersi che i piedi del tavolo da gioco su cui le parti si sono affrontate, sono rimasti indiscussi o molto poco discussi. I piedi, le gambe dei tavolo rappresentano la posizione dei nostri Paesi nell’economia mondiale. Questa posizione è indiscutibile, perché legata ad un senso dei benessere, ad un senso della ricchezza che a sua volta non è discusso. Il dibattito è su chi in Europa far partecipare alla ricchezza e fino a quando ma non si discute di quale ricchezza si tratta. Non viene messo in conto che il nostro Continente possa essere ricco d’altro rispetto agli obiettivi dei piani economici e che ci sia ripresa di ricchezza culturale, ripresa umanistica e religiosa, di collaborazione e cooperazione, che ci sia un compito d’apertura ad altri. Non a caso è soltanto l’insegnamento dei Papi in questi anni, Paolo Vi e Giovanni Paolo li, soprattutto nei loro discorsi alle Nazioni Unite e nelle Encicliche, ad aver insistito su questo compito missionario dei vecchio mondo. "Non abbiate paura, aprite le porte a Cristo" disse Giovanni Paolo Il nell’ottobre dei 1978 quando fu eletto Sommo Pontefice. Ebbene, questo invito mi sembra particolarmente attuale per gli europei. Occorre togliersi la paura gli uni degli altri. Questo vale per uomini e popoli; togliersi la paura delle culture, delle fedi religiose, delle identità diverse dalla propria, ma autenticamente umane. E' anche togliersi la paura dei futuro e della crisi. Tutto questo apre una grande possibilità di riconoscersi meno distanti tra chi si trova in questa piega della storia. Questo fa cadere molti codici ideologici, ma evita l'altra mummificazione: il relativismo. In questo riprende forza l’esperienza religiosa e il tentativo di diversa ricomposizione economica. Non si bocciano più la fede e le esperienze nel letto di Procuste di questa o quella ideologia, e ci si appassiona ad una costruttività sociale. Questa passione, beninteso, non e un revival vitalistico, ma deve essere carica della curiosità di capire qual è lo spessore culturale di quanto, come il Cristianesimo, si riafferma come risposta all'uomo, ed ugualmente questo è carico della curiosità di indagare la nascita di una nuova empirica economica, sociale e tecnica. Passaggio di civiltà significa l'abbandono di un guscio vecchio, non si tratta di lasciare un positivo per un altro, ma la paura per una speranza. Si lasciano delle apparenze per una realtà. E la realtà non è solo il futuro, ma è carica di storia passata. La storia è il vissuto d’uomini e il senso della vita che li ha fatti vivere. L’identità cristiana fa parte dei nostro vissuto, è l'aspetto più clamoroso dell’Occidente. Conoscere questa identità, riconoscere dove oggi questa vive, non è interessante come diritto dei Cristianesimo ad esistere (il Cristianesimo non ha bisogno di diritti), ma è un aiuto all’esprimersi di qualsiasi identità umana. Quest’ultima affermazione è un’affermazione in cui fede religiosa e senso laico della vita possono coincidere. Per i laici e per i cristiani riscoprire il Cristianesimo come non ideologia, perciò come non strumento dei potere dell’uomo, ma come compagnia tra gli uomini e dei divino con l’uomo, è punto fondamentale per una nuova realizzazione di una società occidentale d’uomini liberi. E per i cristiani si tratta di vivere il Cristianesimo come questa compagnia. Le ideologie, espressione ultima della stanchezza dell’Occidente, dividono. Un’identità vissuta rispetta altre identità e ne favorisce la crescita; proprio perché un'identità non è una bandiera issata su un paio, ma va al fondo d’ogni uomo, anziché separarci, pesca in ognuno di noi ciò che ci può essere più comune. E certamente la radice dell’uomo, la nostra origine ci è comune. Quanto più il cristiano va alla sua radice, identifica la carità coi rispetto dei diverso, tanto più è maturamente cristiano. Quanto più il laico andrà al fondo di sé, tanto più troverà nel rispetto dei Cristo, non solo un evento stimabile, ma una compagnia per la sua persona. Il percorrere questa strada, questa unità, è la sfida che oggi si gioca nel nostro Continente e mostra anche che la ricchezza dei nostro Continente dipende dal nostro incamminarci verso un nuovo umanesimo che per l’Europa non può che avere un fondamento cristiano.