martedì 25 agosto ore 17
SVILUPPO PER SOCIETA' MISTE
partecipano:
Bechir Boumaza
scrittore algerino, ministro sotto la presidenza Ben Bella, attualmente in volontario esilio in
Svizzera dove svolge un'attività editoriale
Mangoshuto G. Buthelezi
primo ministro del Kwazulu, presidente dell'Inkatha (associazione culturale interetnica del Sudafrica) e dell'Alleanza dei Neri del Sudafrica
conduce l'incontro
Robi Ronza
La ripresa del nazionalismo non porrà rimedio alla crisi dell'Europa. L'incontro e l'integrazione tra le identità culturali sono essenziali per la fondazione di un nuovo umanesimo.
Dal principe Buthelezi un orizzonte interpretativo della realtà sudafricana che brucia i consunti luoghi comuni.
B. Boumaza
Signor presidente, cari amici, nella breve introduzione che gli organizzatori del Meeting mi hanno spedito a casa, era stato evidenziato giustamente questo fenomeno contemporaneo che è stato ricordato adesso da Robi Ronza, quello dell’internazionalizzazione crescente dell'economia e dei consumi. Questa internazionalizzazione crescente (va detto fin dall'inizio) non è seguita, non è andata di pari passo con uno scambio più equilibrato, più armonioso, tra le idee; in una parola, non è coincisa con un vero dialogo adeguato tra le culture. Parallelamente a questa mondializzazione dell'economia, come risorgenza di quello che si vuole qualificare, da qualche anno a questa parte, sotto il nome di crisi economica, assistiamo, particolarmente nella vecchia Europa, nel mondo occidentale più in genere, ad una riapparizione del nazionalismo visto come un rimedio a questa crisi economica. Non dobbiamo sorprenderci perché questo è il prodotto di una mentalità eccessivamente materialista. Tutto viene liquidato con l'appellativo di crisi economica. Siamo tutti d'accordo, sappiamo quanto siamo plasmati dal demone del prodotto interno lordo, dalla frenesia della produttività e da un universo prettamente materialistico: tutto ciò ci porta a considerare questa crisi, percepita come il momento di una grande limitazione, come una crisi economica, mentre in realtà noi sappiamo che nei grandi sconvolgimento, nei grandi mutamenti che toccano anche la tecnologia è la storia dell'umanità che sta per essere modificata insieme al complesso delle nostre acquisizioni culturali.
Dobbiamo, in una parola, imparare a pensare diversamente il mondo. Imparare a pensare diversamente il mondo, per (parallelamente a questa mondializzazione dell'economia, a questo nuovo ordine internazionale) dare più giustizia, più uguaglianza tra i popoli, perché vediamo svilupparsi un nuovo umanesimo, una nuova solidarietà tra gli uomini. Mi ricordo di una conferenza a cui Comunione e Liberazione mi invitò, durante la quale un amico italiano, parlando del Bacino del mediterraneo, diceva che dobbiamo costruire una pace per mille anni; mi sembrò all'epoca necessario aggiungere che questa pace potrà essere costruita non solo su basi economiche (la durata del petrolio è valutata a 50 anni circa), ma dovremo trovare altre basi alla costruzione di questa unità. Per concludere questa mia breve introduzione, permettetemi di aggiungere che nel mondo che si profila al sorgere del prossimo millennio, siamo tutti coscienti che nuovi equilibri economici devono nascere, ma deve instaurarsi un nuovo umanesimo, un umanesimo concepito da e per un centro culturale dominante, un nuovo umanesimo che sarebbe la sintesi di diverse culture. Questo umanesimo dovrebbe nascere e allora non c'è da meravigliarsi se qua e là, abbarbicati alle loro certezze, ai loro privilegi, taluni vedono in questo finire della supremazia di una parte del mondo sul resto del mondo, in questa fine dei privilegi, il declino, come essi lo qualificano, della civiltà occidentale.
Abbarbicati ai loro privilegi, vittime di una mentalità vecchia, obsoleta, basata sulla supremazia di quei valori, certi occidentali vedono un segno di declino in un semplice riequilibrio che dovrebbe essere benefico per realizzare una migliore armonia tra gli uomini, per concretizzare nei fatti una vera fratellanza umana. Certo il nostro mondo è in crisi, è innegabile, la crisi economica però non deve nasconderci la foresta delle grandi mutazioni che stanno plasmando in modo definitivo il nostro pianeta. Il tema del mio intervento oggi, vuole utilizzare un esempio, limitato nel tempo e nello spazio, per aiutarci gli uni gli altri a riflettere su uno dei fenomeni contemporanei che contribuirà a plasmare in modo inequivocabile la nostra nuova civiltà. In riferimento ai beni e ai servizi della libera circolazione degli uomini, dell'interpenetrazione delle mentalità, delle culture, delle idee, io prenderà a titolo esemplificativo i rapporti tra la Francia e le popolazioni dell'ex-impero coloniale francese, in particolare del Maghreb (...).
Volevo evidenziare un fenomeno, quello del tutto inedito, di una coabitazione sullo stesso territorio, la Francia nella fattispecie, di una comunità totalmente diversa di quella che ha fatto la Francia che si conosce. E' chiaro che la Francia è il prodotto, a sua volta, di emigrazioni nei secoli, prima dei magrebini ci sono stati gli italiani, i polacchi, i tedeschi, gli slavi; ma, così ci viene detto, la fondamentale differenza è che questa volta ci si ritrova davanti ad un fenomeno totalmente nuovo, la differenza etnica, la differenza culturale, la differenza religiosa. E allora si pone la domanda: questa popolazione è assimilabile, può essere integrata, o non costituisce forse la prima avvisaglia di un predominio che pian piano, lentamente, subdolamente, finirà con lo sviare l'Europa ed eliminare praticamente l'identità occidentale?
Ecco, in questa crisi si tenta di far rinascere, riapparire inconsciamente, vecchi demoni, qualcuno ci ha parlato del pericolo giallo, dei pericolo dell'Islam, dell'invasione soverchia o meno di queste persone, di questi magrebini che fanno tanti figli, lo sappiamo. (...).
Io spero di convincervi con queste piccole esempio che dobbiamo continuare ad essere ottimisti e lottare senza tregua per l'incontro, lo scambio delle culture, la fraternità fra i popoli.
Vorrei così ricordare che la Francia è stata scelta non perché è l'ex-potenza coloniale del Maghreb e attualmente ha una grande immigrazione africana e magrebina, ma perché in Europa occidentale è il paese che ha integrato di più: un francese su tre, infatti, ha nonni o genitori che sono emigrati. Dopo gli Stati Uniti e il Canada, la Francia quindi è un Paese con grandi tradizioni di integrazione.
Dal secolo scorso abbiamo assistito a un’evoluzione progressiva di questa emigrazione. Vorrei ricordare come nel 1851, per esempio, gli stranieri rappresentavano solo l'1% della popolazione francese, attualmente, come per l'insieme dell'Europa, arriviamo al 10% (ad eccezione dell'Italia). Nel 1872 siamo al 2%. Questi emigrati all'epoca giungevano dal Belgio, poi dall'Italia, in un ambiente difficile, che non aveva nulla da invidiare a quello attuale: ciò nonostante si integrarono progressivamente.
Una terza ondata di emigrazione si verifica dall'Africa del Nord, inizio del primo conflitto mondiale.
A questo proposito vorrei sottolineare un fatto importante: quando si parla degli immigrati magrebini si dimentica molto semplicemente tutti coloro che hanno contribuito col proprio sangue alla difesa e alla indipendenza della Francia, con centinaia di migliaia di morti durante la prima e la seconda guerra mondiale.
Dopo la seconda guerra mondiale il rilancio dell'economia ha fatto sì che la potenza coloniale andasse a reclutare i lavoratori di massa, in particolare modo nel Maghreb. Oggi questa massa è valutabile intorno al 10%, e di questa il 22% è costituito da algerini, poi da portoghesi, spagnoli (15%), italiani (ormai solo il 13%), marocchini (8%), tunisini (4%), turchi (1%), africani in genere (2,3%). Notate subito, partendo da queste percentuali, una modifica qualitativa del profilo di questa emigrazione.
Le popolazioni di origine africana, siano esse del Maghreb o dell'Africa nera o di origine musulmana come i turchi, tendono ad avere la meglio sulle altre emigrazioni di origine latina o cristiana. Aggiungerci ancora due parole su questa popolazione. E’ una popolazione giovane ed è un’immigrazione che tende, man mano, con l'indipendenza riconquistata, a pensare al ritorno soltanto come una possibilità o soluzione remota.
E’ un fatto che questa popolazione tende a stabilizzarsi, fa bambini, ed è questa seconda generazione, nata in Francia, che è dilaniata tra la sua origine etnica da un lato e il rigetto della popolazione che dovrebbe accoglierla: qui sta il problema. Di questo parleremo per dire qual è il vero futuro di quelle popolazioni magrebine, in questa Francia contemporanea. Come potrà vivere questa popolazione magrebina, araba, berbera, in un ambiente che a volte l’accetta e in altri momenti la rigetta? Questa mia riflessione dovrà portarci ad approfondire il nostro approccio per quanto riguarda il futuro del dialogo tra le civiltà, gli scambi culturali, il messaggio culturale. Ho denunciato il mito di una Francia omogenea, dovuta solo alla fecondità degli avi; ho tentato di dire in modo maldestro e troppo rapido che la storia della Francia come quella degli altri Paesi, è un movimento costante, un'assimilazione, un crogiolo costante delle popolazioni, un rimescolamento, una stratificazione anche, di immigrazioni umane diverse e differenziate. Questo mito di una Francia omogenea fin dall'origine è praticamente una blasfema aggressione nei confronti della realtà e della verità storica. Ho detto che le statistiche stesse del Ministero dell'Interno dicono che 18 milioni di francesi sono discendenti della prima o della seconda ondata di immigrati, 18 milioni su 54-55 milioni di francesi.
Allora, prima conclusione: la Francia che ha accolto ondate di emigrati dal Belgio, dall'Italia e da altri paesi, è in grado di accogliere altri emigrati, anche se questi provengono da culture diverse. Vorrei denunciare il nazionalismo, lo sciovinismo, le teorie della purezza della razza, a cui nessuno crede. Prima vi ho detto che sono un arabo berbero, perché questo è un dibattito che esiste da noi: chi siamo noi algerini: siamo arabi, siamo berberi? Mi è capitato di trovare membri della mia stessa famiglia con un nazionalismo berbero molto pronunciato e anti-arabo.
Ma dopo aver denunciato questo mito del nazionalismo, dello sciovinismo, è intellettualmente giusto e onesto aggiungere che il problema dell'integrazione di una comunità importante e numerosa come quella magrebina, con un'origine talmente diversa sul piano culturale, con una religione mal conosciuta, è certo un problema difficile, e che occorre nel contempo rigettare l'idealismo assurdo, stupido, che pretende di vedere in ogni immigrato un fratello, soprattutto quando nel nostro confort intellettuale guardiamo le cose solo dell'esterno.
Vediamo questi francesi che guardano questa massa di magrebini che abitano con essi ogni giorno, che scoprono nuovi modi di vita e di civiltà, che so io, l'odore degli alimenti, le abitudini culinarie, culturali, religiose: io posso immaginare questo incontro di due miserie e i suoi effetti esplosivi. Il mio dovere è quello di tentare di capire questo fenomeno, per trovare le soluzioni adeguate a ciò che è il problema. Infatti per la prima volta nella sua storia l'Europa e nella fattispecie la Francia deve affrontare un problema di quattro milioni di musulmani che si sentono bene in Francia e che invece non si sentono a loro agio a casa loro e che vorrebbero rimanere in Francia, però non a prezzo della vendita della loro anima, ma conservando una loro identità propria. Ebbene, per la prima volta abbiamo un'immagine in miniatura di un problema che sarà un problema del nostro mondo contemporaneo.
Su questa popolazione aggiungerò solo una parola: c'è un doppio rifiuto, ed è questa la sfida che ci viene lanciata e a cui dobbiamo trovare una soluzione: il doppio rifiuto è quello della società di accoglienza ma anche il rifiuto di quella popolazione che non vuole integrarsi nelle modalità e nelle norme della società. Bisogna trovare una soluzione a questo problema e agire sul piano dell'opinione pubblica francese per tentare di spiegare con le parole giuste che questa popolazione non costituisce una minaccia né per l'occupazione né per la sicurezza. Come altre comunità (quella ebrea, per es.) può in certi momenti dare la piena fedeltà alla patria d'adozione e alla patria di origine, ma in fin dei conti non solo non è un pericolo o una minaccia ma può essere un fattore di arricchimento della società.
Concludo parlando di questo confronto che vorrei continuare con voi: a voi che siete cristiani ricordo le parole di un grande cristiano che ho imparato ad amare che mi ha insegnato ad amare il cristianesimo, con il quale io non vedo nessuna contraddizione rispetto all'Islam, la mia religione di nascita. Parlo di Teilhard de Chardin, che 30 anni fa mi ha conquistato con queste immagini: i fiumi e l'oceano. Tutti i fiumi vanno nel grande oceano, le identità nazionali sono fiumi che sfociano nell'occano dell'umanità e ogni goccia portata da questo fiume conserva il suo valore chimico e la sua identità e nello stesso tempo concorre alla ricchezza dell'occano. Così Teilhard de Chardin vedeva l'umanità e così la vedo anch'io. Lo stesso Teilhard de Chardin affermava: "Le collettività umane più umanizzate ci appaiono sempre in fin dei conti come il prodotto non di una segregazione ma di una sintesi". Dicevo all'inizio che siamo qui per riflettere sul nuovo umanesimo che sarà la sintesi delle identità nazionali (...).
La visione industrializzata, materialista, industrializzante dell'Europa può certo avere tutto da guadagnare a incontrare altre civiltà. Questo razionalismo può arricchirsi andando ad attingere nella sensibilità del mondo africano e musulmano. La sfida della nostra epoca non sta nel fatto economico soltanto, ma nella mutazione tecnologica, nella crisi della civiltà e tocca a noi tutti fare in modo che questa crisi possa essere benefica, creando nuovi rapporti per costruire il dialogo tra le culture e tra le civiltà.
M. G. Buthelezi
Secondo me l'apice della creazione di Dio è l'uomo. E’ l'uomo, che ha l'anima, qualcosa di indistruttibile. E’ la persona umana, l'uomo che viene plasmato ad immagine di Dio. Questa verità strabiliante contiene per me la rivelazione del valore dell'individuo nell'universo. Io accetto la mia missione di "leader" in Sud Africa a servizio degli individui in Sud Africa. La lotta per la liberazione sudafricana - che non è solo una lotta contro l'apartheid, ma anche una lotta contro la povertà, l'ignoranza e le malattie è la lotta per rendere la vita di ogni individuo in Sud Africa degna di essere vissuta. E’ la lotta per offrire a ogni sudafricano le condizioni sociali, politiche ed economiche in cui egli possa sviluppare al massimo tutte le sue potenzialità.
Io sono profondamente democratico perché credo nei diritti dell'individuo. Il bene comune che procede dal bene individuale è un sottoprodotto del buon governo, di un governo cioè che sente la sua missione come un servizio all'individuo. E' l'individuo che viene colpito direttamente dai vari orrori dell'oppressione. L'orrore dell'apartheid nel mio paese non consiste tanto nell'orrore di un'ideologia basata su razzismo. Ma è soprattutto l'orrore che colpisce la persona umana, resa disumana dall'apartheid.
Secondo me la società dev'essere a servizio dell'uomo, non l'uomo a servizio della società. Secondo questo punto di vista dunque qualsiasi società è una società mista. L'individuo è tanto superiore al gruppo a cui appartiene che tutte le società non sono né più né meno che un insieme d'individui, con tutte le aspirazioni, le speranze, i talenti, i difetti che possiedono, e dotati della capacità di stabilire dei rapporti umani. La società è dunque, a mio parere, un meccanismo per portare gl'individui - che sono unici e irrepetibili - in relazione l'uno con l'altro.
L'ingegneria sociale è essenziale, ma dev'essere a servizio dell'individuo. Le strutture politiche sono essenziali, ma per il bene dell'individuo. Il complesso fenomeno di atteggiamenti e rapporti reciproci, che va sotto il nome di 'cultura', è essenziale, purché serva il bene dell'individuo. Le istituzioni sociali sono essenziali, ma a favore dell'individuo. I sistemi economici sono essenziali, ma a servizio dell'individuo.
E’ su questo punto di vista, che riguarda l'importanza centrale dell'individuo, che vogliamo soffermarci.
Sono d'altronde consapevole che gl'individui, membri di una società, non sono delle semplici molecole le cui proprietà fisiche inalterabili ne preordinano le relazioni scambievoli.
Nel nostro individualismo c'è insita un'identità plasmato dall'esperienza - la nostra esperienza personale dell'ambiente in cui viviamo, della nostra persona e delle circostanze in cui esistiamo, dell'insieme delle nostre percezioni a riguardo di noi stessi, le nostre speranze e i nostri timori, i nostri pregiudizi, la storia della nostra vita, come pure le circostanze oggettive del mondo esteriore.
E’ proprio nel contesto delle circostanze esteriori in cui viene a trovarsi l'individuo che intendo parlare del Sud Africa.
In Sud Africa la realtà demografica è un dato di fatto esteriore ed oggettivo che ha innumerevoli ripercussioni per gl'individui che vivono nel paese. Quattro quinti dei sudafricani sono neri, e a questi 4/5 vengono negati tutti i diritti fondamentali dati per scontati negli stati democratici industriali dell'Occidente come l'Italia. Dal 1909 - anno in cui l'Atto di Westniinster ha creato l'Unione del Sud Africa - noi non abbiamo goduto della libertà di movimento. Noi neri non siamo mai stati consultati riguardo alla formazione dei successivi governi della nostra patria dal 1910, anno in cui l'Atto dell'Unione ha creato il Sud Africa costituzionale moderno. Non abbiamo goduto della libertà di associazione politica. Non abbiamo avuto libertà di parola. Non abbiamo nemmeno goduto di uguaglianza di fronte alla legge e alla costituzione. E la realtà demografica dei neri del Sud Africa, che costituiscono l'87% della popolazione, aggiunge un'orrenda dimensione all'oppressione sofferta dai neri nel corso di varie generazioni. Noi siamo la maggioranza in Sud Africa, e nelle tribune del mondo e dell'umanità, l'oppressione della maggioranza da parte di una minoranza è un dato di fatto particolarmente ripugnante.
L'ambiente che viene a crearsi quando una maggioranza è oppressa da una minoranza è la materia prima da cui può scoppiare una rivoluzione cruenta. La demografia stessa è un coefficiente importante nel clima di violenza che si è sviluppato in Sud Africa attraverso questo lungo periodo. Le realtà demografiche hanno giocato un ruolo drammatico proprio a ragione di alcuni aspetti dell'apartheid.
L'apartheid non ha solamente separato i bianchi dai neri, ma ha allocato circa 4/5 della superficie nazionale ad uso esclusivo dei bianchi. I neri vi erano presenti come taglialegna o portatori di acqua, come manodopera migratoria, senza diritti civili e costituzionali, che potevano essere impiegati o licenziati a discrezione.
Dei vecchi neri ricordano ancora i tempi in cui non era loro permesso di camminare sui marciapiedi ma dovevano camminare nelle fogne. Molti di più sono coloro che ricordano i tempi in cui suonava la campana del coprifuoco nelle città, dopo di cui non era loro permesso aggirarsi per le vie.
Tutti gli adulti si ricordano le code interminabili separate di neri agli uffici postali, o- di quando venivano serviti da portelli sulla strada perché non era loro permesso entrare nei negozi o nei bar dei bianchi. Ancora oggi i neri di ogni parte del Sud Africa sanno che non è loro permesso di vivere nelle città, ma devono fare i pendolari tra la città e le loro bidonvilles o baraccopoli.
Se a questa massa di esperienze aggiungiamo il fatto che i neri costituiscono la maggioranza della popolazione del paese, l'incongruenza odiosa della situazione si percepisce in tutto il suo orrore. E' questo tipo di esperienza vitale che ha plasmato il nero come individuo ed ha aggiunto dimensioni nuove alla sua personalità.
I fattori costituzionali sono una realtà esteriore ed oggettiva che ha plasmato l'individuo. La costituzione dello stato del Sud Africa è stata redatta dai bianchi senza rappresentatività democratica, e successive legislature bianche hanno prodotto leggi unicamente per i neri: leggi oppressive.
Le realtà costituzionali hanno sagomato la personalità dei neri.
Le realtà economiche hanno influito su ogni individuo di pelle nera, perché non essendoci uguaglianza davanti alla legge e alla costituzione, non può mai esserci vera uguaglianza nel campo delle opportunità economiche. L'apartheid ha trasformato l'abisso esistente tra ambienti e non-abbienti in un abisso di colore. Sono i neri infatti che vivono ancora - a milioni - in condizioni di assoluta povertà: Anche questo ha plasmato l'individuo.
La terribile malnutrizione che risulta dallo stato di povertà ha frastornato perfino la crescita delle cellule cerebrali dell'individuo. La disperata povertà in cui si trovano a vivere i neri come risultato della discriminazione di opportunità economica, ha rovinato la vita famigliare, ha intaccato la vita della comunità.
La società in Sud Africa è vista come superiore all'individuo, ed ha così reso un disservizio terribile a tutti gl'individui.
Lo schiavista è disumanizzato dallo schiavismo tanto quanto ne è disumanizzato lo schiavo. L'egemonia dello stato sull'individuo in Sud Africa ha avuto effetti terribilmente deleteri sia sui neri che sui bianchi. Una volta che si permette allo stato di prevalere sul bene dell'individuo, tutti gl'individui ne soffrono, ed è questa dimensione di vita in Sud Africa che richiede un'attenzione tutta particolare. E’ un fattore pregno di realtà per ogni gruppo etnico, e sarebbe terribilmente sbagliato pensare che un sistema che implementa l'oppressione sistematica colpisce solo l'oppresso. Pregiudizi razziali, timori razziali, come pure l'odio che si sprigiona dalla paura provocata da pregiudizi di razza, dividono il Sud Africa nei campi opposti di noi - loro. I bianchi guardano ai neri come "quelli là". E i neri vedono i bianchi come "quelli là". I due gruppi sono condizionati da questo atteggiamento fondamentale. Alcuni aspetti penosi delle politiche governative odierne in Sud Africa sono una riprova della verità di quel che sto dicendo.
Sono neri disumanizzati nella mente e nell'anima che sono capaci di prendere un uomo, una donna, un bambino, di legare loro le braccia con un filo spinato, di tagliare loro le mani, di mettere loro una gomma d'auto al collo, di cospargerli con nafta e di dar loro fuoco per farli morire di una morte atroce. Questo inqualificabile delitto mostra la distruzione di ogni tipo di valore nel comportamento umano, come pure la degradazione che ha preso piede nel nero.
Poiché sono appunto i neri a fare queste cose. Essi non sono riusciti a sfuggire le conseguenze disastrose dell'apartheid. Sono organizzazioni politiche di neri che piantano bombe in alberghi, in supermercati e in altri luoghi pubblici; ma sono i bianchi che si comportano in modo tale da far diventare gl'individui disumani. Nessuno può sfuggire alle conseguenze morali apportate dal regime dell'apartheid.
Noi siamo una società degradata, incapace di stabilire rapporti umani su un piano individuale.
Associando questa osservazione con la mia dichiarazione precedente che l'individuo è supremo, che il suo benessere deve essere supremo e che la società esiste a servizio dell'individuo, ne consegue che sia i neri che i bianchi devono accettare il fatto che c'è bisogno di riconciliazione. Se non c'è riconciliazione in questa fase finale della lotta di liberazione in Sud Africa, gli orribili effetti dell'apartheid si protrarranno per generazioni e generazioni.
A mio parere la lotta di liberazione in Sud Africa va molto più in là di un semplice e tempestivo sradicamento della apartheid - nonostante la putredine di questa piaga. Secondo me la lotta di liberazione abbraccia molto di più. Significa la creazione di circostanze in cui gli orrendi effetti della apartheid possano essere gradualmente sradicati. In conseguenza, crescere verso una società mista in Sud Africa significa impegnarsi per una società mista in cui il processo di guarigione possa aver luogo. Significa sviluppare una società in cui la gente possa ritrovarsi, cosicché il valore dell'individuo possa riaffermarsi supremo.
Tutto questo non potrà certamente avvenire come conseguenza di una rivoluzione violenta. In tutte le nazioni del Terzo Mondo in cui sono avvenute delle rivoluzioni in un passato non lontano, c'è poco o niente che possa farci sperare che, se la rivoluzione avesse il sopravvento in Sud Africa, ci si potrebbe aspettare che i vinti sarebbero trattati con clemenza. Le rivoluzioni non sfociano mai in situazioni di compromesso, tanto necessarie per effettuare quel processo di guarigione in cui ogni persona deve saper tendere la mano al suo nemico di ieri e imparare a vivere insieme. I discorsi post-rivoluzionari sono acrimoniosi come quelli della rivoluzione stessa. Gli sviluppi attuali verso una società mista in Sud Africa riceverebbero il colpo di grazia da una vittoria delle forze rivoluzionarie sull'apartheid. E’ per questo che sposo la non violenza. Non voglio che la tirannia dell'apartheid venga sostituita da un'altra tirannia.
L'apartheid è già minato alle fondamenta; non c'è bisogno di una rivoluzione per seppellirlo. L'apartheid non può sopravvivere né contro un'opposizione democratica né contro una rivoluzione. Non abbiamo bisogno di ricorrere a delle soluzioni estremiste per sradicarlo. E’ già in atto un processo di disintegrazione: e non dico questo perché credo in una politica basata sul "laissez faire". Non la penso nemmeno in termini di un processo lento, graduale, rivoluzionario in Sud Africa. La penso invece in termini di un processo accelerato in cui delle misure tempestive possano distruggere l'apartheid completamente. Io credo, semplicemente, che un'azione tempestiva attraverso un'opposizione democratica e non violenta all'apartheid possa aver un successo più rapido e completo e con conseguenze più benefiche per il futuro che un'azione rivoluzionaria violenta. (...)
Se ci deve essere un progresso verso una società mista, caratterizzata dallo sforzo nazionale di rendere le vittorie sull'apartheid significative per la gente ordinaria attraverso il debellamento della povertà, dell'ignoranza e delle malattie, questo progresso deve scaturire dal riconoscimento che il danno già causato non può essere annientato attraverso l'installazione di una qualsiasi ideologia come suprema.
L'apartheid è stata come un terribile scontro ferroviario tra bianchi e neri. I capi politici devono essere i medici che curano le vittime - sia bianche che nere - come vittime mutilate. Agl'individui cori gambe fratturate ci vorrà molto tempo prima che possano, non dico correre, ma camminare. Il fattore tempo è importante per la guarigione dell'individuo. Solo una politica basata sulle trattative permette il lasso di tempo necessario. Bianchi e neri in Sud Africa devono adottare una politica di concessioni dalle due parti per liberarsi da una situazione in cui l'apartheid da una parte, e la violenza anti-apartheid dall'altra, minacciano di assoggettare l'individuo ad esigenze di stato. I diritti individuali sono supremi, e sono, in fin dei conti, gli unici diritti che valga la pena proteggere a ogni costo. Io credo che in Sud Africa possiamo accelerare l'arrivo del giorno in cui i diritti individuali saranno fermamente protetti, passando attraverso la fase intermedia dei riconoscimento dei diritti di gruppo.
Sebbene io creda fermamente nell'individuo e nei suoi diritti inalienabili, e riconosca la necessità di fondare una società che sia a servizio dell'individuo e non sopra l'individuo, tuttavia io credo che la costituzione debba includere sia una dichiarazione ufficiale dei diritti dell'individuo, che delle clausole per la protezione dei diritti dei gruppi minoritari. Per i rivoluzionari questo significherebbe l'abdicazione alle loro responsabilità democratiche. Per me, è un mezzo per raggiungere una responsabilità democratica che funzioni a servizio dell'individuo e dei suoi inalienabili diritti.
Ogni nero è stato plasmato dall'esperienza oppressiva dell'apartheid, e ogni bianco è stato plasmato dall'apartheid stessa. La prova del fuoco dei vero democratico è il suo riconoscimento che gl'individui devono essere liberi di stabilire rapporti personali con chi vogliono. I bianchi dei Sud Africa non possono essere costretti con la forza a diventare veri democratici. Non possono essere brutalizzati perché accettino la democrazia. La comunità internazionale commette un errore grossolano se pensa che l'isolamento punitivo del Sud Africa - nel campo economico, sociale e politico - demolirà lo spirito dei bianchi sud africani fino a trasformarli in veri democratici.
E’ la forza degli argomenti presentati dai neri al tavolo delle trattative che assicurerà la cooperazione bianca per un futuro democratico per il Sud Africa.
L'opposizione democratica e non violenta all'apartheid possiede innumerevoli punti d'appoggio all'interno dei Sud Africa. Usando un'analogia, si può dire che il fattore economico ha creato delle 'zone libere' da cui può montare un'opposizione democratica all'appartheid.
I bianchi dipendono così intimamente dai neri sul piano economico, che non possono sottovalutare il potere che i neri possono mostrare in una situazione di trattative.
Le riforme già effettuate in Sud Africa sono state rese necessarie dalla realtà economica. Sud Africani bianchi e neri vogliono la normalizzazione del paese, perché un Sud Africa normalizzato e pacifico, come uno stato democratico, moderno, industriale, pluripartitico, occidentale, è essenziale come linea di base da cui costruire la ripresa economica e sociale necessaria per abbattere le ultime vestigia dell'apartheid. Se non c'è questa ripresa economica durante il periodo di sradicamento dell'apartheid, i bianchi si sentiranno giustificati nel ritirarsi nei loro 'lager' o fortezze trasportabili, e, anche quando saranno con le spalle contro il muro, insisteranno a ritenere la supremazia dello stato a svantaggio dell'individuo.
La rivoluzione armata attacca l'apartheid dov'essa è più forte. L'opposizione democratica non violenta attacca l'apartheid dov'essa è più vulnerabile.
Le forze rivoluzionarie minacciano di sostituire al sistema oppressivo dell'apartheid un sistema oppressivo di loro fattura. L'opposizione pacifica e democratica all'apartheid promette di dare inizio a una politica di trattative attraverso le quali sudafricani bianchi e neri possano procedere verso un futuro in cui il bene dell'individuo potrà prevalere sul bene dello stato.
L'ironia è che solamente quando il bene dell'individuo è posto al di sopra del bene dello stato, il bene dello stato può essere posto al di sopra del bene di un partito.
Dobbiamo farla finita con la supremazia di egemonie orrende, e allo stesso tempo sterili.
La via più sicura verso il successo è quella offerta da una politica di trattative. Se la società Sud Africana non si sederà ad un tavolo per il negoziato, un cambiamento si verificherà soltanto attraverso la violenza, e allora avremo una società che mai, mai potrà essere cambiata e rispondere alla giustizia.