I libri dello spirito cristiano
Martedì
23, ore 12Relatori:
Evaldo Violo
Onorato Grassi
Evaldo Violo, direttore editoriale della BUR
Violo: Nel mio lavoro di editore di una collana che si propone di andare ad un vasto pubblico a prezzi molto contenuti, il problema è sempre quello di individuare libri di grande contenuto culturale o spirituale che abbiano al tempo stesso grande successo di pubblico. Uno dei problemi dell’editoria è l’uscita di migliaia di titoli, e per una persona non specialista è difficile orientarsi; per questo è molto importante avere qualcuno che faccia da garanzia, che dica: 'Questo è un libro importante da leggere'. Una collana diretta da don Giussani ha questa caratteristica fondamentale.
Onorato Grassi, professore associato di storia della filosofia morale alla LUMSA di Roma
Grassi: Partirei da una battuta che, casualmente, ho sentito nei discorsi a tavola di don Giussani – molte volte, in quelle frasi buttate lì, c’è molta verità –: "Come nei primi anni del Cristianesimo primitivo, anche oggi la Chiesa sarà fatta dai padri e dagli scrittori". I padri che amano il popolo, che amano la gente, che sanno guidare, che danno un ideale per cui vivere, e gli scrittori, che formano nella scrittura una coscienza, cioè una percezione della realtà della vita. Mi ha colpito questa osservazione, perché ho capito il motivo per cui don Giussani si è impegnato a dirigere una collana nella BUR: perché individua nel libro uno degli strumenti più importanti, affinché la genialità del movimento che lui ha creato possa comunicarsi a tutti.
Passiamo ora a parlare del testo Il senso di Dio e l’uomo moderno di don Luigi Giussani(1).
La prima osservazione è di carattere storico-filologico. Chiunque apra questo libro può vedere che la prima pagina inizia con un imprimatur, che è del 1966; è importante osservare che dopo il modernismo questo è il primo libro in cui si parla di "esperienza" che riceve un imprimatur ecclesiastico. Il modernismo aveva posto l’accento sull’esperienza religiosa, ed era stato poi condannato perché si ritenne che l’esperienza avrebbe travisato il dogma cristiano; da allora non si era più parlato di esperienza, e la riflessione cristiana si svolgeva su questioni più dogmatiche e metafisiche. Con l’imprimatur dato a questo libro, c’è un passaggio non da poco: quella che era stata un’intuizione positiva del modernismo, ossia l’intuizione che il Cristianesimo non può non essere un’esperienza, viene recuperata, ma senza più quel fraintendimento che il modernismo aveva, cioè che l’esperienza umana deve interpretare il Cristianesimo e quindi riformularlo.
Giussani ripropone il tema dell’esperienza dell’uomo e dell’esperienza cristiana, dell’annuncio cristiano e della vita umana come esperienza. Esperienza vuol dire ciò che posso vivere quotidianamente, che posso sperimentare, non solo ciò di cui sono convinto.
In questo senso, il modernismo viene superato, e si ha un recupero positivo del termine esperienza, perché Giussani fa vedere come l’esperienza umana e cristiana abbiano un’oggettività. Questa è un’altra questione scandalosa: questo libro supera sia l’attualismo gentiliano, sia l’idea di "non verità" che è propria del marxismo. Per queste due correnti filosofiche, l’uomo è ciò che fa, il frutto delle sue azioni, la verità non esiste e la natura dell’uomo consiste in ciò che egli crea e produce.
Giussani batte, con una semplicità tale che quasi può non essere avvertita, questa impostazione che determinava il clima culturale in cui lui si trovava ad insegnare al Berchet di Milano. Parlando ai ragazzi fa un’osservazione classica, riprodotta però con una attualità incredibile: "Tu sei per natura un’esigenza, una realtà oggettiva, si tratta di riconoscere ciò che sei". L’uomo non è qualcosa che si crea, ma è qualcosa che crea riconoscendo ciò che è, riconoscendo le proprie esigenze naturali, la propria naturale struttura.
Nel primo testo, Il senso religioso, Giussani utilizza abbondantemente l’aggettivo 'inevitabile', per dire che l’uomo è qualcosa che per natura non può non essere così. Il senso religioso è inevitabile, le esigenze sono inevitabili, le domande sono inevitabili. Che cos’è inevitabile nell’uomo? Anzitutto, il suo desiderio di felicità.
Il termine 'per natura' ricorre molto anche nell’altra opera, La coscienza religiosa dell’uomo moderno. In un altro testo, Alla ricerca del volto umano, si legge: "Ma che cos’è l’uomo? L’uomo è un essere che vive per qualche cosa; cos’è per il cristiano questo qualche cosa? Dio". Dio per il cristiano è tutto "per natura": vuol dire che non è un’opzione, una scelta determinata dalla volontà, ma è il riconoscimento di un’esigenza naturale e strutturale che mi appartiene perché sono uomo, perché ho ragione ed affezione. È questa la grande sfida che Giussani fa, per cui può parlare all’uomo d’oggi, in quanto si rivolge all’uomo per come egli è, al di là delle differenze culturali e antropologiche, perché ciò che accomuna tutti gli uomini è questo senso religioso.
Infatti ciò che accomuna l’uomo non è la distinzione assoluta, ma il senso di mistero che ci rende fratelli. Questo vale dal punto di vista umano e soprattutto dal punto di vista cristiano: chi non ha senso religioso combatte l’altro, mentre chi ha il senso religioso è capace di vera fraternità, cioè di quella esperienza che noi tutti desideriamo, perché noi tutti, nei momenti migliori, desideriamo di essere fratelli, di vivere una convivenza giusta. Affinché questo accada, occorre che ci sia il senso del mistero, cioè che quella domanda di felicità che noi possediamo abbia come oggetto non un idolo o un dio creato da noi, ma quel Mistero che fa tutte le cose.
Il Cristianesimo è la risposta alla domanda, ma in questa risposta si accresce il senso del mistero: apparteniamo a qualcosa che identifichiamo ma che non possediamo, da cui invece siamo presi. Questo è il Mistero, per cui la vita diventa un’infinita libertà, un infinito rispetto dell’altro ed un’infinita avventura.
Non mi addentro di più su questo punto, voglio però osservare due cose. In primo luogo, don Giussani parla di un’esperienza, che è religiosa e cristiana, ma è anzitutto esperienza umana, perché l’uomo vive di queste cose, vive di questo fremito, per cui desidera e ha bisogno di una risposta talmente grande quanto sono grandi le sue esigenze, una risposta che rimane sempre aperta. La risposta esiste, c’è una via che diventa sempre più chiara, ma rimane sempre questo senso del mistero spalancato che rende gli uomini fratelli. Il senso del mistero, dice Giussani, diventa quotidiana esperienza: nulla è abitudine, tutto diventa novità, tutto diventa entusiasmo per qualcosa di nuovo, ogni giorno: il mistero è quotidiano. La denuncia che Giussani fa è che questo senso religioso è stato eliminato in due luoghi principali (lo dice ne La coscienza religiosa dell’uomo moderno), nella scuola – ovvero nel rapporto educativo – e nei rapporti sociali. Giussani non parla della politica, dell’economia, queste probabilmente sono conseguenze: il senso religioso è stato espulso anzitutto nei rapporti educativi, tra padre, madre e figli, tra insegnante e alunni, e in tutti gli altri rapporti educativi di cui è fatta la nostra società, e nei rapporti sociali, cioè nel modo con cui viviamo la nostra vita, nei nostri costumi.
La seconda osservazione è che Giussani accoglie fino in fondo la sfida della ragione, e nella sua proposta del senso religioso e dell’annuncio cristiano ha a che fare non tanto con i problemi religiosi o teologici, ma vuole avere a che fare con la ragione dell’uomo. Questo è un testo filosofico, prima ancora che teologico, perché l’autore si impegna in quella che oggi è un’azione sconosciuta ai più, ovvero a rendere ragione razionalmente della sua posizione e del perché la posizione altrui non è conforme alla sua. Questo è accogliere fino in fondo la sfida della ragione: non solo si impegna a rendere ragione della sua posizione, ma anche a discutere la posizione altrui, non combattendola dall’esterno, ma criticandola dall’interno. Qui c’è un principio che Giussani enuncia e che regge tutta la seconda parte del libro: non esiste l’errore assoluto. Gli uomini hanno opinioni diverse, ma questo non vuol dire che, se c’è un’opinione sbagliata, si tratti di un errore assoluto. L’errore è una verità impazzita, contiene una parte di verità, ma questa parte pretende di essere la verità assoluta. Dunque la posizione altrui non è il mio opposto, e da questo atteggiamento deriva anche la possibilità di dialogo. Continua Giussani: "Se l’errore è una verità impazzita... per riconoscere l’errore occorre urgerlo nella sua logica, e solo allora esso renderà manifesto il fatto che è costretto a dimenticare o a rinnegare qualcosa". Nel dialogo che io ho con l’altro, con la posizione differente dalla mia, lo costringo ad andare fino in fondo nella sua posizione: se la posizione è giusta, mi farà vedere che comprende tutti i fattori dell’esistenza, non lasciandone fuori nemmeno uno, ma se la posizione è sbagliata, a un certo momento dovrà escludere degli elementi per reggersi.
La seconda parte, che è un giudizio, non condanna i principi delle altre posizioni, fa funzionare questa regola facendo vedere le conseguenze a cui determinate posizioni del laicismo e del protestantesimo sono arrivate, mettendo in luce che le conseguenze debbono trascurare qualcosa: ad esempio, il laicismo che promette il successo, porta ad una disperazione etica per la quale non conta più niente. Se queste sono le conseguenze e se la logica è corretta, vuol dire che il punto di partenza non va bene.
NOTE
(1) Luigi Giussani, Il senso di Dio e l’uomo moderno. La "questione umana" e la novità del Cristianesimo, BUR, 19944. Questo libro riunisce due testi nati in epoche differenti, ma con lo stesso significato ed impegno, sebbene in prospettive diverse. Il primo, Il senso religioso, è l’idea di una scuola di religione, il tentativo di dare un’impianto a questa scuola per dare vita ad una compagnia di uomini che si impegnassero nel pensiero, in una coscienza, in una sensibilità. Il secondo, La coscienza religiosa dell’uomo moderno, è invece il tentativo di dare un giudizio sulla situazione in cui noi siamo.
Questi due testi testimoniano una concezione di "cultura". L’uomo di cultura è quello che ha coscienza di chi è lui, dell’esperienza che sta facendo e anche di ciò che c’è intorno a lui, perché se uno non sa chi è, è perso, ma se uno sa chi è, ma non sa cosa ha intorno, è ingenuo.