Il Giubileo: "Il tempo è compiuto!"

Sabato 30, ore 16.30

Relatore:

Sua Ecc. Mons. Angelo Comastri, Presidente del Comitato Nazionale per il Grande Giubileo del 2000, Arcivescovo di Loreto

Il genuino significato del Giubileo.

Scrive il Santo Padre nell’enciclica "Tertio millennio adveniente": "Mentre ormai si avvicina il terzo millennio della nuova era, il pensiero va spontaneamente alle parole dell’apostolo Paolo: ‘Quando venne la pienezza del tempo Dio mandò il suo Figlio, nato da donna’ (Gal 4,4). La pienezza del tempo si identifica con il mistero dell’incarnazione del Verbo, Figlio consustanziale al Padre, e con il mistero della redenzione del mondo" (TMA, 1).

Sono parole precise, decise e decisive in ordine al significato autentico del Giubileo. Il Papa, infatti, chiaramente ci ricorda che l’arrivo dell’anno 2000 non è, in sé e per sé, un grande avvenimento: l’avvenimento è Gesù Cristo; se non ci fosse Lui, il 2000 sarebbe privo di ogni significato e svuotato di ogni valore. Il 2000 ha la sua importanza soltanto come provvidenziale occasione per riscoprire ciò che è già accaduto ed è entrato nella storia degli uomini e la sta salvando dall’insignificanza e dalla corruzione: costui è Gesù Cristo! Per questo il Giubileo del 2000 contiene un pressante e solenne invito (solenne come il suono della tromba, jôbel): è l’invito a guardare, a fissare lo sguardo su Gesù, per giungere ad un "rinnovato stupore di fede di fronte all’amore del Padre, che ha dato il suo Figlio, ‘perché chiunque crede in Lui non muoia, ma abbia la vita eterna’ (Gv 3,16)" (TMA, 32). Allora non c’è nessuna novità da attendere nel 2000, ma c’è una novità da scoprire e da accogliere: è ancora Lui, Gesù Cristo!

Per questo il Papa, con parole vibranti esclama: "Il tempo si è compiuto per il fatto stesso che Dio, con l’incarnazione, si è calato dentro la storia dell’uomo. L’eternità è entrata nel tempo: quale ‘compimento’ più grande di questo? Quale altro ‘compimento’ sarebbe possibile?" (TMA, 32).

L’abate Giuseppe Ricciotti così scrisse nella celebre Vita di Gesù Cristo: "Gesù è il paradosso più grandioso che conosca la storia. Egli appare in una regione dell’impero romano, presso una nazione che i dominatori di allora definivano volentieri come ‘la più tetra’ di tutte (Tacito) e ‘perniciosa alle altre’ (Quintiliano), considerandola quale ‘spregiatissima accolta di schiavi’ (Tacito).

[...] Dopo averlo tollerato a malincuore per qualche tempo, lo arrestano a tradimento, lo condannano nel tribunale della nazione per imputazioni religiose e lo fanno ricondannare nel tribunale del rappresentante di Roma per imputazioni civili. Gesù muore crocifisso. Dopo tre giorni egli risorge. I discepoli dapprima non ne sono convinti; ma in seguito si arrendono all’evidenza, avendolo visto e toccato con mano più volte e avendo parlato con Lui come avevano fatto prima della morte [...]. Ma il paradosso di Gesù continua, tale e quale, anche dopo la sua morte [...]. Certo è che Gesù, oggi, è più vivo che mai tra gli uomini [...]. Nessun vivente è tanto vivo quanto Gesù. Egli è ‘segno di contraddizione’ anche come fatto storico"1.

E Giovanni Papini, un tempo beffardo negatore di Cristo, dopo la conversione dichiarò: "Sei ancora, ogni giorno, in mezzo a noi. E sarai con noi per sempre. Vivi tra noi, accanto a noi, sulla terra che è tua e nostra, su questa terra che ti raccolse fanciullo tra i fanciulli e giustiziabile fra i ladri; vivi con i vivi, sulla terra dei viventi che ti piaque e che ami, vivi di una vita non umana sulla terra degli uomini, forse invisibile anche a quelli che ti cercano, forse sotto l’aspetto di un povero che compra il suo pane da sé e nessuno lo guarda [...]. Abbiamo bisogno di te, di te solo e di nessun altro [...]. Nessun altro, nessuno dei tanti che vivono, nessuno di quelli che dormono nella mota della gloria può dare a noi bisognosi, riversi nell’atroce penuria, nella miseria più tremenda di tutte, quella dell’anima, il bene che salva. Tutti hanno bisogno di te, anche quelli che non lo sanno; e quelli che non lo sanno, assai più di quelli che lo sanno. L’affamato si immagina di cercare il pane e ha fame di te; l’assetato crede di volere l’acqua e ha sete di te; il malato si illude di agognare la salute e il suo male è l’assenza di te. Chi cerca la bellezza del mondo cerca, senza accorgersene, te che sei la bellezza intera e perfetta; chi persegue nei pensieri la verità, desidera, senza volere, te che sei l’unica verità degna di essere saputa; e chi si affanna dietro la pace cerca te, sola pace dove possono riposare i cuori inquieti"2.

E conclude con la preghiera nella quale vibra una grande umiltà e una immensa fiducia: "Ma noi, gli ultimi, ti aspettiamo. Ti aspettiamo ogni giorno, a dispetto della nostra indegnità. E tutto l’amore che potremo torchiare dai nostri cuori devastati sarà per Te, Crocifisso, che fosti tormentato per amore nostro e ora ci tormenti con tutta la potenza del tuo implacabile amore"3.

Questo è il Giubileo: riscoprire Gesù Cristo; commuoversi davanti all’amore sconfinato di Dio, che si svela nella croce di Gesù; piangere il nostro peccato che ci chiude all’amore e spegne dentro di noi la vita (non dimentichiamo che "stipendio del peccato è la morte" [Rm 6,23]); aprire il cuore all’abbraccio salvifico di Dio, che è offerto a tutti in Cristo Gesù.

Questo è il Giubileo: ogni altra cosa è accessoria o puramente funzionale!

Noi cristiani allora, sul finire del secondo millennio, dobbiamo ritrovare entusiasmo per raccontare e testimoniare l’unico grande avvenimento che può cambiare la vita di tutti perché sta cambiando la vita di ciascuno di noi: nel grande libro della storia (che contiene parole sapienti e parole stolte, parole buone e parole cattive) dobbiamo decisamente indicare la Parola che dà senso ad ogni parola: Gesù Cristo, "il Verbo che si è fatto carne ed ha messo la sua tenda in mezzo a noi" (Gv 1,14).

Kierkegaard, dando voce allo stupore cristiano scrisse: "L’Eterno è venuto a contatto col tempo e non c’è stata una collisione ma un abbraccio". E Dostoevskij ha aggiunto: "Tutte queste discussioni (su Cristo, semplice uomo o filosofo benefico o qualsiasi altra cosa!) sono possibili e il mondo è pieno di esse e a lungo ancora ne sarà pieno. Ma io e voi, Satov, sappiamo che sono tutte sciocchezze, che Cristo-uomo non è il salvatore e fonte di vita... e che la pace per l’uomo, la fonte della vita e la salvezza dalla disperazione per tutti gli uomini, la condizione sine qua non e la garanzia per l’intero universo si racchiudono nelle parole: il Verbo si è fatto carne, e la fede in queste parole".

È urgente che noi cristiani ci riappropriamo della ragione del nostro nome e la testimoniamo con la fede dei martiri: siamo cristiani perché "Cristo è tutto per noi" (S. Ambrogio).

In quale scenario storico dobbiamo testimoniare la nostra fede?

Mentre noi cristiani, sul finire del millennio ci sentiamo sollecitati ad annunciare "la pienezza del tempo", la società che ci circonda soffre a causa di uno "svuotamento del tempo: noi diciamo che il ‘tempo è pieno’ mentre altri (tanti!) dicono che il ‘tempo è vuoto’".

Da qui nasce un’urgenza, un impegno di testimonianza, una radice di martirio. Ascoltiamo alcune significative testimonianze che colgono lo smarrimento della cultura moderna.

Kierkegaard (1813-1855), nel 1845, percepì che il tempo stava diventando banale. Egli scrisse: "La nave (della storia) è ormai in mano al cuoco di bordo; e le parole che trasmette il megafono del comandante non riguardano più la rotta (che non interessa più a nessuno), ma quel che si mangerà domani".

Nietzsche (1844-1900), sul finire del secolo scorso, affermò che il tempo stava decisamente diventando ateo. Ne La gaia scienza, al frammento 108, scrisse: "Dio è morto: ma stando alla natura degli uomini, ci saranno, ancora per millenni, caverne nelle quali si additerà la sua ombra. E noi dobbiamo vincere anche la sua ombra". Ma, ad onor del vero, al frammento 125 aggiunse: "Come abbiamo potuto fare questo? Come potemmo vuotare il mare bevendolo fino all’ultima goccia? Chi ci diede la spugna per strusciare via l’intero orizzonte? Che cosa mai abbiamo fatto a sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Dov’è che si muove ora? Dov’è che ci muoviamo noi? Lontano da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E all’indietro, di fianco, in avanti, a tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è fatto più freddo? Non seguita a venir notte, sempre più notte? Non dobbiamo accendere lanterne la mattina?"

Anche Kafka (1883-1924), all’inizio di questo secolo, avvertì che il tempo stava diventando vuoto e dichiarò: "Anch’io, come chiunque altro, ho in me fin dalla nascita, un centro di gravità, che neanche la più pazza educazione è riuscita a spostare. Ce l’ho ancora questo centro di gravità, ma, in un certo qual modo, non c’è più il corpo relativo". Cioè: sono condannato a cercare ciò che non c’è, perché il tempo è vuoto!

E Thomas Eliot (1888-1965), nel settimo dei Cori della Rocca, dà questa fotografia del nostro tempo: "Gli uomini hanno dimenticato tutti gli dèi, salvo l’usura, la lussuria e il potere". Il tempo, cioè, è diventato pieno di idoli, che schiavizzano l’uomo e avvelenano violentemente la sua storia: e così siamo allo scenario dei nostri giorni.

La situazione è pericolosissima: se il tempo dell’uomo è stato svuotato di ogni significato, tutto è possibile!

Nel 1952, alla consegna del Premio Nobel per la Pace, Albert Schweitzer coraggiosamente dichiarò: "Esorto il mondo ad osare di guardare in faccia la realtà. L’uomo è divenuto un superuomo riguardo al potere. Ma - ecco il fatto incredibile! - più cresce il potere dell’uomo e più l’uomo diventa un pover’uomo. Le nostre coscienze non possono non essere scosse da questa considerazione: più cresciamo e diventiamo superuomini, più siamo disumani".

In un’epoca più vicina a noi Pier Paolo Pasolini, intervistato da Furio Colombo poco tempo prima della sua tragica morte, diede questa descrizione dell’attuale società: "Oggi si riceve una educazione comune, obbligatoria e sbagliata che ci spinge tutti dentro l’arena dell’avere tutto a tutti i costi. In questa arena siamo spinti come una strana e cupa armata in cui qualcuno ha i cannoni e qualcuno le spranghe... Tutti sono pronti al gioco del massacro. Pur di avere. L’educazione avuta è stata: avere, possedere, distruggere"4.

E, con lucidità sanguinante, arriva a dichiarare: "Io scendo nell’inferno. Ma state attenti: l’inferno sta salendo da voi. Il bisogno di dare la stangata, di aggredire, di uccidere è forte e generale. Non resterà per tanto tempo l’esigenza privata e rischiosa di chi ha (come dire?) toccato la ‘vita violenta’"5. Sono parole che non hanno bisogno di commento, perché il commento lo sta dando la storia, anzi, la cronaca quotidiana.

Per questo Hans Jonas (filosofo tedesco morto nel 1993) confidò con preoccupazione: "Io tremo davanti a questa situazione: oggi il massimo potere si unisce al massimo vuoto; e il massimo di capacità va insieme al minimo sapere intorno agli scopi della vita". Davanti a questa situazione lo stesso Heidegger aveva esclamato: "Nessuna società ha saputo, meno della nostra, che cosa sia l’uomo!".

Non è certamente un primato!

Che fare?

Guardando lo scenario del mondo moderno emerge una indicazione chiarissima: questa è l’ora di rinnovare coraggiosamente l’annuncio del vangelo, questa è l’ora di una nuova evangelizzazione attraverso la testimonianza di persone trasformate dall’incontro con Cristo.

Paolo VI nell’esortazione apostolica "Evangelii Nuntiandi" scrisse: "L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni" (E.N., 41).

E Giovanni Paolo II nella lettera apostolica "Tertio millennio adveniente" propone la stessa indicazione, quando scrive: "È necessario suscitare in ogni fedele un vero anelito alla Santità, un desiderio forte di conversione e di rinnovamento personale in un clima di sempre più intensa preghiera e di solidale accoglienza del prossimo, specialmente quello più bisognoso".

Occorrono i santi! Occorrono i cristiani veri! Occorrono persone che profumino di vangelo e abbiano il timbro della voce di Cristo. Il beato Ildefonso Schuster, poco prima di morire lasciò ai cristiani di Milano questo prezioso insegnamento: "Gli uomini di oggi - disse - non si scompongono più dinnanzi a qualsiasi proposta. Però, se vedono un santo, sono ancora pronti a mettersi in ginocchio". È vero! Ed è stato sempre così.

"Una volta - raccontano le fonti francescane - Francesco andava solingo nei pressi della Chiesa di santa Maria della Porziuncola, piangendo e lamentandosi a voce alta. Un uomo pio, udendolo, suppose ch’egli soffrisse di qualche malattia o dispiacere, e, mosso da compassione, gli chiese perché piangeva così. Disse Francesco: ‘Piango la passione del mio Signore. Per amore di lui non dovrei vergognarmi di andare gemendo ad alta voce per tutto il mondo’. Allora anche l’uomo devoto si unì al lamento di Francesco" e pianse con lui.

Noi dobbiamo avvicinarci ai sentimenti di Francesco d’Assisi, dobbiamo ritrovare lo stupore della sua fede per condurre l’uomo d’oggi a piangere d’emozione davanti all’eccessivo (così lo chiama Francesco) amore di Dio: e così sarà Giubileo!

NOTE

1 G. Ricciotti, VIta di Gesù Cristo, Mondadori 1968, pp. 722, 724, 725).

2 G. Papini, Storia di Cristo, Vallecchi 1977, pp. 505-506.

3 Ivi, p. 513.

4 "Tuttolibri", 1975.

  1. "Tuttolibri", 1975.