mercoledì 29 agosto, ore 19.00

"DIRE, FARE, BACIARE - 50 PEZZI FACILI DI UN LAICO PSICOANALISTA CRISTIANO"

PRESENTAZIONE DEL LIBRO

Partecipa:

Giacomo Contri

Psicanalista, saggista

Moderano:

Giancarlo Cesana

Aldo Brandirali

G. Cesana:

Sono molto lieto di presentare questo libro di Giacomo Contri perché, prima di diventare Presidente del Movimento Popolare, come attività professionale facevo psicoterapia e per me Contri è sempre stato un punto di riferimento. Per cui sono veramente lieto di presentare il suo libro in quanto mi sembra l’occasione per prendere contatto più che con un contenuto - come può essere la psicanalisi - con uno stile. Anche il titolo del libro, Dire fare, baciare ... 50 pezzi facili di un laico psicoanalista cristiano, mi sembra che introduca immediatamente uno stile, cioè un modo di essere che a mio avviso incuriosisce. Certamente questo libro non risulta scritto in uno stile "normale"; è una raccolta degli articoli che sono comparsi sul Sabato in questo ultimo anno, ma non sono articoli giornalistici normali, lo stile non è deduttivo. L’incontro d’oggi avverrà come un’intervista, e la prima domanda che voglio fare a Contri è questa: Che cosa significa questo stile, questo modo insolito di affrontare le questioni, questo modo non semplicemente deduttivo, che non procede per tesi, per dimostrazioni, per commenti?".

G. Contri:

Non esiste stile se non per il fatto che si parla a qualcuno. A mio parere la definizione di stile sta anche nel fatto che si parla con - nel senso di complemento di compagnia - qualcuno e Cesana è una persona a cui parlo e con - in compagnia del quale - io parlo. Ed è per questo che, avendo dedicato il libro ai miei veri amici, posso dire che una delle prime persone a cui questo libro è dedicato è certamente Giancarlo Cesana. Una delle frasi d’uso comune in questo caso è un detto: "dimmi con chi vai e ti dirò chi sei"; è una delle frasi più importanti della vita di chiunque. E già questo è un altro modo per dare la stessa risposta. Un altro modo per rispondere alla domanda sullo stile riguarda le parole. E’ certamente capitato a tutti, ascoltando un dibattito, ma anche nelle discussioni a tu per tu, dissentire ribattere, pronunciare in discussione, anche polemica con un altro: "ma questo è gratuito, stai dicendo una cosa gratuita"; il che significa: non si regge, non sta in piedi, me la devi dimostrare. Io non so se vi rendete conto di cosa significhi una frase del genere. Gratuito, magari! Magari qualcuno fosse capace di compiere un atto - in questo caso parole - gratuito; è una cosa, specialmente ai tempi che corrono, da premio Nobel. La facoltà di compiere atti gratuiti, di potersi sentir dire con senso completamente rovesciato: "questo è gratuito", non capita a nessuno, quasi a nessuno, essendo tutti sotto il regime o no della necessità, diciamo fisica, o dell’obbligo giuridico, morale o del caso. Ammesso che esista il caso. Il gratuito è il meglio che possa capitarci nella vita, quindi auguriamoci che molte persone ci dicano, ci facciano un’osservazione di questo genere. Un’affermazione di questo genere, a mio parere, ha almeno quattro secoli di calvinismo e di protestantesimo, vale a dire la dichiarazione d’impossibilità dell’atto gratuito. Pensate a cosa è stata la nascita della scienza economica da tre secoli o tre secoli e mezzo: la nascita di un tipo di calcolo che esclude il gratuito; il che comporta, in modo abbastanza subdolo, abbastanza infido, ma fattuale, che il gratuito deve essere bandito, dalla nostra esperienza. Questo premio Nobel deve essere invece garantito dalla nostra esperienza, il gratuito è sempre la sola cosa degna dell’essere umano che possa esserci, tutto il resto sta sotto, è economia di sussistenza o, come dico io, psicologia di sussistenza. Questa è la prima cosa che mi sento di dire rispondendo a Cesana.

G. Cesana:

Volevo fare un’altra domanda, soprattutto per chi non ha già letto il libro. Perché San Voltaire, perché Voltaire? Voltaire era uno degli esponenti più importanti della cultura illuminista anticattolica. Perché l’hai fatto santo?

G. Contri:

Lo posso dire molto rapidamente. Ho usato la parola "santo" come sinonimo di laico a partire dal fatto che la nostra era è priva di laici.

G. Cesana:

Ecco, questa è già un’altra questione; perché è un'era priva di laici?

G. Contri:

Si è sempre parlato di laicizzazione come sinonimo d’anticlericalismo, di secolarizzazione, ma la secolarizzazione merita un altro nome, è un’altra clericalizzazione. Il clericalismo, anche se storicamente è stato di segno religioso, non è, specialmente nel nostro secolo, strutturalmente religioso. Il nostro secolo è profondamente clericale, ci sono stati clericalismi di tutti i generi politici, comunisti ad esempio. Il clericale del secolo è stato il comunista. Questo libro è pieno di battute e anche di qualche dimostrazione a questo riguardo, anche nell’introduzione. Per quanto riguarda il Voltaire anticattolico, ho soltanto fatto osservare (come anche storici eccellenti hanno osservato) che la grande battaglia voltairiana è non tanto anticattolica, quanto specialmente - potremmo dire - antigiansenista. Io direi in generale anticlericale, antimoralista, ed è naturale che sono andato a prendere con il massimo gusto tutto quello che apparirebbe il massimo dell’avversario rispetto al cattolicesimo. L’ho fatto cavalcandolo con tutto il piacere di questo mondo. Nell’ultimo pezzo ho mostrato che Voltaire è il diretto e frontale antagonista di uno dei, apparentemente, più "ipercattolici" a cavallo tra il ‘700 e l’800, De Maistre, che era cattolico in tutto eccetto che in Cristo. Una piccola lacuna. Ecco anche qui un pezzettino di risposta.

G. Cesana:

Vorrei farti una domanda molto banale, molto terra, del tipo: C’è la psicanalisi? Però vorrei partire da un altro punto di vista che tu hai accennato nella risposta precedente; cioè le parole, scritte parlate o silenti (perché il silenzio è una forma di parola, e questo è il Meeting del silenzio), sono importanti. Allora la domanda potrebbe essere questa: Perché le parole sono così importanti?

G. Contri:

La domanda di Cesana, in questo momento, è molte domande. A parte il fatto che bisogna ricordare, a proposito di silenzio e parola, che esiste anche la sordità, cioè i casi sono due: o il Meeting è silenzioso, o esistono dei sordi.

G. Cesana:

Non ci avevo pensato!

G. Contri:

Ad ogni modo sono abituato da troppo tempo a cogliere in qualsiasi fenomeno anche erroneo, errato, sbagliato o ingiusto, qualcosa di interessante. Spesso si dice: "sono soltanto parole", oppure: "è soltanto una questione di parole". Accidenti! Ecco io sono uno che non capisce come si possa parlare usando simili espressioni. E’ solo una questione di parole! Come dire: `è solo una questione di vita o di morte". Ma basterebbe la semplice considerazione fattuale che nella nostra vita quotidiana di relazioni, la parola o gli intervalli tra le parole o i silenzi rispetto al parlare, sono un fatto preponderante. In ogni caso ricordo anche che la questione non è affatto qui, la parola(…) è solo un problema di subordinazione del fare al dire o di subordinazione del dire al fare. E ne risultano due esistenze opposte fra di loro. Moralmente opposte, politicamente opposte, psicologicamente opposte e così via. Sono due mondi, due vite, due culture, due pratiche, due morali, due tutto. A parte questo, sono arrivato stamattina e l’impressione che mi sono fatta del Meeting, leggendo la stampa, è un po’ questa: "finché facevate le cose dell’anno scorso, era eccitante..." Ora la parola eccitamento è sinonimo nei fatti, non tanto, non solo nella etimologia, di vocazione. Eccitamento e vocazione sono nella vita di ognuno sinonimi stretti. Si potrebbe anche dire stimolazione, ma è debole, è un po’ troppo fisiologico. Si tratta di moto verso, e un moto è moto se ha le gambe, per parlare anche qui con una delle nostre espressioni. Da questo punto di vista io trovo questo Meeting molto eccitante; ma certo per sentire - e qui mi ritorna la battuta analoga a quella della sordità - un eccitamento, bisogna essere dei tipi eccitabili, suscettibili a un eccitamento, a una vocazione. Allora benvenga la nostra eccitabilità, rendiamoci il più possibile eccitabili.

G. Cesana:

Allora che cosa è questa benedetta psicoanalisi? E come mai c’è l’idea così diffusa che la psicoanalisi sia incompatibile col cristianesimo?

G. Contri:

Di fronte alla frase: la psicoanalisi è incompatibile - qualcun altro direbbe inconciliabile - col cristianesimo, col cattolicesimo, io, scusate, mi limito a farmi piccolo discepolo del cardinale Ratzinger che presiede al catechismo. Voglio solo rammentare - a chi di voi è cristiano e a chi di voi non lo è - una cosa elementare del catechismo. E’ dal cristianesimo, per definizione del catechismo, che viene la conciliazione. Smettetela - è un invito - di pensare se è conciliabile col cristianesimo; di verificare la facoltà, la capacità, la potenza (in senso più o meno aristotelico e tomistico) del cristianesimo di conciliare, di realizzare la pace, la conciliazione, perché ciò nella nostra esperienza non esiste. Tutte le migliori psicologie hanno concluso che la conciliazione, la pace, la relazione, è impossibile. La parola impossibile è ricorrente. E’ venuto fuori qualcuno, che ora non cito, a dire che la parola reale e la parola impossibile coincidono. Benissimo, il banco di prova del cristianesimo è la capacità di conciliare. Quindi, per favore, vi suggerisco, vi supplico, di smetterla di impostare la domanda se qualcosa è conciliabile con il cristianesimo. Il cristianesimo concilia. Allora aggiungo qualche cosa di più su questa dannata psicoanalisi. L’idea del padre, la paternità, è stata completamente espulsa oppure peggiorata: il padre è stato reso futile, c’è l’idea di padre buono nel senso di bonaccione, buono senza giudizio. Ora l’idea di perdono senza il giudizio è un’idiozia e riferita a Dio padre è una bestemmia da vero idiota, è la grande bestemmia agnostica che il Dio cristiano sia un Dio cretino, un padre buono che perdona, ma privo di giudizi. Il solo caso di pensatore di un certo rilievo, il cui pensiero direttamente o indirettamente ha toccato i più incolti, che ha pensato il padre è stato Freud e l’ha pensato in due momenti, in due aspetti. Il primo: il padre è il solo essere che è capace di avere un desiderio in proprio; secondo: il concetto di padre è come il costituente stesso dell’esperienza umana come esperienza di figli. Allora io dico, per questa ragione - nel senso che tutto il resto ne discende e senza questo non avrebbe senso - questo è il motivo per cui io sono freudiano. Ditemi voi se con questa premessa si pone un problema di compatibilità.

G. Cesana:

Ti faccio un’altra domanda ancora più diretta, uno dei problemi di questa ostilità e paura della psicanalisi sta nella questione del sesso. Che cosa è il sesso? Come c’entra questa questione con quello che dicevi tu prima?

G. Contri:

Psicanalisi non è la teoria degli scambi sessuali tra i corpi, non è sessuologia; in altri punti ho detto che la sessuologia è una superstizione e simpatizzo con Voltaire perché se la pigliava con le superstizioni. Non esiste sessuologia, non esiste scienza del sesso, perché il sesso è tutto subordinato all’amore, il come va dipende solo da quello. L’amore è indicizzante del sesso come di tutte le altre relazioni corporali, come mangiare, camminare, parlare. Noi non siamo materialisti, noi non siamo spiritualisti; noi siamo corporalisti, se siamo qualcosa. Che il cristianesimo sia corporalista, mi pare fuori di dubbio. Abolire dal reale uno degli aspetti del reale, si chiamerebbe nel gergo cristiano peccato e ognuno, ogni essere umano, sa cosa sto dicendo perché almeno una volta ha desiderato di levarsi di torno questo fastidio che è l’avere un sesso. Il cristianesimo ha detto la sua a questo proposito, ha messo una certa idea rappresentata da quella curiosa parola che è verginità, per indicare una modalità di questo onorare il sesso, perché la verginità è una modalità di onorare il sesso.

A Brandirali:

A me piacerebbe sapere se Contri ha già fatto qualche scheda nei suoi arrovesciamenti, liberazioni della parola, sulla parola domanda.

G. Contri:

C’è una resistenza - molti sanno che questa parola ricorre nel lessico psicoanalitico - in questo essere a proprio agio nel dire e poi nel fare, nella lettera, nel testamento, nel pensare, e secondo me la resistenza sta nel fatto che l’alternativa è quella fra il domandare o il chiudere il domandare. Non so quanti di voi siano stati attenti alle idee dominanti del nostro mondo. Una delle idee dominanti è l’idea di un’opposizione fra il domandare e il desiderare. Per arrivare a essere capaci di desiderare bisogna abbandonate le proprie domande, è dottrina ufficiale di taluni. Quindi la resistenza è nel riconoscere che una delle alternative per parlare produce una domanda e che il desiderare, il mezzo del desiderare, è domandare. Oltretutto, nel suo modo distorto, la cosa buffa è che il capitalismo l’ha capito, e tutta la sua legge è di domanda-offerta. Parzializzando il PC tutto, noi viviamo in un mondo che opera una distorsione che si potrebbe paragonare ad un eresia, infatti io ho scritto che ho sempre pensato al capitalismo come ad un’eresia del cristianesimo. Punta tutto sulla domanda e naturalmente dall’altra parte sull’offerta che addirittura formula le stesse domande. La pubblicità sembra addirittura un modello evangelico; il compratore del mercato capitalista, quello che chiamiamo il consumista, è uno che domanda al mercato "aiutami a domandare", proprio come i discepoli di Gesù che gli chiedevano come si facesse a pregare. Bisogna essere masochisti per rifiutarsi alla domanda e chiudersi le strade, e la ragione sta nel nostro pessimo rapporto con le parole che arriva fino a non concepirlo come un errore. Io ho sempre associato fin dall’inizio, alla parola, alla realtà, a quella realtà del nostro corpo che è il parlare, quell’altra realtà, che non è una realtà del nostro corpo, che chiamiamo pensare. Devo dire che a questo proposito nel primo pezzo - quello intitolato "Dire fare, baciare" - ho compiuto quella che posso considerare la sola opera buona della mia vita, forse non l’unica, ma quella che mi pare di poter considerare un’opera buona certa. All’inizio faccio la mia brava critica al pensiero di Kant, alla durezza, alla brutalità di questo pensiero sotto le vesti della mitezza morale e teoretica; alla cattiveria di questo pensiero, che ci priva delle nostre passioni. Al pensiero di Kant oppongo - e qui faccio una delle mie perifrasi anziché usare il nome canonico - il pensiero della donna più celebrata di ogni tempo, quella che dal medioevale Galante ha preso nome e dal pensiero ha iniziato la sua carriera attiva.

Il dibattito prosegue con le domande del pubblico.