Venerdì 26 agosto

"PENSARE LAVORARE E VIVERE CON I ROBOT"

Incontro con il Prof. Luigi Dadda, Rettore del Politecnico di Milano.

Moderatore:

Dott. Pier Alberto Bertazzi.

P.A. Bertazzi:

Il robot: probabilmente qualche tempo fa avremmo dovuto metterlo nel settore fantascienza, mentre oggi ci troviamo non solo a parlare di qualcosa già che ci accompagna, ma addirittura ad essere in compagnia di questi robot di cui parliamo. La loro storia non comincia certo al nostri giorni. Credo che molti di voi abbiano già avuto la possibilità di visitare la mostra sulla storia dei robot e credo che non si possa non rimanere affascinati, ripercorrendo questa storia dalla genialità che l'uomo ha dimostrato nel corso dei secoli. Una genialità che a me, come visitatore della mostra, è apparsa in fondo come l'espressione del desiderio che l'uomo ha in sé di entrare in un rapporto sempre più concreto e anche sempre più vasto con la realtà, col mondo: come l'espressione di un desiderio di sapere di fronte a questa realtà e di stabilire dei nessi, delle funzioni, delle possibilità di manipolazione, sempre più espressioni di questa tensione che l'uomo segue. Ma, d'altra parte, questa storia dei robot è anche un modo con cui sono rese manifeste tutte le potenzialità creative e di lavoro che l'uomo contiene in sé. I robot sono anche un elemento di fronte al quale molti credo, sentono dei timori, o vivono delle illusori o hanno delle speranze. Chissà cosa si potrà fare con i robot? Chissà come andrà a finire con questi robot? Sono speranze, illusioni, timori che probabilmente l'uomo ha espresso fin dall'inizio, quando s'è fabbricato il primo utensile e s'è forse trovato fra le mani qualcosa di ancora più grande di quello che lui pensava di saper costruire e progettare. Allora, il tema della tavola rotonda di stamattina è proprio questo: "Pensare lavorare e vivere con i robot", che non è poco, perché è un titolo che contiene, in fondo, tutte le espressioni della nostra esperienza di uomini. A parlarne con noi stamane, è il prof. Luigi Dadda, rettore del Politecnico di Milano, che è uno dei massimi esperti, nel nostro paese, di robot. Gli siamo molto grati per avere accettato questo invito e anche per la sua disponibilità, se il tempo lo consentirà, a rispondere ad alcune domande che successivamente vogliate porre. Detto questo, lascio senz'altro la parola al prof. Dadda.

L. Dadda:

Innanzitutto, questa è una tavola rotonda per modo di dire. Essendo qui praticamente solo, ho chiesto la compagnia di Hero I°, il robotino che è qui, seduto accanto a me, il quale spero non farà troppe obiezioni su quello che dirò. Per adesso comunque sta zitto. Bene, come già vi ha detto il dott. Bertazzi, questo titolo mi è venuto spontaneo, ed è un titolo anche abbastanza provocatorio: "Pensare, lavorare e vivere con i robot". Ecco io vorrei convincervi non solo che ciò è possibile, ma vorrei subito dire che non voglio presentarmi sotto la veste dell'ottimista, di colui che pensa che i robot saranno la nostra salvezza dell'umanità. Vorrei farvi capire che i robot ci porranno e già ci pongono dei grossi problemi che investono ciascuno di noi, e che nessuno potrà dirsi al di fuori della portata diretta o indiretta di essi. Io vorrei cominciare a introdurvi questo tema parlandovi innanzitutto dell'uomo. Ora, nel passato quando si voleva condensare lo studio sull'uomo, si considerava quest’ultimo sotto due aspetti: quello chiamato l'homo sapiens, riguardante la parte intellettuale dell'uomo (filosofo, scienziato ecc.), e quello detto l'homo faber, cioè l'uomo che fa con le proprie mani, costruisce utensili, cambia il mondo. Sempre nel passato queste due facce dell'uomo erano poste in modo contrapposto, anzi, l'homo faber era, tutto sommato, posto a rappresentare la parte meno nobile dell'essere uomo, il fare, il lavorare con le proprie mani, era considerata l'attività delle classi meno rappresentative di una società, mentre si dava il massimo peso a chi pensava. Io vorrei anche arrivare a farvi capire come oggi, grazie alla tecnologia, si sia in procinto di superare questa dicotomia, cioè questa separazione di concetti, infatti, con le tecnologie che sono rappresentate dal robot (ma, il robot non è l'unica macchina che esista) noi ci avviamo verso un'umanità per la quale l'attività manuale diventerà sempre meno importante, perché sarà delegata a macchine. Ecco perché sparirà in un certo senso questa dicotomia: fare e pensare. Io vorrei prendere le cose un po' alla lontana, vorrei anche un po' cronometrare il tempo; qui ho un piccolo robot a disposizione, non è solo un orologio, fa un sacco di cose. Volevo incominciare ad illustrarvi un po' qual è stata l'evoluzione dell'umanità in quanto al fare, e anche in quanto al pensare. Voi sapete che l'uomo ha cominciato come cacciatore, (e se visitate la mostra vedrete che c'è una sezione dedicata a questo argomento) ed era cacciatore per sbarcare il lunario, non certo per divertirsi come si fa oggi. Poi l'uomo diventa agricoltore. Nel momento in cui l'uomo diventa agricoltore probabilmente compie sulla natura che lo circonda l'atto di sopraffazione più grave che a la sua esistenza: è chiara la provocazione. Perché le piante non nascono allineate, nascono per fatti loro, e lui le mette in fila tutte quante poi le seleziona, le manipola anche geneticamente. Questa fase dura per parecchi millenni. Poi nasce un'attività nuovissima che, ci investe tuttora: quella industriale. L'uomo fa l'industria; cosa vuol dire? Vuol dire che impara a costruire oggetti, macchine, sistemi, in grande quantità. Mi riferisco alla cosiddetta civiltà industriale, nata nel '700. Non è che per questo le precedenti attività spariscano: l'agricoltura c'è anche oggi, la caccia c'è anche oggi, ma solamente in termini di tempo libero, con tutti i problemi che genera, anche di tipo ideologico. Cosa vuole dire industria? Industria vuol dire che l'uomo ha imparato innanzitutto a sfruttare delle energie naturali: prima di allora l'uomo lavorava con le proprie braccia o con l'aiuto degli animali. Da quel momento impara a sfruttare le energie naturali che si presentavano all'inizio sotto forma di filo o, e perciò il vapore, le macchine a vapore, le locomotive, poi quelle sotto forma di energia idraulica. Soprattutto nel nostro paese e stato cosi: l'energia delle cascate alpine è stata imbrigliata e ha dato origine, è stata la linfa della nascita della civiltà industriale nel nostro Paese a cominciare dalla Lombardia. Oggi c'è anche il fuoco nucleare. Poi ha imparato a sfruttare le materie prime: il ferro, il petrolio, non solo usato come energia, ma come materia prima per fare la plastica, per fare la chimica, ecc. Bene, mi fermo qui prima di proseguire per sottolineare un effetto di quanto è avvenuto con questi passaggi. La società, l'organizzazione degli uomini ha subito un profondissimo mutamento. Le fabbriche non esistevano prima dell'800, esistevano le botteghe di artigiani e basta, perciò il fenomeno di masse di persone che si muovevano da casa per spostarsi in un certo posto, e lì lavorare intorno a macchine, è una cosa recente che non esisteva prima di due secoli fa. Questo costituisce una grossa trasformazione di tipo sociale, e immagino che ne sia avvenuta una anche più profonda quando l'uomo è passato dall’essere cacciatore e perciò implicitamente anche nomade, all'essere agricoltore, perciò stazionario, e ciò ha cambiato radicalmente il mondo. Dunque queste evoluzioni portano in sé un profondissimo cambiamento del modo di vivere. Detto questo, vi faccio presente un fatto che ritengo importante: a parere di molti, noi abbiamo appena cominciato un'ulteriore trasformazione ed è quella che ci porterà ad una società che molti già definiscono "società dell'informazione", società in cui cioè, l'attenzione principale è posta non sull'energia, non sulle trasformazioni della materia, ma sull'informazione. Non intendo l'informazione dal punto di vista solamente giornalistico, intendo l'informazione come tutto ciò che noi riusciamo ad esprimere per esempio in testi scritti, (anche la matematica se volete è informazione, così come tutto ciò che costituisce una condensazione scritta, se vogliamo materialmente, del nostro pensiero). Sarebbe, qualcuno dice, sinonimo di cultura; d'accordo, non è esattamente la stessa cosa, ma ci siamo vicini. Prima di proseguire ad analizzare un po' cosa vuol dire questa società dell'informazione vorrei parlare dell'aspetto homo sapiens. Voi forse vi state chiedendo cosa c'entra tutto questo con il robot. Ve lo dirò alla fine: naturalmente no ho perso di vista il robot. L’homo sapiens: qui dovrei fare la storia della filosofia; ma mi limiterò a guardare a grandissime linee come l'uomo sapiente, cioè l'uomo rappresentato dalle sue attività intellettive, è cambiato, come ad un certo punto della sua storia ha inventato i segni (i segni sono un modo per comunicare tra uomini) poi il linguaggio, poi la scrittura, un fenomeno eccezionale che consiste nel trasformare il linguaggio parlano in uno codificato. Sapete come sono cominciate queste cose. La scrittura geroglifica era in sostanza una scrittura a fumetti, poi la rappresentazione è diventata più astratta, arriviamo all'alfabeto. Del resto le attuali scritture che usano i popoli cinesi e giapponesi sono un derivato diretto dalle scritture geroglifiche, perché a me hanno insegnato (alcuni amici giapponesi) che in ogni simbolo in realtà si può vedere un'immagine che richiama il concetto che la parola pronunciata vuole rappresentare. Mi hanno fatto vedere, per esempio, come la parola donna è in realtà la stilizzazione dell'immagine di una donna che tiene sulle ginocchia un bambino. Ma le scritture nostre, quelle cioè alfabetiche, sono astratte; noi abbiamo teso a rappresentare con dei simboli, dei suoni che componiamo in parole. Perché ho parlato anche di questo aspetto? Tra i grandi passi che l'uomo ha compiuto non c'è solo la scrittura, ma anche la logica. La logica e una scoperta dei Greci, non comune a tutti i popoli. Se andate in Oriente, in India, verrete a contatto con una civiltà in cui il modo di pensare è totalmente diverso dal nostro. Noi abbiamo impresso nella nostra educazione, trasmessaci dalla cultura imparata a scuola, il marchio della logica, del fatto, cioè, che si possano rappresentare le idee e rappresentare il meccanismo con cui le idee sono generate e generano altre idee. Detto questo, voi sapete che a un certo punto venti, trent'anni fa nascono queste strane macchine, che si chiamano i calcolatori elettronici. Essi furono inventati essenzialmente per fare i calcoli, per i numeri, ma subito vennero adibiti ad altri usi, cioè a elaborare anche testi scritti, per cui è invalsa una dizione che è più corretta, cioè elaboratori, macchine che elaborano informazioni che fanno delle somme, delle radici quadrate, mettono in ordine un elenco alfabetico. Ma anche di più. Passo all'altro estremo: rappresentare ed elaborare la Summa Teologica ad esempio, di San Tommaso d'Aquino, opera compiuta da un mio insigne amico che si chiama Padre Roberto Busa, che ha studiato tutte le opere tomistiche non solo di San Giovanni d'Aquino ma tutta la scuola tomistica, mettendola in un elaboratore elettronico, modo completamente nuovo di fare della linguistica, di fare della filosofia, con queste macchine. Queste macchine sono completamente diverse alle precedenti. Le precedenti servivano ad amplificare, se volete, un altro modo di dire le cose, ad amplificare cioè le capacità, direi, fisiche dell’uomo. Ad esempio, una bicicletta permette di andare più svelti che a piedi, poi un treno, un'automobile, un aeroplano, poi il jet, poi il razzo, ma sostanzialmente cosa fanno? Rendono più facile, più rapido il trasportare. Oppure la macchina utensile, il trapano. Vi immaginate che fatica farebbe uno, a mano, a fare buco in un ferro? Non ci riesce! Invece con la macchina lo fa, in modo più svelto, più preciso. Le macchine utensili sono numerosissime: c’è il torchio, la fresa, tutte le macchine dalle quali è nata un'officina che produce oggetti. Se voi esaminate qualsiasi tipo di macchina del passato vedete, che alla fin fine essa, dà all'uomo l'effetto di amplificare le proprie capacità fisiche e ciò è importante naturalmente. Queste altre macchine, gli elaboratori, fanno qualche cosa di natura molto diversa perché manipolano. Cambiano che cosa? L'informazione che è dei testi numerici o scritti; l'informazione che cosa é? L'informazione è ciò per cui noi comunichiamo con i nostri simili. Quello che io vi sto trasmettendo attraverso questo meccanico è informazione, ciò che leggete su un testo è informazione, ciò che sentite alla radio o vedete alla televisione è informazione. L'informazione è un qualche cosa che è direttamente legato all’homo sapiens, alle attività intellettive dell'uomo, non più solo alle capacità materiali. A questo punto nasce subito una domanda. Io vi ho detto prima: le macchine tradizionali sono un modo con cui l'uomo ha amplificato le proprie capacità materiali. Viene allora spontaneo dire: ma allora, queste macchine informatiche, si presenterebbero, si prestano ad amplificare le capacità intellettive dell'uomo? Sì, e così, dopo ci tornerò su, ma voglio finire un discorso. Questi calcolatori sono nati per loro conto, sono trenta anni che si sviluppano; dunque non è poi molto. Ad un certo punto abbiamo pensato di mettere insieme i due tipi di macchine, cioè fare una macchina la quale non solo fa qualche cosa che attiene al mondo materiale, cammina, si muove, gira o lavora, fabbrica delle cose, ma anche al mondo intellettivo: questo è il robot. Per illustrarvi meglio quale può essere il futuro e il perché queste macchine influenzeranno la nostra vita individuale, sociale e culturale volevo dirvi qualche cosa in pi di queste macchine informatiche. Cosa potremmo dire ancora? 1) Queste macchine ci permettono di acquisire molta più informazione: dove l'acquisiamo noi? Dal mondo che ci circonda, guardando, osservando. Ho visto una mostra sull'astronomia moderna e sapete che le nostre conoscenze sull'universo che ci circonda, si raddoppiano ogni 5 anni: pensate all'enormità della cosa, perché l'astronomia è uno di quegli aspetti dell'osservazione del mondo fisico che l'uomo esercita probabilmente da quando è uomo. Come avviene questo? Per esempio abbiamo mandato una sonda su Marte, una su Giove, per cui abbiamo capito che in realtà quegli anelli sono fatti in un certo modo prima non sapevamo. Abbiamo raccolto, e stiamo raccogliendo attraverso queste macchine, un'enormità di dati, che ci danno oggi un'immagine dell'universo che non era pensabile immaginare 5 o 10 anni fa. Sul nostro corpo, medici, oggi, fanno molto più misure di quante ne facessero una volta; pensate al T.A.C. Il T.A.C. è una macchina anche questa associata ad un elaboratore elettronico, che riesce a far vedere come è l'interno del nostro corpo, non solamente come una fotografia a raggi X che dà un'immagine tridimensionale: addirittura si sta pensando di costruire (anzi ci sono degli impegni) un T.A.C. che riesca a dare al medico proiettata su uno schema, la figura tridimensionale del cuore mentre batte e lo fa girare come se lo avesse estratto e lo tenesse nelle mani, per cui riesce a vedere delle malformazioni cardiache, molto prima di quanto si manifestino. Esploriamo il mondo con un'intensità incomparabilmente maggiore di quella che potevamo fare prima. 2) Noi abbiamo imparato un modo nuovo di enunciare i problemi. Ci sono dei linguaggi: se lo dico che c'è il Basic o basico, voi lo sapete cos'è, no?! Osservate bene il significato di questi che si chiamano linguaggi artificiali. Merita un commento la sola definizione. Noi abbiamo fatto delle macchine con le quali a un certo punto ci siamo accorti che con esse stavamo parlando per comunicare, salvo che queste macchine non capiscono il nostro linguaggio naturale. Allora abbiamo dovuto inventare un linguaggio formalizzato, cioè che ubbidisce a regole molto strette, con le quali raccontare a loro il modo di risolvere problemi, ma con un linguaggio che è abbastanza vicino a quello non naturale. All'epoca greca, all'epoca della civiltà ellenistica quando era nel pieno splendore, nell'area del Mediterraneo si parlava una certa lingua: la Koinè. La Koinè era la lingua comune a tutti i popoli del Mediterraneo che era poi il cuore dell'umanità. Bene, io oso dire che oggi la nuova Koinè è data da questi linguaggi. Lo so benissimo che sto urtando moltissimo gli ellenisti: ma se ad esempio un bambino giapponese vuole comunicare con un suo amichetto italiano, o americano o coreano, lo può fare solamente mandandogli una lettera o un flop disc in cui il linguaggio sia comprensibile da tutte e due. Non è questa la nuova Koinè mondiale? Questo che sto dicendo sta avvenendo da anni, ormai si può dire da decenni, nel campo scientifico. Tutti gli scienziati di questo mondo, di qualsiasi cosa si occupino, quando si vogliono comunicare programmi, lo fanno con questi linguaggi comuni. Perciò questa è una nuova Koinè e questo è un fatto che non può non significare e non dare origine ad una nuova civiltà. Queste macchine modificano anche il modo in cui noi ragioniamo e lo faranno sempre più nel futuro. Con l'associazione macchine informatiche-macchine tradizionali, robot, abbiamo una nuova dimensione per la nostra azione, per l'agire sul mondo fisico. Permettete una piccola parentesi. Noi uomini ci siamo accusati di avere violentato la natura. L'uomo probabilmente ha una missione in questo mondo, è quella di cambiare il mondo in cui vive. È diventato agricoltore, ha fatto delle industrie (e non venitemi a dire che l'industria ha rovinato l'umanità, andate a vedere quanta gente moriva nel '600 e oggi non muore più). Non sarebbe possibile sostenere 5 miliardi di persone, a parte che non ci riusciamo per ragioni di altro tipo, se non avessimo l'industria; non potremo crescere ancora se non utilizzeremo quelli che io considero siano i talenti, di cui ciascuno di noi verrà chiesto conto quando sarà il momento. Sono talenti da usare in modo intelligente, tutti. Il punto è che il mondo che noi costruiamo è quello che sta dentro di noi e che noi esprimiamo in termini di prodotti, di pensiero, di modo di vivere, di organizzazione sociale. Mi è mancato il tempo per andare a verificare con precisione una certa affermazione di S. Paolo dove dice che la natura soffre le doglie del parto in attesa della trasformazione degli uomini della luce; questo travaglio che investe non solo l'uomo, ma tutto mondo che creato dall'uomo. Ecco il punto: questa azione che noi uomini facciamo sul mondo che ci circonda ha un suo profondo significato, ce lo ha anche detto il Santo Padre; è il prolungamento dell'atto creativo attraverso l'uomo. Questo è il motivo per cui noi possiamo metterci davanti alle tecnologie con atteggiamento farisaico di condanna e invece non ci rimbocchiamo le maniche e facciamo funzionare la testa per trovare la soluzione attraverso quelle risorse, questo ben di Dio ai problemi gravissimi che ci sono di fronte. Questo è l'atteggiamento secondo me. Adesso io credo che la tavola rotonda debba considerarsi estesa a tutti voi e sotto la presidenza del nostro dott. Bertazzi, vorrei che si aprisse un dialogo, anche sotto forma di domanda, se volete, ma anche di osservazione perché il tema riesca ad essere visto in tutti i suoi aspetti.

P.A. Bertazzi:

Molte grazie a lei, prof. Dadda e grazie anche alla sua cortesia che ci consente di proseguire questo incontro anche attraverso delle domande. Il prof. Dadda ha parlato del combinarsi di questa macchina che opera e di questa macchina che è ricca di informazioni, che esprime un linguaggio e direi semplicemente di vedere proprio che questa combinazione esiste, quindi di far vedere la meccanica fine di questo braccio che può poi operare, anche se noi non lo vediamo all'opera, e anche l'espressione del suo linguaggio che è diventato addirittura molto simile al nostro. Magari facciamogli dire qualcosa che ha già detto, una dichiarazione alla televisione, mi pare.

Robot Hero I°:

Sono molto emozionato perché parlo per la prima volta ad un pubblico. Mi chiamo Hero, sono un piccolo simpatico robot. Sono stato progettato per fare apprendere le nuove tecniche elettroniche del futuro. Benvenuti tutti al Meeting di Rimini.

Domanda:

Vorrei sapere in che misura il lavorare con i robot, può essere una valorizzazione per il lavoro dell'operaio e non essere considerato l’"idiota" a cui deve essere messo a prova sistema.

L. Dadda:

Domanda molto importante perché è certamente possibile commettere un errore. Faccio una premessa. tutte le volte che l'uomo ha trovato qualcosa di nuovo, ha commesso degli errori perché si avventura in un terreno del tutto nuovo, no? È necessario sperimentare, non c'è niente da fare. Certamente noi possiamo già avere in mente certi problemi e questo che l'interlocutore ha segnalato è un problema molto chiaro. È chiaro che se il progettista progetta un sistema di fabbricazione automatico pone come condizione, come caratteristica, una specie di inversione di ruoli, e cioè l'idiota è l'uomo e il sapiente è la macchina. Quando si progettano le macchine o meglio si progetta il sistema, bisogna pensare all'officina completa, cioè a come l'uomo, poi, interagirà con la macchina. Questa è ciò che si chiama l'ingegneria umana ed è una materia molto importante, perché l'uomo è una macchina complicatissima. Il problema è risolubile, ma è risolubile se l'uomo è opportunamente preparato. Faccio un esempio: pensate al caso nel 1800 di una biblioteca, un archivio, dove insieme ai sapienti che studiano vi sono anche degli inservienti analfabeti incaricati di spolverare i libri; voi avete la situazione dello stupido che fa solamente e che c'è sempre stato. Quando è cambiato tutto? Quando, proprio nell'800, stata lanciata in tutti i paesi la campagna dell'alfabetizzazione, la chiave di volta della società; oggi la nostra è una società partecipativa in cui siamo qui in tanti, in cui c'è una radio, o un giornale che parla a tutti. Questo è perché il grado di alfabetizzazione è cresciuto. Ebbene, davanti a questo mondo che si apre, in cui l'uomo è chiamato a vivere con queste macchine si presenta un nuovo problema, una nuova esigenza di alfabetizzazione; che vuol dire che tutti devono avere dimestichezza con questi concetti, con queste macchine, non averne paura, ma dominarle. Devo dirvi che, per fortuna, i ragazzini, che sono le generazioni destinate a realizzare queste cose, stanno dimostrando una diabolica capacità di asservire queste macchine ai loro scopi di gioco. È vero per fortuna che i ragazzi hanno la capacità di assorbire questi concetti, ma allora il problema è: come stiamo facendo la scuola noi? Notate, il libro è una cosa preziosa, una dosa che ha cambiato, è il mattone, la pietra d'angolo della nostra civiltà, perché ha reso disponibile a tutti la cultura: ma, il libro è una cosa statica mentre queste macchine, che sono pure dei libri, interagiscono poiché c'è qualcosa di uovo anche didatticamente. Di questi problemi, non dovete chiedere la soluzione agli ingegneri come me, ma a pedagogisti che si diano da fare a capire il significato di queste macchine in termini educativi.

Domanda:

Sono un insegnante e vorrei parlare delle macchine per insegnanti. Ritengo che forse la prima introduzione delle macchine per insegnare sia stata fallimentare, anche perché è rimasta in mano a persone tipo Skinner che hanno immaginato un'utilizzazione di queste macchine per dei bambini scimmia. Sennonché ad un certo punto credo sia accaduto una cosa importante e la mia domanda riguarda proprio questo fatto: sono stati inseriti, introdotti personal computer. Mentre con le macchine per insegnare, giustamente, gli insegnanti hanno vinto la loro battaglia, non pensa lei che i personal computer rappresentino un passo oltre e quindi di diano una mano anche all'attività dell'insegnamento, al mestiere di insegnanti? La mia domanda è questa: i docenti, oggi, devono avere paura del personal computer?

L. Dadda:

Purtroppo la paura ce l'hanno. Perché? Perché non sanno, è sempre così, si ha paura di ciò che non si conosce. Ma lei mi ha detto una domanda che merita un commento che va al di là ed è questo: tenete presente che il costo di fabbricazione di queste macchine è in continua diminuzione. Incredibile al giorno d'oggi! Per fortuna, cioè, la tecnologia è tale per cui mette a disposizione un prodotto per così dire da privilegiati, è un prodotto di massa e lo dimostra la diffusione. Direi che questo problema che lei ha segnalato è stato visto molto a fondo in altri paesi che hanno lanciato delle grosse campagne, dei grossi piani di alfabetizzazione nelle scuole secondarie. Credo che l'esempio più interessante l'abbia prodotto la Francia, la quale ha iniziato con un grosso programma che ha cominciato dai docenti. I docenti sono stati chiamati a collaborare. Perché alla fin fine questo è uno strumento. Ciò che si chiede al docenti è di "travasare la propria sapienza verso gli allievi attraverso uno strumento"; perciò le leve di questo strumento devono essere nelle mani dei docenti. Il primo passo è l'alfabetizzazione dei docenti, questo l'ho ripetuto anche al Ministero. Credo che una campagna che spingesse in questa direzione sarebbe quanto mai opportuna, non per un desiderio di modernità a tutti i costi, ma perché è essenziale che questo avvenga. Mi dico una cosa che io ritengo grave: nel futuro, gli uomini avranno certe funzioni, certi ranghi, dipenderanno da quanto avranno seguito il settore. Non saremo un popolo degno della cultura del passato, se noi non affronteremo seriamente questo problema.

Domanda:

Volevo sottoporle un problema che è questo: mi pare che nella scuola secondaria che dovrebbe essere il posto privilegiato di quella alfabetizzazione di cui lei parlava prima, si possano prevedere tre possibili tendenze al riguardo: una è rafforzare una preparazione di base, delegare ad altri un'informazione tecnica più dettagliata, la seconda è un'integrazione di questa, cioè sempre seguire alla preparazione di base introducendoli alle macchine attraverso l'educazione aiutata dal computer e quindi familiarizzandoli col computer o con qualche cosa di altro, ma senza impadronirsi di che cosa sono questi strumenti; la terza strada che, però, è molto difficile perché richiede un sacco di conoscenza, è quella non solo di utilizzare queste macchine, ma anche di insegnare un po' che cosa sono queste macchine ed esistono livelli vari di approfondimento. Volevo sapere che cosa pensava lei di questi problemi riguardanti l'istruzione superiore in Italia.

L. Dadda:

Guardi, credo che occorra distinguere da scuola a scuola. Il fatto importante è che queste macchine vengano usate. Il sapere come sono fatte diventa essenziale per una classe di specialisti ed evidentemente avremo bisogno, in termini professionali, di classi specialistiche capaci di lavorare sulle "budella" di queste macchine, ma non tutti. Gli ingegneri sono preoccupati e parlano da anni del problema della interfaccia amichevole (interfaccia significa, modo con cui la macchina si presenta a chi la usa: amichevole, cioè fatta in modo tale da aiutare e da non spaventare l'utente); e questo fa parte di quel problema di ingegneria umana cui vi accennavo. Quello che serve è che l'interfaccia venga conosciuta da tutti, mentre il funzionamento interno è un carattere tipicamente scientifico e tecnologico che appartiene alla classe degli specialisti.

Domanda:

Sembrerebbe di uscire fuori dal tema, visto che finora si è trattato il problema dal punto di vista scientifico. Lei sa meglio di me e meglio di tutti noi che le più grosse innovazioni tecnologiche siano il frutto di studio e di ricerche note, non per garantire una promozione dell'uomo, ma vengono fuori dai centri di ricerca militari delle grosse potenze. Per cui le chiedo: cosa pensa dei suoi colleghi che mettono, appunto, al servizio delle armi, dell'automazione delle armi, le loro scoperte e le loro ricerche? E come lei, e magari i suoi colleghi che forse hanno una concezione della vita differente da costoro, potete aiutarli? E come potete aiutarvi, affinché ci sia realmente, anche da parte di tutti, una maggiore conoscenza di queste cose e una pressione a livello di opinione pubblica che non permetta più che si usi la scienza contro l'uomo?

L. Dadda:

La scienza in generale, questa è in particolare una, è uno strumento. Rimane vero, e qui non c'è nessuna novità, che ciò che conta non è la tecnologia in sé, ma l'intenzione, la volontà di chi la usa. E allora la domanda che mi fa a proposito di questo è sempre esistita, è una domanda importantissima perché evidentemente queste tecnologie così come possono produrre effetti grandiosi sull'uomo, essi possono essere usati in termini negativi. Giusto parlare di queste cose. Io vengo da un seminario sugli armamenti nucleari tenuto a Erice. Oggi grazie a queste tecnologie, può partire ad esempio un missile da qualsiasi parte di questo luogo, anche da un sottomarino che non si sa dov'è, e arrivare dove si vuole, con un errore massimo di dieci metri. Con gli orologi moderni uno ha precisione di secondi, che nessun orologio di quelli classici, anche di quelli che costavano un milione, ha mai potuto dare. Non è che questo crei la felicità dell'uomo, non siamo felici perché abbiamo un errore di un secondo anziché di un minuto, ma questa precisazione può essere vitale in altre circostanze e, vorrei aggiungere una cosa. Qualcuno dice: "Noi vorremmo fare delle macchine che non manipolino nel senso di elaborare intorno ma che conoscano". La conoscenza è molto più dell'informazione, è un problema serio, è polemico. Come rappresentare la conoscenza? È un problema tecnologico. Noi ingegneri stiamo lavorando con degli psicologi perché noi non sappiamo bene psicologicamente Cosa vuol dire conoscenza, come si definisce la conoscenza, ma stiamo tentando. Su questa strada uno può dire: "Ma allora, alla fine, noi vorremmo occuparci non solo di conoscenza, ma di saggezza o di felicità". Beh! è chiaro che qui andiamo ben oltre alle macchine, ma ritengo molto significativo che lavorare su queste macchine, che sono pure oggetti materiali, ci conduca a questi pensieri forse l'uomo finisce col conoscersi più di prima.

Domanda:

Professore, io lavoro presso un'azienda commerciale in cui da poco si è installato un centro elettronico I.B.M., e nei vari settori ad esempio amministrativo, del magazzino, market, si ha la lettura magnetica dei prezzi, e il conseguente scarico dal magazzino dell'articolo che si è venduto. Da sei mesi abbiamo messo il terminale nell'ufficio acquisti dove siamo tre persone (ognuna delle quali ha un terminale a disposizione, quindi è inquadrata ad un certo modo ed è a contatto diretto con la macchina), e ci siamo accorti che si è creato un certo tipo di ghiaccio tra di noi. La domanda è questa: il fatto umano come si risolve? Questa è una. Lei ha parlato di alfabetizzazione. I costi aziendali che incidono su questo settore credo saranno enormi e siccome, soprattutto nelle grosse aziende, non si tiene tanto al fattore umano, lei come pensa di poter far entrare nella mentalità degli imprenditori che è necessario venire abituati con dimestichezza a questa macchina?

L. Dadda:

Guardi; se un imprenditore fosse veramente un imprenditore, mosso dal profitto, finirebbe col capire che la politica di istruzione del personale fa parte di una politica rivolta ad un aumento dei profitti, perché evidentemente la produttività dell'addetto aumenta. Ma direi, che questo che lei presenta, è il problema come lo vediamo oggi, la maggioranza di noi, che non ha mai lavorato con queste macchine e che progressivamente, in un numero sempre crescente, si trova ad avere a che fare con esso, ha problemi di adattamento. Il problema è molto più grande rispetto al passato, perché oggi, progressi in quel senso, ne sono stati compiuti moltissimi. Ma il problema sarà completamente risolto quando questa familiarizzazione, questa alfabetizzazione, avverrà alla base, verrà data al ragazzini, non delle secondarie ma delle elementari. Lì sarà la soluzione del problema, occorreranno generazioni, certo. Per il momento rimane questo problema della conversione, questa fase di transizione, per cui c’è una vera e propria mutazione di struttura organizzativa. Quello lei ha citato, è un problema grave, ma che si risolve; lei mi ha dato per altro la conferma che tutto sommato è risolto. Ma quello che di grave sta succedendo è quello di mestieri che ad un certo punto diventano inutili. Pensate ad un tornitore, operaio specializzato ad altissima competenza, il quale da un giorno a un altro si sente dire che non serve più, perché la macchina lo fa meglio di lui. Questi sono problemi molto gravi: di conversione di competenze; un conto è prendere un ventenne, un trentenne e dirgli: "Guarda, tu hai fatto il tornitore, adesso ti insegno qualche cosa di altro". L'elasticità mentale, è ancora notevole. Provate a prendere un cinquantenne che, a quella età, è al massimo della sua competenza e ditegli: "Quello che tu fai, non serve più". Non un problema di stipendio, ma innanzitutto un problema psicologico. Questa persona si sente estromessa. Questo è un gravissimo problema; transitorio, ma c’è, proprio mentre dura questa fase di conversione. Ecco perché ho detto, io non vi espongo queste cose in termini trionfalistici, ma in termini problematici.

Domanda:

Da quando si è iniziato a parlare di telematica, si sono tirati fuori numerosi campi di applicazione che questa può portare. La rete pubblica di trasmissione dati ad esempio offre, fra l'altro, lavoro a casa, e questo un problema che mi ha sempre interessato. Ci sono alcuni vantaggi: ad esempio, il lavoro che possono fare gli handicappati che non possono andare al lavoro; la diminuzione dello stress (lo stress per andare al lavoro; il tempo che si spreca per raggiungere il posto di lavoro). Dall'altro lato, è un aspetto che io vedo molto negativo: cioè l'isolamento del lavoro. Già c'è un alto grado di alienazione nel lavoro normale, ma essa diventerebbe ancora più grave, nell'isolamento.

L. Dadda:

Io non ho neanche accennato alla telematica, ma voi sapete che cos'è in sostanza. In breve: abbiamo il telefono, che permette le comunicazioni interpersonali ormai su tutto il globo; l'unico guaio che può succedere è che se uno non si ricorda dei fusi orari, finisce per svegliare alle tre di notte un tizio in un altro continente. Ma il telefono sta per tra formarsi in qualche cosa di più. Esso è stato concepito per comunicazioni tra uomini, ma, come ho detto, le macchine sono delle entità in cui noi abbiamo travasato qualche cosa di noi stessi, e che sono in grado di interloquire sia con uomini, sia anche con altre macchine; per questo però occorrono cambiamenti che stanno avvenendo, anche in Italia: sta nascendo la rete telematica. Tra le numerosissime applicazioni possibili, il terminale, una specie di televisione che voi avete visto in giro, può essere attaccato non necessariamente vicino a una macchina, ma attraverso un telefono, o in qualsiasi altro posto. È nata quindi l'idea che certi tipi di lavori, che consistono nel lavorare con una tastiera sul terminale, possono essere fatti dovunque, e perciò anche da casa. Ecco allora i problemi che ha sottoposto l'amico. Problemi molto interessanti, perché se ne vedono applicazioni certamente utili. A questo punto potremmo benissimo prendere l'impiegato e lasciarlo a casa sua dove con il terminale fa tutto. Allora ecco i problemi che ha sottoposto l'amico: problemi di isolamento. Ma che ne sappiamo noi? No sappiamo nulla, bisogna sperimentare, ecco la risposta più seria. Vi sono degli esperimenti in atto, ne conosco un paio: uno è negli Stati Uniti da parte di una grande industria costruttrice di queste cose; l'altro è nelle poste inglesi, le quali hanno progettato di lasciare lavorare a casa 5.000 impiegati entro l'85. A far che? Esattamente quello che farebbero nell'ufficio; a cosa serve questo? Pensate ad una madre di famiglia, la quale può stare a casa, accudire alle faccende domestiche e anche, eseguire un lavoro. Dunque è un lavoro nuovo, che va sperimentato, e probabilmente si verificherà che per certi lavori, questa esperienza sarà opportuna, per altri no. Per fortuna la tecnologia rende possibili le cose, ma non è detto che debbano essere fatte a tutti i costi.

P.A. Bertazzi:

Io credo sia opportuno a questo punto, considerata anche la pazienza con cui il nostro robotino ha seguito questo dibattito sentire cosa pensa di questi disagi che possono esistere tra l'uomo e lui e tanti suoi simili. Quindi credo che sia doveroso dargli la parola in conclusione della nostra tavola rotonda.

Robot Hero I°:

So benissimo di non essere come voi, ma sono contento di stare con voi, spero che diverremo amici. Benvenuti tutti al Meeting di Rimini!

P.A. Bertazzi:

Una semplice prospettiva ottimistica, ma questa è una di quelle possibilità che la tavola rotonda ha sottolineato, cioè di una convivenza amichevole coi robot; così come ha sottolineato la possibilità di tanti disagi che da questo rapporto, da questa convivenza possono emergere. Cosa deciderà? Se sarà più amichevole o più produttrice di problemi questa convivenza coi robot che non solo è necessaria, inevitabile, ma ripeto, può diventare positiva. Credo che questa sia la stessa domanda che si pone tutto il Meeting, cioè la capacità di tener conto di tutte le dimensioni della nostra identità di uomini. Abbiamo affrontato questa della grandissima capacità tecnica che c'è in noi. La cosa fondamentale è che fra "uomini scimmie e robot" il valore resti l'uomo, la prospettiva, il criterio con cui si giudica resti l'uomo. Credo che sia questo, esattamente, la condizione necessaria per tutti noi, perché realmente anche coi robot la convivenza sia nell'amicizia e nella costruttività di una società sempre più adatta non solo a loro, ma soprattutto a noi!