Alla fonte dell’evangelizzazione: una storia particolare
Lunedì 24, ore 15
Relatore:
Eugenio De Araujo Sales
Eugenio De Araujo Sales, nato in Acari - Rio Grande do Norte nel 1920, è sacerdote dal 1943.
Consacrato vescovo nel 1954, è primate del Brasile dal 1968 e cardinale dal 1969. Il 24 aprile 1971 prende possesso dell’Arcidiocesi Metropolitana di Rio de Janeiro.
E’ attualmente Membro delle Sacre Congregazioni per le Chiese Orientali, per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, per i Vescovi, per l’Evangelizzazione dei Popoli, per il Clero, per l’Educazione Cattolica, oltre che Membro dei Pontifici Consigli della cultura e delle Comunicazioni sociali.
1. Luci e ombre. Le radici del quinto Centenario dell’Evangelizzazione dell’America Latina penetrano nella realtà del popolo italiano per la presenza di un genovese, Cristoforo Colombo, alla testa delle tre caravelle: Nina, Pinta e Santa Maria. Scoprendo un nuovo continente egli allargò gli orizzonti del mondo.
A ciò si aggiunga il fatto che ciò accade quando la chiesa cattolica stava vivendo, a partire dal 1517, la perdita di un considerevole numero di fedeli a causa della riforma protestante. E su un altro fronte avveniva l’avanzata dell’Islam fino alle porte di Vienna. Malgrado la coincidenza di questi fatti si apriva un immenso campo alla diffusione della fede cattolica. Per amore della verità e della giustizia si deve riconoscere, basandosi sulla documentazione dell’epoca, che questo fu lo scopo principale dell’impresa, per quanto non siano mancate ombre dolorose, frutto del peccato di avidità di molti, che crearono ostacoli all’annuncio della fede cristiana e non rispettarono la dignità umana degli indigeni.
E’ per me motivo di profonda ammirazione constatare come fu rapido l’organizzarsi della Chiesa nelle terre appena scoperte a immensa distanza da Roma, superando le difficoltà di comunicazione dell’epoca. La Santa Sede seguiva con molta attenzione la vita della Chiesa, dai problemi più impegnativi fino a quelli più semplici. Alcuni esempi in un caso e nell’altro. Gregorio XIII il 23 dicembre 1573, con un Breve, concede a Maria Manrique Martini Henriquez di Nova Hespaniola la facoltà di entrare quattro volte all’anno nel monastero dell’Ordine Cistercense per stare con le sue quattro figlie e partecipare alla vita comunitaria. E Pio V concede, il 12 agosto 1562, la facoltà di usare un balsamo di origine locale nella consacrazione dei Santi oli. La stessa attenzione meritano questioni gravi come la assoluzione dalla falsa accusa di concubinato del Vescovo di Cuba, Giovanni di Castillo. Dopo accurata indagine viene riconosciuta la sua innocenza col Breve Cum nos dudum di Pio V il 23 gennaio 1568. Lo stesso Pio V il 15 giugno 1569 con un documento, Exponi nobis nuter, ordina all’arcivescovo del Messico di aprire un processo contro il Vescovo Bernardino di Villalpando del Guatemala, accusato di simonia, e di inviare a Roma gli atti.
Per farci un’idea migliore della grandezza dell’impresa missionaria, voglio presentare un rapido quadro della vita ecclesiale tra il 12 ottobre 1492 e il novembre del 1592. I primi cento anni già rivelano la grandiosità dell’azione apostolica. Esiste, infatti, un’opera intitolata, America Pontificia(1), la quale dimostra in modo evidente il grande zelo dei Pontefici nella propagazione della fede nel Nuovo Mondo, nella difesa di indios e schiavi, nella lotta contro gli abusi. La varietà dei provvedimenti dimostra il fatto straordinario di una società che funziona già nel primo secolo dalla scoperta. L’obiettivo principale, naturalmente, è l’evangelizzazione. Nella Bolla Inter cetera del 3 marzo 1493 Alessandro VI esorta i re di Spagna e Portogallo "affinché principalmente ai nostri giorni, la fede cattolica e la religione cristiana siano esaltate e diffuse ovunque". Troviamo lo stesso obiettivo nella Illius fulciti praesidio del 15 novembre 1504 e nella Universalis Ecclesiae del 28 giugno 1508, entrambe di Papa Giulio II. Subito dopo la Scoperta, grande è la preoccupazione dei Pontefici perché siano inviati nel Nuovo Mondo sacerdoti degni e capaci. Il Padre Bernardo Boil, Superiore dei primi missionari inviati in America nel 1493, con la Bolla Piis Fidelium del 25 Giugno 1493 riceve amplissime facoltà per il buon esercizio del suo ministero sacro. Alessandro VI proibisce ai cristiani, sotto pena di scomunica, il viaggio alle nuove terre, quando siano spinti solo da motivi di lucro. Il Papa Pio IV, nell’Istruzione al Pro-Nunzio Apostolico di Spagna, Monsignor Giovanni Castagna (1565-1572), Arcivescovo di Rossano, stabilisce direttive chiare e precise: "Circa l’invio in America di sacerdoti zelanti; circa la catechesi; circa il buon esempio che i cristiani devono dare agli abitanti di quelle terre, affinché non sia pregiudicata la loro conversione; contro la schiavitù e perché sia pagato il salario a chi accetta liberamente il lavoro; perché siano ugualmente trattati fedeli e infedeli; circa la proibizione di usare armi contro gli infedeli" ("Da parte di Nostro Signore", 1566).
L’impegno straordinario della Santa Sede si constata fin dal principio. Dieci anni dopo l’inizio dell’evangelizzazione comincia la costituzione di una gerarchia propria, con la creazione di tre diocesi, essendo la sede metropolitana nell’isola di Hispaniola (Santo Domingo), e con la nomina dei rispettivi Vescovi. Come conseguenza sorgono difficoltà con il Re di Spagna. In seguito, vengono erette altre nove diocesi. Vengono aperti seminari. Paolo III, con la Bolla In Apostolatus Culmine del 28 ottobre 1538, crea la prima Università, in Santo Domingo, equiparata a quella di Alcalà, diocesi di Toledo (Spagna) e "che deve essere diretta da un Reggente o Rettore". La seconda viene creata a Lima (1571), la terza a Santa Fè di Bogotà (1580) da Papa Gregorio XIII con la Bolla Romanus Pontifex del 13 giugno 1580. Ogni forma di schiavitù viene proibita. Innumerevoli ferme prese di posizione in tal senso. Paolo III, nella Veritas Ipsa del 2 giugno 1537, è severo nell’attribuire la pratica schiavistica ai nemici della fede, che trattano gli indigeni come animali e creano ostacoli alla loro evangelizzazione! Dichiara solennemente che i nativi sono veri esseri umani e non possono essere sottomessi a schiavitù. Scrivendo al Cardinale di Toledo, proclama la libertà degli indios, come creature razionali, capaci di accogliere la fede e ottenere la salvezza. Chi li collochi in schiavitù incorre nella scomunica, con facoltà di assoluzione riservata al Papa stesso. E questo non solo per il ridurre gli indios a schiavi, ma anche per lo spogliarli dei loro beni (Pastorale officium, 29 maggio 1537). Paolo III, il 17 febbraio 1537, nell’Istruzione al Nunzio in Portogallo Geronimo Capodiferro, dispone che sia soppressa la proibizione per gli indios di entrare in Europa: "Questa proibizione prende a pretesto il pericolo che gli indios possano diventare ebrei. In verità il male minore è che si convertano al giudaismo per loro propria colpa piuttosto che a causa della nostra ingiustizia. In alcun modo sua Maestà può far violenza alla loro volontà, perché Dio ha dato loro il libero arbitrio. Questa volontà si piegherà più facilmente al bene se si usano carità e bontà, evitando ogni violenza che in nessun caso può dirsi buona o giusta".
Pio IV, il 12 agosto 1562 proibisce ai missionari, sotto pena canonica, di portare beni materiali in Spagna oltre al necessario per il viaggio. Su questo argomento ci sono vari altri riferimenti nella vita ecclesiastica del primo secolo dopo la scoperta. Tutti questi documenti evidentemente rafforzano la lotta dei missionari contro la cupidigia dei colonizzatori. Forti pressioni inducono il Pontefice a sospendere la pena canonica, ma non la condanna della schiavitù. E poiché gli abusi in tale campo continuano, Paolo III pubblica il nuovo documento Exponi Nobis Super, del 29 Giugno 1547, in cui è riaffermata la proibizione di maltrattare o ridurre in schiavitù gli indios. Tante citazioni di documenti e date danno solo una modesta immagine della grandezza e complessità dell’opera missionaria del primo secolo dopo la scoperta. Essi rivelano, comunque, l’immenso sforzo profuso nell’organizzazione della Chiesa nel Nuovo Continente, in favore della educazione, nella difesa degli indios e nella condanna della schiavitù. Mostrano anche le ombre, poiché spesso rimane una grande distanza tra le disposizioni dei Romani Pontefici e l’obbedienza di tanti colonizzatori.
Questi missionari ci danno esempi ammirevoli di eroismo umano e di sforzo culturale. Avanzano in regioni ancora inesplorate o trascurate da tutti per la miseria della popolazione. Poco dopo il 1600 il missionario gesuita Padre Roque Gonzales, recentemente canonizzato da Papa Giovanni Paolo II, scrive: "Molto spesso il nostro unico alimento sono radici, e a volte sono velenose. Prima dobbiamo macerarle. Quante volte, durante l’intera giornata, non abbiamo nulla da mangiare, e dopo il tramonto andiamo mendicando di capanna in capanna (anche dai non cristiani), per vedere se hanno qualcosa e sono disposti a dividerla con noi. Lavoriamo tutto il Santo giorno, con sudore e fatica. Gli abiti sono completamente logori..." (Palabra, luglio 90, n. 303, p. 36). Contrastando i non pochi interessi dei nuovi padroni della terra, i missionari apprendono varie lingue indigene e in queste stesse lingue stampano catechismi e grammatiche; e inoltre realizzano ammirevoli ricerche sulla flora e la fauna, scrivono opere sui fiumi e sul mare.
In occasione del Quinto Centenario, questo semplice quadro di ciò che si è prodotto di buono nei primi cento anni di evangelizzazione è motivo sufficiente per lodare e ringraziare il Signore del dono straordinario ricevuto con la scoperta: la Fede Cristiana!
2. Una falsa visione del passato. Questi fatti citati sono importanti per comprendere meglio la dinamica degli eventi, specialmente nel primo secolo dopo la scoperta. Due aspetti richiamano la nostra attenzione per un giudizio obbiettivo: gli errori commessi nello stesso ambito ecclesiale rendono più gravi gli attacchi alla Chiesa Cattolica e il fallimento odierno del marxismo spinge a ricercare e enfatizzare gli aspetti negativi, allo scopo di mantenere le ideologie ispirate a Marx capaci di attrarre l’idealismo di certi cattolici. Quanto al primo aspetto, verità e giustizia ci impongono di riconoscere le azioni inique compiute al tempo della scoperta e nei secoli successivi. Sono le ombre che devono essere giustamente ricordate ma che pure vanno giudicate alla luce della mentalità del tempo. Valutare il passato con categorie e concetti attuali rappresenta un’ingiustizia e una violenza fatta alla verità storica. Si registra così la ricomparsa della cosiddetta "Leggenda nera". Il filosofo spagnolo Julian Marias, membro della Commissione Internazionale della Pontificia Commissione per la Cultura, chiarisce: "La leggenda nera consiste nel partire da un punto concreto che possiamo supporre certo, per estendere la condanna a tutta la Nazione, la sua storia, inclusa quella futura". Gli errori e le ombre sono assunti come punto di vista per giudicare negativamente tutta la colonizzazione. E per indicare come corresponsabile la stessa Chiesa.
Lo scrittore argentino Ernesto Sábato afferma: "La leggenda nera fu creata dalle nazioni che aspiravano a prendere il posto del più potente impero dell’epoca, tra esse l’Inghilterra la quale commise, nel mondo intero, atrocità tanto gravi quanto quelle degli Spagnoli, rese ancora più gravi dal suo classico atteggiamento razzista"(2). Oggi questa interpretazione è usata per attaccare la Chiesa, da parte di certi cattolici, soprattutto alcuni legati a comportamenti profondamente antiecclesiastici. Provenendo dal campo cattolico questi attacchi sono più violenti e fanno più male. Nascono da un concepirsi come giudici e non come figli, oltre ad essere falso il giudizio emesso.
Un altro bersaglio è la Regina Isabella, la Cattolica. La verità su di lei è ben diversa da quella che viene diffusa in certi ambienti. Pur non approvando tutto l’operato di Isabella dobbiamo però riconoscere il suo valore. Alcuni esempi.
Il 16 settembre 1501 a Granada, Isabella firma l’Istruzione al Governatore delle Indie, Nicolas de Ovendo, che salvaguarda in modo permanente quelli che noi oggi chiamiamo "diritti della persona umana"(3). Lo statuto degli abitanti delle terre scoperte era quello di uomini liberi. Dice la regina: "E’ necessario che gli indigeni siano informati delle cose della nostra fede, così che possano conoscerla" e i religiosi dovranno corregerli ma "senza esercitare su di loro alcun tipo di pressione" (idem). Il lavoro di evangelizzazione procedeva con lentezza. Dal 1492 al 1500 si calcono circa 2000 convertiti, secondo il francescano Jean de la Deule. L’équipe era piccola, una decina di religiosi, soprattutto francescani.
Isabella, nel suo testamento, lascia ben chiara l’intenzione principale della colonizzazione: "condurre i popoli alla conversione, alla fede cattolica"(4). Al suo desiderio corrisponde lo straordinario fiorire dell’azione missionaria, a partire dalle prime decadi del secolo XVI.
Altro esempio che raccomanda prudenza nel giudizio è la minuziosa e obbiettiva esposizione che lo stesso autore fa rispetto alle "encomendas", istituzione creata da Isabella nel 1503-1504(5).
Poiché lo scopo di questa mia relazione non è quello storico, aggiungo solo quanto afferma il presidente del Congresso "Scoperta 92", organizzato dall’Accademia di Storia Spagnola a Madrid e Siviglia, nel dicembre 1991: "La concessione della libertà assoluta per gli indigeni, fatta nel 1500 dalla Regina cattolica, fu un passo da gigante in un’epoca in cui la schiavitù era moneta corrente".
Gli abusi sono evidenti, ma chiare, anche se non sempre efficaci, sono le determinazioni dell’autorità superiore della Chiesa e dei Missionari. Quanto a questi ultimi, è sufficiente ricordare il domenicano Antonio de Montesinos, nella sua omelia della quarta Domenica di Avvento del 1511, e Bartolomeo de Las Casas, dopo la sua conversione alla causa degli indios, cominciata quando gli viene rifiutata l’assoluzione dai domenicani di Hispaniola, perché è un sacerdote possessore del titolo di una "encomenda"(6). Nel contesto dell’epoca, la Chiesa prende una posizione corretta, anche se non sempre obbedita. A questo riguardo conviene osservare che siamo alla vigilia del secolo XXI, eppure si constata che infelicemente le direttive del Magistero, specialmente del Santo Padre, sono discusse, ignorate e disubbidite, e che coloro che più attaccono le celebrazioni del Quinto Centenario si collocano tra quelli che contestano la legittima autorità della Chiesa.
Un secondo aspetto che emerge negli attacchi alla celebrazione del Quinto Centenario, per quanto strano sembri, ha qualche relazione con il fallimento del marxismo nell’Europa centro-orientale. Vari gruppi, specialmente intellettuali, compresi diversi cattolici, che vissero sempre fuori dai paesi a regime comunista, insistono nell’affermare che la soluzione dei problemi della nostra epoca si trova nella dottrina marxista. Con la caduta di tali governi e la triste situazione in cui versano quei paesi, questi gruppi intellettuali hanno bisogno di una altro obbiettivo di attacco polemico e così usano degli indigeni e della scoperta dell’America, considerati unicamente sotto l’angolo degli errori della colonizzazione.
Anche in ambienti cattolici, sulla scia del cosiddetto complesso anti-romano, vengono così accentuate le ombre dell’opera di evangelizzazione, che le luci non posssono neppure essere percepite da uno sguardo viziato dall’ideologia e da posizioni che si oppongono al Magistero. Nascono così, e sono ben vivi, vari atteggiamenti e iniziative contrarie alla grandezza di questa vera e propria epopea, che fu l’illuminazione di tutto il Continente con la fede: un’immensa opera che continua ai nostri giorni, marcando la cultura latino-americana. Le reazioni contrarie alla celebrazione del Quinto centenario della Scoperta hanno origine in queste o altre simili motivazioni, nel tentativo di diminuire lo splendore della Chiesa Cattolica.
3. L’avvenire dell’evangelizzazione. E’ questa un’eccellente opportunità per lanciare lo sguardo sul futuro. Corretti gli errori, diventa necessario applicare la lezione del passato al presente e al futuro non solo in America Latina, ma anche in altri continenti.
Lo spirito missionario spinse molti europei a predicare la Parola di Dio nel Nuovo Continente, con l’immenso sacrificio di lunghi viaggi e della permanenza in terre fino allora sconosciute. Questa ansia di annuncio evangelico interpella la nostra azione apostolica e il nostro zelo pastorale. Non è questione di partire per luoghi lontani, perché anche vicino a noi c’è molto da fare.
L’amore alla Chiesa senza dubbio fu il motore di tali immensi sforzi di evangelizzazione. Oggi, nel nostro ambiente, urge impegno in questo compito, perché incontriamo figli ma anche giudici implacabili della madre Chiesa.
In occasione della celebrazione del Quinto Centenario dobbiamo fare attenzione alla confusione dottrinaria che tanto male provoca ai nostri giorni. In quell’epoca c’erano affermazioni diseguali, ma tutta l’evangelizzazione fu portata avanti proprio da coloro che rimasero con Roma, rifiutando la Riforma Protestante. L’unità dottrinale non era distrutta dalle dispute che sorgevano, frutto di nuovi problemi che si presentavano. C’era molta discussione negli ambienti politici e religiosi, ma permaneva la fedeltà alla Chiesa.
L’ultima osservazione riguarda l’importanza del continente americano per la Chiesa universale. Oggi vi abita quasi la metà dei cattolici del mondo intero. I problemi di questo continente richiedono una speciale attenzione, perché toccano tutta la comunità cristiana e, fino a un certo punto, includendo il Nord America, il mondo civile. La prospettiva di un futuro migliore per il continente sarà oggetto della Quarta Assemblea Generale dell’Episcopato latino-americano, che si realizzerà dal 12 al 18 di ottobre in Santo Domingo. Nel Documento di Lavoro, dal titolo Nuova Evangelizzazione, Promozione Umana, Cultura Cristiana - Gesù Cristo ieri, oggi e sempre, siamo introdotti nell’obiettivo dell’assemblea che costituirà il punto più alto delle celebrazioni:
"1. Celebrare Gesù Cristo cioè la Fede e il Messaggio del Signore Crocifisso e Risorto, diffuso in tutto il continente e sempre nella vita e nella missione della Chiesa perché il nome di Gesù Cristo viva nelle case e nei cuori di tutti i latino-americani.
2. Riuscire ad approfondire, secondo le ineludibili esigenze pastorali del momento presente, gli orientamenti di Medellin e di Puebla, avendo di mira una rinnovata evangelizzazione del continente, che possa penetrare profondamente nei cuori delle persone e nelle culture dei popoli, e sia spirito che animi permanentemente la promozione umana.
3. Studiare e programmare la missione evangelizzatrice della chiesa nel continente latinoamericano, così che, con la ricca esperienza del passato e avendo presenti i mutamenti profondi registrati nel nostro tempo, essa possa affrontare con ardore, speranza e docilità di spirito la sfida del futuro". E il testo continua con questa citazione del Santo Padre, il Papa Giovanni Paolo II: "Ora si tratta di tracciare nei prossimi anni una nuova strategia evangelizzatrice su un piano di evangelizzazione globale che tenga conto delle nuove situazioni dei popoli latinoamericani e che costituisca una risposta alle sfide dell’ora presente, tra le quali si evidenziano la crescente secolarizzazione, il grave problema dell’avanzata delle sette e la difesa della vita in un continente in cui la cultura della morte fa sentire la sua presenza distruttrice"(7).
Conclusione. Parlando in Porto Prence, Haiti, al CELAM (Consiglio Episcopale Latino-americano), il 9 marzo 1983, il Papa Giovanni Paolo II riassume mirabilmente l’importanza di questa celebrazione e la sua reale dimensione: "Come latino-americani dovete celebrare questa data con una seria riflessione sui cammini storici del continente latino-americano, ma anche con gioia e orgoglio.
Come cristiani e cattolici è giusto ricordarla, con uno sguardo attento a questi cinquecento anni spesi per annunciare il Vangelo e costruire la Chiesa in queste terre. Sguardo di gratitudine a Dio per la vocazione cristiana e cattolica dell’America Latina e a quanti furono strumenti vivi e attivi dell’evangelizzazione. Sguardo di fedeltà al vostro passato di fede, sguardo alle sfide negli sforzi presenti che si stanno realizzando, sguardo al futuro per vedere come consolidare l’opera iniziata".
In Haiti, il Papa Giovanni Paolo II aprì una nuova prospettiva al continente attraverso una "Nuova Evangelizzazione". L’anno seguente, il 12 di ottobre, in Santo Domingo, davanti ai vescovi dell’America Latina, la lanciava come programma della celebrazione dei cinquecento anni. E rilevava come la nuova evangelizzazione non nasca dal nulla. "Occorre" — egli diceva — "una nuova civilizzazione, già iscritta nella nascita dell’America Latina, che si sta compiendo tra lacrime e sofferenze, e che aspetta la piena manifestazione della libertà dei figli di Dio". In seguito, la Nuova Evangelizzazione fu proclamata in tutti i continenti e particolarmente in Europa cone programma per la Chiesa universale.
Il Vaticano II e l’Esortazione Apostolica di Paolo VI Evangelii Nuntiandi, forniscono l’orientamento fondamentale della Nuova Evangelizzazione. "Non c’è vera evangelizzazione se non si annuncia il nome, la dottrina, la vita, le promesse, il regno, il mistero di Gesù di Nazareth, Figlio di Dio" (Evangelii Nuntiandi, n. 22).
Il cuore della Nuova Evangelizzazione è la persona di Cristo. Non basta proporre i valori evangelici della giustizia e della pace, ma è necessario annunciare la persona di Cristo, la sua morte e risurrezione come l’unico annuncio di salvezza per il mondo intero, per gli uomini di oggi. Il grande equivoco di certi cattolici è nascondere l’annuncio puro e semplice della persona di Cristo e sostituirlo con la predicazione di valori sociali e morali; lasciando l’uomo abbandonato alla sua dimensione terrena senza potere approfittare della Grazia dell’Incarnazione di Dio.
Oggi si assiste spesso alla riduzione del Cattolicesimo alla pura etica o alla pratica politica. Queste idee sono diventate luogo comune in molte comunità quando la fede si riduce a militanza politica. E anche dopo il crollo delle utopie persiste una grave perdita del senso della Grazia.
Urge una Nuova Evangelizzazione che offra il nucleo della fede cristiana e i mezzi per poterla vivere. Sembra d’essere giunti a una situazione nella quale si vuole che Dio sia uno sconosciuto, qualcosa di lontano dalla vita dell’uomo, che l’uomo stesso possa interpretare a suo piacimento e che non abbia nessuna influenza sulla vita quotidiana. Oltre a ciò, c’è grande esaltazione delle varie religioni e di certe mistiche di spirito anti-cattolico, a detrimento della Chiesa di Cristo.
Al contrario, Dio non è sconosciuto: Egli ha assunto la carne di suo Figlio e ha rivelato il suo volto nella croce e nella risurrezione, e continua vivo nella Chiesa. Questo annuncio sta all’origine della prima evangelizzazione e costituisce la grande forza della Nuova Evangelizzazione attraverso le opere vive che lo spirito del Signore suscita per rinnovare il volto della Chiesa. Il Meeting di Rimini mostra molto bene questa azione dello Spirito Santo. Aver ricevuto la fede cristiana è il più grande di tutti i doni. Trasmettere questa Fede nella purezza della dottrina e con l’esempio di una vita fedele è il compito di ogni cristiano.
NOTE
(1) L’opera America Pontificia è stata pubblicata dall’Editrice Vaticana nel 1991. Il Pontificio Consiglio di Scienze Storiche ha affidato al professor Josef Metzler, membro dello stesso Pontificio Consiglio e Prefetto dell’Archivio Segreto Vaticano, Direttore della Scuola Vaticana Paleografica, Diplomatica e Archivistica, nonché membro della Pontificia Accademia delle Scienze, l’incarico di far luce sulla verità storica attraverso l’edizione delle Bolle e di altri documenti dell’Archivio Segreto. Ne sono così risultati due corposi volumi per un totale di 1562 pagine contenenti ben 837 documenti riguardanti questo periodo.
(2) In Palabra, agosto-settembre 1991, pp. 25-27.
(3) L’incomparabile Isabella la Catholique, di Jean Dumont, p. 165.
(4) Ib., p. 171.
(5) Ib., p. 166.
(6) Civiltà Cattolica, n. 3406, p. 372.
(7) Discorso del Santo Padre alla Seconda Assemblea Plenaria della Pontificia commissione per l’America Latina, 14 giugno 1991.