Santa Messa - Omelia di Sua Ecc.za Mons. Mariano De Nicolò, Vescovo di Rimini

 

 

 

 

 

 

 

 

La liturgia di questa domenica ci fa rivivere attraverso i testi della sacra scrittura la convocazione del popolo ebraico a Sichem per rinnovare con Jahvé l’alleanza del Sinai e, nel brano del vangelo di Giovanni, la conclusione di quella lunga catechesi che segue la moltiplicazione dei pani con l’abbandono di molti discepoli e la professione di fede di Pietro. Con la moltiplicazione dei pani Gesù si rivela come la vera manna discesa dal cielo che dà la vita al mondo.

La venuta del Messia nella mentalità biblica sarebbe coincisa con la convocazione del banchetto messianico imbandito da Dio stesso e con il rinnovarsi del miracolo della manna per un’assemblea nuova ed eterna. Eppure i testi evangelici quando raccontano il miracolo della moltiplicazione dei pani registrano l’incredulità e la mormorazione dei giudei e di numerosissimi discepoli di Gesù. La mormorazione è un peccato tipico nella storia della salvezza e la troviamo diverse volte nel cammino del popolo ebraico e anche attorno alla stessa persona di Gesù. Come Dio intese nel deserto la mormorazione degli ebrei così Gesù conosce la mormorazione dei giudei. Sempre la mormorazione esprime l’incredulità di fronte alla voce della salvezza. I giudei dicono: non è forse costui Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui conosciamo il padre e la madre, come può dire sono disceso dal cielo? La risposta di Gesù non ridimensiona la sua identità ma la ripropone in termini inequivocabili: "Io sono il pane della vita, i vostri padri hanno mangiato la manna del deserto, questo è il pane che discende dal cielo perché chi ne mangia non muoia". L’ostacolo che si frappone tra i giudei e Gesù è l’umiltà dell’incarnazione; quell’uomo del quale conoscono la storia e la provenienza come può essere il Salvatore? E poi quel parlare di sé come agnello sacrificato destinato a morire quali prospettive di liberazione poteva portare? Decisamente la loro attesa di liberazione non coincideva con quell’uomo venuto da Nazareth figlio di un falegname. Ancora una volta emerge lo scandalo dell’uomo che non sa porsi con fiducia di fronte all’agire di Dio, è il medesimo peccato che ha accompagnato il popolo ebraico nelle situazioni in cui sperimenta il limite delle proprie forze e teme di essere deluso da Dio che sembra lontano, assente.

Anche noi siamo tentati di mormorare contro Dio e di scandalizzarci di Lui; di fronte alle logiche mondane incentrate sull’affermazione di sé, attraverso il possesso dei beni che si producono e che si possono comprare e consumare sembra perdere la solidità nell’animo di tanti, l’annuncio che la vita viene data a noi in Gesù Cristo. Non sembra avere mai termine questa pretesa dell’uomo di costruire da sé, con le proprie forze, la propria liberazione e la propria felicità. È questa la triste esperienza del peccato nella quale l’uomo non accoglie il patto di alleanza che Dio gli offre e si pone a servire i vari idoli.

La storia dell’umanità è segnata in mille modi dalle ferite portate dall’esperienza di vivere rifiutando o ignorando Dio. Alla folla che lo segue e allo stesso gruppo dei dodici si rivolge con chiarezza estrema e con vero amore: "In verità in verità vi dico: se non mangiate la carne del figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue non avrete in voi la vita perché la mia carne è veramente cibo e il mio sangue veramente bevanda". Ecco lo scandalo della croce; all’attesa del re dispensatore di pane Gesù contrappone il Messia messo a morte, Crocifisso e Risorto. Questa chiarezza di posizione, questo amore alla verità e alla libertà dell’uomo è lo stile che deve caratterizzare la Chiesa in ogni tempo.

È a partire da questa consapevolezza di fede che nasce la nostra capacità di condividere il cammino di ogni uomo ravvivando le speranze, educando le domande di libertà e di vita, aprendo l’animo ad accogliere il mistero di Dio che si è rivelato a noi in Cristo. Gli risponde Simon Pietro: "Signore, da chi andremo, tu solo hai parole di vita eterna, noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio". I termini credere, conoscere, esprimono le dinamiche essenziali dell’esperienza cristiana, i dodici continuano a seguire Gesù nonostante momenti di incertezza perché la sua persona è al centro del loro cuore dove tutta la loro umanità è accolta, compresa, amata. Stando con lui, fidandosi della sua parola incominciano a capire che Gesù di Nazareth è veramente il pane disceso dal cielo che porta salvezza.

All’inizio del cammino di fede sta sempre una presa di posizione della persona che nella sua libertà accoglie la proposta di vita di Cristo stesso. Il termine "conoscere" traduce la ricchezza del fare esperienza per cogliere la novità di vita cristiana. È necessario fare esperienza viva del vangelo all’interno della comunione ecclesiale. Non è sufficiente la ricerca razionale o scientifica, occorre lasciarsi coinvolgere dalla presenza di Gesù come la Chiesa la testimonia nel tempo, occorre entrare nella dinamica dello Spirito: "È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla. Le parole che vi ho dette sono Spirito e vita". Così Gesù risponde alla incredulità di molti.

È nella relazione di vita con Cristo che abbiamo la formidabile possibilità di contemplare la realtà nella sua dimensione ultima e coglierne il linguaggio che parla di Dio. La frase di Dostoevskij messa a tema di questo XVIII Meeting per l’amicizia tra i popoli coglie con forza questa capacità contemplativa dei cristiani sulla realtà: "Davvero tutto è buono e splendido perché tutto è verità". È solamente nell’animo di chi ha fatto esperienza di Dio, pur in mezzo a tante vicende dolorose che lo hanno messo alla prova nella sua fede, che è possibile sperimentare e gioire della positività di tutta la realtà. Noi che siamo riuniti nel nome del Signore abbiamo la possibilità di sperimentare la gioia di riappropriarci della nostra vita e di tutto il Creato. È la gioia che ci fa sperimentare come "Davvero tutto è buono e splendido perché tutto è verità".