Santa Messa - Omelia di S.E. Mons. Mariano De Nicolò, Vescovo di Rimini
Domenica 23, ore 11
"Lodate il Signore, popoli tutti, voi tutte, nazioni, dategli gloria. Forte è il suo amore per noi e la fedeltà del Signore dura in eterno" (Salmo 116). Le parole del salmo responsoriale di questa liturgia danno il giusto respiro al nostro ritrovarci qui, oggi, a celebrare l’Eucarestia.
Venite da città diverse, con diverse sensibilità, ma tutto trova il suo punto di composizione e di unità nella comune lode al Signore, che ama ognuno di noi con "amore forte" ed è fedele per sempre a questa nostra vicenda umana.
La Chiesa di Rimini, nella persona del suo vescovo, vi dà un caloroso benvenuto. Con la vostra presenza qui attorno all’altare possiamo recuperare non solo culturalmente o psicologicamente, ma nella realtà della comunione dei Santi, di cui la Chiesa è segno, il legame di amicizia, di fraternità, di solidarietà con tutti i popoli della terra che anche oggi, come cinque secoli fa, per l’evangelizzazione del continente americano, e come da sempre, sono alla ricerca di nuove terre di pace e di libertà. Vorremmo che questo spazio ove siamo, convocati dal Corpo e dal Sangue di Cristo, fosse, per l’intensità della nostra fede e l’autenticità della nostra testimonianza cristiana, segno di speranza per ogni uomo.
Questa città di Rimini, situata sulla sponda occidentale dell’Adriatico, richiama, per la sua vicinanza geografica, a non dimenticare quanto sta accadendo sull’altra sponda del mare ove tante persone, etnie, espressioni religiose e culturali, vivono un clima di terrore e subiscono violenze che l’Europa non avrebbe più voluto vedere e denunciare. Preghiamo, cari amici, per i vecovi, i sacerdoti, i fedeli cristiani di quelle terre affinché siano fedeli al Vangelo e costruttori di amicizia e di pace tra i popoli. La nostra preghiera poi, unita a quella di Cristo, si dilata alle vicende di tutti gli altri popoli, soffermandosi con particolare tenerezza su coloro che in modo più grave sperimentano nel proprio cammino il flagello della fame, della guerra, della mancanza di libertà.
"Io verrò a radunare tutti i popoli e tutte le lingue" (Is. 66, 18), annuncia pieno di speranza il profeta Isaia al popolo ebreo ricostituitosi dopo l’esilio babilonese, tentato però di ripiegarsi e chiudersi in se stesso per difendere la propria identità etnica e culturale. Il pericolo era grave: veniva a mancare il respiro della fraternità universale e la coscienza di appartenere all’unica famiglia umana. E’ un pericolo sempre presente nelle vicende delle persone, dei gruppi, dei popoli. Quando alla base delle relazioni, dell’associarsi, non vi sono le realtà umane essenziali, universali, patrimonio di tutti, inevitabilmente nascono le contrapposizioni di interessi, i sospetti, le paure e, in definitiva, la violenza e la guerra.
Nella realtà sociale e politica del nostro paese, come pure, per tanti aspetti, dell’Europa e del mondo, animata da tante realtà vive, fonte di speranza, ma pure segnata da gravi sintomi di disgregazione, la Chiesa avverte l’urgenza di portare in modo coraggioso e nuovo il Vangelo. La realtà economica, le situazioni di povertà, le difficoltà in ordine al lavoro, alla politica, se da un lato richiamano precise competenze e responsabilità delle istituzioni sociali, dall’altro domandano nuovi fondamenti etici capaci di promuovere il bene di tutti.
La fede in Dio, l’incontro con Cristo, non sopporta egoismi e divisioni, ma urge a recuperare la verità di ogni uomo amato da Dio e chiamato alla salvezza: "Verranno da occidente e da oriente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio" (Lc. 13, 29), proclama l’evangelista Luca. Al recente Sinodo per l’Europa, i vescovi affermano: "Il crollo del comunismo mette in questione l’intero itinerario culturale e socio-politico europeo, segnato dall’ateismo non solo nel suo esito marxista, e mostra con i fatti, oltre che in linea di principio, che non è possibile disgiungere la causa di Dio dalla causa dell’uomo" (Dichiarazione finale, 1). Separare la causa di Dio da quella dell’uomo, affrontare e progettare la vita umana negando Dio, è il dramma di gran parte del nostro mondo occidentale: "Si diffondono una mentalità e dei comportamenti che privilegiano in modo esclusivo la soddisfazione dei propri bisogni immediati e degli interessi economici, con una falsa assolutizzazione della libertà del singolo e con la rinuncia a confrontarsi con una verità e con valori che vadano aldilà del proprio orizzonte individuale o di gruppo" (Ibid. 1). L’universalismo della salvezza, che richiede il superamento di ogni particolarismo, chiama la Chiesa ad un nuovo impegno di evangelizzazione. "Io porrò in essi un segno e manderò i loro superstiti alle genti, ai lidi lontani che non hanno udito parlare di me e non hanno visto la mia gloria" (Is. 66, 19-20). Quale sarà questo segno di cui parla Isaia? Il "segno" è la rinnovata comunità del popolo di Dio che ha il compito di far vedere a tutti i popoli ciò che Dio progetta per il mondo intero. La ricostituzione dell’unità del popolo di Dio, la sua ritrovata e rinnovata vita di fede, diventa segno perché gli uomini cerchino Dio. L’unità dei cristiani è la grande forza che rende credibile l’annuncio del Vangelo. La comunità dei credenti, prefigurata dal profeta Isaia, sarà di scandalo per tutti coloro che volevano ammantare di forza militare, politica, economica, etnica l’alleanza di Dio con il suo popolo. E’ una comunità che vive in mezzo alle genti, ne condivide le vicende, non si estranea, non si separa; in tutto questo è indicato lo stile di vita del popolo cristiano realmente e intimamente solidale con il genere umano e la sua storia" (GS. 1). E’ l’immagine di una Chiesa che, seguendo l’esempio del suo Signore, si alza da tavola, depone le vesti e lava i piedi ai tanti che sulle vie del mondo sono stanchi e sfiduciati; li consola e li rinfranca con il balsamo della carità fraterna, li nutre con il pane dell’Eucarestia (cfr. Gv. 13, 10). "Popoli tutti aprite le porte a Cristo, afferma Giovanni Paolo II nella lettera enciclica 'Redemptoris Missio'. Il suo Vangelo nulla toglie alla libertà dell’uomo, al dovuto rispetto delle culture, a quanto c’è di buono in ogni religione. Accogliendo Cristo, voi vi aprite alla parola definitiva di Dio, a colui nel quale Dio si è fatto pienamente conoscere e ci ha indicato la via per arrivare a Lui. Nessun credente in Cristo, nessuna istituzione della Chiesa può sottrarsi a questo dovere supremo: annunciare Cristo a tutti i popoli" (RM. 3).
I cristiani sono chiamati ad essere lievito nella pasta, fonte di speranza e di ottimismo. Non è l’ottimismo di chi non vede o non vuole vedere le contraddizioni e i drammi della storia; l’ottimismo dei cristiani nasce dall’esperienza viva di comunione con Cristo, fonte di nuove iniziative e responsabilità. "Sono numerose nella storia dell’umanità le svolte epocali che stimolano il dinamismo missionario, e la Chiesa, guidata dallo Spirito, vi ha sempre risposto con generosità... Oggi la Chiesa deve affrontare altre sfide, sia nella prima missione ai popoli che non hanno mai incontrato il Vangelo, sia nella nuova evangelizzazione dei popoli che hanno già ricevuto l’annuncio di Cristo. Oggi a tutti i cristiani, alle Chiese particolari, alla Chiesa universale sono richiesti lo stesso coraggio che mosse i missionari del passato e la stessa disponibilità ad ascoltare la voce dello Spirito" (RM. 30).
"Il giallo, il nero, l’indio e il latino", tema guida di questo Meeting, possano incontrare nella Chiesa il segno, già fin d’ora sperimentabile, del Regno che da sempre l’umanità cerca. Perché questo accada occorrono cristiani di forte spiritualità, di ricca vita interiore, alimentata dalla preghiera, dalla vita sacramentale, da una forte comunione con i pastori, da una ricca fraternità di vita con tutti i credenti in Cristo, ben radicati nelle vicende degli uomini, solidali con tutti.
La vita, il tempo che il Signore ci dona non si possono sciupare, appiattire su mete insignificanti, povere di umanità. Sono di forte richiamo le parole del Vangelo: "Sforzatevi di entrare per la porta stretta... Signore aprici... non vi conosco" (Lc. 13, 25-27). Per essere "riconosciuti" dal Signore occorre averlo incontrato, accolto nella vita. Chi accoglie il Signore sappia riconoscerlo nel fratello, specie se povero, ferito, senza speranza. Per entrare nella mensa del Regno occorre che il prossimo, i poveri del mondo, "icone" privilegiate di Cristo, ci riconoscano fratelli, diano buona testimonianza di noi e ci conducano per mano nella sala del convito.
La Chiesa, fin dalle origini, ha unito insieme la mensa dei poveri con la mensa eucaristica a coniugare l’unico comandamento dell’amore di Dio e dell’amore del prossimo. In tal modo si manifestava tutta unita nel vincolo della carità attorno a Cristo (cfr. AA. 8).
Il Vangelo della carità ha saputo scrivere in ogni epoca pagine luminose di santità e di civiltà: è ininterrotta la catena dei santi e delle sante che con la forza del loro amore operoso hanno dato testimonianza al vangelo e reso più umano il volto del nostro paese. E’ un’eredità che dobbiamo custodire, approfondire e rinnovare e che oggi ci viene consegnata perché sia feconda di nuovi frutti.
La Vergine Maria, che in questo mese abbiamo celebrato nella solennità della sua Assunzione al cielo, indichi a noi, pellegrini sulla terra, la strada del Regno e ci sia di aiuto e segno sicuro di speranza perché viviamo le realtà del mondo costantemente rivolti ai beni eterni. Amen.