“Sono felice perché qui mi amano!”

22 Agosto 2024
Avvincente percorso umano e professionale del giornalista e scrittore Andrea Avveduto tra Italia e Terra Santa. La passione che nasce dall’incontro con le persone, un lavoro che fa parte di una missione.

Oggi abbiamo avuto il piacere di incontrare personalmente il giornalista e scrittore Andrea Avveduto, responsabile della comunicazione di Pro Terra Sancta.

La sua passione è partita da un’intuizione avuta in terza media di diventare giornalista. Infatti, la sua professoressa d’italiano apprezzava molto la sua abilità nello scrivere e la sua curiosità.

Dopo gli studi classici ha studiato Scienze della comunicazione e Storia contemporanea a Milano. Durante il periodo universitario ha lavorato a Rai 3 e successivamente in una TV locale, per le quali commentava alcuni programmi televisivi. Una volta terminata questa esperienza si è posto il problema di trovare un nuovo lavoro. Da un amico gli è arrivata la proposta di andare a lavorare in Terra Santa. Giunto lì si è subito accorto del caos tra le diverse religioni e culture che vi convivono. Il terzo giorno della sua permanenza si reca a Ebron una città in Palestina dove c’è la tomba di Abramo la quale si trova per metà in una sinagoga e per l’altra metà in una moschea. Questo ha ancora reso più chiaro la difficile condizione di convivenza tra Israeliani e Palestinesi.

Un altro episodio fondamentale del suo arrivo in Terra Santa fu quando tornando da Ebron, un bimbo di circa sei anni, ha improvvisamente attraversato la strada e il pulmino su cui Andrea viaggiava lo ha involontariamente investito. Il bambino aveva un grosso bernoccolo ma in quella zona particolare non era possibile chiamare nè polizia nè soccorsi. La famiglia non aveva il ghiaccio per medicarlo perché in quell’area era stata tagliata la fornitura d’acqua. Questo lo ha fatto riflettere sulle ingiustizie della guerra che coinvolgono i civili e i più deboli. Si è reso conto che fino a quel momento i media raccontavano la guerra solo come una fazione contro l’altra e non come la sofferenza delle persone comuni come quel bambino. Così ha deciso di raccontare le storie di quelle persone fragili. Andrea si è reso disponibile a rispondere ad alcune domande che riportiamo.

Cos’è essenziale nel tuo lavoro?

Onestà e sincerità verso me stesso e la realtà. Mai come quest’anno è stato difficile essere sincero con me stesso perché se vedo un palestinese soffrire mi risulta facile prendere le sue posizioni, ma lo stesso mi accade anche con un israeliano. Allora cos’è essenziale veramente: tifare per l’uno o per l’altro oppure volere il bene per tutti? È evidente che c’è sofferenza da entrambe le parti ma si costruisce solo se si dà una speranza a tutti. Solo un amore verso tutti può salvarli.

In una realtà così complessa, quale può essere un punto in comune?

Mi viene in mente Laila, una donna ebrea che aveva due figli gemelli e per farli andare a scuola li faceva salire su due pullman differenti. Lei mi ha spiegato che i mezzi di trasporto per la scuola erano soggetti ad attentati così per avere la possibilità di far tornare a casa almeno un figlio li mandava su due mezzi diversi. Una mattina non c’è stata questa possibilità per cui hanno affrontato il viaggio insieme e sono morti entrambi in un attentato. La figlia di Laila, presente al racconto, ha chiesto alla madre: “Come fai a non odiare?” La madre ha risposto: “Se mi mettessi a odiare non riuscirei a vivere.”

Quindi per me il punto comune è il cuore. Il desiderio di perdonare di questa donna era qualcosa che il suo cuore gridava.

Un altro incontro importante per la mia vita è stato con un bambino a Betlemme. Una storia di abbandono per via della sua disabilità, cresciuto in un giardino con i cani. È stato accolto in un istituto di suore perché era solo e non glia avevano insegnato a parlare, a camminare su due piedi e a mangiare impugnando una forchetta. Io l’ho incontrato e gli ho chiesto come stesse, lui mi ha risposto con gli occhi che brillavano: “Sono felice perché qui mi amano.” Ho capito meglio che quando si è amati veramente lo si riconosce. Il significato della nostra vita è essere amati.

Anch’io in effetti quando ho incontrato persone che mi volevano veramente bene ho sperimentato qualcosa che non avevo provato prima e che mi ha cambiato. È importante tenere gli occhi aperti per riconoscere questo bene. Proprio questo mi dà il coraggio di andare a incontrare persone anche in posti pericolosi, c’è sempre qualcosa di più grande che supera la paura e la abbraccia.

 

A cura di Teresa, Maddalena, Giovanni, Elisabetta