di Giuseppe Bianchini
Lo stupore è il nocciolo della filosofia; è un caposaldo del pensiero del filosofo e matematico russo Pavel Florenskij (saggio Stupore e dialettica). Questa frase è un miracolo di semantica, perché evidenzia il legame tra due mondi, la filosofia come scienza e il cuore umano, che la Modernità ha cercato di separare e la Contemporaneità non è riuscita a riconnettere sfaldandosi in sterili ed eterogenei tentativi.
Il problema centrale della storia infatti è che l’uomo, improbabile composto, è unico e unito in sé stesso, e se privato dello stupore per le cose, che fa o vede, ridotto a un fascio di reazioni. Perché lo stupore è la natura dell’uomo e non una sua operazione.
La premessa prima (e necessaria) in questa Special Edition del Meeting di Rimini è proprio sul titolo, emblematico e profetico data la condizione che la pandemia ha imposto di vivere: spaesamento di fronte alla imponenza di un misterioso morbo e conseguenti malattie psicologiche.
Spaesati e confusi, ma non abbastanza per impedire il riemergere di una domanda sulla vita.
Privi di meraviglia restiamo sordi al sublime: lo stupore e la meraviglia se fossero solo prudori interiorizzanti (e certa mentalità vorrebbe relegare la contemplazione alla inanità e all’oblio di sé) lascerebbero presto spazio alla noia, estremo segno della potenza del cuore umano come grandemente scopre Leopardi. Piuttosto è in gioco lo spostamento di un uomo, che se non si stupisce non vive, spostamento da sé, dall’io stagnante, a ciò che attrae perché ciò che fa vivere è ciò che attrae il sublime; ed il sublime è ciò che da consistenza al vivere. Il sublime che si nasconde in ogni cosa, che si offre in ogni cosa: nel sorriso di una donna, nel paesaggio dei tramonti sul Tirreno o nelle note di Chopin, come nel giro di accordi blues, nella sapidità dei formaggi sardi…In quanti istanti siamo stati colti da qualcosa di vitale. E come lo perdiamo un istante appena dopo. Perché tutto sia nuovo, originale.
La cosa più originale ultimamente è vivere, perché vivere è cominciare, il nuovo ogni volta.
L’unica gioia al mondo è cominciare, Pavese dal cominciare si è fatto travolgere, fino al punto finale della sua vita.
Cominciare.
Lo stupore, a cui richiama l’opera del Meeting, è un inizio, il punto originario di ogni fatto del mondo ed è la vera azione dell’uomo che semplicemente si accorge, di sé, delle occasioni, della novità che ci attende irruenta dietro ogni cosa.