di Chiara Ugolini
“Per troppo tempo abbiamo pensato solo al nostro conto economico e al debito che non volevamo lasciare alle future generazioni. Abbiamo avuto paura di investire in ambiti strategici per la vita e la salute e quando è arrivato il Covid non eravamo pronti per affrontarlo”.
Domenico Arcuri, amministratore delegato Invitalia e commissario straordinario per la pandemia Covid-19, uno dei uno dei punti di riferimento del Paese nell’emergenza, ha sottolineato alcune delle lezioni che dovremmo avere appreso dalla crisi sanitaria e dai cui ripartire e lo ha fatto insieme a Giorgio Vittadini, presidente Fondazione per la sussidiarietà, nell'incontro 'Peggio di questa crisi c'è solo il dramma di sprecarla'.
“La pandemia non è un fenomeno, circoscritto nel tempo e nello spazio. Il mondo è stato abituato a confrontarsi con eventi terribili che durano poco, come i terremoti: dopo un silenzio assordante, si ricomincia, si spostano le macerie, si salvano le vite e si costruisce – aggiunge il commissario straordinario - Ma il Covid-19 non è un evento, è un flusso che non ha confini territoriali e temporali e produce effetti diversi ogni giorno. Un flusso imprevedibile”.
Per questo responsabilità è la parola chiave. “Dobbiamo continuare a seguire le regole – sottolinea ancora Arcuri ⁃ Dobbiamo trovare un equilibrio tra continuare a vivere una vita normale, goderci la libertà ritrovata dopo mesi di lontananza e restrizioni, e rispettare il più possibile tutte le precauzioni, per non rivivere quelle drammatiche nottate di marzo e aprile”. Il virus non è mai andato via e lo farà solo quando saranno disponibili vaccini distribuiti a un prezzo molto basso o pari a zero. Allo stesso tempo, però, continua Arcuri, dobbiamo tornare a vivere, a lavorare, tornare anche sui banchi di scuola. “La riapertura degli istituti, infatti, non è necessaria solo per il fine dell’istruzione, ma anche perché è il primo ritorno collettivo alla normalità”.
Test a tutti quelli che hanno difficoltà respiratorie, meno persone in ospedale e più visite a casa o in ambulatorio, un sistema sanitario nazionale che non si perda tra le autonomie delle Regioni, aggiunge Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell'Istituto nazionale malattie infettive Lazzaro Spallanzani. A suo giudizio, solo in questo modo il nostro Paese potrà ripartire preparandosi a una possibile seconda ondata. “A marzo non eravamo pronti al coronavirus, adesso che abbiamo imparato a conoscerlo non abbiamo più scuse – sottolinea Giuseppe Ippolito –. Il virus non ha confine, non guarda alle competenze regionali ed è necessario preparare anche i nostri sistemi di prevenzione, per questo gli investimenti devono essere chiari. Non è possibile che le malattie infettive possano essere confuse con la gestione dei rischi”. Necessario per fare ricerca, investire nella ricerca.
“Il numero dei morti lo conferma – aggiunge il direttore dello Spallanzani – Perché nessuno si aspettava così tante vittime nei Paesi più sviluppati”.
Se ci sarà un'altra ondata epidemica? Nessuno può dirlo davvero. “Non sappiamo quanto sarà grande o quando arriverà - sottolinea Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di sanità ⁃ Ciò che è certo è che non sarà mai della stessa portata che abbiamo vissuto alla fine di febbraio, marzo e buona parte di aprile”. Il Paese adesso è in grado di garantire alcune strategie per circoscrivere e prevenire la diffusione del contagio, “ma ci sono ancora molti aspetti da potenziare per migliorarne l'efficienza”, continua Franco Locatelli. “Lo dobbiamo ai 35mila italiani che sono morti a causa di questa tragedia”, aggiunge Domenico Arcuri che garantisce che il governo e il ministro della Salute Roberto Speranza stanno lavorando per ampliare i posti letto in terapia intensiva dopo che già da 4mila presenti a gennaio sono passati a più di 9mila a luglio. “Stiamo lavorando per crearne degli altri – continua Arcuri – Intendiamo evitare un altro collasso delle terapie intensive e non vogliamo più dover decidere dove mandare i ventilatori”.