Fotografia, sguardo, intenzione, educazione, regole grammaticali (inesistenti), verità, artisti del passato e (finti) maestri del presente. C’è tanto dietro gli occhi e l’obiettivo e il cuore di Guido Guidi, tra i fotografi più apprezzati del panorama contemporaneo, autore di reportage intimi e racconti intensi che spaziano dalle periferie alla vita quotidiana a luoghi dell’anima. L’autore romagnolo è stato protagonista di un’intrigante chiacchierata in Arena Percorsi A2 con il giornalista di Tracce Luca Fiore, che ha ammesso: «Il motivo per cui amo il mio lavoro per questa rivista è il privilegio di poter incontrare persone straordinarie come Guidi, uno degli incontri che più mi ha segnato».
Il fotografo, inizialmente restìo a essere intervistato, ha esordito provocatoriamente: «Chi sono? Guido Guidi, nato a San Mauro in Valle, vicino a Cesena. Mi sono interrogato per sapere chi ero attraverso la fotografia per tutta la vita. La fotografia, prima che essere un fatto pubblico, è un fatto privato. Mi chiedono spesso “perché fotografi le periferie?” Forse perché mi sento in periferia. Io cerco di capire chi sono stato, non chi sono. È presuntuoso poter dire chi sei, è quasi un atto di hybris».
Mentre alle sue spalle scorrevano alcune delle sue foto più belle, Guidi ha raccontato del suo allontanamento dalla chiesa istituzionale: «I veri mistici non sono i preti ma gli artisti. La mia è una chiesa dell’arte». Per Guidi la fotografia può considerarsi un “atto devoto” poiché è un atto di rispetto verso le cose: «L’arte senza questo atteggiamento religioso non è tale. Per me è primario l’ascolto delle cose. Io non devo comunicare, devo prima comprendere il mondo. La fotografia è “autoeducazione” in primis e, se vogliamo, “auto-comunicazione”. Gli occhi vanno educati. Purtroppo a scuola non ci educano a guardare». Rispetto al titolo del Meeting «l’insistenza dello sguardo rende liberi dal potere e avvicina alla conoscenza. Dice Seneca “consenti ai tuoi occhi di disimparare”. In qualche modo devi essere un eterno apprendista, devi cercare di disimparare ciò che hai imparato per toglierti le croste dallo sguardo. Fotografare è continuare a imparare».
Il fotografo non ha risparmiato qualche polemica sulla scarsa considerazione che ha la fotografia nel mondo intellettuale e nella critica dell’arte, nonostante mai come in quest’epoca essa stia influenzando la comunicazione. «Sono stupito che gli storici dell’arte e i giornalisti non concepiscano la fotografia come linguaggio estetico, come atto di verità. La fotografia è atto di verità – si è corretto poi l’artista - se è ben fatta, altrimenti può mentire. La fotografia mente e fa credere qualcosa che non è. Mente sempre ma a volte la menzogna può essere un atto di verità». L’ospite ha poi risposto ad alcune domande del pubblico, sostenendo l’importanza di abbandonare qualsiasi intenzione mentre si fotografa se si vuole provare a capire quello che si guarda. «Per quanto io tenda a mostrare veramente le cose – ha confessato - la verità mi sfugge. L’essenza delle cose è irraggiungibile e quindi peccherei di hybris se dicessi che dico la verità. È vero che la fotografia mente - ha concluso - ma io vorrei che fosse descrittiva di quello che è. Io, con la fotografia, cerco l’essenza della natura che è quella di nascondersi. Del resto anche la grande arte ama nascondersi».