In collaborazione con Askanews
Rimini, 23 agosto 2022 - Il premio Nobel Mather: una nuova finestra sullo spazio profondo
Sembra strano che al Meeting Rimini, che ha al centro la passione per l’uomo, si sia parlato di qualcosa fisicamente molto distante dall’uomo. “Ma la passione per l’uomo trascina con sé tutta la realtà”, ha spiegato Marco Bersanelli, professore di Fisica e astrofisica, Università degli studi di Milano, introducendo e moderando l’incontro ‘Una nuova finestra sullo spazio profondo’ che ha portato gli spettatori molto lontano dalla quotidiana esistenza, fino alle profondità dell’universo.
“Entriamo nel merito di una delle più grandi imprese della storia – ha affermato Bersanelli – il telescopio JWST”, presentando i relatori che sono protagonisti di questa impresa.
John Mather, Premio Nobel per la Fisica nel 2006, Senior Project Scientist on the James Webb Space Telescope (JWST): guida il lavoro delle migliaia di persone che lavorano al progetto e ha già partecipato al Meeting, nel 2009; Elena Sabbi, responsabile dello strumento NIRSpec del telescopio spaziale James Webb, Space Telescope Science Institute, Baltimora; Massimo Robberto, Responsabile dello strumento NIRCam del Telescopio Spaziale James Webb, Space Telescope Science Institute, Baltimora.
“Due dei tre ospiti sono italiani – ha fatto notare Bersanelli – formati nelle università italiane, e adesso sono a capo dei più importanti progetti spaziali”.
Mother ha spiegato il JWST, facendo scorrere le immagini sullo schermo gigante dell’Auditorium. Il JWST ha la forma di un aquilone con al centro un enorme piatto composto da lenti esagonali che si incastrano, come un alveare. Con quel piatto oro e a forma di alveare sono riusciti a fotografare delle radiazioni del Big bang. Dopo averlo lanciato a 1,5 milioni di chilometri nello spazio, hanno dispiegato l’ombrello protettivo, che è quello forma di aquilone, e aperto il piatto che si è composto nello spazio, un pezzo alla volta come si è visto nel rendering e che nessun essere umano potrà vedere dal vivo.
“L’universo è sempre sorprendente e strano nei suoi funzionamenti – ha proseguito Mother – dobbiamo osservare. Vogliamo capire se ci sono pianeti dove potrebbe essersi sviluppata la vita”. Nelle foto che intanto scorrevano si è vista una galassia a forma di spugna con delle bolle: “Significa che ci sono materiali gassosi che ne spingono altri verso i bordi”. Poi una foto arrivata il giorno precedente, Giove come non l’abbiamo mai visto: “Ci sono tantissime sorprese: le aurore al centro, una sorta di fenomeno simile a quello della nostra aurora boreale, ma molto più luminosa”.
Robberto ha descritto il NIRCam, lo strumento principale del JWST che permette di ottenere le immagini più spettacolari e consente di controllare i 18 specchi del telescopio in modo tale che funzionino come un unico specchio. Nel telescopio tutta la tecnica consiste nell’analizzare le immagini e questo viene fatto dagli strumenti dietro il telescopio a 1,5 milioni di chilometri e centinaia di gradi sottozero. “La prima foto scattata alla nube di Magellano era distorta – ha raccontato Robberto – vedevamo 18 volte lo stesso campo. Ce lo aspettavamo perché tutti gli specchi dovevano ancora essere allineati. Dopo mesi di lavoro siamo riusciti ad allineare tutti gli strumenti e abbiamo ottenuto l’immagine finale della nube”. La stella bianca e rossa che è apparsa sullo schermo gigante del Meeting è bellissima ed è scoppiato un applauso.
In seguito ‘Webb’ è stato puntato sulla nebulosa Carena: la foto mostrava una nube lattiginosa. “Dentro si stanno formando delle stelle – ha rivelato Robberto – un giorno la nube scomparirà e resteranno le stelle. Adesso ci sono pilastri e cuspidi e delle piccole stelline che si stanno formando”. Sono apparse stelle neonate, sembravano lucciole. “Tutto questo su uno sfondo di galassie su galassie, continuiamo a vederle ovunque”.
Sabbi ha spiegato che tutta la luce proveniente dal soggetto osservato crea troppa confusione e perciò sono necessari degli spettri, ed è la parte di sua responsabilità. “Con i nostri occhi vediamo solo una piccola parte. ‘Webb’ ci fa vedere il mondo nascosto. Osservare un oggetto nelle sue varie lunghezze d’onda ne fa distinguere le parti. Si dice che un’immagine vale più di mille parole, io dico che uno uno spettro vale più di mille immagini!”. Grazie agli spettri è possibile capire la distanza delle galassie, i loro componenti chimici, i buchi neri che Sabbi ha fatto scorrere sullo schermo: “Il buco nero ha una parte centrale di materiale che sta precipitando dentro il buco, i getti di materiale vengono riespulsi nel suo centro e scontrandosi con i bordi diventano luminosi”.
Bersanelli ha chiesto: “Per arrivare a lanciare lo strumento, calibrarlo, c’è stato un percorso pluridecennale, rischioso. Nelle immagini all’inizio avevamo tutti una trepidazione mentre vedevamo come il JWST prendeva forma. Che cosa più vi ha sostenuto in tutti questi anni di lavoro?
“Ci sono stati momenti critici – ha risposto Robberto – legati a problemi tecnici, nel mio strumento o in altri. La cosa più sfidante è stato il passare del tempo. I ripetuti rinvii. Ogni due tre anni si rinviava il lancio. Lanciamo nel 2003, no, nel 2005, no… ogni due tre anni spostare la lancetta, di nuovo e di nuovo e di nuovo, ha chiesto un esercizio di pazienza, obbedienza e ironia. Le cose grandi richiedono fatica, l'eccellenza ha un suo prezzo. Ma si può restare fino in fondo, obbedendo alla strada in cui si è, per fare qualcosa di grande”.
Per Sabbi il punto critico è stato l’arrivo della pandemia: “Lavorare con orari folli, incitare il mio team meraviglioso che lavorava con i bambini dietro sulla schiena e dovevano presentare al direttore il lavoro che stavamo facendo”. Tutto ripagato dal momento in cui “abbiamo visto la prima stella a fuoco, luminosissima, in un punto che pensavamo privo di galassie, e invece in ogni pixel c’era una miriade di stelle. Adesso è il momento di giocare e scoprire l’universo”.
Mother ha lavorato per il progetto per decine di anni. “C’è un piccolo libro che abbiamo scritto, ‘JWST e oltre’, è fantastico, abbiamo scritto cosa stavamo facendo e ci siamo resi conto di quanto era fantastico. Ho un grande affetto per tutte le persone con le quali ho lavorato”.
“E rispetto al momento difficile a livello internazionale come quello di adesso che tutti noi stiamo vivendo - ha chiesto Bersanelli – come percepite che un’impresa come JWST possa essere una cosa buona e utile per tutti?”.
Sabbi ha ricordato che JWST è il risultato di “migliaia di persone che hanno lavorato con un’incredibile devozione. Le immagini di Webb ci ricordano che siamo un piccolo pianeta, è un granello di sabbia, e noi ne abbiamo uno di granelli di sabbia dove vivere, dobbiamo trattarlo meglio”.
“Lavoro con gente che fa il proprio lavoro allo stato dell’arte – ha riflettuto Robberto – Sento il compito di dire quanto sia bello fare il proprio lavoro, ognuno il suo pezzo. Questo modo di procedere è il segreto di Webb, ed è per tutti: fare bene le cose, ascoltare chi sa, seguire le cose giuste, essere responsabile di quello che dici ai tuoi colleghi”.
Mother ha rivelato che nel corso di questi anni ha pensato spesso a Kennedy. “Mentre stavamo per andare sulla Luna disse: ‘faremo questa cosa non perché è facile ma perché è difficile’. Con JWST abbiamo fatto una cosa incredibile, potremmo farne tante altre, è possibile e ne vale la pena, per l’amore che ci deve essere tra le persone e per il nostro piccolo pianeta. Io penso che ciò avverrà”.
“Voi parlate del futuro – ha concluso Bersanelli – avete la certezza del futuro, la certezza della possibilità che il futuro si sveli. Questo sollevare il lembo lontano dell’universo, questo sforzo talmente lontano da sembrare estraneo, questo aprire una nuova finestra sull’universo richiede una cosa: aprire gli occhi”. La finestra è stata aperta, adesso occorre attendere la novità, aprire gli occhi.
(DT)