di Chiara Ugolini
“Bisogna rinnovare il sistema sanitario nazionale e rilanciare gli investimenti. Dobbiamo dire stop all'era dei tagli nella sanità”. Lo ha dichiarato il ministro della Salute, Roberto Speranza, durante l'incontro Sanità pubblica: una integrazione possibile tra statale e privata”. Di fronte all'eventualità di una seconda ondata della pandemia, il ministro indica le priorità: servizi a domicilio, ricerca e tecnologia. Sono questi gli elementi su cui puntare nell'era post emergenza.
“La pandemia ci ha dato la possibilità di capire quanto è importante avere un sistema sanitario nazionale preparato – ha osservato ancora Speranza - perché non dobbiamo dimenticarci che ora siamo fuori dalla tempesta, ma non siamo ancora in un posto sicuro”. L'età media dei contagiati “è scesa a 30 anni”, sottolinea il ministro della Salute, che si appella agli italiani e in particolare ai più giovani: “Per riaprire le scuole serve il contributo di tutti, dipende dal comportamento di ciascuno di noi”.
Quindi mascherine, metro di distanza e lavaggio delle mani. Queste sono le parole d'ordine. Ripartire si può: “Questo Meeting ne è l’esempio”, sottolinea Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà durante l'incontro “Il futuro dei sistemi sanitari dopo la pandemia”.
Anche per quanto riguarda la scuola, tema molto discusso negli ultimi tempi che inevitabilmente è emerso nei dibattiti. Il 14 settembre i più giovani torneranno sui banchi in modo sicuro e distanziato? Se sì, come? “Dobbiamo riaprire le scuole, ma dobbiamo farlo in due modi: limitando la circolazione del virus al di fuori delle strutture scolastiche e stabilire un protocollo rigoroso all’interno”, sottolinea Walter Ricciardi, presidente della World federation of public health associations (Wfpha).
“Al momento tutto ciò che sappiamo è una data, le famiglie sono in ansia. Speriamo di avere presto più risposte”, aggiunge Nello Musumeci, presidente della Regione Sicilia durante l'evento “Alta specializzazione, presenza territoriale, inclusività: le sfide di una sanità per tutti”. Attilio Fontana, presidente della Regione Lombardia, si dice preoccupato a riguardo. Dopo il plexiglass, il banco con le ruote e la didattica a distanza, “non abbiamo mai parlato di come portarli a scuola i nostri bambini – aggiunge ancora Fontana – Non si riuscirà a garantire il distanziamento se non avremo una diversificazione degli orari, tra quelli scolastici e quelli d'ufficio. Su questo non ho ancora avuto risposta dal Governo”.
Rinunciare alla riapertura delle scuole però è impossibile. Su questo sembrano tutti d'accordo. “E’ un passo importante verso la normalità”, continua il presidente lombardo.
Per garantire il diritto all'istruzione e continuare a tutelare la salute di tutti, però, “Roma deve parlare un solo linguaggio con le Regioni e al momento non è stata molto chiara”, sottolinea il presidente siciliano Musumeci, che accusa anche “una certa stampa che ha voluto avvalorare il messaggio: se le cose vanno bene è per la fermezza dello Stato, se vanno male è per colpa delle Regioni”.
Di fronte all'emergenza, invece, i territori regionali hanno dimostrato di poter “adempiere alle proprie responsabilità – continua Musumeci - Noi governatori ci siamo trovati in parte impreparati, nessuno di noi era pronto a confrontarsi con un'epidemia, eppure abbiamo superato la prova”.
La comunicazione tra Stato e Regioni è fondamentale, ma ancora di più lo è eliminare le disparità territoriali. “Devono essere garantiti gli stessi livelli di sanità”, sottolinea Sabina Nuti, rettrice della Scuola superiore Sant'Anna di Pisa. La pandemia infatti ha messo in luce differenze e carenze di alcune strutture sanitarie. Ad esempio, “la Sicilia ha preso atto che il suo sistema aveva bisogno di correzioni che non sarebbero emerse in altre occasioni oltre al coronavirus”, sottolinea Musumeci. Ma anche riguardo l'organizzazione: “Abbiamo capito che gli ospedali sono essenziali se all'interno di una rete funzionale - sottolinea la rettrice del Sant'Anna –, ma all'inizio non siamo riusciti a garantire sicurezza e preparazione. Per affrontare il virus abbiamo dovuto trascurare gli altri tipi di cure. Sono stati registrati il 50% in meno di ospedalizzazioni per infarti. Questo perché non eravamo in grado di organizzare il solito percorso d'emergenza e quello del virus allo stesso tempo. Ci abbiamo messo tempo e fatica, invece dovevano essere più veloci”.