«I giornali, baluardo della democrazia»
Intervista a Marco Bardazzi, giornalista, esperto di innovazione digitale nel giornalismo e nella comunicazione.
di Davide Amata
«Con tutte le critiche che si possono fare ai giornali, sicuramente sono sempre stati un baluardo del sistema democratico». Appena arrivato al Meeting, Marco Bardazzi, giornalista esperto di innovazione digitale, non si sottrae alle domande del Quotidiano Meeting in vista dell’incontro “La rete, i social, il dilemma della comunicazione” che lo vede nel panel di relatori mercoledì 25 agosto alle 17.00 presso l’Auditorium D1 Intesa Sanpaolo.
Quali sono le opportunità offerte dall’innovazione digitale al giornalismo? Quali i rischi?
«Nel dibattito ci confronteremo su come gli ultimi vent’anni hanno cambiato l’informazione e il giornalismo, e quali criticità sono emerse. Cercheremo di individuare le opportunità e i problemi dei vent’anni passati, al tempo stesso di comprendere cosa ci attende negli anni Venti. Sicuramente c’è stata una frammentazione dell’informazione che ha reso molto più complesso proporre una narrazione condivisa delle cose, questo nonostante ci siano evidenti vantaggi nelle innovazioni tecnologiche. Vent’anni fa in questi giorni ero negli Stati Uniti dove ho seguito gli eventi dell’11 settembre e l’attacco all’America. Sono arrivato al World Trade Center sotto le Torri gemelle e ho raccontato semplicemente dettando al telefono quello che vedevo, perché i telefoni dell’epoca non facevano neanche le foto. Oggi davanti agli eventi enormi abbiamo molte possibilità in più di racconto, questa è stata un’evoluzione positiva, tuttavia, allo stesso tempo sono emersi una marea di interrogativi su come elaborare un giudizio e su come scrivere un racconto distinguendo cosa sia importante e cosa non lo è, inoltre aspetti come la tutela della privacy e la veridicità dell’informazione, le fake news, sono da comprendere. Non possiamo semplicemente dire Google, Facebook, Twitter sono cattivi, dobbiamo capire come utilizzarli. La parola chiave alla fine è l’educazione, come educarsi a vivere quest’epoca della rete che ci attende, rispetto a questo primo ventennio un po’ caotico».
Quanto secondo Lei i social hanno stravolto la politica americana negli ultimi anni?
«Inizialmente l’avevano cambiata in modo positivo e interessante, la prima campagna segnata dai social è del 2008 in cui vince Barack Obama, vince perché capisce cosa significa diventare organizzatore di comunità. L’idea di community che i social avevano portato nel mondo della rete era inizialmente estremamente positiva, la comunità fa parte della nostra storia di uomini da sempre. Poter riunire le persone intorno a interessi comuni, era la grande promessa iniziale dei social. In seguito, il meccanismo degli algoritmi, l’utilizzo non appropriato di chi voleva strumentalizzarli, hanno reso le campagne elettorali alla Casa Bianca successive sempre più problematiche nell’uso dei social, fino ad arrivare alla campagna critica del 2016 di Hilary Clinton contro Donald Trump. La politica americana è stata segnata tantissimo dai social al punto che la democrazia è stata in qualche modo pilotata da alcune operazioni sui social media. Ora è il momento di riscoprire la positività di costruire comunità, senza strumentalizzarli, anche per dar valore a chi non ha voce normalmente sui grandi giornali».
In tutto questo la carta stampata ha ancora un ruolo?
«Spero di sì, è sempre più in difficoltà, tuttavia non è in crisi il giornalismo. Oggi si possono raccontare gli eventi con una potenza di strumenti che prima non c’era. Sono in crisi i giornali come modello di business, la modalità di raccontare è rimasta molto ancorata al sistema industriale del ventesimo secolo che oggi non c’è più, i giornali devono ancora un po’ adeguarsi all’era dell’informazione. Spero che continuino ad avere un ruolo perché senza degli organi di informazione, non solo giornali, ma radio, televisione, dove ci sia chi dedica il proprio tempo con professionalità a raccontare la realtà, credo che ne perdiamo un po’ tutti e diventa difficile per tutti farsi un giudizio, diventa un pericolo anche per la democrazia. Con tutte le critiche che si possono fare ai giornali, sicuramente sono sempre stati un baluardo del sistema democratico. Se perdiamo i giornali cominciamo a perdere un pezzo importante della democrazia».