di Oscar di Montigny
Viviamo in un sistema sferico nel quale ogni pensiero, ogni emozione, ogni azione impatta su tutti e su ciascuno dei 7 livelli delle nostre esistenze. Quelli che definisco 7P: Person, cioè ogni individuo. People, l’Insieme, l’umanità. Partnership, tutte le relazioni. Profit, il frutto che dobbiamo produrre. Prosperity, la ricchezza non solo materiale ma intellettuale ed emotiva. Planet, la nostra Madre Terra che abbiamo in prestito dai nostri figli. Peace, l’attitudine umana di mettersi “in relazione con” e non “in contrapposizione a”.
Cosa sento, voglio, posso, devo produrre per fare la differenza nel mondo?
Non si può negare che il capitalismo sregolato abbia contribuito negli ultimi anni a fare dell’essere umano non più un fine ultimo, ma solo un mezzo, così come non si può negare che se la responsabilità di quello che accade nel mondo è anche nelle nostre mani, allora dobbiamo dare il nostro contributo. La premessa è che ognuno di noi può farlo nella propria sfera di influenza, come abbiamo già ripetuto più volte nei giorni scorsi. Poi c’è chi preferisce impegnarsi nel settore non-profit, chi negli enti locali, chi in politica, chi in ambito culturale. Ma forse gli attori più efficaci oggi sono le aziende. La dimensione individuale è frammentaria, mentre lo Stato, il depositario dell’etica pubblica per tutto il Novecento, ha apparati e rituali farraginosi e per questo spesso intempestivi.
Dunque, sono le aziende del nostro presente che possono ribaltare questa tendenza, cogliendo l’importanza del loro compito storico, agendo nella società civile come un modello di cambiamento virtuoso, diffondendo con il loro operato una nuova etica laica. Pratiche e idee che promuovano quello che possiamo definire come uno sviluppo degli esseri umani e dell’Insieme di cui tutti facciamo parte, e che saranno premiate dalla gratitudine.
Non sono molti i luoghi nel nostro paese in cui è chiaro il nesso tra impresa ed educazione, tra queste c’è certamente il Meeting. Ma è così: le imprese, piccole o grandi che siano, Spa, Srl o semplici partite Iva, sono i luoghi di aggregazione, condivisione, orientamento e educazione più frequentati.
E le aziende più lungimiranti si stanno già impegnando a fondare un nuovo approccio “coopetitivo” al business, in cui il giusto mix tra competizione e cooperazione dovrebbe generare un vantaggio per i singoli ma anche per l’insieme.
Nel complesso il settore privato ha contribuito e continua a contribuire alla prosperità delle nostre società, e ciò è possibile grazie ad alcune caratteristiche tecniche e culturali del nostro sistema economico: la ricerca del margine, la legittima pretesa di portare a casa un profitto, di mettere a frutto la nostra capacità di fare la differenza; il denaro, il mezzo che permette ogni scambio e, soprattutto, l’unico mezzo democratico per sapere a chi spetta una certa risorsa; il libero mercato, l’arena dove individui e imprese confrontano le proprie capacità di fare profitto per accumulare denaro, un’arena in cui, come abbiamo già visto, è possibile innestare un approccio coopetitivo, che consenta a tutti gli attori di mettere da parte le animosità ed evolvere armonicamente.
Non immagino un mondo capace di fare a meno di questi tre elementi. Sono ben consapevole delle criticità e delle critiche rivolte all’economia di mercato, ma credo che sia l’unica via per garantire che il sistema economico sia democratico e capace di valorizzare il talento e le capacità individuali. Tuttavia, i problemi ci sono, inutile negarlo. Ma dobbiamo riportare all’essenza, al loro significato più profondo, l’idea di profitto e quella di denaro, così come le logiche più consolidate dell’azione economica. Solo in questo modo sarà possibile fare la differenza ogni giorno nelle nostre sfere di influenza e costruire un sistema più giusto e più libero.
«La ricerca di un profitto non deve perdere di vista un contesto ideale che abbia come scopo l’uomo, il bene di ogni singolo uomo», scriveva qualche anno fa Giorgio Vittadini. «Le forze imprenditoriali possono contribuire all’innovazione democratica se capiscono che questa è sinergica ai loro fini di benessere diffuso».
E proprio qui sta il cuore della questione, nel profitto, nel margine che un’impresa riesce a ricavare. In un’economia della gratitudine il profitto deve essere considerato tale solo se ottenuto in modo responsabile e se viene rimesso in circolo in sistema, generando altro benessere per l’insieme. Questo è il “salto esponenziale” che ci è richiesto nella disciplina dell’Economia. E come ci testimonia l’attualità, tutte le aziende che già da oggi mettono in pratica questi principi hanno un vantaggio competitivo formidabile sui contendenti. Le altre si limiteranno ad esistere meramente per fare profitto.
Chiediamoci dunque: nella mia sfera di influenza, cosa devo fare davvero, quotidianamente, per produrre questa differenza? Come la porto nel mondo? Come creo l’organizzazione e il progetto per realizzarlo?