VIVERE DI PIÙ, VIVERE MEGLIO? Il welfare al bivio

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A cura di Fondazione per la Sussidiarietà
Lucia Albano, sottosegretario Ministero dell’Economia e delle Finanze; Stefano Bonaccini, europarlamentare; Massimiliano Fedriga, presidente Regione Friuli-Venezia Giulia; Pierciro Galeone, direttore IFEL (Istituto per la Finanza e l’Economia Locale) . Conducono Enrico Castelli e Irene Elisei

Nella terza puntata del Talk le istituzioni sono l’interlocutore privilegiato a cui porre le questioni più rilevanti sui problemi che il settore del welfare deve affrontare. Viene in particolare discussa la prospettiva sussidiaria in cui ogni attore coinvolto (pubblico, privato e privato non profit) è chiamato a dare il meglio in un rapporto di collaborazione continuo. Quali risposte dalla politica ai problemi posti?

Con il sostegno di APT Regione Emilia-Romagna, Regione Friuli Venezia Giulia, Centro Sportivo Italiano

VIVERE DI PIÙ, VIVERE MEGLIO? Il welfare al bivio

VIVERE DI PIÙ, VIVERE MEGLIO? Il welfare al bivio 

Venerdì 23 agosto 2024 ore 17:00 

Sala Gruppo FS C2 

Partecipano: 

Lucia Albano, sottosegretario Ministero dell’Economia e delle Finanze; Stefano Bonaccini, europarlamentare; Massimiliano Fedriga, presidente Regione Friuli-Venezia Giulia; Pierciro Galeone, direttore IFEL (Istituto per la Finanza e l’Economia Locale) .  

Conducono:  

Enrico Castelli e Irene Elisei 

 

Castelli. – 0:06:44 – Buon pomeriggio, buon pomeriggio a voi che ci state seguendo in diretta qui al Meeting di Rimini, a chi ci sta seguendo via streaming sul sito del sussidiario.net, il quotidiano online della Fondazione per la Sussidiarietà, che ha deciso di organizzare queste tre giornate dal titolo significativo: “Vivere di più, vivere meglio, il welfare al bivio”. Con me la mia compagna…   

Elisei. – 0:07:05 – Buon pomeriggio e bentrovati.   

Castelli. – 0:07:09 – Allora, terza giornata, come abbiamo detto. Quando si parla di welfare, come è emerso nella nostra prima giornata, per lo più si parla di pensioni e di sanità. La terza voce, la protezione sociale, è quella più trascurata e marginale. Proprio su questi temi, come emerso ieri quando abbiamo parlato di disabilità o di assistenza alla prima infanzia, è proprio su questi temi che le famiglie incontrano maggiori difficoltà nella vita quotidiana. Ed è sulla protezione sociale che diventano sempre più profonde le differenze tra Nord e Sud, tra chi vive in città e chi vive in periferia. Insomma, differenze pesanti. Oggi abbiamo la politica a cui rivolgere queste domande e capire dove andare.  

Elisei. – 0:07:51 – Passiamo subito a presentarvi i nostri ospiti. È con noi il sottosegretario al MEF, Lucia Albano. Ben trovata. E accanto a lei, Massimiliano Fedriga, Presidente della Conferenza delle Regioni e Presidente della Regione Friuli-Venezia Giulia. L’Europarlamentare Stefano Bonaccini, Presidente della Regione che ci ospita, l’Emilia-Romagna, ben trovato. Dulcis in fundo, Pierciro Galeone, il direttore di IFEL, l’Istituto per la Finanza e l’Economia Locale dell’ANCI, l’Associazione dei Comuni Italiani. Ben trovato. Prima di darvi la parola vorrei mostrarvi un numero che chi ha seguito le prime due puntate del nostro talk ha sicuramente ben presente, ma credo che sia un buon punto di partenza per il dialogo con i nostri ospiti. Chiedo subito alla regia di mostrarci il dato che riguarda la spesa per welfare nel 2023: 630 miliardi, così suddivisi: il 50% in previdenza, il 21% in sanità, il 16% dedicato alle politiche sociali. È sicuramente un dato, un’allocazione delle risorse che ha generato nel tempo qualche sproporzione. Adesso vogliamo farvi ascoltare l’opinione di un esperto in materia. Vogliamo partire da qui. Ho incontrato il professor Maurizio Ferrera dell’Università Statale di Milano, presidente di Secondo Welfare. Partiamo da un suo commento e poi iniziamo il dialogo con i nostri ospiti.   

Elisei. – domanda da video – 0:09:42 – Quali sono i punti di forza e di debolezza del nostro sistema di welfare?   

Ferrara. – 0:09:46 – Troppo ai trasferimenti e troppo poco ai servizi, quindi c’è una distorsione rispetto alle funzioni del welfare e poi una distorsione distributiva: molto ad alcune categorie, poco o addirittura niente ad altre categorie di vulnerabili, e questo crea delle iniquità. Questa è un po’ la situazione. Poi noi abbiamo anche degli strumenti, soprattutto il Servizio Sanitario Nazionale universale, che ci danno un vantaggio rispetto ad altri sistemi di welfare più frammentati, anche se dobbiamo fare attenzione a non rovinarlo. La sostenibilità del welfare italiano è adesso minata non solo e non tanto dal debito pubblico quanto dall’invecchiamento demografico.   

Elisei. – 0:10:47 – Oggi quando parliamo di welfare intendiamo una spesa che va per metà sulle pensioni e molto meno sull’assistenza. Secondo lei, è arrivato il momento di rivedere queste proporzioni?   

Speaker. – 0:10:56 – Ci troviamo rispetto ad altri paesi in una situazione in cui se non investiamo di più nei servizi sanitari, lasciamo inevitabilmente delle aree di bisogno scoperte, come del resto ci segnalano tutte le indagini che vengono effettuate, le quali ci dicono che molte persone hanno difficoltà ad accedere ai servizi di cui hanno bisogno, a meno di non essere pronte a tirare fuori i soldi di tasca propria, cosa che non è in linea con la filosofia universalistica del servizio sanitario.   

Elisei. – 0:11:34 – Oggi ad offrire i servizi di welfare sono una pluralità di attori: pubblico, privato, profit e non profit. Non crede che potenziare il terzo settore sia una strada obbligata?  

Speaker. – 0:11:45 – Non c’è dubbio. Teniamo presente che il terzo settore c’è già ed è piuttosto sviluppato in Italia, se paragonato ad altri paesi. Questo in parte è una virtù, in parte è il frutto perverso del disimpegno dello Stato, soprattutto nel settore dei servizi. Il terzo settore è stato chiamato a svolgere un ruolo di supplenza, un ruolo vicario, mentre il suo compito non dovrebbe essere quello di tappare i buchi dell’intervento pubblico, ma di porsi alla frontiera dei rischi e dei bisogni e sperimentare forme di soddisfacimento dei bisogni di risposta che siano innovative, calibrate sulle caratteristiche delle persone e dei territori, fare un po’ da vedetta rispetto al sistema pubblico con delle sperimentazioni che poi possono avere successo oppure no, e se hanno successo dovrebbero avere l’opportunità di crescere e di raggiungere una scala più ampia, magari intrecciandosi virtuosamente con il settore pubblico.   

Castelli. – 0:13:14 – Presidente Fedriga, welfare squilibrato, difficile da mantenere, troppi trasferimenti, pochi servizi, necessità di un rapporto con il terzo settore, ma se noi sfogliamo le pagine di giornale anche di quest’estate, quando si parla di welfare si parla sempre e solo di pensioni. Il dibattito politico sembra andare in un’altra direzione, o no?   

Fedriga. – 0:13:36 – Intanto grazie dell’invito e grazie del tema, perché io, quando ero in Parlamento, ero in commissione lavoro e seguivo anche la parte previdenziale. Grazie anche per gli spunti che avete dato. Vorrei dire alcune cose e cerco di farlo per punti per essere conciso. Il primo punto: il dato che davate sulla percentuale di previdenza rispetto alla sanità è necessario dal mio punto di vista fare una vera grande riforma. Dividere quello che è previdenza da quello che è assistenza. All’interno delle pensioni, generalmente chiamate così, ci sono in realtà situazioni estremamente diverse: quelle che vengono erogate a seconda dei contributi che una persona ha versato, e poi, è vero che è cambiato il sistema previdenziale, ma questo è un altro discorso. Quelle io non le inserirei nelle aree di welfare. Altre invece sono tutte quelle integrazioni o contributi che vengono dati in termini assistenziali che stanno sempre sotto la voce previdenza. Secondo passaggio: è fondamentale iniziare a raccontare la verità ai cittadini, ovvero quello che riguarda la sanità. Oggi, con un netto cambiamento del modello sociale nel quale viviamo, pensiamo all’aumento, è stato detto prima, della popolazione anziana, che necessita di un altro tipo di risposta rispetto a quella ospedaliera. Pensiamo al cambiamento del modello per quanto riguarda il welfare delle nostre famiglie. Una volta c’erano le grandi famiglie allargate, dove c’erano dentro gli zii, i nonni ed altri che facevano una rete di welfare per i nostri ragazzi e ragazze. Pensiamo a chi ha figli, che aveva assistenza. Oggi vediamo nuclei con soltanto mamma e papà, magari lontani dai genitori o dai nonni, per cui è necessario dare delle risposte. Su questo, quindi, dobbiamo porci delle domande: quello che funzionava prima deve esserci e poi dobbiamo incrementare? Dobbiamo cambiare modello e avere il coraggio di dirlo. Faccio un esempio per essere chiaro: è un esempio che scotta per un governatore e penso che anche Stefano possa confermarlo in Emilia-Romagna; io lo confermo per il Friuli-Venezia Giulia. Oggi abbiamo troppi punti nascita con un crollo demografico, possiamo dirlo? E possiamo dire che mantenere quei punti nascita aperti significa avere meno personale a disposizione per altri servizi e vuol dire rendere quel punto nascita meno sicuro perché non c’è la casistica? Provate a spostare o a chiudere un punto nascita: c’è la rivolta, che sia di destra o di sinistra, che è l’opposizione in quel momento, dove magari oggi invece servirebbe una sanità di territorio per dare risposta a quella popolazione anziana che sta aumentando. Per questo dico che oggi la politica deve iniziare a dire la verità e non inseguire soltanto la propaganda del consenso. Dire che un punto nascita con 100 nati è prima di tutto insicuro per la mamma e per il bambino, che è uno spreco di risorse non solo finanziarie, che forse non è l’ultimo problema, ma non è il principale problema; è uno spreco di risorse di personale. E abbiamo dati che dal 2027 avremo il 30% in meno di infermieri rispetto alla media europea. E quindi possiamo mettere tutte le risorse che vogliamo, ma se il personale non c’è non possiamo dare i servizi. Dobbiamo, e scusate, pensare di poter integrare il territorio utilizzando anche, per quanto riguarda la sanità di territorio, che sta dentro pienamente al welfare, le nuove tecnologie per colmare questo gap di personale che ci sarà. Dico solo un’ultima cosa a proposito di propaganda, e lo dico fuori da ogni interesse partitico: parlare di eliminazione del numero chiuso per i medici è profondamente sbagliato perché avremo più laureati in medicina rispetto a chi va in pensione. È vero, avremo delle carenze in alcune specializzazioni, ma quello è un altro discorso da affrontare. Abbiamo invece il problema, come dicevo, degli infermieri e abbiamo già dati che, se aumentiamo i posti in medicina, chi vuole iscriversi a infermieristica si sposterà su medicina. Quindi ci facciamo solo del male e peggioriamo la formazione medica. Per questo dico: a livello di propaganda è molto più facile. Manca personale sanitario, togliamo i numeri chiusi dappertutto. Risultato? Penalizziamo la nostra popolazione.   

Elisei. – 0:18:10 – Bisogna cambiare l’allocazione delle risorse, questo è evidente. Se c’è bisogno di una riforma del welfare, abbiamo anche la possibilità di guardare a quello che c’è fuori, al di là dei confini nazionali. Bonaccini, le chiedo un aiuto su questo nel suo ruolo da europarlamentare. Chiederei alla regia di mostrarci il dato sull’invecchiamento. Fedriga ne faceva riferimento. Gli over 65 costituiscono il 24% della popolazione. Certo, non siamo troppo distanti da Germania, Francia, Spagna, ma abbiamo un primato, questo va detto, nel vecchio continente. Però quello che vorrei capire, Bonaccini, è se abbiamo degli esempi virtuosi, penso agli asili nido in Francia, all’accoglienza o all’assistenza agli immigrati in Germania, cioè la qualità del servizio in questi casi almeno in alcuni paesi sembra essere migliore di quella italiana. L’Italia in cosa deve cambiare?   

Bonaccini. – 0:19:05 – Buonasera a tutti, grazie agli organizzatori del Meeting per l’invito. Guardavo che hai fatto mettere io, sono Friuli Venezia Giulia. Potevamo far mettere io sono Emilia Romagna ma va bene anche viceversa. Sono stati per me dieci anni da Presidente molto belli nel rapporto col Meeting e li ringrazio per l’invito in questo nuovo incarico, perché credo che l’Europa dovrà avere un approccio nuovo per la prima volta, perché se penso a come sarà l’Italia e l’Europa di domani, penso che dovrà cambiare parecchio dal punto di vista della spesa del nostro Paese e della risposta per i cambiamenti socio-demografici. Ora, proviamo a uscire, come ha detto Massimiliano, dal teatrino politico di oggi, che è solo insulti, urla, strepiti. Io ho chiuso tutti i punti nascita che non avevano fino a 500 parti per ragioni di sicurezza e avevamo offerto persino un protocollo per riaprirli, ma deve essere il Ministero a poterlo vagliare, perché è un fatto tecnico prima che politico. Poi magari al centro destra di questa regione faccio sentire le tue parole, scherzo, perché così vedono che non è un problema esatto. Sapevo che mi avresti risposto così. Allora, noi abbiamo un problema: o la politica lo guarda ed evita di disputarsi tre voti in più nei sondaggi o alle elezioni, che si chiama crollo demografico. Avrete letto l’intervista di qualche giorno fa, consiglio a chi non l’ha fatto di leggerla, su un grande quotidiano nazionale al direttore dell’Istituto Nazionale di Statistica. L’Italia nel 2050 arriverà a un punto per me drammatico che è questo: uno a uno il rapporto tra chi lavora e chi produce e chi non lavorerà. Solo che è un uno a uno, che già di per sé è drammatico, che vedrà l’uno che non lavora che aumenterà, ed è un fatto positivo, la vita media. Io sono del 67, nel 73 avevo poco più di 6 anni, è morto mio nonno paterno, aveva poco più di 60 anni. In dialetto in casa sentivo dire: “Vabbè, ma era vecchio”. Se io dico qui a quelli che hanno poco più di 60 anni che sono vecchi, non mi fanno uscire per tornare alla mia auto, giustamente, perché chi nasce oggi in questa regione, più o meno in media anche nel paese, ha vent’anni di aspettativa di vita in più rispetto a chi nasceva in questa regione negli anni ’60. Ciò è dovuto al miglioramento della qualità della vita, trovare lavoro più facilmente, avere un’alimentazione più corretta, una sanità pubblica sempre migliore, avanzamenti della scienza e della medicina, e questo è importante. Solo che vivendo più a lungo e avendo famiglie sempre meno numerose, tu rischi che se non c’è un’offerta di servizi di qualità, rischi che nelle famiglie che non se lo possono permettere si ammalino le persone sane che stanno vicino a quelle ammalate. Allora, intanto bisognerebbe sapere che o ci saranno nuove politiche per la famiglia, nessun governo dei precedenti, tutti nessuno escluso, ha fatto troppo poco da questo punto di vista, se è vero che un paese come la Francia ha un numero medio di figli per famiglia molto superiore al nostro e lì politiche per la famiglia si fanno da decenni. Ma c’è un tema: quando arriva l’inverno demografico, chi se ne intende può spiegarci che prima che si riprenda a fare figli, anche a Venise speriamo sia così, passeranno davvero decenni. Quindi servono più immigrati, è inutile che ci mettiamo a discutere, perché se noi avremo un Paese nel quale sono pari o addirittura più quelli che devono ricevere da coloro che devono lavorare e produrre, noi siamo un Paese che si giocherà le grandi conquiste delle democrazie liberali nell’Occidente e in Europa, in particolare nel secolo scorso, cioè la pensione, la scuola e la sanità pubblica per tutti. Stiamo attenti. Un Paese che ha più pensionati che lavoratrici e lavoratori attivi è un Paese senza futuro. Quindi, essendo noi il Paese con la peggior natalità, abbiamo bisogno di sapere che dobbiamo darci un’organizzazione, una struttura per essere attrattivi. Parlo da presidente, ex presidente, di una delle regioni che, con questa curva demografica, solo noi e la Lombardia, tra vent’anni, avremo più abitanti di prima, perché tutte le altre li perderanno. In quell’intervista la proiezione dell’Italia è di scendere a 54 milioni di abitanti, ma per le regioni del Sud è ancora più drammatico, perché una parte rilevante sta tornando a spostarsi non verso l’estero, ma verso il Nord del Paese. Ora, rispetto alla costruzione della spesa, io penso e concludo, non voglio rubare troppo spazio, intanto che ci sono diversi servizi sui quali il pubblico può gestire di meno e controllare di più. Io, prima che mi dimettesse, abbiamo firmato l’accordo per dare risorse a tutto il cosiddetto mondo del terzo settore, compreso il privato sociale o la cooperazione sociale, per il rinnovo dell’accreditamento dopo 15 anni, per i servizi di welfare che gestiscono coloro che sono privati, poi certi tipi di privato, ok? Per fare questo però, tu devi sapere che c’è bisogno di risorse che riesci a garantirti a spostare su alcuni servizi che fondamentalmente il pubblico non può abbandonare. E chiudo su questo ragionamento, posto che Massimiliano ha detto cose che condivido per la gran parte. Io dico al governo, visto che sta andando in legge di bilancio, attenti, perché per quanto ho appena sostenuto che ci sono certi tipi di servizi che possono essere anche di più affidati a un certo tipo di privato con il pubblico che mantiene il controllo, peraltro questo creerà nuove opportunità di lavoro. Sulla sanità, mi dispiace, ma io ho proprio un’idea differente da quella che sta percorrendo il governo: guai a tagliare ulteriormente i fondi, perché se c’è un diritto che dal mio punto di vista deve essere garantito in via prioritaria dal pubblico e non dal privato, posto che in questa regione abbiamo un rapporto eccellente col privato accreditato in sanità, ma il pilastro deve essere pubblico, perché ci sono due cose nella vita che nessuno di noi può decidere: dove nasci e da chi nasci. E io non voglio vivere in un paese che, se nasci da una famiglia povera o in un territorio più sfortunato di un altro, tu debba, come negli Stati Uniti, ricorrere all’assicurazione privata in tasca o al conto corrente bancario. Io penso che il modello di società a cui dobbiamo tendere è che il diritto alla salute debba essere garantito a tutti allo stesso modo. Da questo punto di vista è evidente che le poste di bilancio vanno spostate, e avete ragione, questo è un Paese che discute troppo di previdenza e molto poco di servizi che devono essere garantiti rispetto al welfare.   

Castelli. – 0:26:27 – Grazie Bonaccini. Teniamo conto che noi il tema sanitario non lo abbiamo volutamente toccato perché sia come il tema delle pensioni, abbiamo fatto una scelta di spostarsi su quella piccola percentuale a cui viene dedicato oggi il welfare. Prima di arrivare al Sottosegretario Albano, volevo approfittare della presenza del Dott. Galeone, che è un esperto che conosce da vicino i conti dei comuni, perché c’è un altro dato che vi mostriamo subito: è la spesa del welfare pro capite. Abbiamo visto prima la differenza degli anziani in Europa, oggi questa è la differenza della spesa del welfare pro capite in Italia. La differenza abissale tra il Sud, che ha la metà addirittura della media italiana rispetto alla punta massima di Bolzano. Cioè, c’è una differenza enorme di territorio e di spesa pro capite. Galeone, le volevo chiedere: da dove nasce questa differenza? Ci sono tendenze che stanno cambiando le cose o no? Grazie.   

Galeone. – 0:27:24 – Sì, allora. Questa è la spesa pro capite dei comuni italiani divisa per regione. Allora, voi avete fatto vedere all’inizio qual è la ripartizione del welfare italiano, in cui c’era la parte più piccola legata alle politiche sociali. Quelli sono sostanzialmente 106 miliardi, non sono pochi, ma il 75%, forse quasi l’80% di quella cifra serve per trasferimenti monetari organizzati tutti da INPS a livello centrale. Quindi il grosso di quella cifra si trasforma in trasferimenti monetari per motivi vari, tra cui le indennità di malattia e altri problemi. Cosa rimane a livello locale? A livello locale rimangono di quei 106 miliardi, 12 miliardi, di cui dieci vengono spesi direttamente dai comuni e due direttamente dalle regioni, che però fanno trasferimenti anche ai comuni. Quindi, a livello locale, la ripartizione è di 10 miliardi. Perché c’è quella differenza? Perché, a differenza della sanità, che è un sistema universale nazionale, dove le risorse vengono ripartite su un pro capite corretto, infatti lì abbiamo delle perequazioni molto più basse. Siamo sotto i 2.000 euro pro capite, il Veneto sta a 1.7, Bolzano, per esempio, sta a 2.4. Quindi, avendo usato un pro capite di quel tipo, quindi trasferimenti abbiamo una situazione più perequata. Quella cifra che vedete è sulle spalle dei comuni. Il 60% della spesa per assistenza è tratto dalle risorse comunali, cioè è tratto dalle risorse proprie di bilancio. Il 18% viene dalle regioni, non è poco, è solo il 20% dallo Stato. Se il welfare locale è sulle spalle della capacità fiscale dei comuni, è ovvio che la variazione è fortissima. Siamo un Paese lungo, dove abbiamo capacità fiscali molto diverse. In Italia la perequazione sulla capacità fiscale, questa forse è una cosa che non sapete, se un comune ha una minore capacità fiscale e quindi non riesce a erogare i servizi e le funzioni fondamentali, uno pensa che intervenga lo Stato, giusto? No. Interviene un fondo di tipo mutualistico, cioè intervengono gli altri comuni in modo orizzontale che danno i fondi per i comuni più poveri. Lo Stato non ci mette niente. Ultimamente le cose sono un po’ migliorate, perché c’è un fondo che sta crescendo proprio per l’asilo nido e i servizi sociali. È un fondo che al regime, quando arriverà, sarà di un miliardo e due. Però questa è la situazione. Per dirvi com’è scombinato il nostro welfare, vi dico che se i comuni spendono 10 miliardi, le famiglie italiane per l’assistenza ne spendono 47. Cioè le famiglie italiane tirano fuori di tasca propria più di quattro volte quello che spendono i comuni. Sono un milione e 700 mila le famiglie italiane che utilizzano i servizi cosiddetti di badantato, abbiamo un milione di badanti in Italia, sono il secondo gruppo professionale dopo gli insegnanti. Quindi il nostro welfare è un welfare che è sulle spalle delle famiglie, i servizi di assistenza sono sulle spalle delle famiglie. Vorrei dirvi solo una cosa che mi sembra importante. Avete parlato molto delle speranze di vita che crescono, aumentano gli anziani, siamo al 25% degli ultra 65 anni, abbiamo 4 milioni e mezzo di ultra 80 anni, ma non è questo il dato più importante. Il dato più importante è la differenza tra speranza di vita e speranza di vita in buona salute. La speranza di vita in buona salute media in Italia è 59 anni, cioè è sotto i 60 anni. Quindi significa che abbiamo davanti, non drammatizziamo, si tratta di avere qualche malattia cronica o grave inabilità. Sono circa 3 milioni gli anziani non autosufficienti. Quindi una variazione. Significa che ho davanti più di vent’anni di vita con qualche problema di salute. Questa cosa è sulle spalle di quale istituzione? Il comune? La sanità? Le famiglie? Ecco, lì secondo me è l’area di innovazione. Tenete conto che abbiamo differenze grossissime. Finisco così, fra Nord e Sud la differenza per la speranza di vita in buona salute è di 5 anni. Fra Bolzano e la Campania è di quasi 10 anni. Quindi la sperequazione è molto forte. Quello che dobbiamo provare a fare, quindi, parliamoci chiaro, è cercare in qualche modo di integrare le risorse. È chiaro che qui va ridisegnato, avete ragione, il welfare è a un bivio, perché se continuiamo così noi questo sistema non possiamo permettercelo. Questo significa però innovare non solo nei servizi ma anche nelle interpretazioni dei bisogni. Vi faccio un esempio: i 47 miliardi che spendono le famiglie italiane, spesso sono spesi in un modo, non dico che siano sprecati, ma spesso sono spesi semplicemente per avere un servizio di custodia, di controllo. Quindi sono soldi molto abbondanti in fondo solo per verificare se l’anziano sta bene o se prende le medicine. Allora intendo dire, se non riusciamo a razionalizzare, a mettere insieme anche gli anziani in qualche modo, possiamo anche risparmiare da quel punto di vista. 

Elisei. – 0:33:30 – In questa terra di mezzo a cui lei faceva riferimento, questo mondo ha anche delle associazioni del terzo settore che possono sostenere i privati, anche nel dialogo con il pubblico. C’è davvero un mondo da raccontare. Qui arrivo al Sottosegretario Albano, perché a maggio ha riunito per la prima volta il gruppo di lavoro per l’economia sociale, perché ha appunto la delega, tra le altre, all’economia sociale. Economia sociale, che cosa intendiamo per questo, molto rapidamente? Un esercito di persone, di volontari, 4,5 milioni nel nostro Paese, 400.000 associazioni, un milione e mezzo di dipendenti. Insomma, siamo sicuramente alla vigilia, in questa fase della ripresa dei lavori parlamentari, della manovra 2025. Parliamo anche di risorse, perché abbiamo capito che qui il tema è fondamentale: allocazione delle risorse, come spostarle, come riformare il welfare. Allora, Albano, le chiedo: ci sono i fondi per l’economia sociale e con quali criteri decidete come allocare queste risorse?   

Albano. – 0:34:30 – Grazie, intanto buona sera a tutti. Saluto tutti gli ospiti, saluto tutti voi, ringrazio gli organizzatori del Meeting, ringrazio la Fondazione per la Sussidiarietà per questo invito e particolarmente Giorgio Vittadini, che prima o poi si materializzerà anche qui. È sempre un piacere essere al Meeting. Io sono stata per molti anni qui come utente e visitatrice e da un paio d’anni anche come relatrice per qualche argomento. Proprio per questo motivo mi fa piacere poter raccontare quello che questo governo sta facendo in merito ad alcune questioni che oggi si stanno affrontando. Il concetto di welfare è molto ampio e include alcune delle deleghe che mi sono state affidate dal Ministro Giorgetti. In particolare, parliamo della delega sull’economia sociale, che è interessante in quanto io ho vissuto nell’economia sociale, sono stata presidente di un consorzio di cooperative sociali, presidente di associazioni nel terzo settore. È una realtà che conosco e che conosco da moltissimi anni e mi è stato facile potermi relazionare in questo senso. Da cosa nasce questo interesse? L’interesse nasce dall’Europa. L’Europa ci ha chiesto di fare un action plan entro il 2025 per definire chi sono gli attori dell’economia sociale e per poter sostenere le potenzialità di questo settore così importante. Le potenzialità ci sono, come veniva detto prima: 400.000 sono le realtà che operano nel terzo settore in Italia, un milione e mezzo sono gli occupati. Però io vorrei andare anche oltre: è un’occupazione di qualità, quella che avviene nel terzo settore, è un’occupazione che in qualche modo fa crescere. Oggi questa mattina si è parlato di capitale umano e poi di capitale sociale. Ecco, nel terzo settore questo è possibile. L’economia sociale lavora particolarmente su questo. Si sta parlando anche di necessità di aumentare la produttività e l’occupazione. Noi sappiamo che uno degli elementi caratterizzanti dell’Italia, in merito all’occupazione, è la carenza e il ritardo nell’occupazione femminile. Nel terzo settore, in particolare nell’economia sociale, perché l’economia sociale è un po’ più ampia, la maggior parte degli occupati, oltre il 55%, sono donne, e anche giovani. E allora stiamo lavorando proprio guardando agli obiettivi che l’Europa ci ha dato, obiettivi che anche noi riteniamo prioritari, cioè quelli per aiutare l’occupazione dei giovani e delle donne. C’è anche un dato particolarmente interessante, che è l’indice di correlazione tra il lavoro che c’è stato, l’attività in associazione di volontariato e del terzo settore, e l’occupazione, è quasi 1 a 1, cioè l’indice di correlazione è 1. Questo significa che lavorare nell’economia sociale, anche da volontari, perché ricordiamoci che in Italia ci sono circa 4 milioni di volontari che lavorano in questo ambito, lavorare, occuparsi, ecco io chiamo lavorare perché effettivamente lo vediamo anche qui oggi in questa realtà, i volontari sono l’anima di molte realtà associative, di molte realtà di welfare, è furiero di crescita, di competenze, di acquisizione di competenze. Anche oggi si è parlato di acquisizione di competenze per poter accrescere la propria capacità e il proprio valore, il proprio capitale umano. L’economia sociale è particolarmente importante per questo. Allora cosa ho fatto? All’interno del Ministero dell’Economia ho attivato dei gruppi di lavoro su quelle che sono le richieste, particolarmente, potete immaginare, all’economia parliamo di fisco, ma parliamo anche di possibilità di finanziamenti insieme anche al Ministero del Lavoro, insieme al Ministero delle Imprese. Ma certamente quello che è importante oggi è poter dare un ruolo agli attori dell’economia sociale all’interno dell’Europa. Sapete cosa emerge? Emerge che l’Italia da questo punto di vista ha un’enorme ricchezza, e qui possiamo collegarci al welfare. In Europa stanno aspettando che noi raccontiamo con chiarezza e portiamo la nostra competenza, la nostra capacità, il codice del terzo settore, quindi anche il nostro framework giuridico, perché possiamo sperimentarlo. Qui possiamo vedere quanto in Italia è stato fatto crescere dal terzo settore, da volontari e coloro che si sono impegnati in questo ambito, anche partendo da quello cattolico, ma non solo, anche quello laico. Questo è un aspetto importante. L’aspetto importante non è solo questo, ma è anche la possibilità di costruire per questo settore dei vantaggi, delle possibilità di semplificazione. La burocrazia deve essere, ci stiamo lavorando, ridotta per essere in qualche modo… E porteremo questo piano dell’economia sociale e questo è particolarmente interessante anche perché poi se volete magari successivamente può essere una delle risposte, certo non la risposta, ma una delle risposte alla necessità di un cambiamento del welfare. Io volevo solo dire una cosa e chiudo: nella scorsa legislatura ero in Commissione Finanze. Portavo spesso avanti il tema della necessità di lavorare sul quoziente familiare o sul tema della famiglia dal punto di vista fiscale, partendo anche dal fatto che c’è un problema di inverno demografico, e parlo di qualche anno fa. Però non c’era attenzione su questo. Oggi tutto questo è diventato lampante, evidente. Ecco, questo è già un grande passo avanti, non è la soluzione, ma affrontare questo tema credo che sia la prima sfida che questo governo, e l’Europa in particolare, dovranno affrontare nei prossimi anni per poter sopravvivere. Grazie.   

Castelli. – 0:41:32 – Grazie Sottosegretario. Dunque, abbiamo finito il primo giro. Adesso vogliamo completamente girare pagina o meglio completare quello che stiamo dicendo, introducendo un altro elemento di discussione. Ci siamo chiesti, preparando questo talk: ma quando diciamo che è fondamentale difendere il welfare, che cosa difendiamo? Difendiamo solo un tipo di benessere cresciuto in questi ultimi anni o c’è un rapporto tra welfare e sviluppo della democrazia? Tema molto approfondito, ma noi vogliamo che la politica si misuri anche su una visione del futuro. Ho avuto la possibilità di intervistare su questi temi Nadia Urbinati, docente della Columbia University, saggista e politologa. Sentiamo l’intervista e poi riprendiamo il dialogo in sala. Grazie. Professoressa Urbinati, ma in fondo in fondo c’è una stretta relazione tra sviluppo del welfare e democrazia secondo lei?   

Urbinati. – 0:42:32 – Sì, c’è perché le democrazie sono appunto sistemi politici e istituzionali che si fondano sull’inclusione di tutti i cittadini e le cittadine, e quindi di coloro che possono e di coloro che non possono prendersi cura completamente dei loro bisogni, delle loro esigenze, dalla cultura alla sanità, alla ricerca del lavoro, eccetera. Quindi è una società che deve usare il pubblico o anche l’associazionismo proprio per fare quello che individualmente i cittadini non potrebbero, se non i più veramente ricchi e affluenti, ma la maggior parte di noi, in un rapporto di cooperazione e quindi di aiuto e dono insieme, qualche volta dono qualche volta funzione e servizio con gli altri, certamente sì.   

Castelli. – 0:43:26 – Sull’Atlante della rivista della Fondazione per la Sussidiarietà, c’è un intervento di Branko Milanovic, uno degli studiosi più accreditati a livello mondiale sul tema delle disuguaglianze. Lui sostiene che impoverire il welfare, cioè considerarlo come una spesa anziché un investimento, crea una società disuguale. È vero, perché è così?   

Urbinati. – 0:43:47 – Lui l’ha sempre sostenuto nelle sue ultime pubblicazioni e ci sono molti dati e indicazioni che ci confermano questa preoccupazione e questa tendenza. Dagli Stati Uniti all’Europa, dove si è ristretto l’intervento di servizi fondamentali da parte del pubblico, i cittadini hanno mostrato di avere più difficoltà economiche, sociali e quindi anche un senso minore di potere come cittadini. Si sono espanse le maglie di coloro che non vogliono partecipare al rito della cittadinanza, per esempio l’aumento vertiginoso dell’astensione elettorale. Sono tutti segni che dimostrano una società separata, divisa, rotta tra coloro che sono dentro le istituzioni, il benessere e coloro che sono fuori e questo incide sulla tenuta, non sulla tenuta in questo momento non lo direi, ma certamente sul carattere e sul tenore.   

Castelli. – 0:44:55 – Senta, ma a questo punto potremmo dire che indebolire il welfare significa favorire la crescita dei populismi con tutte le conseguenze.  

Urbinati. – 0:45:04 – È così. Infatti, Habermas ha scritto alcuni anni fa che uno dei fattori che possono spiegare la crescita del populismo, lui parlava della Germania e dell’Europa in generale, è il declino dei partiti socialdemocratici o comunque di quei partiti democristiani socialdemocratici che avevano una grande attenzione al welfare. Le due cose stanno insieme. E i populisti cosa usano? Usano la retorica dell’arrabbiatura nei confronti di coloro che sono dentro, più affluenti o nell’élite, nell’establishment, salvo poi allearsi tranquillamente con loro se necessario. E poi usano l’insoddisfazione, non per creare condizioni di ritorno, ricrescita, ristrutturazione del sociale, ma per mettere in tensione le istituzioni democratiche.   

Castelli. – 0:45:56 – Secondo lei, in un quadro di risorse pubbliche sempre in diminuzione a disposizione, come possono i privati e il terzo settore aiutare a mantenere questo welfare?  

Urbinati. – 0:46:06 – Noi abbiamo due possibilità, o comunque possiamo integrare due possibilità di intervento. La prima con una tassazione maggiore per coloro che possono molto, i grandi ricchi, e la seconda strategia è di avere il welfare pubblico integrato a forme sociali di solidarietà che già noi in Europa conosciamo, non soltanto in Italia.   

Castelli. – 0:46:30 – Presidente Fedriga, allora, Urbinati non ero parte da una concezione culturale diversa dalla sua, ma al di là di questo, lei non crede che anche tutto il dibattito sull’autonomia, che si è sviluppato anche ultimamente dopo l’approvazione della legge, cioè che l’autonomia possa contribuire ad aumentare le disuguaglianze o no?   

Fedriga. – 0:46:53 – Mi fa andare fuori tema un minuto, perché sono tornati tutti e devo rispondere su due cose. Quando Stefano prima diceva della sanità privata, ovviamente tutti hanno applaudito e anche io applaudo. Non sono io che devo pagarmi da solo la sanità, però vi prego non confondiamo ciò che è sanità privata con ciò che è privato convenzionato. Perché questo bisogna raccontare la verità ai cittadini. Il servizio pubblico in sanità è un servizio universalistico e gratuito, indipendentemente da chi eroga il servizio, che sia una struttura privata o una struttura pubblica. Lo dico da presidente del Friuli-Venezia Giulia, che è il secondo territorio dopo la provincia autonoma di Bolzano con meno privato convenzionato. Siamo più bassi di Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna, Liguria, Piemonte, Toscana, Campania, Puglia, quindi non parlo pro doma mia regione, ma il privato convenzionato, che è universalistico e gratuito, non è l’assicurazione sanitaria che uno deve pagare per andarci. Può dare un supporto utile anche attraverso il terzo settore alla sanità pubblica, soprattutto penso per la bassa e la media intensità, penso per il territorio. Non demonizziamolo e non confondiamolo con ciò che uno deve andare a pagare per ottenere la propria prestazione, perché non è così. I cittadini devono sapere la verità. Ed è sarebbe molto più facile oggi demonizzarlo. Secondo, quando vedevo il paragone fra territori, e non voglio citare singoli territori, sono scelte di responsabilità, quando c’è più al Nord meno al Sud. Mi domando: territori con superficie boschiva più bassa della mia, che hanno cento volte i forestali del Friuli-Venezia Giulia, è una forma di welfare? Non mi domando se è una forma di welfare, perché sta dentro le scelte, e lì dentro non c’è questa percentuale, e sono scelte di spesa. E mi ricollego alla domanda sull’autonomia. L’autonomia è responsabilità. Io penso che migliori il percorso, perché se noi non diamo responsabilità ai territori è sempre colpa di qualcun altro. Prima è colpa dello Stato, poi è colpa della Regione, poi è colpa del Comune. E rispetto anche ai ricorsi che ho letto con attenzione rispetto al testo sull’autonomia differenziata, cito solo uno dei punti fra i tanti, però rispetto a questi ricorsi, quando qualcuno dice che c’è il pericolo che finanziando la competenza, attraverso una compartecipazione al gettito sul territorio, i territori con meno gettito siano penalizzati, non è così. perché semplicemente la compartecipazione verrà strutturata e data rispetto al costo del servizio erogato e lo dico da una regione che vive di compartecipazioni e noi quando abbiamo acquisito nuove competenze non è che abbiamo detto tu prendi il 50% di quell’imposta, è stato detto quanto vale quel servizio? Quanto è il gettito di quella imposta? Quanto deve prenderla la regione? Quindi faccio un esempio per essere chiari: se in Lombardia un’imposta fa come introito 200 e il servizio costa 50, la Lombardia prenderà il 25% di quella imposta. Se in Puglia quell’imposta quota 100 e costa sempre 50, non prenderà il 25%, prenderà il 50% di quella imposta. Molto semplice, quindi non c’è preoccupazione a questo punto di vista e io mi auguro che su questo potremo fare tutti una battaglia perché prima di tutto se noi cominciamo a fare entrare tutto nel tritacarne partitico e non dare risposta su un nuovo assetto istituzionale che sia funzionale a dare migliori servizi ai cittadini io penso che ci perdiamo tutti.   

Castelli. – 0:50:49 – La ringrazio. Arriva a Bonaccini.  

Elisei. – 0:50:55 – Al di là del tritacarne politico, anche al di fuori del dibattito di queste ultime settimane, penso ad una certa idea di autonomia che piace anche alla sinistra. Vorrei sapere se sul welfare può in qualche modo essere d’aiuto rispetto a rispondere a bisogni specifici dei territori. 

Bonaccini. – 0:51:14 – Io ho giocato a calcio fino a 38 anni, però se uno mi mette la palla sul dischetto tiro il rigore. Posso essere d’accordo su molte cose, però attenti: se ad ogni sondaggio viene chiesto agli italiani da alcuni mesi qual è il primo problema nella tua regione, al primo posto di tutti i partiti? C’è la sanità pubblica o sono io che quando parlo con i miei cittadini la vedo male, oppure un problema c’è? E qual è il problema? Che si stanno tagliando trasferimenti di risorse personali alla sanità pubblica. Tant’è che voglio sapere qui, chi non è d’accordo con me su questo, se prima per prenotare una prestazione sanitaria di prima fascia te la erogavano in due, tre, quattro mesi, adesso in Italia molto spesso ci vuole un anno e a volte trovate le prestazioni chiuse, vero o no? Eh no, perché sennò, ragazzi, io vivo in un altro paese. Ma questo è dettato dalla mancanza di risorse e di personale, perché vale per un’azienda e per una famiglia. Se ho meno risorse economiche e meno personale di prima, siccome le sta parlando il Presidente della Regione, che il Ministero della Salute e del Governo Meloni ha detto è la prima per qualità e quantità di livelli essenziali di assistenza erogati, e tengo fuori le regioni a statuto speciale o autonome che hanno un’altra disciplina, parla una persona che mediamente qui la sanità ha saputo, insieme a tanti professionisti, farla funzionare. Stiamo attenti su questo, perché altrimenti la discesa verso un altro tipo di proposta sanitaria che ha a che fare col welfare. Perché? Sentite questi numeri, che non sono né di destra né di sinistra. Noi abbiamo oltre mezzo miliardo di euro che diamo ogni anno al Fondo per la non autosufficienza regionale. 545 milioni di euro l’ultimo, cresciuto di 30 milioni sull’anno precedente. Tiene dentro i disabili, gravi e gravissimi, e i non autosufficienti che crescono in ragione dell’innalzamento dell’età, ma il fatto vivi bene o vivi male. Sapete quanto riceviamo di trasferimento dallo Stato lo scorso anno? Su 540 milioni di euro, 64 milioni, ma a voi pare una roba normale? A me no, perché quelle risorse che mette la regione vengono poi a mancare per altri servizi di welfare. Se io dico che tolgo e do gratuito l’asilo nido dal secondo figlio in poi, ma se prima non costruisco posti di asilo nido in regioni italiane, soprattutto al sud, dove all’asilo nido ci va il 10-15% della domanda reale, ma dov’è che posso dare un beneficio fiscale? Non lo do, perché manca il servizio. Allora l’Europa da un lato, visto che c’è una denatalità, abbiamo detto, drammatica, deve per la prima volta affrontare un tema che riguarda tutti, in particolare l’Italia ma non solo, avete dimostrato i dati, che sia quello che una parte dei fondi europei per la prima volta la regione Emilia-Romagna utilizza decine di milioni di euro di fondi europei per dare ai sindaci, qua ce ne sono, fino a 5.200 euro per nuovi posti nei nidi e tutti i comuni della montagna e delle aree interne dall’anno scorso Emilia-Romagna vedono gli asili nido gratuiti, ma qui c’è una risposta che arriva nella domanda potenziale al 44%, ma in quella reale quasi dell’80% soddisfatta. Allora, se è vero che li abbiamo potuti utilizzare, io penso che l’Europa debba mettere a disposizione risorse per i nuovi servizi di welfare legati all’andamento e all’invecchiamento della popolazione, in ragione anche, come la Sottosegretaria diceva, di una nuova disciplina che l’Europa chiede per il 2025. Ci stiamo già lavorando, pur appena iniziata la nuova legislatura europea, per venire incontro all’economia sociale che possa dare un contributo e una mano rispetto ai nuovi servizi. L’ultima cosa, siccome io penso che la sinistra non debba commettere l’errore di dare l’idea agli italiani che è per un rinnovato centralismo burocratico ministeriale o nazionale, non sto attaccando quel ministero di oggi o quell’altro, sto parlando in generale perché la storia della sinistra è una storia fatta di autonomia per gli enti locali. Gli asili nido nacquero in questa regione alla fine degli anni ’60, nonostante lo Stato diceva che non li finanziava. Non è che si è aspettato Roma, li si è fatti. Però questa autonomia, mi permetto di dire, per me è sbagliata ed è iniqua. Perché le ragioni migliori, per chi le vuole leggere, si legga due giorni fa l’intervento di Vittadini sulle colonne di un grande quotidiano italiano. Perché quando torni a parlare di residui fiscali, cosa che l’Emilia-Romagna non aveva mai chiesto e non definisce i primi cosiddetti LEP, livelli essenziali di prestazione, per passare dalla spesa storica ai costi standard, è evidente che tu delle risorse le dovrai andare a trovare. Io non so come faranno nella nuova legge di bilancio a trovarle. Beh, è evidente che allora ne sposti una parte al Nord e da dove le togli. D’altra parte, le ragioni di quello che sto dicendo, anche fuori dall’appartenenza politica, sono date da un fatto. Ci sono 20 regioni italiane, 15 sono a statuto ordinario. La richiesta di autonomia, questa autonomia prevista da questo governo e da Calderoli, viene richiesta da 4 regioni del Nord. Non c’è una sola regione del Centro e del Sud governata dal centrodestra che sta chiedendo l’autonomia. Io dico solo: rifletteteci, guardateci, perché siamo ancora in tempo a mettere mano a una cosa che dovrebbe essere molto più equilibrata. Eh no, è così. D’altra parte, guardi, se al Sud il Partito Democratico è tornato ad essere il primo partito alle ultime elezioni europee dopo tanti anni, è anche perché molti cittadini del Sud, al di là dell’appartenenza politica, hanno paura di un’autonomia che più che riequilibrare il territorio, porti questo Paese ad essere più diviso. Siccome io mi sento italiano prima che emiliano-romagnolo, questa autonomia io credo che sia un errore e spero la correggeranno. 

Castelli. – 0:57:21 – Grazie. Grazie, Bonaccini. Allora, sapevamo, no Fedriga, che non volevamo ridurre questo talk a un dibattito sull’autonomia, e lo dico subito, comunque…   

Fedriga. – 0:57:31 – La norma prevede che le funzioni con i LEP non vengano date fino a quando i LEP non ci saranno. Secondo passaggio: i LEP sono indipendenti dall’autonomia. Cosa sono i LEP? I livelli essenziali di prestazioni, che devono esserci, indipendentemente da chi eroga il servizio, che sia la Regione, lo Stato o il Comune. Anzi, è drammatico che qualcuno sostenga che l’autonomia ci sarà solo se ci sono i LEP. No, i LEP devono esserci comunque, perché proprio la mancanza di LEP ha creato la disparità. E oggi chi dice che non servono i LEP se non c’è l’autonomia sapete cosa sta dicendo? Che se tutto viene centralizzato i cittadini di questo Paese, da nord a sud, non devono avere gli stessi diritti, ed è una vergogna.   

Castelli. – 0:58:16 – Avevamo previsto in questo dibattito anche la presenza del presidente Emiliano, presidente della Regione Puglia, che proprio l’altro giorno ci ha comunicato di non poter intervenire per ragioni personali. Quindi sarebbe stato interessante avere una voce del Meridione su questi argomenti. Sta di fatto che noi abbiamo due presidenti, da prima pagina su questi temi, e immaginavamo che il dibattito si riscaldasse. Ma io volevo tornare su una cosa molto concreta con il Sottosegretario, avvicinandosi poi alla conclusione perché siamo andati un po’ lunghi. Sottosegretario, c’è una cosa in particolare che ho letto e mi ha incuriosito, ho approfittato della sua presenza per parlarne. Ci sono 60 miliardi di possibilità immobiliari statali inutilizzati. Lei ha una delega su questo specifico argomento. Si parla di un uso per social housing, case protette, studentati, eccetera. C’è qualcosa che bolle in pentola oppure è ancora il libro dei sogni? Grazie.   

Albano. – 0:59:17 – Allora intanto capisco che si sia scaldata molto l’atmosfera rispetto all’autonomia, ma è chiaro che questo percorso è un percorso ormai ventennale, quello sull’autonomia differenziata, e quindi in questo momento stiamo arrivando insomma a poterla mettere a terra e realizzarla finalmente per le regioni che vorranno chiederla, come diceva il presidente Bonaccini. Non tutte l’hanno richiesta, ma poi con una definizione dei LEP ci sarà una maggiore chiarezza su questo. Io, perdonatemi, una cosa vorrei dirla perché io vengo da una regione del centro Italia. Si parla sempre di Nord e di Sud, ma questa è un’Italia a tre velocità. C’è un’Italia centrale alla quale è necessario prestare particolarmente attenzione. Io dico sempre che la questione dell’Italia centrale è una questione che diventa centrale per l’Italia e lo dico oggi proprio perché questa notte sarà l’anniversario del sisma del 2016 nel quale hanno perso la vita 299 persone e quella del sisma è una delle questioni delle ferite più grandi che quest’Italia porta nel cuore perché il cratere del sisma rappresenta proprio un cuore ed è il cuore dell’Italia, a volte la penso, mi piace immaginarlo così, ed è uno dei divari territoriali in cui il welfare deve assolutamente lavorare. È uno dei divari territoriali che con la coesione su cui si sta lavorando moltissimo per una ricostruzione, rivalorizzazione, rigenerazione e riparazione di questi territori. E questo che cosa c’entra con quello che stiamo dicendo? Intanto mi sembrava opportuno ricordarlo proprio oggi. Io ho una delega relativa alla valorizzazione dell’immobiliare pubblico e, lavorandoci, approfondendo questo tema, mi sono resa conto che c’è un patrimonio immobiliare pubblico inutilizzato che attraverso una politica di dismissione molto spesso è stato dismesso in vari modi. Oggi noi possiamo lavorare per poterlo valorizzare e per poterlo destinare a determinati scopi. Quali sono questi scopi? Oggi il tema è quello dell’abitare. Abbiamo parlato degli anziani, della demografia, delle difficoltà di lavoro di giovani e donne, ma tutto questo si concretizza nella necessità di una delle fragilità più grandi, uno dei problemi più grandi, che oggi è quello dell’abitazione, la casa. Perché la famiglia è casa, la casa è famiglia e la casa è possibilità. Lo dicevamo anche prima: la famiglia è il primo welfare e la casa è il luogo della famiglia. Allora dare la possibilità di valorizzare il patrimonio immobiliare volto all’abitare sociale, abitare per giovani coppie, abitare per anziani, social e senior housing. Tutto questo è già stato inserito, avete parlato l’altro giorno del decreto anziani, uno dei punti del decreto anziani è proprio il co-housing, co-housing intergenerazionale e un senior housing solo per anziani, per poter far sì che anche l’anziano possa essere inserito in un tessuto. Dobbiamo ricostruire e rigenerare quei legami e quelle relazioni che hanno fatto della famiglia italiana anche il pilastro della nostra economia. Sto parlando proprio di economia, non solo di sociale. In questo momento tutto ciò è venuto a mancare. Quindi modelli di abitare, modelli che siano legati al nostro modo di vivere, io penso a modelli italiani, in cui l’abitare diventa famiglia, benessere, sport, alimentazione, sociale, terzo settore, collegamento, possibilità di convivenza e costruzione di un nuovo modello. In tutto questo, il welfare, il terzo settore è l’elemento cardine che caratterizza, prima lo stavo raccontando, proprio il nostro modo di fare economia sociale, il nostro modo di abitare. Il terzo settore può essere il veicolo attraverso il quale, ad esempio nelle forme, lo si raccontava anche prima, di partenariato pubblico-privato, che è uno strumento in cui il pubblico gestisce e controlla soprattutto il progetto, ma il privato può compartecipare sia alla progettazione che alla gestione. Ecco, tutto questo è un nuovo modello per poter sostenere alcune delle criticità che in questo momento sono particolarmente evidenti. È già partito, ci sono la definizione di questi modelli, ci sono già delle applicazioni, sono già stati realizzati, ma questo potrà diventare un modello replicabile, assolutamente fruibile.  

Elisei. – 1:04:59 – Michela Zanetti, da Fornovo, che è un piccolissimo comune in provincia di Parma, 6.000 abitanti. Lei è stata sindaco per 4 anni di questo territorio. Ci ha raccontato di un esempio di collaborazione tra enti locali, associazioni, terzo settore, che ha permesso nel giro di 20 anni di rispondere concretamente ad alcune esigenze sul territorio. Vi facciamo ascoltare un tratto dell’intervista.   

Zanetti. – 1:05:24 – Dal 2002 è iniziata un’esperienza importante che riguarda la co-progettazione dei servizi per i centri per le famiglie e i centri giovani. Questa attività di coprogettazione, magari all’inizio non troppo semplice da avviare, ha portato al tavolo tutti i soggetti istituzionali, quindi Asl, distretto, comuni, ma soprattutto il terzo settore e le associazioni, tutti quelli che ruotano intorno a questi due mondi, anche la scuola. Quindi si è fatto tanto allenamento e ci si è abituati a lavorare insieme, andando anche oltre questi specifici ambiti. Per esempio mi viene in mente l’esperienza del “Mai da soli”. “Mai da soli” è un progetto di sostegno a distanza di persone anziane che non hanno disabilità particolari o necessità particolari e che l’assistenza volontaria di Borgotaro insieme al comune e all’ufficio di piano ha avviato per poter sostenere chi abita isolato e magari fa fatica a tenersi agganciato con le comunità.   

Castelli. – 1:06:38 – Quanto è stato decisivo questa co-progettazione, questo lavorare insieme per migliorare la qualità di vita anche sul vostro territorio?   

Zanetti. – 1:06:47 – Penso che sia stato fondamentale. Insistere su istituire tavoli di confronto ha permesso lo stabilirsi di relazioni che sono soprattutto relazioni umane tra tutti i soggetti. Questa capacità, questa disponibilità di incontrare gli altri, a mettersi in ascolto attivo, è diventato un modo. Rispetto ad altri territori, conoscendo anche maggiormente le altre realtà della valle, anzi delle valli, penso che sia un elemento di speranza. Queste comunità hanno imparato e hanno molto dentro questo approccio. Nel confronto si trovano delle soluzioni e se le soluzioni sono condivise di solito funzionano.   

Castelli. – 1:07:49 – Secondo lei, un’esperienza in qualche modo esportabile anche altrove, nelle grandi città?   

Zanetti. – 1:07:56 – Secondo me è un modello esportabile perché si basa sulla disponibilità da parte di tutti, l’imprenditoria che crede nella ricerca, nel fare cultura, le associazioni, i corpi intermedi che si sentono sempre attivi. È la disponibilità a costruire relazioni di fiducia. Me lo diceva la responsabile dell’ufficio di piano del nostro distretto: i tavoli sono magari stati vissuti come un’imposizione, ma alla fine è lì che prima del professionista arriva la conoscenza della persona e si stabilisce una relazione di fiducia. Non esistono protocolli che funzionino se non si è investito sulla costruzione di una relazione di fiducia vera tra le persone.   

Castelli. – 1:09:06 – A me ha colpito molto la signora Zanetti perché non doveva portare l’acqua al proprio mulino, a giugno ha finito il suo mandato, quindi non si è più presentata, non doveva vendere per incassare voti, diciamola così. Galeone, mi ha colpito perché quando lei dice “nel confronto si trovano le soluzioni”, questo aspetto è un messaggio politico al mondo politico italiano così drammaticamente contrapposto, soprattutto su certi argomenti. Fino a che punto secondo lei questo modo di lavorare è esportabile? Lei che conosce da vicino la realtà dei comuni?   

Galeone. – 1:09:41 – Che cosa serve sostanzialmente alle amministrazioni? Lavorare sull’integrazione dei servizi, cioè partire dalla persona e sulla base della singola persona costruire il sistema dei servizi, perché ogni persona ha un mix diverso. Lavorare sull’integrazione, quella sociosanitaria innanzitutto, ma anche l’altra. Per far questo abbiamo bisogno di autonomia e libertà. Ecco, non vorrei che nel nostro sistema, che è già oggi un sistema centralista, come ho detto prima su come girano i fondi, è un sistema centralista. Quei risultati di sperequazione avvengono con un sistema a bassa autonomia, almeno parlo per i comuni, qui non c’entra il residuo fiscale, qui c’entra proprio la possibilità di fare le cose, di innovare, di avere flessibilità nelle norme. Anche la coprogettazione, se non si svolge in un clima in cui fai cose nuove, fai mix diversi di servizi, innovi nella lettura dei bisogni. Noi qui non riusciamo a quadrarlo il cerchio, perché apparentemente il cerchio sembra non riusciamo a quadrarlo tra i bisogni e le risorse, dobbiamo fare le cose in modo nuovo. Io dico solo una cosa, siamo al bivio per un motivo: perché bisogna vedere se effettivamente possiamo permetterci questo sistema di welfare. Questo parlo per l’Italia, ma forse vale per tutta l’Europa, perché noi in Europa il nostro welfare è un esperimento sociale, è una cosa unica. Noi dell’Unione Europea siamo meno del 6% della popolazione mondiale, siamo meno del 20% del PIL e spendiamo il 43% della spesa del welfare del mondo. Noi siamo un esperimento sociale e l’Unione Europea, anche con l’action plan, oltre al tema della competitività, oltre a quello della sostenibilità, sta cercando di riuscire a mantenere questo livello di welfare. Non è semplice.   

Castelli. – 1:11:38 – E la ragione per cui abbiamo fatto questo talk è per cercare di avvicinare queste dinamiche.   

Elisei. – 1:11:43 – Si avvia verso la conclusione il nostro viaggio, il nostro percorso di una maggiore comprensione del welfare italiano, capire che tipo di futuro su questo, che tipo di sfide ci aspettano. Per questo, per tirare le fila, vogliamo chiamare sul palco, come ha anticipato, il presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, Giorgio Vittadini.   

Vittadini. – 1:12:05 – Io ho assistito, sono molto interessato a questo dibattito perché lo scopo nostro nel fare questo è di dire che questo è un problema importante, mentre invece tante volte si pensa che sia meno importante. La domanda, proprio riprendendo l’ultima cosa che Galeone ha detta, è: ma nel prossimo futuro, tra invecchiamento, indebitamento, difficoltà nella produzione, riusciremo a garantire a tutti quello che è stato garantito alle nostre generazioni? La mia non è una risposta nel merito, ma un work in progress, è un annuncio. Proprio con Galeone, con l’IFEL, con l’Istat, con la Banca d’Italia, con Ipsos, stiamo completando il prossimo rapporto della Fondazione Sussidiarietà sul tema Sussidiarietà e Welfare Territoriale, come punto di lavoro fatto dalle istituzioni che hanno i numeri; quindi, cercando di far parlare loro queste cose, per fare che questi dibattiti diventino attuali. Quindi verremo a trovarvi anche nelle prossime regioni e con voi, perché questo tema sia visto, perché quello che ci riguarda è: ma potremo garantire la qualità di vita che abbiamo avuto noi quando i nostri giovani saranno nonni? Sarà possibile trasformare ciò che è superfluo in ciò che invece manca? Queste sono domande fondamentali, per parafrasare oggi alcune cose dette in questi giorni, anche più dei pandori. Cioè, voglio dire, è fondamentale discutere dei pandori ma molto di più mettere a tema queste cose, che sono anche – e finisco così – il valore per noi fondamentale della politica, che è una grande cosa, perché la politica quando è fatta bene e a fondo, come abbiamo visto oggi anche in posizioni diverse, è qualcosa che permette ai cittadini di vivere e questo è ciò che avviene al Meeting. 

Castelli. – 1:14:37 – Grazie, grazie, presidente Vittadini. Grazie a tutti voi per la pazienza con la quale ci avete seguito in queste tre puntate. Vi auguro una buona serata. Grazie ai nostri ospiti. Grazie ai nostri ospiti e buon Meeting a tutti. 

 

Data

23 Agosto 2024

Ora

17:00

Edizione

2024

Luogo

Sala Gruppo FS C2
Categoria
Incontri

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