VIVERE DI PIÙ, VIVERE MEGLIO? Il welfare al bivio

In diretta su IlSussidiario.net, Italpress, SkyTg24 Canale 501

A cura di Fondazione per la Sussidiarietà
Gabriele Fava, presidente Inps; Sabina Nuti, rettrice della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa; S.E. Mons. Vincenzo Paglia, presidente Pontificia Accademia per la Vita; Giorgio Vittadini, presidente Fondazione per la Sussidiarietà. Conducono Enrico Castelli e Irene Elisei

Il welfare universalistico, con servizi sanitari, assistenza ai più fragili e bisognosi, istruzione per tutti, a prescindere del reddito, non riesce più a garantire una risposta di qualità ai bisogni dei cittadini. Il Talk 2024 della Fondazione per la Sussidiarietà affronta il tema guardando agli aspetti più concreti, come la cura degli anziani, gli asili nido e l’accoglienza. La prima puntata delinea il contesto partendo dal presupposto che il welfare è alla base dello sviluppo integrale di un Paese e va preservato non solo per il benessere dei cittadini, ma anche perché in esso è contenuto il codice sorgente della felicità pubblica e della democrazia.

Con il sostegno di isybank

VIVERE DI PIÙ, VIVERE MEGLIO? Il welfare al bivio

VIVERE DI PIÙ, VIVERE MEGLIO? IL WELFARE AL BIVIO

Mercoledì 21 Agosto 2024 ore 17:00
Sala Gruppo FS C2

Partecipano:
Gabriele Fava, presidente Inps; Sabina Nuti, rettrice della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa; S.E. Mons. Vincenzo Paglia, presidente Pontificia Accademia per la Vita; Giorgio Vittadini, presidente Fondazione per la Sussidiarietà.

Conducono:

Enrico Castelli e Irene Elisei

Castelli. Buon pomeriggio, buon pomeriggio a tutti. Quinta edizione del talk, qui al Meeting di Rimini, organizzato dalla Fondazione per la Sussidiarietà. Buon pomeriggio a Irene Elisei.

Elisei. Enrico Castelli, mio immancabile compagno di viaggio.

Castelli. Allora, vivere di più vivere meglio. Avete visto il titolo? L’ho scelto per questa edizione del talk. Perché siamo a un bivio? Perché abbiamo scritto questa parola “bivio”? Perché forse il welfare, così come l’abbiamo conosciuto dal dopoguerra a oggi, non ce lo potremmo forse più permettere: si nasce sempre di meno, ci sono sempre più anziani, chi si potrà prendere cura di loro? Ci sono meno risorse, le pensioni, lo sappiamo, non saranno quelle di oggi. Insomma, tre incontri per capire che cosa ci aspetta. Cosa si può fare? Lo faremo con l’aiuto dei nostri ospiti di questo primo incontro. Irene, a te l’onore.

Elisei. Ospiti d’eccezione che passiamo subito a presentarvi. È con noi Monsignor Vincenzo Paglia, Presidente della Pontificia Accademia per la Vita e Presidente della Commissione Intergovernativa che ha messo a punto la legge sulla terza età, approvata lo scorso anno. Ben trovato, buon pomeriggio. E accanto a lui avete già visto inquadrato, per chi è da casa e ovviamente per chi è in sala, è ben visibile il Presidente dell’INPS, Gabriele Fava. Ben trovato. Ancora, la rettrice della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, Sabina Nuti. Grazie per essere con noi. E il professor Giorgio Vittadini, Presidente della Fondazione per la Sussidiarietà. Parliamo di welfare: si fa in fretta a discuterne, a metterlo sul tavolo come tema, ma che cos’è concretamente? Non faccio un sondaggio tra voi, lo abbiamo già fatto cercando di raccogliere alcune voci in giro per l’Italia. Ve le facciamo subito ascoltare e partiamo da qui.

VIDEO

SPEAKER
Che cos’è il welfare?

Non lo saprei.

Il welfare è importante perché fa star bene tutti. È il livello di benessere di una società che si misura sui servizi alla persona, anche il livello della qualità della vita, della qualità dell’aria.

Io ho avuto mia mamma ricoverata in una casa di riposo fino alla fine della sua vita e devo dire che per trovarle la possibilità ho tribolato.

Se ci sono i nonni va bene, se non ci sono i nonni diventa un problema perché devi o ti affidi a delle società che anche queste comunque lasciano un attimo il tempo che trovano, oppure devi trovare dei babysitter arrangiati in questo modo.

Io quello che chiederei più che altro è riuscire a capire bene i problemi che hanno le persone, le famiglie che hanno bisogno, i malati che realmente hanno bisogno di quelle cure e non riescono ad averle.

FINE VIDEO

Castelli. Monsignor Paglia, capire i bisogni delle persone, dice l’ultimo intervistato. Un bel impegno direi. Lei è stato tra i protagonisti per l’approvazione di questa legge 33, approvata lo scorso anno, sulla riforma, insomma, della terza età. Ci dica, da che idea dell’anziano siete partiti?

Paglia. Io sono partito, anzitutto, dalla strage degli anziani durante il Covid. A migliaia, più di centomila ne sono morti. Si diceva “siamo tutti nella stessa barca”, in realtà stavamo tutti nella stessa tempesta, ma su barche diverse. Quelle degli anziani sono state spazzate via, peggio del veliero di Palermo dell’altro giorno. Non c’era posto per loro neppure nei cimiteri, vi ricordate i camion militari a Bergamo con le bare? Emergeva, e così dissi al Ministro Speranza della Salute, una contraddizione profonda: perché la nostra società, per un verso, anche per lo sviluppo tecnologico, sanitario, eccetera, ci fa vivere 20 o 30 anni in più; per altro verso, non ci sa mantenere. In effetti, in questi ultimi tempi è cresciuto un popolo: noi vecchi, quelli che nel ’68 dicevamo “fateci largo che arriviamo noi”. Ecco, noi siamo diventati vecchi, ma su questi 14 milioni di persone non c’è nessun pensiero, né politico, né economico, né religioso, né sociale, né pure medico, ed è un popolo che ha bisogno di una nuova riflessione, di cui è nata la legge per riformulare in maniera globale, vorrei dire davvero rivoluzionaria, il prendersi cura di 14 milioni di anziani che sono in Italia, perché non sono uno scarto. Purtroppo rischiano di esserlo, ma l’Italia senza gli anziani morirebbe immediatamente, e lo sanno i nipoti. I nipoti senza nonni sono un problema. Abbiamo fatto un calcolo: il tempo che i nonni spendono con i nipoti vale una finanziaria. Se i nonni non ci fossero, io non so Giorgetti a quale fiume dovrebbe, come dire, gettarsi. E ci chiamano scarti. Ecco perché la legge, e poi magari ne accenneremo, vuol dire una cosa sola: che gli anziani sono una enorme risorsa e non uno scarto, come la cultura maggioritaria ci dice. Papa Francesco lo ha capito e continua a dirlo.

Elisei. Monsignor Paglia, guardi Castelli, che ha 14 nipoti, quindi lui forse ne vale almeno un paio di finanziarie, credo, a questo punto.

Castelli. Sono creditore con lo Stato, a questo punto.

Elisei. I numeri possono aiutare in qualche modo a questa nuova riflessione a cui faceva riferimento. Allora, vi mostriamo una grafica che ci permette di capire in che modo è suddivisa la spesa per welfare. La spesa totale nel 2023 è ammontata a poco più di 630 miliardi di euro. Ancora. All’interno di questa, si suddivide così: spesa per la previdenza un 50,3%, la spesa destinata alla sanità un 21%, si ferma al 16% la spesa invece dedicata alle politiche sociali. Sono dati che riflettono inevitabilmente scelte fatte nei decenni passati. Quello che noi vogliamo capire è se sono adeguate a sostenere i bisogni di oggi, che sono particolarmente cambiati, come faceva riferimento anche Monsignor Paglia. Io direi che qui capiamo perché abbiamo scelto di inserire nel titolo quest’anno “Welfare al bivio”. C’è bisogno di un cambiamento, come poter rispondere? E qui arrivo al Presidente dell’INPS, al Presidente Fava, perché, dialogando poco fa, una frase mi ha molto colpito. Lei diceva: “Vorremmo che l’INPS diventasse quasi un hub del welfare.” Allora le chiedo: qual è il progetto a partire dalla legge 33 e quindi le novità che introduce? Come concretamente l’INPS può sostenere gli anziani e questa nuova visione, queste nuove necessità?

Fava.
Certo, grazie. È assolutamente così. Ci stiamo già lavorando. Fin dall’inizio del mio insediamento, ho desiderato definirlo l’Hub del Welfare. Ma perché? Partiamo da dei numeri: pochi, ma essenziali per capire perché è il vero Hub del Welfare. Il welfare è rappresentato e gestito oggi dall’INPS, dall’Istituto che ho l’onore di presiedere da pochissimi mesi.

Elisei. Da aprile.

Fava.
L’INPS serve circa 52 milioni di utenti, che sono quasi l’87% della popolazione. Fornisce circa 440 prestazioni socio-assistenziali e previdenziali. Questo è il welfare. C’è tutto. Attraverso più di 500 sedi, con circa 27.000 dipendenti. Ecco perché rappresenta davvero il welfare, ecco perché è l’istituto. D’accordo e condivido moltissimo, ne abbiamo già parlato con Don Vincenzo: i nonni, quindi gli anziani, che amo definire “diversamente giovani”. Perché? Perché molti hanno ancora voglia, desideri o forze di contribuire alla vita sociale del nostro Paese e quindi perché precluderglielo? Non c’è motivo alcuno. Ecco che in questo caso i nonni, gli anziani o i “diversamente giovani”, come mi piace definirli, sono sicuramente una risorsa. Dice benissimo un attimo fa Don Vincenzo: sono una risorsa, non sono un costo, sono una risorsa. In pandemia l’abbiamo visto, ma lo vedremo sempre più spesso, e quindi dobbiamo sicuramente valorizzarli, aiutarli. Una tecnica sulla quale ci stiamo iniziando a cimentarci è quella della Silver Economy. La Silver Economy è importantissima perché va incontro ai “diversamente giovani” e al tempo stesso crea anche occupazione, poiché ci sono i nuovi mestieri della Silver Economy che nascono proprio a favore di una categoria che, tra l’altro, ha una capacità di spesa maggiore dei giovani. Ecco che questa è una buona via da seguire, sulla quale ci stiamo cimentando insieme a tutta la tecnostruttura, che ringrazio perché sono veramente grandissime professionalità con le quali ho altrettanto l’onore di lavorare. Ecco, questa è la via che stiamo portando avanti.

Elisei. Può raccontarci di qualche novità di quel modello di welfare generativo, lei è così che lo ha chiamato sin dall’inizio.

Fava.
Sì certo, anche questo studiando un po’ tutto, ho pensato: perché non andare verso oggi un welfare generativo? Cioè oggi c’è bisogno di contestualizzare, anche l’INPS ha bisogno di essere ammodernato, se vogliamo, migliorato in funzione dei bisogni dei servizi. L’ha detto in un’intervista, ricordo, prima, forse un ragazzo: i servizi personalizzati, in qualche modo. Il core business dell’INPS è essere al servizio dei cittadini, tutti. E quindi questo dobbiamo tenere sempre presente, questo è quello a cui tendere nel prossimo futuro e per quel che mi riguarda nei limiti del tempo che mi sarà concesso. Ma cosa vuol dire questo welfare generativo? Vuol dire personalizzare i servizi a seconda delle diverse esigenze durante tutto il tuo ciclo di vita, tuo cittadino, tua persona. È importantissimo: se riusciremo in questa progettualità, sfidante ma sicuramente avvincente, ma soprattutto utile ai cittadini, allora sì che ci sarà un upgrade dell’INPS 2.0. Perché no? Cioè un istituto che è la spina dorsale su cui poggia tutto il nostro Paese, davvero utile al servizio di tutti i cittadini, attraverso servizi moderni, contestualizzati, semplici, intuitivi, che arrivano subito. In questa maniera, credo, riusciremo a creare quella credibilità, quella fiducia, “trust”, che oggi forse manca un po’.

Castelli. Presidente, nel preparare questo talk ci siamo imbattuti in una serie di cifre preoccupanti. Leggevo che oggi un anziano over 75 su 3 vive da solo, non è autosufficiente e spesso vive da solo. C’è una differenza tra città e zone periferiche a volte drammatica. Ci siamo imbattuti in questo tentativo, mi piace chiamarlo così, non so se dopo la Rettrice condividerà questo mio parere, ma insomma siamo andati in Garfagnana. La Garfagnana è quella località tra le Alpi Apuane e l’Appennino Toscano, tra Massa e Lucca, insomma, un posto abbastanza dimenticato da Dio, cioè ci siamo arrivati con fatica. Lì è in corso questo tentativo di assistenza sul territorio. Dopo discuteremo con la Rettrice Nuti sul perché la Scuola Sant’Anna si è impegnata in questa iniziativa, ma andiamo prima a vedere insieme cosa abbiamo trovato. Grazie.

VIDEO

SPEAKER
Garfagnana, Toscana. Qui, su queste colline che diventano montagne e che, anche grazie alle difficoltà di collegamento, mantengono intatte le loro bellezze architettoniche e naturali, c’è un progetto che vuole rispondere alle esigenze sanitarie dei cittadini, persone che sarebbero state in tanti casi lasciate sole e che ora invece vengono assistite praticamente porta a porta.

Siamo sul camper di Proximity Care, nella Valle del Serchio, in provincia di Lucca. Questo camper si muove in tutti i comuni della zona per permettere alle persone che vivono qui di fare gli screening oncologici in un’unica sessione vicino a casa.

In questo camper eseguiamo lo screening mammografico, cioè eseguiamo le mammografie di primo livello, l’esame fondamentale per la ricerca di eventuali tumori del seno.

E mentre il medico è all’opera con una prima paziente, un secondo cittadino trova spazio qualche metro più indietro per l’analisi dei nei.

In questo caso consigliamo alla persona di fare una prima foto panoramica e una seconda foto microscopica. La foto viene poi inviata alla dermatologia, e la risposta viene ricevuta a casa sia in caso di esito positivo che negativo. Poi vengono ricontattati qualora ci fosse qualcosa.

Ho appena terminato un esame e ritengo che questo servizio sia stato veramente molto utile perché mi ha permesso di fare pochissimi passi per raggiungere la struttura.

Ma non di solo camper vive Proximity Care. Sono dieci gli ambiti di sviluppo di questo progetto, voluto dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca, con il coinvolgimento della Regione Toscana, di comuni e associazioni del territorio.

Bertoncini. (presidente cassa di risparmio di Lucca) Essere vicini al proprio territorio per la Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca è l’obiettivo principale nell’attività erogativa. Significa ascoltare costantemente i bisogni di chi amministra questi territori, di chi effettivamente ha la percezione di quali sono i bisogni più importanti, e nel limite delle possibilità rispondere in maniera positiva a questi bisogni.

VIDEO 

SPEAKER
Si va dalla telemedicina per i pazienti cronici alla prevenzione giovanile, dalla mappatura dei servizi dedicati alla disabilità fino ai sistemi di tele emergenza, decisivi nelle aree più remote.

Questo è un caschetto della Proximity Care con visore, che è una telecamera che ci mette in contatto direttamente con la centrale operativa quando siamo su un sinistro e il paziente è in condizioni critiche. Signora, signora, mi sente? Sì, pronta, è la Bravo 0224, siamo sul luogo dell’intervento. La signora è semicosciente e non risponde, risponde solo a stimoli dolorosi. Ok, inquadrate bene? Ok, signora, signora mi sente? La pizzico e non risponde, risponde solo a stimoli dolorosi.

In centrale operativa, il medico visualizza la videochiamata proveniente dal soccorritore che indossa il caschetto e può avere così visione del paziente e della scena dell’intervento. Questo è particolarmente utile nel caso delle patologie tempo-dipendenti, quali l’ictus, l’insufficienza respiratoria acuta e l’infarto, in cui la prontezza della diagnosi e la somministrazione delle cure più adeguate è di vitale importanza per la sopravvivenza del paziente.

Spostandosi qualche chilometro più a nord, nell’RSA Hospice Le Piane di Villetta, le soluzioni tecnologiche innovative di Proximity prendono la forma di un esoscheletro, un apparecchio che tra qualche settimana cambierà la vita degli operatori.

Il progetto dell’esoscheletro nasce nell’ottobre del 2022. Inizialmente, l’esoscheletro che ci è stato proposto era rivolto alla logistica, e quindi abbiamo fatto diversi incontri proprio per adattarlo alle nostre esigenze, alle nostre attività di movimentazione dei pazienti. Praticamente, l’esoscheletro andrà ad aiutare l’operatore nella movimentazione del paziente e quindi ridurrà il carico nella zona lombosacrale.

Meno sforzo in pratica e meno mal di schiena, perché “stare bene” qui, il motto di Proximity Care, parte dalle piccole cose.

FINE VIDEO 

Elisei. Un bel progetto che nasce dalla forte volontà della Scuola Sant’Anna. Ricordo per tutti che la Scuola Sant’Anna è un istituto universitario pubblico a statuto speciale che opera nel campo delle scienze applicate, tra cui le scienze della salute. Le chiedo subito: perché avete deciso di impegnarvi in questo progetto e si può già parlare di risultati, o siamo ancora in una fase di sperimentazione?

Nuti. Allora, il progetto è un progetto di 5 anni, siamo a metà del percorso, quindi fortunatamente dei risultati già ci sono. La Scuola Superiore Sant’Anna ha creduto in questo progetto e lo ha fortemente voluto per dare il suo contributo a un cambio sostanziale di paradigma. Certamente è vero: gli anziani devono poter stare a casa in sicurezza, ma per fare questo dobbiamo cambiare tutti il nostro paradigma. Cosa voglio dire? Di solito l’innovazione e la ricerca tendono ad avere bisogno di concentrazione, di competenze e di saperi, e quindi finiscono molto spesso negli ospedali o nei grandi centri di ricerca. Questo fa sì che tutto ciò che si svolge, i servizi, le attività sociosanitarie che si svolgono disperse nei territori, e ancora peggio nelle aree interne, tendano a essere marginali e poco attenzionate dagli atenei. Quindi, la Scuola Sant’Anna ha deciso di mettersi in campo per prima, insieme ad altri atenei chiaramente, perché poi è nato anche il progetto nel PNRR, l’ecosistema della salute, per lavorare nelle aree interne con un approccio per noi molto innovativo. Non abbiamo chiesto un intervento disciplinare, ma interdisciplinare. Ci sono ingegneri, medici, infermieri, economisti, giuristi, perché il tema è complesso: come tenere gli anziani a casa? Come dare veramente un supporto con l’innovazione tecnologica e organizzativa. Quindi, per noi, è una sfida a 360 gradi per tutto l’Ateneo.

Castelli. Grazie Rettrice. Vittadini voi, nel titolo di questo talk, avete voluto mettere “Vivere di più, vivere meglio?” con un punto interrogativo. Che si viva di più è assodato ormai, lo dicono le cifre. Perché avete messo il punto interrogativo? Temete che vivere di più significhi vivere peggio?

Vittadini.
Allora, sappiamo benissimo che da anni si calcola la speranza di vita, e la speranza di vita italiana è una delle più alte al mondo. Sappiamo benissimo che c’è giustamente la battaglia per la vita e così via, ma se i 20-30 anni di vita devono essere vissuti in un modo inumano, che battaglia per la vita è? Quindi oggi si ha un nuovo concetto statistico, che è la speranza di vita buona. Perché l’aumento della cronicità rispetto alle malattie acute, che è un altro dato fortissimo… Pensate che negli ospedali lombardi più della metà dei ricoverati sono cronici, quindi sono inappropriati perché gli ospedali sono fatti per acuti. Se la gente che ha malattie evidentemente crescenti, perché la popolazione invecchia, che si chiamano Alzheimer, che si chiamano diabete, che si chiamano sclerosi a placche, che si chiamano difficoltà di deambulazione, ha una vita che non è assistita, vive peggio. Perché questo peggioramento dovuto all’invecchiamento è anche dovuto al fatto che l’invecchiamento della popolazione significa che la gente è meno aiutata di prima. Noi abbiamo vissuto per anni, tutta la mia generazione e quella precedente, sul giusto postulato del welfare universalistico, che chiunque avesse questi problemi poteva avere un’assistenza. Noi, senza accorgercene, stiamo diventando americani. Se non c’è un cambiamento, con questi peggioramenti della qualità della vita, con i pochi soldi che abbiamo e con questa disattenzione, noi finiremo per avere persone che vivranno male. E ricordiamoci anche che in questi anni molto è stato salvato dal terzo settore, ma anche dalla parte del terzo settore che si chiama famiglia, perché le badanti sono una spesa delle famiglie. E senza le badanti cosa si fa? Visto che i giovani sperano di avere una pensione, ma potrebbero non avere più i soldi per le badanti, cosa facciamo? Vogliamo perdere quella che è la qualità più importante dell’Italia e dell’Europa, cioè che ogni persona vale, qualunque sia il reddito o il censo? E allora la battaglia per la vita, come ha detto una volta Parolin, non è solo la vita all’inizio o alla fine, ma anche la vita durante.

Elisei. Monsignor Paglia, vengo da lei.

Paglia. Gongolavo sentendo le parole di Vittadini. Ma non c’è dubbio, anche perché da qualche tempo ne parliamo. Io faccio parte, essendo nato nel ’45, della prima generazione di anziani di massa. Poi, a me piace dire… Viva gli anziani! Gli anziani è bello; diversamente giovane non mi piace mica tanto.

Elisei. Troppo edulcorato.

Paglia. Allora, qual è il punto? Se la mia generazione, e siamo in tanti, non inventa una vecchiaia saggia e tutto sommato bella, sarà un dramma per tutti voi più giovani o per i vostri nipoti. Come faranno a sognare un futuro da conquistare e da raggiungere? Ecco perché noi abbiamo una responsabilità enorme. Io mi auguro che il governo italiano, sia quello di Draghi che quello della Meloni, che ha approvato la legge, una nuova legge che a mio modesto avviso è tra le migliori del mondo, io mi auguro che non faccia la sciocchezza di non finanziarla. E qui è un punto importante perché questa legge che cosa vuol dire? Vuol dire che l’intera società italiana, in tutte le sue articolazioni, quindi governo, amministrazioni, terzo settore, ospedali, università e così via, si prende cura di tutti noi, 14 milioni di anziani, e non solo dei non autosufficienti. Perché noi vecchi, il comune denominatore che cogliamo è la fragilità. Siamo fragili. Dobbiamo stare attenti.

Elisei. Su questo, per entrare ancora più nel dettaglio, perché desidero moltissimo che chi esca dalla sala abbia bene in mente anche che cosa cambia concretamente per una famiglia con la legge.

Paglia. Allora, la legge prevede che noi anziani restiamo nei nostri ambienti, o nelle case, meglio, o in piccoli co-housing, e qui sarà importante, molto importante, perché saremo in tanti e i giovani molto meno. Quindi dobbiamo apprendere a vivere insieme anche in piccoli gruppi. Lo Stato, con tutto quello che dicevo prima, si prende carico, come abbiamo visto in questo esempio, ma deve essere per tutta l’Italia. La legge va applicata con sperimentazioni perché non abbiamo tanti soldi, ce ne bastano pochi, ma noi vorremmo un’assistenza domiciliare sociosanitaria. Gli anziani non hanno bisogno solo di iniezioni, ma anche di compagnia, di amicizia. La solitudine è un dramma terribile. Ecco perché bisogna rivoltare completamente il paradigma. Gli anziani devono essere curati a casa con la telemedicina, l’ospedale deve andare a casa, non viceversa, perché un anziano che magari sbaglia a prendere una medicina va al pronto soccorso, costa 1000 euro al giorno, ci sta per 6 giorni, non gli fanno nulla, sono 6000 euro sprecati. Se resta a casa, con la telemedicina si può intervenire, se ci sono volontari o il terzo settore che si occupano del mangiare, per aiutare. Prevediamo mille centri diurni per fare scuola agli anziani, 30 anni sono tanti. Abbiamo visto che c’è uno spreco enorme in salute e in denaro per la malnutrizione. Bisogna insegnare agli anziani come nutrirsi, come non cadere, come bere e altro ancora. Abbiamo bisogno, peraltro, e questo è un punto importante, di nuovi operatori sociosanitari che siano capaci di stare accanto agli anziani in tutta la loro vita e nei loro bisogni. In questo senso, il terzo settore, soprattutto quello cattolico devo dire, già svolge quasi il 60-70%, e io credo che come cattolici, come cristiani, dovremmo sentire la responsabilità gravissima di essere davvero prossimi, e prossimo è il superlativo di “proper”, che vuol dire i più vicini, anche perché gli anziani, cari amici e amiche, sono disprezzati da noi, dai preti, sono quelli che vengono più in chiesa, però se dici, vuoi dare una definizione di chiesa un po’ triste, è una chiesa di vecchi, e bè, qual è il problema? La loro preghiera va nel melodramma degli altri? È triste che in Italia, e faremo un’inchiesta su questo, non c’è una diocesi senza un prete per i giovani, ma non c’è una diocesi con un prete per gli anziani, che siamo pure di più. C’è bisogno di una conversione sociale, civile e anche spirituale, perché gli anziani possano rappresentare quella conclusione della nostra esistenza. E qui in questi giorni c’è una polemica tristissima sull’eutanasia. Noi dobbiamo aiutare i nostri anziani a vivere bene, a morire bene, bisogna tornare a morire a casa, circondati dagli amici, dai familiari, e lasciatemi dire un’ultima cosa, perché sembra sempre prete sono: il tema dell’oltre, il tema del dopo la morte, non se ne parla mai ed è un problema enorme. Ecco perché queste cose non le posso dire a Palazzo Chigi o in Parlamento, ma qui devo dirle. C’è un problema di spiritualità che a mio avviso fa parte di una responsabilità enorme di tutti coloro che hanno una fede e che sanno che siamo anzitutto custoditi e amati da Dio e anche gli uni dagli altri. Prendersi cura degli anziani è la grande sfida che deve coinvolgere tutti. Il governo italiano ha approvato la legge senza nessun voto contrario. Io mi auguro che attraverso questa legge si possa anche dare una nuova prospettiva persino alla politica. Gli anziani non possiamo dividerli per partiti. C’è bisogno di un impegno comune di tutti i partiti, nessuno escluso, perché io credo che se noi riusciamo a trovare un orizzonte nuovo, prospettico, anche gli anziani debbano cambiare. Io credo che da una primavera di noi vecchi possa anche sciogliersi l’inverno demografico. Grazie.

Castelli. Abbiamo costretto Monsignor Paglia a stare quasi nei tempi televisivi. Di questo mi scuso con lei, ma lui ha portato gentilmente alcune decine di copie di questo piccolo opuscolo che ha una bellissima fotografia di questa persona anziana che gioca a scacchi col nipotino. “L’età grande” e la nuova legge per gli anziani è un affondo sui concetti che con i tempi televisivi abbiamo costretto un po’ a sintetizzare. Presidente, vengo da lei: l’immagine e il modo nuovo di vedere le cose che ha raccontato adesso Monsignor Paglia possono fare i conti con la realtà? In una puntata del suo podcast che ha fatto per la RAI, queste dieci puntate che vi consiglio di ascoltare se siete interessati, perché affronta tutti i diversi aspetti, parla anche di un diverso modo di vivere il vicinato, di riscoprire il vicinato in una società sempre più differenziata e individualistica. Voi avete in mente, mi diceva prima, questo enorme progetto di mettere a frutto questi 16.000 alloggi che l’INPS ha inutilizzati. Ci dica due cose su questo progetto.

Fava. Certamente, prima Monsignor Paglia parlava di “diversamente giovani”, perché Monsignor Paglia voleva sentirsi dire che è molto in forma, ma passando alla battuta, noi ci siamo come INPS, peraltro proprio per gli anziani ci siamo e siamo già partiti. E poi arriva anche l’altro tema. Siamo già partiti col famoso progetto “Spazio Blu”, un progetto di senior housing, la prima iniziativa di senior housing targata INPS, assieme al gruppo CDP Gemelli Investire SGR. È un nuovo modo di concepire la residenzialità degli over 65 autosufficienti e rappresenta la risposta al nuovo scenario socio-demografico con aumento della fascia di popolazione anziana autosufficiente. In sintesi, questa prima iniziativa verrà implementata a Roma in un complesso immobiliare del quartiere Camilluccia-Trionfale, di proprietà di un fondo immobiliare e gestito da Investire SGR. Si tratta di nove edifici inseriti in un più ampio complesso immobiliare e residenziale, per circa 300 appartamenti dedicati, con vari spazi destinati alla socializzazione, alla salute, alla cultura, come living room, sale di lettura, infermerie, sale condominiali, sale cinema, eccetera. Quindi è veramente il primo esperimento di social housing a favore degli anziani targato INPS. Per quanto riguarda il resto, quando mi sono insediato ho verificato che c’è questo patrimonio immobiliare sicuramente importante, tutto ancora da censire, e in relazione al quale, ad esempio, mi sono chiesto: ma se effettivamente abbiamo delle porzioni immobiliari apparentemente non utilizzate, perché non destinarle a studentati, ad esempio, dove c’è grande richiesta, c’è grande interesse? Ecco, questo potrebbe essere un ottimo tentativo anche per andare incontro ai giovani.

Castelli. Ho capito. Quindi a 360 gradi, dice lei.

Elisei. Allora, direi a questo punto, poi parleremo ancora anche delle esigenze dei giovani, lo faremo con la professoressa Nuti, vorrei invece ripartire brevemente per fare un affondo sull’assistenza, un tema che emergeva anche con l’intervento del professor Vittadini, perché sicuramente lo abbiamo visto con i dati all’inizio del nostro appuntamento: un welfare molto sbilanciato, molte risorse vanno in direzione di pensioni e sanità, molto meno all’assistenza, eppure in una fase in cui la vita si allunga e, al di là di quelle che sono problematiche acute, c’è proprio il bisogno di un’assistenza per problematiche mediche che sono molto meno gravi, ma vanno guardate con grande attenzione. Allora la domanda è: qual è il tipo di assistenza e quali le modalità migliori per poterla accompagnare? Voi pensate che nella media europea per l’assistenza domiciliare sono garantite 20 ore al mese, in Italia 18 ore in un anno. Questa è la garanzia minima dell’assistenza domiciliare. La legge 33 per la prima volta valorizza e rilancia un principio nuovo, il principio della casa come primo luogo di cura.
Noi abbiamo voluto in qualche modo testimoniarlo, valorizzarlo con un servizio dedicato, il servizio della nostra Annalisa Pomponio. Abbiamo seguito un’equipe che quotidianamente si prende cura delle persone anziane nella città di Milano. Andiamola a vedere.

VIDEO

SPEAKER
È in una grande città come Milano che si tocca con mano la condizione dell’anziano, con le difficoltà moltiplicate dalla rarefazione degli affetti e spesso dalla lontananza dei propri cari. Con la salute tutto è più facile, ma con il sopraggiungere di un problema la situazione può precipitare, e oggi troppo spesso il ricovero diventa una strada obbligata. Potenziare l’assistenza domiciliare può diventare una scelta strategica sotto molti punti di vista.

L’assistenza domiciliare permette di prendersi cura delle persone in condizioni di non autosufficienza e di fragilità. Il servizio non ha limiti di età, chiaramente la fascia degli anziani è la più interessata. Non ha limiti di reddito, quindi chiunque può accedere al servizio gratuitamente e va incontro sia alla persona che al nucleo familiare, dando la garanzia di poter scegliere dove essere curato e da chi essere curato.

Quindi sicuramente dal punto di vista emotivo è favorevole la casa come luogo di cura rispetto a quello che potrebbe essere l’RSA. E anche dal punto di vista del rapporto, in RSA non c’è rapporto uno a uno, mentre al domicilio il rapporto uno a uno c’è.

L’assistenza domiciliare mette a disposizione un’equipe multiprofessionale, quindi medici, infermieri, fisioterapisti, operatori sociosanitari, psicologi, che in modo integrato partecipano al processo di cura verso il paziente. Negli anni la professionalità garantita ha permesso di prendere in carico persone anche con gravi complessità assistenziali senza lasciarle mai sole. Ad oggi la vicinanza della famiglia è garantita anche dal monitoraggio a distanza con il sistema di telemedicina e di telesorveglianza, che si inserisce in un periodo storico dove c’è una grande carenza di operatori sanitari. Avere intorno i propri cari, i propri ricordi, la propria storia, in qualche modo, è molto importante per gli anziani ed è fondamentale per mantenere l’autonomia e il benessere. Questo penso sia la risposta migliore alla domanda del perché investire nell’assistenza domiciliare.

Ce l’ho sottomano per me, la vita per me e mio marito, perciò io farò di tutto fino all’ultimo, e questo è fondamentale.

Il potenziamento dell’assistenza a domicilio è una delle scelte strategiche della nuova legge di riforma, con l’obiettivo di creare le condizioni per ritardare il più possibile il ricovero in case di cura.

Le complicanze anche legate alla vecchiaia non vengono poi gestite in ospedale, quindi facciamo in modo di curare i pazienti, tutte le persone fragili, al domicilio affinché non vengano proprio abbandonate.

Ma la possibilità di stare nella propria abitazione per ricevere le giuste cure dà beneficio non solo a chi riceve assistenza, ma anche ai familiari, per i quali è sempre più importante avere i propri affetti vicini.

È vantaggioso per la comodità di averlo in casa e con delle attenzioni in più, secondo me. Sono quelle cose che veramente sono belle perché sentite anche a livello umano.

Un cambio di rotta epocale che richiede un impegno concreto da parte di tutte le istituzioni e una collaborazione fattiva tra pubblico e privato.

Il vantaggio è di avere la stessa persona che ritorna in maniera continuativa e avere una persona di cui si fida, sempre la stessa, e con cui si crea un rapporto di fiducia: questo è un vantaggio dell’assistenza domiciliare.

FINE VIDEO

Elisei. Sono le facce di alcune persone che hanno bisogno di assistenza nella servitissima Milano; non siamo certo nelle remote valli della Garfagnana, però lo scenario cambia, il bisogno resta lo stesso. Allora, Rettrice Notti, è un paradigma dell’assistenza che deve cambiare. Se penso a temi come cura, assistenza degli anziani, bisogno di relazione, sono temi al centro della ricerca. Su questo le università possono fare rete?

Nuti. Allora, penso che l’università e la ricerca possano e debbano fare molto di più, nel senso che per capire che cosa davvero funziona dobbiamo mettere in campo studio, metodo, misura per validare modelli organizzativi. Quindi sono molto favorevole a questa spinta ad andare nelle case delle persone anziane, delle persone che hanno bisogno, ma dobbiamo dare un supporto scientifico e metodologico all’organizzazione che svolge queste attività, perché altrimenti l’operatore che va a casa da solo non ha quell’équipe, quel confronto che permetta di capire se stiamo facendo il lavoro giusto. Quindi, da questo punto di vista, penso che l’università e la ricerca siano chiamate a fare molto di più e voglio dire che tutta la popolazione deve fare molto di più. Perché ricordiamoci che siamo davanti, soprattutto in Italia, a un futuro che fa paura ai giovani, e qui parlo da Rettrice che ha la responsabilità di un’istituzione che forma giovani. Io credo che i nostri ragazzi e le nostre ragazze abbiano paura del futuro, hanno paura di non avere la pensione, come diceva prima Giorgio, hanno paura della fragilità del mondo che li aspetta, perché c’è la fragilità degli anziani ma c’è anche la fragilità dei giovani. Hanno paura di non farcela a tenere sulle loro spalle il mondo degli anziani in grande crescita. Quindi ci vuole un patto di tutta la popolazione. Si parlava prima che abbiamo trent’anni di vita anziana, trent’anni sono tantissimi, ma si continua a dire over 65. Io ho 65 anni e sinceramente penso di poter ancora dare tanto in termini di lavoro. Quindi credo che, in qualche modo, abbiamo bisogno di anziani che siano disposti a fare un patto intergenerazionale per trovare insieme ai giovani di oggi, insieme ai ricercatori di oggi, soluzioni di sostenibilità. A me piace parlare sempre meno di assistenza e sempre più di responsabilità collettiva, perché altrimenti non ce la faremo, perché il bisogno aumenterà e ognuno deve fare la sua parte. Nei territori della Garfagnana, noi abbiamo detto alla popolazione, ai sindaci, al terzo settore, è vero, non c’è il medico sulle ambulanze, nell’ospedalino locale non c’è il cardiologo di notte, non si trovano gli infermieri che vadano a casa, tutto vero perché la coperta è corta, e tra l’altro gli operatori sanitari in certe aree non ci vogliono proprio andare, tutto vero. Dobbiamo impegnarci a trovare una soluzione, ma i cittadini che vivono in questi territori e sono orgogliosi di vivere in questi territori, perché fortunatamente c’è ancora tantissimo attaccamento della popolazione a questi luoghi, non possono fallire un appuntamento fondamentale che è quello della prevenzione. Io mando il camper in cima alla montagna, un camper innovativo che va in cima, che è piccino, che ha dentro di tutto, ma voi cittadini l’appuntamento non potete saltarlo. Ecco, io credo che questo sia molto importante perché a volte l’italiano in generale, soprattutto se lo guardiamo nella media europea, tende a lamentarsi tanto. Bisogna lamentarsi di meno e ognuno fare di più la propria parte. E questa è una responsabilità anche degli anziani.

Castelli. Professor Vittadini, lei è un esperto e un conoscitore profondo della realtà del terzo settore. Faceva accenno prima a Monsignor Paglia e anche adesso alla Rettrice. Il terzo settore, soprattutto con la nuova legge, è chiamato a svolgere un ruolo centrale nel discorso che abbiamo fatto finora. Rappresenta una sfida che è pronta ad accogliere, secondo lei, in che modo deve cambiare il terzo settore?

Vittadini. Innanzitutto noi vedremo l’altra faccia della medaglia anche domani, dove si parlerà dei bambini degli asili nido, perché anziani e asili nido… Ma perché è fondamentale un terzo settore e un’idea di sussidiarietà? Voglio dire che è collaborazione tra pubblico e privato, non è privato sociale, non la sostituzione del pubblico con il privato, magari a fini di lucro, magari l’RSA di qualche multinazionale francese che viene per fare degli anziani un business su cui guadagnare, come fossero delle pulizie. Perché stiamo parlando di collaborazione? Perché l’idea è che noi siamo di fronte a una possibile catastrofe umanitaria e di fronte a questo c’è bisogno di una collaborazione. Allora, faccio un esempio per dire, dico anche criticamente: ciclicamente viene fuori la card sociale per i poveri, non serve assolutamente a niente. Serve aiutare il Banco Alimentare, serve aiutare le Caritas, perché i poveri non vanno nell’ufficio a registrarsi per avere la card e farsi aiutare. Questa è una cosa che è finita da secoli. I governi di destra e di sinistra fanno questo errore. Non è facendo questo, è aiutando delle realtà che hanno a che fare tutti i giorni con i poveri, con gli anziani, con i giovani, che noi aiutiamo, perché la gente ha fiducia in chi vede tutti i giorni. Allora, l’amministrazione pubblica non sparisce, ma collabora con queste realtà. La Costituzione, con quella stupenda sentenza del 2020 che parla di coprogettazione e coprogrammazione, dice che il terzo settore deve costruire insieme, insieme all’ente pubblico. E quindi questa è l’idea. Ora, su questo c’è un problema dell’ente pubblico, perché è molto più facile fare l’appalto al massimo ribasso: fai l’appalto, poi dopo hai le cooperative che fanno lavorare in nero per vincere, anche nel campo sociale, quindi così, e sei a posto. Invece è molto più difficile costruire insieme. Ecco, il terzo settore deve capire di uscire dall’isolamento. Non è che fai da solo, non è che sei bello e sei puro perché sei da solo, ma collabori, ti concepisci come una parte di un governo condiviso dei bisogni. Questo è il cambiamento, è l’idea del fare insieme, del fare con, che tra l’altro è all’inizio dell’idea della Compagnia delle Opere, quindi è profetico, ma oggi riguarda tutto. Di fronte all’emergenza che noi avremo, si fa con; allora il funzionario collabora, fa il progetto insieme. Abbiamo qui due sindaci della Valditaro, lo potete vedere anche nella Mostra dei Borghi, dove vedete che in quella valle c’è una collaborazione tra il terzo settore e il comune che è impressionante. Chiede all’ente pubblico di aprirsi al terzo settore e di non concepirsi da solo, perché non è che sei puro e devi stare da solo, si deve fare insieme. Su tutte le cose. È un cambiamento, da chi era statalista e diceva “solo lo Stato può” a “non può più solo lo Stato”, e chi dice che la purezza è essere soli, piccoli e neanche belli. Si deve fare insieme, il Meeting è un esempio del fare insieme, infatti si chiama Meeting.

Elisei. Da questo fare insieme, da questi elementi di realtà emerge anche una creatività. Questa è una parola d’ordine che spesso utilizza Monsignor Paglia. Fava, vorrei farle un’ultima domanda su questo, perché quando inizialmente parlavamo di welfare generativo, che è appunto sicuramente un cavallo di battaglia in questo momento, in questa sua prima fase alla presidenza dell’INPS, quello è un sistema in grado di personalizzare l’assistenza in qualche modo di fronte al bisogno durante il ciclo di vita. Ecco, è questo tipo di gradualità, di flessibilità di cui c’è bisogno e che concretamente andrete a realizzare, che possiamo in qualche modo iniziare a promettere?

GABRIELE FAVA
Sì, grazie. L’idea è proprio questa: accompagnare la persona attraverso tutti i servizi che vengono effettuati dall’INPS, accompagnarla a seconda delle diverse esigenze durante tutto il ciclo di vita. Faccio alcuni esempi: sono diverse le esigenze del giovane in contrapposizione a quelle della coppia, piuttosto che dell’anziano, piuttosto che della famiglia con o senza figli, dei portatori di handicap, e via dicendo. Quindi se riusciamo a intercettare i vari bisogni e a rispondere, cammin facendo, a queste esigenze, ecco che riusciamo a interpretare questo welfare generativo di cui oggi c’è bisogno. Ecco perché da questo punto di vista mi sento di dire che l’INPS è il tuo partner di vita, ed è veramente il tuo partner di vita, perché ti prende quando nasci e non ti abbandona neanche quando ce ne andiamo. Quindi, durante tutto il ciclo della vita, l’Istituto ti segue, ti supporta, ti aiuta ed è affidabile.

Castelli. Vedete anche voi, mancano cinque minuti per chiudere.

Elisei. Ci siamo.

Castelli. Monsignor Paglia, abbiamo iniziato con lei, chiudiamo con lei. Dopo un anno dall’approvazione della legge 33, marzo dell’anno scorso, nel marzo di quest’anno sono arrivati i primi decreti attuativi e hanno cominciato a finanziare qualcosa. Molti giornali hanno scritto che 240 milioni sono pochi per quello che lei ha intenzione di fare con questa legge. È vero o è meglio cominciare con pochi soldi?

Paglia.
Dunque, l’ultimo decreto attuativo lo stanno scrivendo in questi giorni al Ministero della Salute. Fatto questo, si può iniziare l’applicazione della legge. Non ci sono i soldi, per parte nostra abbiamo chiesto: dateci un piccolo… Io scherzando dicevo, datemi le briciole del ponte di Messina e risolveremo il problema di tutti gli anziani in Italia. Tuttavia, l’ipotesi della legge, che io evangelicamente direi vino nuovo in otri nuovi, cioè bisogna cambiare la concezione, io concordo con quello che si diceva anche di una nuova alleanza. Gli anziani sono di tutti, noi dovremmo tutti capire che sono una parte importante della nostra vita. E in questo senso noi pensiamo che la legge si possa attuare in maniera buona con delle sperimentazioni. Cosa vuol dire? Vuol dire che si sceglie un’area, cominceremo a settembre in un’area romana, Tor Bella Monaca, dove c’è anche Tor Vergata con l’ospedale; si esamina quanti anziani ci sono, quali realtà ci sono, si comincia un’assistenza domiciliare di tutti gli anziani con telemedicina, terzo settore, volontariato, in modo che nessuno sia solo. Noi prevediamo che curare gli anziani a casa significhi non andare in ospedale, quindi un risparmio enorme per cui gli anziani stanno meglio e si spende meno, e d’accordo con il ministro Giorgetti dicevo quei soldi che risparmiamo in quest’area serviranno per un progetto successivo. Nel giro di 10 anni, mi auguro che su tutto il territorio nazionale ci sia un’assistenza sociale e sanitaria domiciliare in modo che tutti possano essere aiutati a seconda dei loro bisogni. L’INPS sarà molto importante e dobbiamo fare un’alleanza, io la lancio qui, perché c’è un problema enorme. Gli anziani non autosufficienti, sono 3 milioni, praticamente non hanno dato una lira. Noi dovremmo trovare, e stiamo pensando di trovare, un metodo per offrire a tutti gli anziani un sostegno o economico o con caregiver, che ci permetta di vivere non abbandonati. Ci sono in Italia 560 mila anziani non autosufficienti che sono in palazzi al secondo piano senza ascensore. Un milione e tre di anziani non autosufficienti sono soli. Duecentomila anziani non autosufficienti non hanno neppure 500 euro al mese. Capite il dramma? Richiedo una risposta e in questo senso sono d’accordo con Giorgio. Il problema è che tutti noi creiamo un’alleanza per accompagnare chi è più debole. È questo il futuro del nostro Paese. Ecco perché vedo la politica un po’ in ritardo. Grazie a Dio ho un volontariato più attivo. Io penso che una ricomposizione proattiva di tutte le diverse realtà che già operano in questo può far sperare a tutti voi che non avete la mia età di avere una vecchiaia che sia degna e buona per tutti.

Elisei. Grazie. Insomma, la direzione mi sembra chiara, quindi su questo buon lavoro. Noi siamo giunti a conclusione di questo appuntamento, oggi ci siamo concentrati su welfare e assistenza agli anziani, domani allarghiamo lo sguardo ai bisogni delle famiglie con bambini piccoli e ancora di chi ha un disabile a casa. L’appuntamento è sempre qui domani alle 17, grazie per averci seguito, grazie ancora ai nostri ospiti.

Data

21 Agosto 2024

Ora

17:00

Edizione

2024

Luogo

Sala Gruppo FS C2
Categoria
Incontri

Allegati