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UNIVERSITÀ E LAVORO. STUDIARE PER LAVORARE
Partecipano: Manuela Kron, Direttore Corporate Affairs del Gruppo Nestlè Italia; Giangiacomo Pierini, Direttore Relazioni Istituzionali e Comunicazione Coca-Cola HBC Italia; Antonella Sciarrone Alibrandi, Prorettore dell’Università Cattolica di Milano e Presidente di Educatt. Introduce Giuseppe Tripoli, Segretario Generale di Unioncamere.
UNIVERSITÀ E LAVORO. STUDIARE PER LAVORARE
Ore: 15.00 MeshAREA TALK Intesa Sanpaolo B1
UNIVERSITÀ E LAVORO. STUDIARE PER LAVORARE
Partecipano: Manuela Kron, Direttore Corporate Affairs del Gruppo Nestlè Italia; Giangiacomo Pierini, Direttore Relazioni Istituzionali e Comunicazione Coca-Cola HBC Italia; Antonella Sciarro-ne Alibrandi, Prorettore dell’Università Cattolica di Milano e Presidente di Educatt. Introdu-ce Giuseppe Tripoli, Segretario Generale di Unioncamere.
GIUSEPPE TRIPOLI:
Buon pomeriggio a tutti, possiamo cominciare questo nostro incontro che, come sapete, è dedica-to al tema cruciale per molte fasce d’età e cruciale per il nostro Paese ed è il rapporto tra Univer-sità e mondo del lavoro, il sottotitolo è “Studiare per lavorare”. E avremo con noi, in questa oretta che trascorreremo dialogando su questi temi, dei protagonisti dai due lati del tavolo, dal lato della formazione e dal lato dell’azienda, perché, com’è noto, in Italia, ma non solo in Italia, lavorare prevalentemente significa confrontarsi con il sistema delle aziende, con il sistema delle imprese. Vi presento i nostri ospiti, intanto mi presento io sono Giuseppe Tripoli, sono segretario generale di Unioncamere, alla mia destra abbiamo Giangiacomo Pierini, che è il direttore delle relazioni esterne e della comunicazione della Coca-Cola HBC Italia e ricopre anche una serie di ruoli impor-tanti in diverse strutture e organizzazioni legate al mondo dell’industria in Italia, lo accogliamo con un applauso; alla mia sinistra abbiamo Manuela Kron, che è direttore del Corporate Affairs del gruppo Nestlè in Italia già dal 2007, ed ha ricoperto importanti ruoli nel sistema del Conai e in altre multinazionali, come il gruppo Colgate Palmolive; e infine Antonella Sciarrone Alibrandi, che rappresenta l’altro lato del tavolo, il mondo dell’Università. Antonella Sciarrone Alibrandi è il pro-rettore dell’Università Cattolica ed è professore ordinario di diritto dell’Economia, nonché presi-dente di quell’istituto che si chiama Educatt, che si occupa del diritto allo studio ed è promosso dalla Cattolica. Ovviamente saranno loro i protagonisti del dialogo di questo pomeriggio, io mi li-mito ad introdurlo. E per introdurlo vorrei utilizzare poche slides che illustrerò rapidamente per riepilogare alcuni termini generali della questione, poi con loro andremo un po’ più nel dettaglio dell’operatività, del che cosa si può fare, del che cosa va fatto o del che cosa si può migliorare. La prima slide ci fa capire che c’è un problema di numero di laureati in Italia. La percentuale dei lau-reati tra i giovani tra i 30 e i 35 anni in Italia è del 27% circa, mentre la media europea è note-volmente più alta: il Regno Unito al 48%, la Francia al 44%, Spagna, Germania ma anche gli altri Paesi europei hanno una media più alta. Siamo, nell’ambito Ocse, tra i Paesi che ha meno laureati in percentuale sulle persone attive nel mondo del lavoro. Quindi in Italia c’è un problema di nu-mero, di far crescere il numero dei laureati, di far sì che ci siano più laureati. Ma la seconda que-stione è questa: i laureati serviranno nel prossimo futuro nel nostro sistema produttivo? Questa è una analisi predittiva, di previsione del fabbisogno di laureati in Italia nei prossimi cinque anni, per la verità il prossimo il 2018 è già in corso, quindi di questi cinque prossimi anni. Al netto dell’agricoltura e del mondo delle professioni, il sistema del lavoro dipendente, pubblico e privato, prevede di assumere nei prossimi cinque anni quasi 800.000 giovani laureati. Assumere vuol dire che non sono nuove assunzioni che si aggiungono, sono spesso sostitutive del turn over che accade normalmente nel mondo dell’impresa, però entreranno nel mondo del lavoro, dovrebbero entrare nel mondo del lavoro, perché come tutte le previsioni ci sono anche tanti aspetti imprevedibili che non possono essere inseriti nell’analisi. Circa 800.000, che vuol dire 155.000 giovani laureati per anno. E quali sono le discipline nelle quali saranno richieste prevedibilmente sia dal mondo pub-blico ma soprattutto dal mondo privato? Sarebbe interessante fare alcune valutazioni entrando un po’ nel merito di questi numeri, vi lascio però l’indicazione dei 155.000. Perché 155.000? Perché ogni anno i laureati che escono dal mondo dell’Università e approcciano il mondo del lavoro in Ita-lia sono circa 140/150.000. C’è stato un leggero decremento delle immatricolazioni, e adesso si sta un po’ riprendendo. Il che vuol dire che se ci fosse solo un confronto numerico complessivo, ci sarebbero tanti laureati, anzi meno laureati di quelli che servono al sistema produttivo. Escono fuori dall’Università e cercano il lavoro un numero di persone che è inferiore a quello che il siste-ma produttivo pubblico e produttivo privato in questo momento richiede. Però questa è anche la realtà: la realtà è che a tre anni dal conseguimento del titolo, in Italia solo il 62% di laureati ha trovato il lavoro. In Francia già l’83%, in Germania il 93%. Quindi c’è un problema, quanto meno di ritardo, nell’ingresso nel mondo del lavoro. E tacciamo l’altro aspetto, che sta diventando signifi-cativo in questi anni, che è il fatto che molti giovani, specialmente laureati, vanno all’estero. Ci sono delle statistiche Ocse che indicano per esempio come la Gran Bretagna è piena di ragazzi tra i 25 e i 35 anni dotati di un titolo di studio, che vengono dall’estero, in percentuale molto superio-re a quello che accade in Italia, per esempio. Quindi c’è una attrazione da parte degli altri Paesi di ragazzi che vanno a studiare all’estero, che si fermano avendo conseguito la laurea all’estero. Al-lora, ovviamente c’è un problema generale che è legato alla crescita del Paese. Perché più cresce velocemente e potentemente il Paese, più si crea possibilità di lavoro all’interno delle aziende. Ma oggi segnaleremo alcuni aspetti che io suggerisco anche ai nostri illustri ospiti, come elementi, come spunti di riflessione. Un primo aspetto è questo: questo è un confronto tra i laureati, gli indi-rizzi di studio dei laureati e i paesi Ocse. Vi faccio vedere solo i colori perché altrimenti non riusci-te a leggere le scritte e non c’è stato verso di fare una slide più leggibile. Il primo rigo è la Ger-mania e quel blu a sinistra del grafico sono i laureati nei settori Stem, cioè ingegneria, scienze, matematica. Come vedete, l’Italia è messa al centro, immaginatela esattamente al centro di que-sta sfilza di Paesi, la Germania ci sovrasta nella percentuale, la Germania ma così l’Austria, così la Spagna, così la repubblica Ceca, così la Svizzera, la Francia, la Svezia, la media Ocse, eccetera. La seconda, quella grigia, grigio-chiara, sono i laureati in Economia. Anche lì c’è un surplus, diciamo un plus di laureati, in Germania e in Francia per esempio, rispetto ai laureati in Economia in Italia. Sulla destra, dopo quell’azzurro, c’è il grigio. Il grigio sono le lauree basate sulle materie lettera-rie, dove invece percentualmente in Italia c’è un numero, una quota superiore di studenti che scelgono di indirizzarsi e di laurearsi in quel settore. Tenete conto che questa è una statistica, quindi, anche questo lo dico per una leggera cautela, una statistica che copre tutta la fascia d’età dai 25 ai 65 anni, quindi tiene conto di tutte le scelte che sono state fatte anche negli anni scorsi. Per esempio, certi tipi di laurea, la frequenza a certi tipi di laurea, sta cambiando rispetto a que-sta statistica. Però c’è un problema di orientamento degli studi. Primo tema. Secondo tema: noi abbiamo tanti laureati quanti ne richiedono le imprese, ho detto. Però, ciononostante le imprese ci dicono che ogni volta che devono prendere un laureato, fanno fatica in un caso su tre. Per tro-vare un laureato fanno più fatica che per trovare un non laureato. E guardate, sotto, la percentua-le di difficoltà delle imprese cresce, uno su tre vuol dire il 33% circa, che diventa il 56% su un nu-mero piccolo, perché quelli laureati in lingua sono un piccolo numero, però nel caso dei laureati in lingua diventa il 56%, e viaggia sulla media tra il 35 e il 65% per le lauree sia di indirizzo scientifi-co sia del settore ingegneristico; cioè, un’impresa deve cercare un ingegnere o un laureato in ma-tematica o fisica, nonostante ce ne siano di meno di quelli che servirebbero, fa più fatica. Quindi non è solo un problema di offerta, come si dice, di offerta di laureati, di presenza sul mercato del lavoro di giovani laureati in quel settore; è anche un problema di raccordo, evidentemente. Non c’è un corretto, quello che si chiama tecnicamente il problema del mismatching, cioè non c’è un buon matching tra domanda e offerta di lavoro, in questo caso di lavoro da parte di laureati. Terzo e ultimo tema è un problema del mondo delle imprese, perché nel mondo delle imprese italiane c’è una presenza di laureati inferiore a quella che c’è negli altri contesti con cui ci confrontiamo, la quale dipende da una serie di elementi: in primo luogo dalla tipologia imprenditoriale italiana, che è fatta molto spesso di micro aziende nelle quali si fa fatica, l’imprenditore fa fatica a prende-re dei laureati come collaboratori; ma dipende anche dal grado e dalla capacità di espansione, di crescita, di competere, di presenza sui mercati dell’impresa. E lo dimostra questa slide: noi ve-diamo che nelle imprese esportatrici, quelle che si confrontano con i mercati esteri, c’è un nume-ro superiore di imprese che fanno assunzioni e soprattutto c’è una percentuale più alta di laureati assunti, 2,4 punti percentuali in più, rispetto alle imprese non esportatrici. Le imprese innovative, stesso ragionamento: hanno addirittura quattro punti in più di necessità di avere laureati in azien-da; nelle imprese culturali, che inglobano competenze con know how nel settore della creatività, della cultura, addirittura la percentuale cresce fino al 23%, e così le imprese green, cioè le impre-se che hanno una sensibilità sul tema dell’economia circolare, della sostenibilità, dove cioè l’elemento soft dell’azienda è molto determinante anche rispetto all’elemento hard, cioè a quello che fanno. Questo cosa vuol dire? Che più l’impresa innova, più si espande, più si ingrandisce, più ha orizzonti larghi, più ha necessità e si dota, conseguentemente, di personale, di know how pro-fessionale adeguato. Questi sono degli spunti, quindi c’è un problema soprattutto nell’area dell’orientamento e della formazione dei giovani, c’è un problema nell’area delle imprese, c’è un problema di liaison tra due mondi e tenete conto, e chiudo con questa slide, che siamo all’interno e all’inizio di quella che hanno chiamato “quarta rivoluzione industriale”, cioè di un sistema che cambierà probabilmente i meccanismi, le modalità di raccordo tra le imprese, tra le imprese e il mercato, tra le imprese e i consumatori, in un modo talmente pervasivo e rapido che non ha con-fronto probabilmente con quelle che sono state le precedenti rivoluzioni industriali, quella fondata sull’informatica, sull’elettricità e ancora prima sul vapore. Questo cosa vuol dire? Che molte di queste previsioni dovranno fare i conti con modalità nuove e diverse, con una vera e propria rivo-luzione, che vuol dire cambiare i riferimenti del passato. Allora, io pensavo che poteva essere utile affrontare questo pomeriggio insieme questi temi, in particolare verificare per esempio se il tema dell’orientamento dei ragazzi, dei giovani e della programmazione degli indirizzi di studio viene fatta bene, se si può fare qualcosa di più, se c’è qualcosa da migliorare; così come sarebbe inte-ressante capire se si può migliorare il raccordo tra il mondo delle Università e il sistema produtti-vo, il sistema economico e il sistema delle imprese; se si può accrescere e che cosa si può fare per far crescere nel mondo delle imprese la consapevolezza che avere personale qualificato vuol dire competere meglio. Che cosa si può fare, se è utile fare, se è opportuno continuare a sviluppare per esempio quel tipo di raccordo che si basa sugli stage, sui tirocini, sull’esperienza di lavoro fat-ta in corso di formazione. E infine, se ci sono anche delle esperienze utili che si possono trarre nel confronto con altri Paesi europei, con altri Paesi con cui in generale vi confrontate. Allora io chie-derei di cominciare a Giangiacomo Pierini.
GIANGIACOMO PIERINI:
Grazie dell’ invito qui, oggi. Le domande sono tante, cercherò di fare un discorso con cui posso ri-spondere a diversi stimoli, partendo dal fatto che i dati che sono stati presentati non ci stupiscono.
Come azienda ci siamo accorti da un po’ di tempo del reale mismatch tra l’offerta di lavoro e la domanda di lavoro.
Abbiamo un osservatorio privilegiato, siamo presenti in tutto il Paese con stabilimenti produttivi in quattro regioni italiane, una forza vendita distribuita capillarmente in tutto il Paese, abbiamo 187mila clienti, siamo fortemente presenti sul territorio; ci siamo accorti quanto ci sia questo pro-blema, che nasce dal fatto che il mondo delle imprese non si conosce.
Chi studia nelle Università, ma anche chi studia nei licei e deve scegliere un percorso universita-rio, non conosce il mondo dell’ impresa, non sa quali lavori possono essere fatti, non sa quali sono le competenze che vengono richieste, sia dal punto di vista professionale, come percorso di studi, sia di quelli che i mie colleghi di risorse umane chiamano soft skills, tendenze, capacità, caratteri-stiche personali che poi si manifestano anche nel mondo del lavoro.
E questo vale ovunque. Ci sono poi parti d’Italia dove è ancora più difficile. Abbiamo la prof.ssa che rappresenta un’ Università d’eccellenza, come l’Università Cattolica, che vive una condizione di privilegio perché ha, grazie alle capacità dell’ Università e ai rapporti creati in questi anni con il mondo dell’ impresa, tante occasioni di confronto e di incontro, che altre Università più periferi-che non hanno.
È difficile parlare con l’impresa. Siamo partiti a ragionare su di noi, per vedere se come impresa possiamo fare qualcosa per rispondere a questo bisogno, a questa situazione, che è un problema sia per chi cerca lavoro sia, abbiamo visto i numeri, per chi offre lavoro.
Da questa situazione abbiamo elaborato un progetto, che stiamo presentando in questi giorni, che si chiama Youth-empowered, che ha l’obiettivo di aiutare in un percorso di orientamento i ragazzi fra i 16 e i 30 anni, proprio per capire esattamente questo sconosciuto mondo che è l’impresa.
Oggi è stato fatto l’ultimo workshop, se ve lo siete perso non lo potete più vedere qui, ma potete venire a trovarci al nostro stand all’ingresso e vi daremo tutte le informazioni, tutti i moduli poi sono visitabili on-line per conoscere e approfondire cosa facciamo.
Siamo partiti dal raccontare meglio quali sono le opportunità, perché ce ne sono, non è vero che non ce ne sono: ci sono situazioni in cui abbiamo difficoltà a trovare persone con diversi gradi di esperienza, l’Italia è un Paese vario e diverso, quindi i problemi non sono ovunque gli stessi, ma noi abbiamo difficoltà a trovare operai specializzati in Veneto, abbiamo avuto difficoltà a trovare dei chimici di laboratorio in Abruzzo, quindi molto spesso la mancanza di comunicazione che c’è ed è reale ed è presente, determina un’ insoddisfazione da entrambe le parti.
Il progetto citato prima, si basa sulle persone, quindi abbiamo i dipendenti che in modo volontario, di tutte le funzioni aziendali, di tutte le età, raccontano questo. A volte basta questo per capire quale possa essere un percorso, soprattutto per capire che alcuni corsi di laurea danno degli sboc-chi, altri ne danno altri, altri cambiano, perché il mondo del lavoro, così come il mondo della scuo-la, così come il mondo esterno, è in continua evoluzione, quindi bisogna costantemente aggiornar-si.
Non voglio parlare troppo di alternanza scuola – lavoro, perché i primi tentativi fatti, quando ven-gono fatti bene, perché possono essere fatti bene o fatti male da tutti i punti di vista, vanno in una direzione importante, perché aiutano a raccontare meglio il mondo dell’ impresa. Questo è impor-tante per chi frequenta l’Università ma anche per chi frequenta le superiori, che deve decidere se fare l’Università e quale corso seguire.
GIUSEPPE TRIPOLI:
Manuela Kron, Pierini diceva che è un problema di conoscenza del mondo dell’impresa da parte dei ragazzi, dei giovani. Faceva riferimento anche all’esperienza dell’ ASL, qual è la vostra espe-rienza al riguardo?
MANUELA KRON:
La nostra esperienza nasce nel 2014, a livello di gruppo in Europa, quando vedendo i numeri drammatici sulla disoccupazione giovanile, il nostro allora capo Europa, (siamo divisi in tre aree: Europa, Americhe, Asia-Africa) a livello personale disse «bisogna fare qualcosa! Siamo un’ azienda alimentare molto grande, molto importante e molto radicata nel mondo, vogliamo dare un con-tributo».
Lui la fece semplice, «voglio garantire di assumere, di assumere qui in Europa, 20000 giovani in tre anni», era la fine del 2013.
Ora se il tuo capo-Europa, viene e ti dice cara «Italia la tua quota è questa», la nostra quota era di circa 750 ragazzi, non è che al tuo capo dici di no, tu lo fai, anche se all’ inizio dici «siamo in 5000, inserire 750 persone non è banale», al di là del minimo ricambio, poi erano anni in cui si comin-ciavano a vedere gli effetti del prolungamento dell’andata in pensione delle persone.
In realtà quando lo devi fare ti applichi e vedi che non solo lo puoi fare ma che puoi addirittura fa-re di meglio. E noi nei tre anni italiani assegnati abbiamo addirittura superato le nostre quote. Perché le abbiamo superate? Perché quando abbiamo cominciato a ragionare su cosa fare e come fare, abbiamo cominciato a vedere, noi come azienda, delle grandi opportunità nell’inserimento in situazioni dove non avremmo pensato prima di inserire dei giovani, ma avremmo pensato di far fare un po’ più lavoro a chi c’era già.
Siccome poi l’appetito vien mangiando e nessuno di noi lo può dire, allora ad un certo punto ab-biamo iniziato a vedere che c’erano queste disparità di cui ha parlato prima Giangiacomo. In real-tà noi eravamo un mondo, i giovani erano un mondo che si parlava relativamente poco, allora ab-biamo cercato di mettere questo pensiero a sistema e abbiamo detto a tutti quelli che erano i no-stri collaboratori commerciali, ovvero chi vendeva a noi delle attività a qualsiasi livello: «Sentite, ci mettiamo insieme per ampliarlo questo discorso? Ci mettiamo insieme per spiegare anche co-me funzioniamo per avere un numero maggiore di stage, di opportunità, per far sì che i giovani ci si avvicinino e capiscano meglio cosa siamo noi, ma soprattutto cosa vogliono essere loro?». Per-ché i due temi devono arrivare a parlarsi e quindi anche a poter dire dove erano magari dei defi-cit per poterli aiutare, per poi arrivare all’opportunità dell’alternanza scuola lavoro. Ci siamo resi conto che in questo modo avevamo l’opportunità, soprattutto per i ragazzi del liceo, di cominciare ad avvicinarli a cos’è il mondo dell’impresa, per potergli dire: «Guarda, questo va bene e quest’altro magari è un pochino più superato». Tra l’altro vorrei spezzare una lancia a favore dei laureati e laureandi nelle Scienze umanistiche. Verissimo che magari in Italia c’è un po’ più un gap sull’area Stem, ma la buona notizia è che in tutto ciò che è l’evoluzione del digital in senso di co-municazione, chi viene da quelle aree lì, è bravissimo, è molto più “skillato”. Quello che bisogna spiegare ai giovani è: «Forse tu volevi fare, pensavi di fare, o il professore o altro genere di attivi-tà, invece ti diamo ‘sta notizia, puoi fare molto bene e ancora meglio se provi ad andare in quest’altra direzione, perché quello che tu stai maturando nella comprensione dei testi, della co-municazione, di tutto quello che è intorno a lettere e filosofia è formidabile se già lo indirizzi un po’ in quella direzione lì».
Noi abbiamo per esempio un gap in questo. Una delle persone giovanissime che ho assunto nel mio team sul digital, corporate digital, un paio di anni fa, ha fatto uno stage da noi, adesso è a fa-re una splendida esperienza nel nostro centro a Losanna, e dopo di che chissà dove mi finirà: è una ragazza laureata in lettere, che mi disse testualmente: «Ah sai, pensa Manuela, quando ho detto a mia madre che volevo fare lettere, mi ha detto “sei pazza ti condannerai alla disoccupazione”», in realtà a 24 anni già lavorava.
Noi siamo dei grandissimi tifosi dell’espansione dell’alternanza scuola lavoro a vari livelli, perché in questo modo anche per i ragazzi e per gli insegnanti è un’opportunità per vedere come questo meccanismo possa aiutare i ragazzi ad andare nella direzione giusta all’interno di quello che già stanno facendo.
E poi un altro punto fondamentale che sembra pedestre da morire, ma è importantissimo, è «im-parate l’inglese, imparate l’inglese e poi imparate l’inglese», perché noi abbiamo difficoltà, a vol-te, anche tra laureati, a trovare persone che lo sappiano in maniera sufficiente, perché se vieni a lavorare, ed questo tra l’altro è importantissimo – la nostra esperienza, noi siamo tra i più grossi esportatori di made in Italy nel mondo – hai bisogno di avere persone che possano dialogare con qualsiasi parte del mondo e che, ci piaccia o meno, l’inglese è l’esperanto universale, quindi per noi è fondamentale riuscire ad avere questo genere di skill.
Quindi, quello che stiamo vedendo, è che sempre più aziende ci seguono in questo genere di per-corsi, tra l’altro ne parleremo in un seminario che vogliamo fare a inizio novembre a Milano, e questo sta muovendo le due parti che parlavano poco tra loro. Quindi la questione per esempio banale dell’inglese è importante per tutti, e anche avere un po’ di predisposizione a pensare che il primo anno, i primi due anni del proprio lavoro non sarà così ovvio farlo a casa propria, bisognerà anche avere la disponibilità a movimentarsi un pochettino. Quindi questa è globalmente la nostra esperienza.
GIUSEPPE TRIPOLI:
Grazie. Dunque il mercato del lavoro, anzi l’economia, il sistema in generale, economico, sociale, le rivoluzioni tecnologiche cambiano il mercato del lavoro, i mercati del lavoro cambiando creano scenari anche per quello che riguarda l’occupazione, le lauree che fino a qualche tempo fa sem-bravano un po’ nell’ombra circa le possibilità di trovare spazio nel mercato del lavoro, come lette-re, improvvisamente, l’evoluzione digitale apre loro spazi nuovi, apre possibilità, chances che non c’erano. Allora è importante il percorso di avvicinamento e di preparazione al mercato del lavoro, cioè gli indirizzi, i corsi, come vengono costruiti, come tengono conto della realtà economica che cambia, tecnologica che cambia, globale che cambia e come si può far bene orientamento, come può essere aiutato un giovane a scegliere, non dopo il percorso di studi, perché a quel punto è ve-ramente tardi, ma durante il percorso di studi, a trovare una strada. Professoressa Sciarrone.
ANTONELLA SCIARRONE ALIBRANDI:
Buongiorno anche da parte mia, grazie per l’invito, grazie anche per la composizione di questo ta-volo che incrocia i punti di vista delle imprese con i punti di vista dell’Università.
Io volevo partire dai dati che ci ha brevemente illustrato all’inizio per una breve considerazione. Noi viviamo in una società che fra le varie caratteristiche presenta anche quella di inondarci di da-ti, di numeri, di statistiche che sono evidentemente importanti e che richiedono, però, anche pre-cauzione da due punti di vista.
Ogni qualvolta ci troviamo di fronte a dei numeri e a dei dati bisogna saperli leggere, interpretarli e anche non cedere alla tentazione, che invece è diffusa, di calcare la mano sul dato negativo, sull’aspetto negativo. Oggi questo lo notavo particolarmente nel confronto tra alcuni dati che met-teva in luce lei e poi delle esperienze positive, di positività che ci raccontano le imprese e posso raccontare anche io dal lato Università.
Sono voluta partire da qui proprio perché io penso che oggi uno dei problemi principali che ab-biamo, io lo vedo molto dal lato dell’Università guardando sempre la faccia e i volti dei miei stu-denti, è che i giovani tendono a vivere il lavoro con una preoccupazione e un assillo come qualche cosa di negativo che li preoccupa, li sovrasta, li angoscia, passatemi questo termine, ancora prima di iscriversi all’Università.
Questo aspetto del lavoro che certamente è importante, lungi da me dire che non è importante studiare per realizzare poi il proprio percorso, la propria vocazione, trovare una collocazione lavo-rativa, però questo termine che è un temine carico di positività, lavoro, non si può, come a mio parere un po’ rischiamo di fare, colorire di negatività.
E da questo angolo visuale penso che un po’ tutti abbiamo delle responsabilità; come famiglie e in questo caso parlo da madre, l’aneddoto che raccontava prima Emanuela lo conferma, installiamo nei nostri figli l’idea di scegliere in funzione della prospettiva lavorativa; abbiamo delle responsa-bilità come istituzioni in generale, che evidentemente non danno sufficiente garanzia e rassicura-zione; e abbiamo anche qualche responsabilità, non mi sottraggo, come Università, che innanzitut-to è una istituzione anch’essa. A me piace ricordarlo perché etimologicamente istituzione vuol dire “luogo in cui si sta”; per cui chi arriva all’Università arriva all’Università per trascorrere del tem-po, passare degli anni che sono anni bellissimi della vita, anni in cui, è qui anche un po’ provocato-riamente riprenderei il titolo di questo incontro nella parte finale, “studiare per lavorare”; sì, stu-diare per lavorare, ma anche studiare per studiare. L’Università è un luogo di educazione al sape-re, in primo luogo, ed è bello viverla così; è giusto cercare, e parlo da universitaria in questo caso, di offrire un contesto in cui i nostri ragazzi possano studiare, possano formarsi, amare quello che studiano, e contemporaneamente cercare di orientare le proprie scelte in modo consapevole e te-nendo presente, non sulla base di rappresentazioni, di sentito dire, di quello che era un tempo e non è più, perché la realtà è una trasformazione continua. Orientare le proprie scelte conoscendo-si, essendo aiutati a conoscersi, conoscendo il proprio profilo, le proprie inclinazioni, le proprie passioni dal punto di vista della propria personalità, e contemporaneamente conoscendo la realtà, la realtà che li aspetta fuori dall’Università: questo è il compito. E da questo angolo di visuale Io credo che in questi anni stiamo vivendo un doppio cambiamento: da un lato il mondo del lavoro cambia in continuazione, cambia in misura talmente rapida ed elevata che è anche difficile pre-vedere da qui a tra tre anni dalla laurea triennale, esattamente che cosa succederà, esattamente dove si andrà; dall’altro, allo stesso modo, è cambiata molto anche l’Università, perché una volta ci si iscriveva, prima del 3 + 2, prima del nuovo assetto degli studi universitari, ci si iscriveva all’Università, fatta questa scelta un po’ difficile, poi per un po’ di anni si era a posto. Mentre adesso non è così, perché siamo chiamati a scelte continue. Finita la triennale c’è la magistrale da scegliere, poi c’è la specialistica, poi c’è il master di primo livello, di secondo livello, il dottorato industriale, non industriali, l’elenco potrebbe continuare. A me pare che dal punto di vista dell’Università, l’Università può fare, non da sola, ma può fare in collaborazione con le istituzioni, con le imprese (è bello qui il nome Mesharea, perché in effetti è una questione di rete e di maglie di una rete, senza essere rete credo che ognuno dei protagonisti riesca a fare poco) ma l’Università può fare, ha un ruolo importante, io penso che abbia un ruolo importante. Quale ruo-lo? L’Università si deve ricordare di essere innanzitutto un luogo funzionale ad educare al sapere, in primo luogo educare al sapere, un luogo dove i ragazzi passano del tempo e si possono formare allargando veramente l’orizzonte, non avendo questo chiodo fisso, questo assillo di dove andranno a lavorare dopo. Secondo tema è quello dell’orientamento, che da noi della Cattolica da sempre è considerato veramente un momento importante, dove orientamento significa tante cose, perché è importante orientare chi deve scegliere l’Università e non soltanto scegliere quale facoltà ma an-che, lo si diceva prima, scegliere se fare l’Università oppure no. Il mercato del lavoro e ampio e sfaccettato, ci sono tante opportunità, cercare di aiutare ragazzi mostrando le opportunità vere che la realtà offre e cercando di far capire a ognuno veramente qual è la sua strada, è una prima fase dell’orientamento, quello che si fa a fine percorso di scuola superiore. Poi c’è un orientamen-to continuo. Questo orientamento on-going che si continua a fare, ora più che mai, in tutti gli anni all’Università. Perché è cambiata l’Università, questa frammentazione, se vogliamo usare un ter-mine negativo, ha a mio parre un altro lato della medaglia che è positivo, vale a dire che un ra-gazzo, uno studente è chiamato ad essere molto più attivo nella costruzione del suo percorso, ad essere molto più protagonista già negli anni dell’Università, perché nessun percorso è scontato, comincia in un modo e non finisce allo stesso modo. A me è piaciuta molto la sottolineatura di quanto sono apprezzati i laureati in ambito umanistico, nelle humanities, perché, per noi poi come Cattolica tutto l’ambito delle humanities è sempre stato un mondo estremamente importante; e anche da questo angolo visuale, orientare chi si iscrive, e poi anche i nostri studenti, cercando di spiegare loro che una scelta di questo tipo, cioè una facoltà così, è una facoltà che in realtà apre un orizzonte enorme; che tutto il mondo della tecnologia, tutto il mondo dell’intelligenza artificia-le, che poi è un mondo che mette in discussione l’uomo alla fine, e il modello dell’uomo e l’antropologia, è qualcosa per il quale servono molto i tecnici assolutamente, servono i matemati-ci, servono coloro che con i numeri hanno una grande dimestichezza, ma non solo loro e quindi che la formazione umanistica, in realtà, la formazione filosofica è preziosissima, è molto ambita e molto richiesta dall’impresa. Questo è un altro tipo di orientamento importante, che è proprio compito dell’Università fare, e che, come dicevo prima, è molto importante fare in stretto colle-gamento con il mondo delle imprese, con il mondo delle aziende. Una delle ragioni, a mio modo di vedere, di questa di questa ansia per il futuro lavorativo, viene dal fatto che nel nostro Paese, più che in altri, c’è una cesura molto netta tra il tempo in cui si studia e il tempo in cui si lavora. Quando si studia, si studia e basta e poi, finito di studiare, ci si butta, in questo caso senza rete, al-la ricerca di un posto di lavoro. Altri contesti culturali sono diversi, hanno più familiarità con un’alternanza fra il tempo dello studio e il tempo del lavoro. Quello che cerchiamo di fare come Università, e che obiettivamente cerchiamo di fare sia come Università Cattolica sia un po’ come terza missione, cioè cercando di essere un po’ pivot sul territorio nazionale, alleandoci con altre Università e con altri soggetti che credono come noi in questa partita, è proprio creare una serie di occasioni di contaminazione fra il mondo dell’Università e il mondo del lavoro già dal percorso universitario. Ci sono tanti modi per poterlo fare, non tutti facili, perché poi gli ostacoli burocratici sono infiniti, le difficoltà non mancano, non voglio raccontarla tutta come rose e fiori, perché non è assolutamente così, però ci sono tanti modi per creare una familiarità tra il mondo delle impre-se e l’Università a partire proprio dai primi anni dell’Università, e questo, insieme agli altri che ci-tavo prima, io credo sia uno degli antidoti che si possa utilizzare per contrastare questa ansia e as-sillo negativo che leggo nello sguardo dei miei studenti.
GIUSEPPE TRIPOLI:
Son venuti fuori una serie di spunti. Per esempio, una cosa che colpisce sempre leggendo i dati che riguardano le aziende, è il fatto che le aziende fanno tanta formazione, anche le piccole aziende, non solo le medie e le grandi aziende, per le persone che intendono assumere. E una cosa un po’ paradossale, ma non è tale, è che fanno più formazione per i laureati, destinano più quota di for-mazione alle persone laureate. Il che vuol dire che c’è un tema vero di ibridazione, di contatto, di mix di competenze che è necessario acquisire nel momento in cui si entra nel mondo del lavoro. In fondo l’esperienza di questi anni, con l’alternanza, con i tentativi fatti per far sì che i ragazzi già nelle secondarie superiori facciano esperienza nel mondo del lavoro, è quello di far sì che i ragazzi entrino presto in contatto con le possibilità offerte dalla realtà lavorativa, perché è vero che spes-so non hanno conoscenza vera, piena di tutte le possibilità che offre il mercato del lavoro ma ognuno è un po’ fermo alle idee che ha, che ha sempre avuto o che si è fatto man mano. Per esempio il mondo delle aziende è un mondo molto spesso sconosciuto ai ragazzi. Dall’altro lato sono le aziende che fanno formazione. Allora, secondo me, questo tema dell’ibridazione del con-tatto, del raccordo positivo è importante, perché ovviamente studiare per lavorare vuol dire che bisogna studiar bene, fare lo studio, non bisogna mescolare idee e obiettivi. Si fa lo studio ma nel-lo studio c’è anche il rapporto con il mondo della realtà e con la realtà lavorativa per lavorare. Al-lora sarebbe interessante fare questo secondo giro e chiedervi se ci sono dei suggerimenti che po-tete dare, ai giovani qui presenti, che sono tanti. Quali sono quindi i suggerimenti che vi sentireste di dare loro e i suggerimenti che vi sentireste, dal lato delle aziende, di dare al mondo della for-mazione e quindi dell’Università, visto che oggi parliamo di Università. Perché ci sarebbe un capi-tolo interessante che è quello dell’istruzione tecnica che oggi non abbiamo toccato, che in Germa-nia per esempio è un capitolo rilevantissimo e che consente a giovani, facendo il percorso di istru-zione tecnica superiore, di entrare rapidamente nel mondo del lavoro. Però oggi non lo abbiamo toccato. Come si può fare insomma per migliore questo mix di competenze? Rifarei lo stesso giro.
GIANGIACOMO PIERINI:
Beh, dare suggerimenti ai ragazzi che frequentano il Meeting, forse è dire delle banalità. Io sono qualche anno che vengo qui e vedo tanti giovani che, a differenza di tanti giovani fuori, si pongono delle domande sul presente, che vogliono capire, non solo frequentando le mostre, ma anche par-tecipando ai dibattiti. Questo pubblico secondo me non è un pubblico normale. Io penso che tutto parta dalla curiosità ed essere qui, secondo me, dimostra già di avere una marcia in più rispetto a molti altri nella volontà di capire l’attuale, il presente, e quindi avere un’attenzione all’ascolto che secondo me è il punto di partenza per chi vuole lavorare e avere una carriera di successo. Mi ha molto colpito quello che diceva la professoressa Sciarrone Alibrandi parlando di educazione al sa-pere, perché è vero che l’Università insegna questo, io direi insegna, forse, soprattutto questo, ed è una cosa fondamentale. La brutta notizia è che non si smette mai di studiare, perché anche le competenze richiedono di essere aggiornate. Io ho iniziato a fare questo lavoro 15 anni fa, Fa-cebook non c’era, banalmente, il mio lavoro è un lavoro diverso e io continuo, costantemente, ad aggiornarmi per imparare. E questo è fondamentale. Come azienda, vado a memoria, noi abbia-mo investito l’altro anno 80.000 ore in formazione. Dove sì, c’è una parte di formazione legata alla sicurezza, alle normative, ma c’è una grande parte dedicata allo sviluppo e all’acquisizione di nuo-ve competenze o di competenze diverse o approfondimento di competenze. Non posso che ab-bracciare l’appello di Manuela allo studio dell’inglese. È davvero fondamentale, ma è fondamen-tale non solo per chi lavora per una multinazionale come quella per cui lavoro io, perché noi con la fabbrica a Marcianise comunichiamo in inglese, per dare un esempio. Io ho la fortuna di lavora-re in multinazionali o per multinazionali dall’inizio della mia carriera, a me piace moltissimo l’ambiente multinazionale, perché è fatto di culture diverse, di storie diverse, però significa dover necessariamente conoscere la lingua inglese, quotidianamente, anche per le relazioni interne. Ma anche nelle piccole aziende l’inglese è necessario come, o forse, più dell’Italiano in certe profes-sioni. Così come anche la disponibilità a viaggiare, non solo all’esterno, dove comunque prima o poi bisogna andare e forse andare già da giovane aiuta anche ad aprire la mentalità e a vedere cose nuove ed è forse più semplice perché magari non si ha ancora una famiglia o si ha più flessi-bilità o capacità di adattamento. Ma anche all’interno dell’Italia. Noi a volte abbiamo problemi a trovare delle persone perché molti non sono disposti a muoversi di 150 km, che significa doversi trasferire, ma significa anche dover cambiare un po’ il proprio contesto. Questo è difficile all’interno del Paese, figuriamoci in una dimensione di crescita multinazionale. Quindi volendo un po’ riassumere, l’inglese, la curiosità, rassegnarsi a studiare per tutta la vita. Non c’è un’alternativa. Questo sia che si abbia un percorso universitario o che non lo si abbia. Perché in alcune professioni sono richieste competenze tecniche specifiche per cui l’Università non è neces-saria. Anche questo spesso non viene conosciuto. Quindi questo è l’appello che faccio ad un pub-blico che so già essere un pubblico privilegiato, perché solitamente molto curioso e quindi avvan-taggiato già da questo.
MANUELA KRON:
Dunque nell’esempio che ho fatto prima di questa giovane collega, ma ne abbiamo tante in azien-da che tra l’altro fanno abbastanza team fra di loro, una delle cose che ho notato che è stata fatta era «sto studiando temi che mi piacciono molto, letteratura, filosofia, qualsiasi altra cosa, ma con-temporaneamente sviluppo altri skills che fanno sempre parte delle cose che mi piacciono, che però possono contribuire a crearmi una vendibilità maggiore». Allora a proposito di vendibilità, cosa vuol dire? Vuol dire che come disse qualcuno se la montagna non viene da te, vai tu dalla montagna, ovvero al di là dei percorsi che lo Stato, le istituzioni stanno mettendo in piedi, iniziare a interessarsi alle aziende, tutti noi conosciamo persone che lavorano in azienda, in entità. A pro-posito della curiosità, giustamente nominata da Giangiacomo, cominciare a sentirsi con loro, co-minciare a fare domande a loro. Cominciare a fare un piccolo network che possa dare suggeri-menti. Io raramente vedo questo nei ragazzi. Il pensare che il tuo vicino di casa, tuo zio, tua zia, chiunque possono essere una pedina per cominciare a chiedere ad un’azienda, senza aspettare i percorsi già fatti, qualcosa su che cosa può avere valore per te, oggi. Perché chiacchierando s’imparano un sacco di cose, si possono trarre un sacco di spunti. Poi un suggerimento che vi sem-brerà un po’ stranino. A me capita di parlare a giovani che arrivano sia all’Università, sia come oggi, da altri contesti, e a volte mi è capitato anche di farlo all’estero. Sapete una differenza pic-cola, piccola, ma strana, strana che ho notato? I giovani italiani iniziano a riempire una sala dalla prima fila. Si mettono sempre dietro. Poi quando trovano pieno tutto dietro, allora vengono un po’ più davanti e i poveretti che arrivano per ultimi non hanno alternative. Non abbiate paura della prima fila, pretendete la prima fila, alzate la mano dalla prima fila. Questo è un suggerimento che io do agli italiani, perché io vedo che gli italiani questo non lo fanno. Mettetevi in prima fila, fatevi vedere, incuriosite anche gli altri. Invece i ragazzi italiani li vedo sempre dal fondo. Mi faccio sempre di quelle risate perché è un pattern culturale, credo, temo, non so come si sia formato. Però un suggerimento che vi do è: non abbiate paura della prima fila, mettetevi in prima fila.
ANTONELLA SCIARRONE ALIBRANDI:
Io raccolgo lo spunto che mi ha dato il dottor Tripoli di suggerire qualcosa alle imprese, visto che i ragazzi sono stati già destinatari di alcuni suggerimenti. Parzialmente ritorno a qualcosa che ho già accennato prima. Oggi al tavolo ho la fortuna di avere esponenti del mondo delle imprese par-ticolarmente illuminati, però tante volte a me capita, forse più in passato che adesso, di dialogare con le imprese sulla base di un certa misunderstanding di fondo, come se all’Università fosse chie-sto da parte del mondo delle imprese, di professionalizzarsi di più nel senso della “tecnicalità”. Tante volte noi abbiamo dei tavoli su cui ci confrontiamo col mondo del lavoro, e ci viene detto «escono dall’Università, vengono da noi e poi non sanno fare niente, devono cominciare da zero». Allora io credo che sia, come dicevo prima, molto prezioso il dialogo, l’alleanza tra il mondo del lavoro e il mondo dell’Università, però non nel senso che l’Università debba formare persone che sappiano già fare nel particolare qualche cosa, perdendo di vista la formazione di base. Talvolta anche adesso c’è questa tendenza: chiedere che l’Università professionalizzi di più. Questo può av-venire al livello del Master, ma una preparazione solida, una larghezza di orizzonte, l’acquisizione di un metodo, che sono cose banali perché non è certo la prima volta che le sentite dire, sono an-che quelle che resistono in questa fluidità continua per cui quello che ho studiato oggi di tecnico domani è già vecchio, mentre se ho uno sguardo, un metodo, un orizzonte, forse riesco ad avere una tenuta maggiore. E se sono anche flessibile, elastico nel senso che non ho paura, posso pensa-re di poter fare qualcosa anche di molto diverso da quello che si era pensato di fare inizialmente. Poi la vita conduce dove vuole. Un’ultima cosa che in verità è mista, sia per le imprese che per i ragazzi. Io condivido appieno il fatto che sia estremamente importante l’elemento della curiosità, sia estremamente importante l’apertura, la voglia di guardare oltre il nostro orizzonte. E chiara-mente uno è attratto e non ha paura di farlo nel momento in cui è mosso dalla curiosità. L’inglese è importante anche se non solo l’inglese. Stamattina c’è stato un incontro dove si parlava dell’arabo come del cinese e in Cattolica cerchiamo di aprirci alla dimensione internazionale, non solo nell’ottica (anche assolutamente) dell’inglese ma anche verso tutto il mondo arabo, tutto il mondo cinese. Ci sono una serie di mondi dove riuscire ad entrare e riuscire a possedere la lingua e quindi di riflesso anche la cultura, diventa molto importante dal punto di vista anche dei futuri sbocchi. Ultima cosa, questa è per i ragazzi per la verità. Mi è capitato di sentire, le parole che il Papa ha pronunciato a Roma al Circo Massimo qualche settimana fa, e una frase, che lui ha detto rivolta ai giovani, io l’ho presa, me l’ho sentita rivolta anche a me come rappresentante dell’Università, perché il Papa diceva ai giovani: «Sognare, non dimenticarsi di sognare e di ri-schiare e di avere la capacità, il desiderio, il coraggio, di trasformare i sogni di oggi nella realtà di domani». Noi, come Università, abbiamo una responsabilità, siamo corresponsabili di questo, per-ché io credo che noi in Università dovremmo proprio aiutarvi, darvi gli strumenti per trasformare i vostri sogni di oggi nella realtà di domani.
GIUSEPPE TRIPOLI:
Grazie. Dicevo prima che ci sono tanti spunti che sono emersi. Volevo però riprendere una consi-derazione un po’ generale, che veniva fatta pocanzi, sul tema della negatività. Spesso è vero, sia-mo bombardati da informazioni, valutazioni, dati, tabelle negative, una negatività che ci assale e che obbiettivamente in alcuni aspetti c’è. Però, secondo me, il negativo, ciò che non va, va letto come un’enorme possibilità di ciò che abbiamo noi di poter cambiare. Ciò che non va non è ciò che ci schiaccia ma ciò che per fortuna abbiamo noi la possibilità di cambiare. Meno male che non tutto va perché altrimenti saremmo qui con le mani in mano. Quindi la negatività è un tema, anche su questi aspetti del mondo del lavoro, che mobilita, non che schiaccia. E da questo punto di vista il Meeting è davvero un evento unico, è un evento unico perché consente confronti come questi, franchi, liberi, senza ideologie da difendere, che parlano di cose concrete. È un evento uni-co in particolare perché è un evento gratuito, voi sapete che il meeting si regge sulla totale gratui-tà. Potete contribuire attivamente e fattivamente alla costruzione del Meeting facendo un’offerta alle postazioni “Dona ora” che trovate in giro per il Meeting. E con questo l’applauso finale lo de-dicherei proprio al Meeting come evento straordinario, che rende tutti un po’ partecipi e protago-nisti di quello che stiamo vivendo, abbiamo vissuto e vivremo ancora nelle prossime ore. Grazie.
(trascrizione non rivista dai relatori)