UN’AMICIZIA CHE APRE AL MONDO. GIOVANNI TESTORI, NEI 100 ANNI DALLA NASCITA

Riccardo Bonacina, Giornalista; Angela Demattè, Drammaturga e attrice; Emilia Guarnieri, Cofondatrice Meeting per l’amicizia fra i popoli. Modera Davide Dall’Ombra, Direttore Casa Testori Associazione Culturale.

Marzo 1978. Un articolo di Giovanni Testori sulla strage di via Fani pubblicato sul Corriere della sera attira l’attenzione di alcuni universitari di Comunione e Liberazione. Gli chiedono di poterlo incontrare: da quell’incontro nello studio milanese di via Brera 8 scaturisce una grande storia di amicizia. Una storia anche molto “operativa”, dal punto di vista umano e culturale. Il teatro, la collaborazione al Sabato, le presenze al Meeting fin dalla prima edizione, il feeling con don Giussani. Ne parlano Riccardo Bonacina, testimone diretto di quel primo incontro ed Emilia Guarnieri, testimone delle presenze di Testori al Meeting. Insieme a loro Angela Demattè, che per ragioni anagrafiche non ha conosciuto Testori, ma che da autrice teatrale e attrice, attraverso la sua esperienza documenta i frutti di quell’amicizia e di quel magistero.

Con il sostegno della Regione Emilia-Romagna.

UN’AMICIZIA CHE APRE AL MONDO. GIOVANNI TESTORI, NEI 100 ANNI DALLA NASCITA

UN’AMICIZIA CHE APRE AL MONDO.GIOVANNI TESTORI, NEI 100 ANNI DALLA NASCITA

Domenica, 21 agosto 2023 ore: 17.00
Sala Neri Generali-Cattolica

Partecipano

Riccardo Bonacina, giornalista; Angela Demattè, Drammaturga e attrice; Emilia Guarnieri, Cofondatrice Meeting per l’amicizia tra i popoli.

 

Modera

Davide Dall’Ombra, Direttore Casa Testori Associazione culturale.

L’incontro inizia al minuto 07:52 con un video di Testori al Meeting del 1989 (minutaggio dal video preso dal sito del Meeting), fino al minuto 13.17

 

Dall’Ombra. Buonasera, benvenuti a tutti sono Davide Dall’Ombra, direttore di casa Testori. Abbiamo voluto iniziare con questo brano, questo estratto evidentemente, dell’intervento di Giovanni Testori al Meeting nel 1989. Abbiamo iniziato da qui perché evidentemente portare, riportare ancora una volta Testori al Meeting, vuol dire farlo tornare a casa, vuol dire dirci qualcosa della sua storia, della storia, appunto, del Meeting. Abbiamo con noi tre ospiti molto importanti per raccontare, non solo qualcosa di Testori, ma anche qualcosa di importante per la cultura del novecento e c’è con noi Emilia Guarnieri che non ha bisogno di presentazioni, anzi la presentazione l’ha avuta direttamente da Giovanni Testori con questa piccola gaffe molto simpatica e Angela Demattè, drammaturga e attrice e Riccardo Bonacina tra i Fondatori non solo di Vita, ma anche con una storia legata al teatro, Gli incamminati, appunti, che lo lega a Testori fin dai primi anni. Quello che mi interessa semplicemente è brevemente con qualche parola dire come siamo arrivati qui, come siamo arrivati a questo 1989 perché è importante inquadrare, o almeno avere due idee, in questo che è l’anno del centenario della nascita, perché Testori nasce nel 1923, ricordare che questo incontro straordinario col Meeting e con Comunione e Liberazione, come vedremo da alcuni interventi, è un incontro che nasce in un momento preciso della storia di Giovanni Testori che va però contestualizzato in un rapporto con la fede e con la realtà, questi due grandi elementi che caratterizzano la sua vita che tratteggiano tutta la sua esistenza fin dalla nascita, e quindi importante è capire, intanto sfatare uno dei miti, spesso si è parlato della conversione di Testori alla fine degli anni ‘70 ma Testori nasce e lotta con Cristo tutta la vita da cattolico che si confronta con la società a lui contemporanea e anche con la cultura artistica proprio da cattolico, questo importante perché è ancora più importante perché è ancora più profondo l’incontro che fa con il Meeting e con Comunione e Liberazione perché è l’incontro con un’umanità che riconosce come propria, un’umanità che riconosce legata indissolubilmente alla realtà e a un Cristo reale e non un Cristo delle immaginette o dei pensieri e quindi ancor meno banale, diciamo, l’incontro straordinario che genererà molte cose che sentiremo in questo incontro. Credo che da questi testimoni potremo cogliere la profondità di una delle scintille importanti non solo per la cultura del 900 ma anche per la storia stessa del Meeting e di Comunione e Liberazione che trovano in Testori e poi nella scintilla del rapporto tra lui e Luigi Giussani, l’affaccio di due mondi, perché Testori si porta dietro una serie di rapporti, di conoscenze della cultura del 900 che emette a disposizione, in dialogo con la realtà del movimento tutto, quindi è un momento importante della nostra storia e vedremo, appunto, da varie angolature di che cosa stiamo parlando. Dò la parola quindi a Riccardo Bonacina, tra coloro, avete sentito anche nel breve passaggio di questo video dell’89 tra i primi ragazzi che andarono a incontrarlo in seguito a un articolo, come ci racconterà Riccardo Bonacina che è uno di questi ragazzi, un articolo sul Corriere della Sera, perché negli anni ‘70 Testori non solo inizia a pubblicare una serie di articoli come storico dell’arte sul Corriere della Sera, ma via via comincia a pubblicare una serie di interventi sia di commento alla cronaca, quindi a fatti drammatici di cronaca di quegli anni dalla fine del 77 e nel 78 ma anche di morale, con diversi interventi in cui pone uno sguardo totalmente fuori dal coro che attrae non solo l’attenzione ma anche più spesso la contestazione di tante polemiche che nascono dal suo sguardo sull’attualità che regala appunto alle colonne del Corriere della Sera. In questo contesto nasce appunto l’incontro con Riccardo Bonacina che ringrazio di essere qui.

 

Bonacina. Grazie a te, grazie a voi, leggo per non fare confusione quindi mi prendete così. Ogni volta che qualcuno mi chiede di ridire quell’inizio e quindi mi obbliga a voltarmi indietro tanti anni fa quindi ragazzo di tanti anni fa mi sorprende davvero l’esagerazione di quello che ha seguito un gesto semplice ingenuo di un gruppetto di tre universitari che eravamo. La storia nasce così: don Giussani ci aveva sempre invitato al mattino a dire le preghiere per metterci in una posizione giusta di fronte al mondo, di fronte al mistero della vita ma poi anche a leggere i giornali perché diceva così imparate a giudicare la realtà e non vivete con la testa nel sacco; preghiera e giornale al mattino, che è una ricetta che vi propongo, i giornali sono forse peggiorati però dai cellulare vi rendete conto di cosa succede nel mondo; un gruppo di noi poi faceva spesso la rassegna stampa, ci davamo il cambio all’università, c’erano i gruppetti che facevano la rassegna stampa proprio per dar seguito a quelle indicazioni e gli articoli di Testori, che era subentrato a Pasolini come editorialista sul Corriere della Sera, devo dire che ci avevano colpito spesso perché risuonava molta vita dentro le sue parole Ma quando la mattina del 20 Marzo del 1978, quindi tre giorni dopo del rapimento Moro e dell’assassinio degli uomini della sua scorta, leggemmo il suo articolo “La realtà senza Dio” rimanemmo davvero senza fiato perché esprimeva ciò che confusamente sentivamo. Vi leggo l’inizio di quell’articolo, lo trovate in “Maestà della vita”, chi non c’è l’ha lo compri perché vale la pena. L’inizio cominciava così: “quando lungo la giornata di giovedì, presi nelle dure ombre di un’emozione sotto cui non volevamo che le nostre responsabilità venissero minimamente a cedere abbiamo letto i giornali, seguito la televisione e quando l’indomani abbiamo aperto le pagine dei quotidiani, la cosa che più ci ha angosciati è che nelle disamine dell’accaduto, nel mare di contrabbando retorico che quelle analisi ha accompagnato non ci è stato concesso di imbatterci in una sola domanda che recasse in sé il disperato bisogno di una possibile spiegazione totale e dunque religiosa del punto in cui è arrivata la vita…” leggerete voi il resto ma capite che era un articolo completamente fuori misura rispetto agli editoriali di allora e tanto più quelli di oggi, per cui spesso diciamo: chissà Testori cosa direbbe su questa cosa… La sera di quello stesso giorno con due amici, uno è Antonio Intiglietta e uno è Antonio Simone, in un lurido appartamento di universitari fuori sede zona San Siro ci siamo trovati a cena e venne fuori l’idea di andare a trovare questo scrittore, questo editorialista, perché, mi ricordo che dissi loro: “Cavolo! quando leggiamo Leopardi diciamo che sarebbe bello parlare con lui di cos’è la nostra esperienza e sentire cosa si dice, questo è vivo, andiamo a incontrarlo, cioè la mossa fu quella: perché non andiamo a incontrarlo? C’eravamo informati sapevamo che in via Brera numero 8 c’era il suo studio e provammo ad andare a suonare il campanello, forse in via Brera non c’eravamo neanche mai stati perché eravamo tutti… io fuori sede, Intiglietta in via degli Olmi, Simone anche lui in periferia; andammo in via Brera e lui aprì la porta, in questo studio pieno di libri, di quadri bellissimi cominciamo a dialogare. Questo è stato il pensiero e la mossa semplice, ingenua: andare a trovare l’editorialista del Corriere che ci stupiva per i suoi commenti in prima pagina le cui parole, a differenza di tutte, le altre avevano a che fare con la vita e anche con la nostra vita di allora, di ragazzi di 22/23 anni, quindi se qualcosa vi interessa incontratela, non abbiate timore di andare ad incontrare persone che vi sembrano interessanti. Quel primo pensiero, quella prima mossa e poi incontro divennero in breve tempo veramente un’esplosione di incontri, iniziative, insomma, per stare al titolo del Meeting e di questo incontro, una vera amicizia di un gruppo di universitari e l’intellettuale scrittore isolato da tutte le congreghe di potere e di bottega ed è un’amicizia che è durata e tutt’ora dura, anche grazie al lavoro di Davide, di Giuseppe Frangi e di tutti gli amici di casa Testori. E’ un’amicizia che è nata da una vicendevole sorpresa, avete sentito Testori nella testimonianza di poco fa la sua di fronte a questi sciamannati che erano andati a parlare di un suo articolo e la nostra a quello che noi chiamavamo, soprattutto Emanuele Banterle, “Maestro”(lui diceva.”…eh…maestro”) però lo chiamavamo maestro perché era effettivamente un’amicizia….per noi era un vero maestro, ci capitava spesso di andare a casa sua…sentirlo parlare, di come raccontava i quadri…le cose che ci spingeva a fare, perché fu da subito un’amicizia operativa, mi risuona quello che ho sentito poco far da Zuppi: “…perché un’amicizia, una vera amicizia è sempre operativa” e allora quel rapporto originò percorsi individuali e di gruppo, fu una fucina di pittori, di scrittori, giornalisti…ci si trovava a ideare mostre, mi ricordo quella di Mitsushi un pittore giapponese che poi è sparito (Giuseppe, non si sa niente?) alla chiesa di San Carlo (ah è morto…). Nacquero libri: mi ricordo il libro di Luigino “Nel nome del niente” o quello di Luca “Lettera a Santa Caterina”. Giovanissimi che lui incoraggiò a scrivere subito, nacque il circuito dei centri culturali, “questi centri culturali mettiamoli in rete”, una rivista di questi centri culturali che si chiamava Synesis, una compagnia teatrale “Degli incamminati”, il nome lo diede lui citando un’accademia bolognese del ‘600, dicevamo, al di là dell’accademia, è che bisogna essere sempre in cammino:” Quello sarà il nostro nome”, per quello giro sempre con lo zaino… La casa di Testori a Novate divenne un vero luogo di ritrovo, quasi una scuola, ascoltarlo significava imparare in modo vivo, affidare il nostro giudizio, soprattutto ci insegnava cose, a noi che eravamo un po’ delle bestie, per esempio sulla pittura, a parte suo nipote Frangi che già da piccolo lo aveva ammaestrato, imparammo a leggere i quadri, ad appassionarci, ad andare in giro per mostre, Testori ci incoraggiava a usare una navigazione personale in mare aperto proponendo una sfida per ciascuno di noi, accompagnandoci fino all’uscita dei nostri tranquilli porti e delle nostre sicurezze invitandoci a non avere mai paura, io ricordo che diceva sempre: “Ma di che hai paura?”

Qui intorno tutto è un brodino, diceva così, qui è un brodino di che paura scrivi quello che pensi. Tutto qua intorno è un intreccio di piccoli interessi, scambi di prebende, che poi lui sostanziava con esempi, anche gustosi, della vita del Corriere della Sera: “Siete così pieni di vita, il dono che avete ricevuto non è vostro, perciò di che mi spaventate?”. Quindi scrivete fate libri, articoli, riviste. Ad esempio, la rivista che ho fondato, Vita, è nata l’anno dopo della sua morte si chiama Vita non a caso senza articoli e aggettivi, mi ricordo che questa idea la incoraggia molto. È impossibile raccontare tutto quello che ne derivò, anche perché l’avventura non è ancora finita. Finché c’è vita questa amicizia genera cose. Però forse è possibile segnalare ciò che di Testori, di questa amicizia, più mi ha segnato in tutto ciò che ho seguito. Dico due grazie tra gli infiniti grazie che dovrei dire. Il primo è il grazie per un insegnamento che è questo: è vietata la parola che non c’entra con la vita dell’uomo. Questo è un caposaldo delle cose che ho imparato da Testori, perché diceva proprio lì solo lì, nella realtà è rintracciabile il segno creaturale, il segno di essere creatura, che l’uomo non è una cosa ma è una creatura, cioè il senso del nostro essere al mondo. I racconti di Testori durante tutti 15 anni di frequentazione, a me è parso sempre racchiuso tra uno degli episodi che gli ho sentito raccontare negli anni e anche ripetere è una frase che mi capitò di raccogliere nella stanzetta dell’ospedale San Raffaele poco prima della sua morte per un’intervista che feci per Rai 2 per un programma che conducevo nel ’93. Testori per spiegare da dove gli nacque la passione per la parola, di una parola così impastata con la vita, raccontava sempre un episodio capitatogli da bambino. Raccontava che una sera, non mi ricordo se era esattamente una sera, Giuseppe, o un pomeriggio, va bene, con la mamma alla Snigo, dove andava in vacanza, incrociò un uomo che era legato con una catena tra due carabinieri. Incrociando il suo sguardo, Testori bambino vide che l’uomo disse qualcosa aprendo la bocca. Ecco ne concludeva: “Io ricordo quella sua bocca ogni giorno e penso ma cosa avrà mai detto? Cosa posso fare io perché questa bocca che si è aperta sulla faccia di un uomo che veniva portato in prigione non morisse, non venisse diminuita. Qual era la sua parola e io cosa potevo fargli dire?”

Ecco lui raccontava questo episodio, per dire che sempre la parola deve avere a che fare con la vita. Qualcosa di simile mi raccontò durante l’intervista raccolta durante la sua malattia al San Raffaele, Testori commentò le immagini dei bambini denutriti in fin di vita che sui giornali e in tv usavano per raccontare la terribile carestia del Corno d’Africa, che in quel periodo aveva conquistato le prime pagine dei giornali. Mi disse così: Quelle immagini terribili di bambini si giudicano, io mi immagino di rincontrare in cielo quei volti scavati e ci chiederanno ragione della nostra spensieratezza, della menzogna delle nostre parole e della nostra vita. Quei bambini solo apparentemente non parlano, le loro parole le sentiremo tutte il giorno del giudizio. Ecco allora tra questi due episodi che ho sentito molti anni fa e uno proprio alla fine della sua vita mi chiedo spesso Testori oggi direbbe, “Che cosa stanno dicendo quei bambini ucraini deportati e l’infanzia che cresce nei campi profughi che cosa dice? Cosa stanno dicendo i morti di Cutro e i 24.000 morti nel Mediterraneo o nel Nord Africa?” Queste sono le domande che Testori ti spingeva a fare e a cercare delle risposte. Diceva sempre: “basta amare la realtà sempre in ogni modo e fuggite le astrazioni”. Ecco lui è stato un grande combattente e ci ha insegnato a fuggire le astrazioni”.

La verità non ha altro luogo, altra casa che non sia la realtà, vita dell’uomo. Fate parlare la realtà la vita cercatela lì la parola, fatela scaturire da li. Ecco questo è il primo grazie a lui, perché questo è un punto centrale anche in tutto quello che ho fatto dopo.

Il secondo è la libertà, con lui imparammo che la libertà deriva da un unico più grande e umile si all’unica e sola necessaria dipendenza. Lui citava spesso un verso dell’Alfieri che dice: “Libero sempre non è il pensier liberalmente espresso”, pensate com’è vero questo verso.

Testori che era un vero indipendente, un ribelle, un contestatore contro ogni congrega, anche un rompi balle, disdegnatore di qualsiasi incarico. Lui si vantava: “io non ho avuto neanche una poltrona”, è vero nessuno gli aveva dato un incarico. Un irregolare amava citare questo verso dell’Alfieri per specificare che cosa fosse una libertà, da dove scaturisce la libertà nel lavoro, nella vita. Diceva “Non svendetevi, non svendete la vita, la vostra e quella di chi incontrate, non svendete il pensiero e le parole, prendetevi tutte le libertà, che solo il sì all’unico grande mistero vi permette di prendervi”.

Per finire cito un pensiero di Maurice Blanchot che è uno scrittore francese della prima metà del ‘900 che diceva: “L’amicizia è questo rapporto senza dipendenza in cui entra tutta la vita”, ecco il rapporto con Testori è stato questo, un’amicizia senza dipendenza in cui entrata tutta la vita, non solo la nostra, ma anche quella di Testori, che è stato non solo padre di tanti di noi, ma anche capace di farsi figlio dell’incontro con noi.

 

Dall’Ombra. Grazie Riccardo Bonacina e ci avviciniamo proprio questa soglia, l’incontro appunto risale al ’78, nel ‘79 tra le tante iniziative che ha descritto bene Riccardo, che spaziavano a seconda dell’interesse dei giovani che Testori incontrava nei vari campi della storia dell’arte, dal teatro, alla letteratura, al giornalismo. Tra queste varie iniziative appunto nel ’79 è l’anno de “L’interrogatorio Maria”, uno spettacolo molto importante, che ha coinvolto un gruppo di ragazzi, giovani in particolar modo di Forlì, il teatro dell’Arca ecc. Da lì poi a girato centinaia di chiese in Italia fino poi ad arrivare al Papa a Castel Gandolfo, a Giovanni Paolo II nel 1980. In questi anni inizia la grande avventura del “Meeting di Rimini” e Testori è presente già alla prima edizione con un incontro molto importante sulla figura di Amleto e vedrete che tornerà questo personaggio negli interventi e la figura del padre, non entro in merito le incontro, ma diede l’avvio ad un rapporto che ci racconterà Emilia Guarnieri, un rapporto che ha segnato tante edizioni del meeting, alcune volte in presenza ed altre grazie al Corriere della Sera. Testori è molto attento a dare spazio come può sul Corriere della Sera al meeting e a difendere anche la natura del meeting, per cui anche un intervento intitolato “Ma il meeting non fa solo politica”, in cui racconta cosa accade veramente al “Meeting di Rimini”, così come realizza per il meeting almeno due mostre importanti, una dedicata a Graham Sutherland, un pittore inglese che lui amava molto, che si era convertito da poco al cattolicesimo e lo cito perché far capire anche come si muoveva Testori a 360 °. Siamo nell’estate del ’81 e Testori sta immaginando la mostra al meeting di queste crocifissioni di Sutherland, che era morto l’anno prima e nel pensare alla mostra comincia lui stesso a realizzare una serie bellissima di pastelli di crocifissioni, realizza 20 opere, straordinarie, che adesso, fortunatamente, fanno parte patrimonio dell’Associazione Testori. Sempre nelle le stesse settimane, inizia a comporre quello che diventerà poi Ossa Mea, cioè una raccolta dedicata al Cristo, alla crocifissione. Quindi per lui intreccia l’attività espositiva, l’attività culturale, l’attività da pittore o da scrittore e poeta, com’era lui, perché tutto quell’animo che avete sentito nella testimonianza di Riccardo Bonacina, era un animo che si spendeva appunto a 360 °.

Cito l’altra mostra di Francis Bacon, perchè anche qui l’articolo diciamo, Testori porta la mostra, che già allora evidentemente nel ’83, era un pittore importantissimo. Porta una serie di dipinti che erano purtroppo temporaneamente di proprietà di Brera, perché poi vennero per una serie di contestazioni, per via giudiziaria ritornarono ai legittimi proprietari a qui erano stati espropriati, diciamo così. Però in quella parentesi riuscì a ad esporli nella chiesa dei Minimi vicino al tempio malatestiano, in una delle mostre esterne che il meeting ci ha abituato a vedere negli anni. Questo aveva destato, diciamo, una polemica sul Corriere, perché si giudicava inopportuno spostare 11 grandi dipinti di Bacon, per una mostra di una settimana sostanzialmente. Lui coglie però un punto importante per cui l’articolo di Testori in risposta a questa polemica si intitolava “Proibito ai cattolici guardare Bacon”, cioè non era permesso ai cattolici di guardare un pittore così straordinario travolgente, ma controcorrente come Francis Bacon e centrava un punto di cos’era per lui la cultura e di qual era la libertà che si respirava al meeting.

Arriviamo al famoso ‘89 che fu un anno molto particolare nel coinvolgimento di Testori in cui rimase tutta la settimana e segnò profondamente quell’edizione. Quindi passo la parola a Emilia Guarnieri fondatrice cofondatrice del meeting e che sicuramente ci può raccontare molto bene cosa è successo in quell’anno in generale nel rapporto col Meeting.

 

Guarnieri. Io amo dire che il mio incontro con Testori meeting prima meeting dell’80 e la sua partecipazione nel primo video dell’80 ma il mio incontro con Testori è datato a quell’editoriale del ’78, perché quell’editoriale sulla Io ricordo ancora fisicamente il luogo in cui ero quella mattina quel titolo: “La maestà della vita”. Mai non ci si sarebbe aspettati una cosa così sul Corriere in quel momento, tantomeno ci si sarebbe aspettati l’altro famoso “La realtà senza Dio” di cui Riccardo ha letto a letto quelle quel brano stupendo che quindi non sto a rileggermi, no? “non abbiamo trovato una parola di domanda sul senso delle cose” e colpirono, me colpirono insieme a me gli amici con cui condividevo l’esperienza in quel tempo, perché eravamo in un momento in cui la cultura profondamente ideologizzata non, come dire, neanche immaginava neanche poteva metteva in conto che il cristianesimo potesse essere un fattore nella vita. Un fattore spirituale, un fattore nelle chiese un fattore di questioni personali e individuali, ma il cristianesimo che potesse centrare in qualche modo con la vita degli uomini insieme non era a tema; quindi, trovare qualcuno che riponeva questa questione che riponeva la questione del senso e che in maniera esplicita diceva che il senso aveva a che fare con la dimensione religiosa era indubbiamente qualcosa che ci aveva colpito. E siamo appunto nel marzo del ‘78 mancano due anni alla prima edizione del Meeting, ma appunto la gestazione del Meeting ha a che fare anche con quegli editoriali, anche con quello stupore, perché comunque eravamo alla ricerca, eravamo, io guardo, qui ci sono diversi di quelli oltre che l’Antonio Smuro citato anche altri amici con cui guardavamo perché guardavamo perché eravamo come dire, desiderosi di desiderosi di una presenza, usiamo la parola sintetica. Erano anni in cui avevamo fatto le feste popolari, avevamo aderito anche per lo meno taluni di noi al Movimento Popolare ma l’educazione che avevamo avuto nell’amicizia con Don Giussani, che era un’educazione che aveva veramente a che fare con la concretezza, con la vita, come veniva anche detto alla fine, con una fede che c’entrasse con la vita e che c’entrasse con la vita nostra e con la vita degli altri uomini quindi che avesse la dimensione proprio della materialità, della concretezza quindi cercavamo avevamo in mente di porre qualcosa che è che dicesse pubblicamente dell’esperienza della fede cristiana; non in maniera ideologica non in maniera di etica, ma lo dicesse proprio come esperienza. La cosa interessante è che alcuni di noi avevano condiviso questa istanza di porre qualcosa di significativo nella nostra realtà anche con altri amici, anche amici non credenti, perché l’impeto apporre cose che avessero un significato, che avessero una dimensione culturale reale, cioè significante era veramente forte. Insomma presi da tutto questo, presi da tutto questo nell’estate del 79 nasce alla fine dell’estate del 79 nasce l’idea del Meeting l’idea dei Meeting proprio come un luogo in cui poter incontrare e far incontrare uomini, non tanto idee, non tanto dibattiti, uomini ed esperienze e questo ci portò subito a cercare esperienze a cercare uomini a cercare storie di vita, così nasce il rapporto con settimanale il Sabato, tra l’altro Testori aveva cominciato proprio nel ‘78 se non sbaglio a collaborare con il Sabato e nell’80 prima edizione del Meeting “La pace i diritti dell’uomo”, l’invito a Testori. Testori parlò insieme a Christopher Derrick il titolo era “La verità forza della pace”, titolo che si addiceva molto a Testori, era il titolo peraltro che Giovanni Paolo aveva dato alla giornata della Pace di quell’anno e in quell’intervento che sinceramente integralmente non sono riuscita a ritrovare, che però il Sabato pubblicò in appunti e che Testori spesso non pubblicò Il testo però scrisse sul Corriere a proposito di quell’incontro, io ricordo appunto il modo con cui riportò l’Amleto, il modo in cui ci rimise davanti all’Amleto perché prese dall’Amleto la famosa frase: “c’è qualcosa di marcio in Danimarca il globo è sconvolto, il mondo è fuori di sesto” e questo era come il giudizio sulla realtà che stavamo vivendo. Sottolineò che il problema è svelare la menzogna, non aveva mezzi termini, svelare la menzogna e riscoprire la verità, ma non aveva mezzi termini neanche sul dire che cos’era la verità, la verità che fa essere l’uomo uomo è il suo essere creato, il suo essere figlio del padre e quindi fratello di tutti gli altri uomini. Da quel momento ci siamo sentiti insieme, da quel momento è accaduta l’amicizia perché è accaduta la sintonia sul senso delle cose e l’esperienza è andata avanti e abbiamo portato il Post Amlet le cose più testoriane che ci potevano essere, me lo ricordo ancora nel teatro tenda per noi nel teatro tenda voleva dire nel salotto buono di casa eravamo ancora nella fiera vecchia, il teatro tenda era una cosa da un punto di vista teatrale super empirica, però era il salotto buono di casa e quella sera noi abbiamo, come dire, abbiamo portato questa cosa cui Giovanni teneva per tutto il rapporto con l’Amleto che conosciamo, l’abbiamo portato proprio lì e nell’83 sempre la mostra di cui si diceva prima, il grido prima dell’orrore, la mostra di Francis Bacon. Ma con Giovanni niente era mai scontato. Niente era mai scontato e arrivato a un certo punto anche è arrivato anche il momento dell’incomprensione; non siamo in molti a ricordarlo, adesso vi dico perché, è da qualche anno che lui non veniva al Meeting, sapete vivere il Meeting probabilmente è un’esperienza che anche altri di noi hanno fatto, vivere il Meeting solo leggendo i giornali e se ne ha quanto di più distorto si se ne ha una percezione quanto più distorta ci possa essere. Evidentemente aveva letto i giornali, evidentemente in quegli anni, magari anche, io penso sempre che quando vengono fatte delle critiche una ragione c’è e probabilmente aveva… c’era stato qualcosa che l’aveva disturbato, umanamente disturbato qualcosa che forse aveva ritenuto accondiscendenza alla cultura del mondo, può essere. Comunque io sono venuto a sapere che ce l’aveva con il Meeting e che qualcosa non gli andava bene e allora siccome ho colto l’occasione di una sua visita a Rimini per altro durante l’inverno sono andata sono andato in albergo dove era, sono andato a trovarlo, e io in questi casi, me ne sono capitati diversi di episodi, non tantissimi grazie a Dio, diversi episodi però nel Meeting di questo genere, cioè di qualcuno che a un certo punto diceva non mi va più bene, no, sbagliato! e sono andata, non ricordo nessun chiarimento perché.. è stato bellissimo, perché è stato teatrale anche quel momento nel senso che io sono arrivata in questa sala incontri dell’hotel dove sapevo che lui viveva, insomma sapevo che lui… era in quei giorni, a un certo punto non c’era, non sapevo dove fosse, non arrivava, non era arrivato… è arrivato da dietro di una tenda, come dire… ma voleva dire qualcosa anche questo, era come dire ci sono ma non mi acchiappi, ci sono ma ci sono, io l’ho percepito così, ci sono ma ci sono in maniera diversa da come tu immagineresti, non ci siamo chiariti anche perché non si recupera un’amicizia chiarendosi, come non si recupera un rapporto chiarendosi, si recupera solo ritrovando un punto che per tutti diventa il punto di tensione evidentemente l’abbiamo ritrovato, questa tensione alla verità che comunque tutti è, così con i mezzi che abbiamo e che avevamo potevamo mettere in campo, e da lì siamo ripartiti e da lì la storia con i Meeting è ricominciata è fiorito tanto questa è un’altra cosa di cui credo dobbiamo essere dritta deve essere grato perché lì dal rapporto con Testori è partito poi il rapporto con Branciaroli il rapporto con Banterle, il rapporto con gli incamminati, il rapporto con Riccardo cioè è partita tutta una storia che al Meeting ha dato tantissimo perché nell’89 c’è stato, ci sono stati gli incontri con Giovanni, ma la sera prima del grande incontro in salone c’è stata la rappresentazione del Miguel, famoso Miguel Manara il Miguel Manara di Milosz in Testori direttamente non c’entrava, ma centrava fino in fondo Branciaroli e l’angelo custode che era Emanuele Banterle, anche se io questo lo dico perché a memoria di Emanuele queste cose vanno dette, anche se in tutte le locandine c’è scritto regia di Franco Branciaroli, la regia era di Franco Branciaroli, ma la custodia era di Emanuele perché Emanuele, Emanuela ha veramente custodito tutto quello che … ha veramente custodito, almeno per quello per quel poco che io ho potuto vedere, tutto quello che gli Incamminati hanno fatto e io gliene sono tanto grata, quindi la sera prima c’era stato questo Miglior Manara, sei quadri dalle 9 di sera fino alle 3:00 della mattina, la città tutta attraversata, un gesto di cui tra l’altro.. un gesto si folle verrà detto, sì sì abbastanza e che comunque a cui Testori aveva tenuto tantissimo aveva scritto anche tanto su questo eccetera.

Veniamo invece all’incontro che fece lui in salone nell’89 quello di cui all’inizio abbiamo visto qualche frammento, ricordo che esordi con una citazione di Mounier, famosa “occorre soffrire perché la verità non si cristallizzi in dottrina ma nasca dalla carne”; c’erano tre parole chiave in questa citazione due parole chiave che lo definiscono: sofferenza, verità e carne. Soffrire perché la verità non si cristallizzi in dottrina ma nasca dalla carne, tre parole che indicano il suo percorso, tre parole che gli stavano particolarmente a cuore perché anche il suo percorso di rapporti di amicizia con noi quella quel passaggio che non vi sto a rileggere quando lui dice CL mi ha preso per la tenerezza, l’amicizia eccetera, era proprio vero, cioè lui era entrato in rapporto con noi e noi eravamo entrati in rapporto con lui per una materialità, per una carnalità, per una storia condivisa per, non perde le idee. Se oggi uno se oggi uno mi chiedesse, Ma quali erano le idee di Testori su cui vi siete trovati d’accordo? Non lo so non ne ho la minima idea, uno struggente bisogno di consegnare la sperdutezza che è un’altra sua grande parola, uno struggente bisogno di consegnare a un senso a qualcuno che dia un senso questa esperienza della sperdutezza e questa esperienza della domanda della vita, su questo con lui ci siamo incontrati. Nella conferenza stampa della mattina tra l’altro lui aveva rilanciato con grande chiarezza dov’era il punto di consistenza di questo senso aveva detto: “il mio intervento del pomeriggio ribadirà la necessità che l’avvenimento cristiano che è il centro del cosmo diventi l’evento centrale della storia dell’uomo, l’avvenimento cristiano che è appunto l’incarnazione, che questo torni a essere accolto per quello che è un evento fatto di carne di sangue di ossa e non una parabola astratta, non un’ipotesi e non soprattutto un simbolo”. Se guardiamo questa frase queste parole dette da lui nell’89 guardiamo quella che è la realtà di oggi, credo che sono forse più attuali oggi che l’incarnazione torni a essere accolta per quello che è un evento di carne, di sangue se pensiamo a quello che tante volte è il cristianesimo oggi, non il cristianesimo, tante volte è il modo con cui leggiamo interpretiamo viviamo i cristianesimo oggi, e credo proprio che questo sia stato forse uno dei punti più folgoranti anche per noi della sua esperienza e della sua testimonianza, ricordo in un incontro sempre di quell’anno mi pare lui a Milano, in un incontro a Milano, lui aveva detto: “non perdete – era rivolto a un noi che eravamo noi insomma non era non era solo il meeting era la nostra storia – non perdete questa umanità che non si scandalizza di niente, se perdiamo questo perdiamo il senso dell’incarnazione” e questa noi ci faceva veramente vibrare, un accento di esperienza umana uno stare senza paura di fronte all’umano, ma perché senza paura, perché senza paura perché il Mistero non ha avuto paura dell’umano, perché l’incarnazione è la testimonianza che il Mistero ci si è messo di mezzo. Per come avevamo incontrato il cristianesimo per l’esperienza che vivevamo con Don Giussani questo non poteva che farci, veramente farci vibrare e il meeting stesso era qualcosa che rifletteva questo, perché nel Meeting c’è questo gusto della vita reale, il cristianesimo nel Meeting non è mai stato spiegato, un incontro sul cristianesimo, un incontro su cosa c’entra il cristianesimo con la vita non c’è mai stato Meeting, su cosa centri cristianesimo con il lavoro… al Meeting è sempre stata della gente che cercava di vivere tutta la sua vita e tutti gli aspetti della sua vita guardando questo fatto incontrato e giudica il mondo. Ecco c’era questa carnalità questa vita reale questa esperienza, quindi uno che parlava quel linguaggio non poteva che farci vibrare. Ecco io uso questo termine Vado a concludere nell’89 Testori fu veramente un protagonista l’incontro del salone quello che abbiamo visto prima, l’incontro di presentazione del Sabato insieme a insieme a Del Noce, la mostra sulla Via Crucis di Bellini, quattro repliche della drammaturgia fatta da lui su un testo di Don Giussani “la vertigine della condizione umana” e direi una delle cose più, suggestive e In exitu, quel famoso testo che puoi Brananciaroli fece sulle scale della stazione centrale di Milano, dove sto povero cristo, un ragazzo drogato che sta morendo di overdose nel bagno della centrale che racconta la sua vita, questo testo noi l’abbiamo fatto al meeting, ma l’abbiamo fatto in carcere ed è stato in carcere parliamo dell’89, non di oggi dove in carcere è facile, si va, nell’89 andare a fare una cosa di teatro una rappresentazione teatrale in carcere non era la cosa più ovvia del mondo. Un testo estremo sicuramente estremo radicale come tutto era in lui; la sua presenza al meeting è continuata e continuata con la mostra dell’associazione Testori nel 2003, la traduzione della prima lettera ai Corinti del 2008 con Andrea Soffiantini, nel ‘98 un momento di testimonianza eccetera, dico queste cose perché credo che dicessi … è doveroso che il Meeting dica, perché questi sono regali che il meeting ha avuto. Il meeting vive e ha sempre vissuto perché qualcuno gli ha fatto dei grandi regali, qualcuno gli ha regalato la bellezza delle sue cose, la bellezza della sua vita, la bellezza della sua esperienza, la bellezza di quello che ha costruito e quindi credo che sia doveroso che si citino queste cose, che si citano proprio come segno di gratitudine. Nel ‘98 tra l’altro credo mi pare, se non sbaglio, è che sia uscito anche il libro che veniva citato prima il libro di Rondoni con gli editoriali La maestà della vita eccetera, nel 2013 un altro spazio mostra su i sui suoi dipinti sul pugilato il Ring della vita. Insomma, la storia e la presenza di Testori è continuata. Io sono molto grata a chi ha organizzato questo incontro al meeting, e comunque agli organizzatori più prossimi di questo incontro, perché per me è stata l’occasione di riguardare questi 15 anni di amicizia e questo mi ha rimesso davanti a un fatto semplice quanto fondamentale cioè che nella vita veramente non c’è niente che conti più della carne di cui siamo fatti, per lui questo era evidente, per lui questo era evidente, c’era una carnalità in tutto, anche quella sua voce, così così nebbiosa… diceva di questo. Cioè, non c’era nessuna non c’era nessuna cosa finta tutto era terribilmente carnale terribilmente intessuto dentro la sua esperienza, niente credo che Testori sia stato un incontro in cui abbiamo, io in particolare ho sperimentato, che veramente non c’è niente che conti più dell’esperienza. Anche perché questa è la grande forza, sull’esperienza non si può barare nessuna esperienza, non te la puoi raccontare né sulla tua né su quella degli altri e con grande gratitudine Io credo che te stori sia stato un testimone di questo grazie.

 

Dall’Ombra. Ringrazio Tra l’altro vi consiglio di vedere integralmente questo intervento l’89 che è tutto presente in due parti sul sito del meeting perché si capisce molto bene anche come questi singoli giudizi, intanto Testori elogia ma anche critica, cioè non ha non ha peli sulla lingua anche nello sferzare diciamo il popolo che ha di fronte, ma soprattutto la cosa più importante io non riuscivo a trovare il taglio giusto, perché c’è un passaggio senza soluzione di continuità tra l’aspetto del teatro l’aspetto della fede l’aspetto di chi ha di fronte della cronaca, della società, cioè sentendo l’intervento nel suo complesso si capisce cosa vuol dire un uomo che si muove, unico cioè un uomo intero e non ha paura e non c’è pausa, non so come dire, tra tutti gli aspetti della vita che incontra.

 

Demattè (legge). “Eccovi qui pupazzi senza forma nel senso mucchi di polvere e stracci la notte è scesa un’altra volta su Monza sul convento sulla chiesa e sul giardino di Giampaolo e il Lambro continua ad andare e andare. Martino de Leyva signore di Monza gentiluomo di Boca, servo di Filippo, ma soprattutto ladro dei beni e delle proprietà che mi appartenevano di diritto mi senti? tu hai calpestato ogni principio di libertà in favore della forza del tuo re e della sua falsa religione che ne è le tue vittorie dei tuoi trionfi? a te che non hai avuto nessun pudore di distruggere la mia giovinezza il mio diritto ad esser libera e di volere ciò che la mia natura mi chiedeva a te che mai chiusa nelle quattro stanze di un convento per potermi defraudare in piena coscienza in piena coscienza dimenticare stasera io torno qui e grido: maledetto il giorno in cui hai messo incinta di me mia madre maledetto, ogni tuo gesto compiuto da vivo e maledetta ogni memoria che di te defunto o ancora restare. Compagne e superiore di quello che fu e resterà in eterno la mia prigione eccovi qui con tutti i morti del Convento del borgo e dei nostri disperati paesi se i nostri corpi hanno diritto a una Resurrezione che altra può essere se non questa, il verbo s’è fatto carne, tu lo sai Dio di materia e di sangue che ci guardi in questa notte di sortilegi e di paure, ma adesso è la carne che si alza da questa polvere per farsi verbo chiamare in giudizio te i tuoi disegni la tua stessa natura i fiori, amore mio, i fiori delle nostre primavere senza pace. I petali che mi sfogliavi sulla bocca no per parlarti così è ancora presto per dare senso alle nostre parole ci vuole un altro amore, non quello che univa la nostra carne ma quello che si gonfia di verità e di bestemmie. Francesca Imbersaga tu che tenevi le chiavi del convento e serravi e riserravi le porte dell’inferno dove è finita adesso la tua autorità e il tuo dominio quando mio padre stipulava col tuo ordine quel contratto infame e ladresco, tu eri bella nel parlatorio ed eri bella superiore del Convento. Perché non ti sei alzata e il nome della Santità e della Giustizia in cui credevi non hai gridato vattene ladro vattene cane i tuoi stessi figli il convento e luogo di probità e perfezione. Vi chiamo una per una, ma le vostre orecchie non sentono più nessuna voce. Eppure il 25 marzo 1589 li avete ben sentite le parole che vergate dal Molteno dal roncino dovevano decidere di me e della mia esistenza perché nessuno di voi ha avuto la forza di rifiutare un simile sopruso e denunciare il delitto che stava per essere compiuto a essere in gioco in quel momento era la mia vita tutta e intera. Mi sentite suore maledette? nessuno spirito di carità d’obbedienza e religione poteva e potrà mai essere contro la libertà della vita”.

 

 

Dall’Ombra. E’ l’incipit della monaca di Monza siamo nel 1967 e è un brano molto caro Angela Demattè e adesso ci racconterà cosa vuol dire incontrare Testori dopo Testori, cioè abbiamo visto e credo sia, diciamo apparso tutto molto a tutti molto chiaro quanto, per chi l’ha incontrato la presenza del Testori rimanga una presenza che agisce tutta la vita e credo che nelle parole di Riccardo Bonincina e Emilia Guarnieri si sia chiarito Insomma si sia stato molto evidente ma Testori per molti di noi è stato un incontro con la sua parola con i suoi scritti con i testimoni e un incontro oso dire non meno non meno detonante non meno sconvolgente e quindi era giusto diciamo avere anche un una testimonianza di cosa vuol dire incontrare Testori nella propria storia nella propria strada all’interno del Teatro con Angela Demattè una importante drammaturga e attrice del nostro tempo. Grazie.

 

Demattè. Grazie Davide. Grazie di questo un’ora di far parte di questo incontro a Giuseppe Frangi e tutta l’Associazione Testori. A proposito di amicizia. A dire la verità in questi giorni Io cercavo il testo l’incipit della monaca di Monza perché appunto fu il testo che Lucina Morlacchi che è stata una mia grande maestra una grande attrice per cui Giovanni Testore scrisse l’altra Monaca di Monza quella dei Promessi Sposi alla prova e Lucia Morlacchi nel 2003 mise in scena la monaca di Monza con la regia Dillo di Capitani questo testo è che ho letto è il testo che cercavo perché è tagliato nel testo integrale non lo trovo più non so dov’è il testo che ho tagliato. Allora io ho preso la pubblicazione e mi ricordavo esattamente i tagli, cioè dopo messo 20 anni no anche di più. Allora la cosa che mi colpisce è quanto le cose che noi facciamo negli anni della nostra formazione incidono sulla nostra vita e l’altra cosa che ha inciso profondamente la mia vita è questo racconto di questi giovani ragazzi che vanno a che da Giovanni Testori, così in modo spavaldo a chiedere l’incontro e questo certamente anche ha segnato la mia formazione. Quindi quello che voglio dire è che non solo ricordavo i tagli ma ricordavo anche le intonazioni di Lucilla, cioè i maestri fanno questo incidono qualcosa dentro di noi. Quella curiosità di questi ragazzi è proprio la curiosità che permise alla mia di sentirsi degna di manifestarsi ed incontrare e intervistare persone con la scusa di un testo teatrale da scrivere, ed è diventata la gioia prima del mio lavoro cioè io parto a scrivere i testi spessissimo intervistando delle persone andando a cercare anche in modo stravagante delle persone a intervistare Ma io vorrei tornare a parlare di Marianna De Leyva la monaca di Monza e questa Marianna che dice “Tu padre mi dovevi voler bene per come sono” questa Marianna che cerca l’amore in tutti i modi, anche i modi non leciti Ma pur vivi questa Marianna che sente l’ingiustizia del sentire che alla fine grida Cristo vieni giù anche tu, vieni giù anche tu come noi incarnati grido che torna in forme diverse ma tante volte nella rialda nel Fabbricone nell’Amleto nell’Odissea e in tanti altri testi. Cito solo quelli che mi hanno formato questo grido continuo incessante implorante l’ho sempre trovato vero e struggente credo abbia inciso in qualche modo il mio lavoro di autrice e di insegnante di autori, perché quel grido permetteva e permette a quella parte più nascosta e fonda di me e dei miei allievi di emergere, quella parte fonda io con i miei allievi la chiamo vergogna. Di cos’è che t’hai vergogna?” diceva mia madre. Io non sapevo tradurre a mia madre e tuttora non so tradurre questa parola e questo stato d’animo se non dicendo che la vergogna che sentivo per lungo tempo è stata la vergogna di chi vive con un linguaggio non appropriato per stare tra i giusti del mondo, il linguaggio di chi non sa parlar bene ma non è neanche giusto questo perché la vergogna che sentivo quando ero bambina non nasceva da questa consapevolezza, era un sentimento più fondo ed oscuro e puro allo stesso tempo e che forse voleva dire a mia madre: mi ami tu? anche con tutti i miei difetti? tu pensi che io sia degna di stare al mondo? questa parte antica è piccola è credo quella parte che Testori ci insegna a far parlare trasfigurandola nei personaggi che mette in scena. La nostra vergogna nascosta dico spesso ai miei allievi è la parte nostra che raggiunge il pubblico lì ci riconosciamo tutti lì il nostro testo diventa universale. Cosa si cerca in un maestro? si cerca uno specchio si cerca un padre si cerca qualcuno che ci conceda di esistere. Io credo di averlo trovato molto in Giovanni Testori e in ciò che nei suoi allievi è passato di lui. Mi ha permesso di scrivere la mia opera, la sua scrittura la sua generosità, permette a me moltissimi allievi più vecchi e più giovane di me di trovare la nostra parola, la nostra lingua personale in cosa consiste questa generosità testoriana lo dirò forse troppo semplicemente: nel cercare in tutti i modi di mettere in gioco quello che sente, senza sconti, rischiando tante volte la ridondanza e la ripetizione l’eccesso ma non scende mai sopra quello che sente o sotto quello che sente. E se quello che sente è pieno di contraddizioni proprio perché è pieno di contraddizioni di bisogno di bestemmiare lo mette in gioco e per questo gli serve il teatro, gli serve la parola incarnata che proprio perché si incarna non è costretta a rimanere nello spazio del giusto e dello sbagliato nello spazio della pura ragione, la parola che si fa carne può sopportare le contraddizioni dell’esistere, il corpo riempie di senso e colma ciò che non è comprensibile ciò che non può che rimanere enigma. L’essere umano si chiede come faccio a stare al mondo con le mie contraddizioni con i miei dilemmi? Ecco l’autore teatrale gli può rispondere non lo so ma posso metterli in gioco. Questo è un grande insegnamento di Testori di Shakespeare di tanti altri classici è veramente qualcosa che ci riallaccia la funzione antica del teatro che è una funzione mitica e sacra, dove la parola sacro conserva tutta la sua sfera misteriosa. Credo che questa questo debba possa fare un artista aiutarci a vedere quindi a sopportare talvolta anche a godere delle contraddizioni del nostro sentire proprio perché ha uno spazio per giocare le contraddizioni un luogo dove delle persone si trovano non per trovare delle parole giuste, ma delle parole vive. Può accettare di non risolvere di convivere con la vergogna dell’essere venuti al mondo. Vorrei concludere con un pezzo dell’Amleto che è un testo del 1972 quindi un testo che viene prima di tutte le cose che di cui abbiamo parlato di tutto, però un testo che fa sentire la lingua di Testori, la lingua che inventa ascoltando un grande attore come Franco Parenti. A proposito della cosa che ho detto prima e non vergognarsi di trovare una propria lingua no? perché c’è bisogno che la parola ritorni a farsi carne.

Legge: “Il mio papà mi ha dato l’am e s’è desmentegato da giuntarci il bleto in così desso che devo azionare me trovo me na pigotta fabbricata a metà e il braccio dei cui si e il braccio della No la gamba di sinistra si e quella di destra no. E così la testa in così bigoli in così il ventro cioè indomana roba che ho tutta intriga Ma cosa servisce avercelo il cuore avercelo tutto intrigo avercelo che se litiga se morde se sangue né marzisce a cosa se il resto in doma mezzo e per giunta sbagliato anche quello se se rabisce se se incazza se se impedisce se suda se perde sangue se perde bava ci si fa saltare in del via la grappa e inde poi franzise si è armeno resti qua a te a dirmi una delle tue poesie raccontarne vuna delle tue storie manca te la vita ti prende e te sei come el Battista hai scegliuto la voce che vosa in del deserto in così parli domate amore, ma che amore e in dove si trova in che anema In che buso della terra e dell’universo l’amore mi disse la vose che vosa in del deserto anche l’amore che ne valta, rispondeme in dove che sei santo ioanne senza l’aureola anche quello che se scadena contro il padre contro la madre contro la vida sì sei proprio te che m’ha risponduto? S’è proprio te o è istato invece un filo di paglia che sei piegato lì in la terra? mi disi di sì un’artra volta mi riempisci l’aria il cortile le nigore la crapa de si si si si si si. E lora va avanti anca se la crapa rava a spaccarsi indesu del tutto anche se da perdere per strada l’am e essere più niente de niente avanti senza più nessunissima fermata avanti amore anche se sei solamente disperazione avanti voglia di morire avanti in sino alla fine. Exit Amleto”

 

Dall’Ombra. E andiamo avanti quindi non con questo incontro che evidentemente giunge al termine, ma abbiamo tante possibilità per continuare questo rapporto con Giovanni Testori. Innanzitutto ricordo altri due incontri in qualche modo a lui dedicati l’incontro Testori Gaber e Jannacci che ci sarà domani alle 19, dopodomani l’incontro invece con altri tre protagonisti della storia di Giovanni Testori che sono Andrée Ruth Shammah, e Soffiantini Andrea Soffiantini e Walter Malosti che sarà martedì 22 alle 17 come adesso ma soprattutto vi invito ad andare a teatro al teatro Galli domani alle 21:30 ci sarà lo spettacolo Maddalene che mette in scena un testo molto particolare di Giovanni Testori tra arte poesia grazie proprio a la regia e interpretazione dello stesso Walter Malosti quindi vi invito assolutamente a non perdere questa occasione per sentire la straordinaria parola di Testori di cui avete avuto un graditissimo e credo toccante e assaggio. Grazie a tutti gli intervenuti e grazie a tutti voi

 

 

Data

20 Agosto 2023

Ora

17:00

Edizione

2023

Luogo

Sala Neri Generali-Cattolica
Categoria
Incontri