UN CAFFÈ CON…UN OPERATORE DEL TURISMO

Partecipa Graziano Debellini, Presidente Tivigest; Introduce Francesco Liuzzi, Docente Scuola di Impresa della Fondazione per la Sussidiarietà.

 

MODERATORE:
Buongiorno a tutti e benvenuti a questo terzo caffè. Mi sembra che di caffè in caffè, la fisionomia di chi è il protagonista nella grande avventura del lavoro si stia arricchendo di aspetti interessanti. Allora oggi facciamo un altro passo e la arricchiamo ancora di più, e per fare questo io do immediatamente la parola a Graziano Debellini, per un suo racconto, che poi andiamo ad approfondire, come sempre, con domande da parte vostra, che rendano la cosa il più conviviale possibile, come il titolo di questo ciclo ci invita a fare. Quindi beviamo un caffè insieme e facciamo una chiacchierata. Do subito la parola a Graziano Debellini.

GRAZIANO DEBELLINI:
Buongiorno a tutti. Eccoci qua. Tento di dire qualcosa che sia utile insieme a un caffè e a pochi istanti insieme. Giustamente lei mi ha fatto prima una provocazione, in un dialogo insieme provare a dire di una storia, che ha trent’anni, provare a dire quali sono quelle due o tre cose importanti, quelle che possono costituire un paragone, che possono interessare a tutti. La nostra è una storia di trent’anni, è la storia di un gruppo di amici. A me è rimasto impresso, l’ultima volta che ho incontrato Giussani, la frase che mi ha detto, che è in qualche modo la definizione che io serbo nel cuore di tutti i trent’anni, ha detto: la vostra è la storia di un gruppo di famiglie che si vogliono bene e che lavorano insieme da trent’anni, in fondo la vostra storia è proprio una cosa così: un piccolo gruppo di fraternità, nato negli anni dell’università, che incomincia a fare dei passi insieme nel lavoro. Oltretutto nella nostra storia c’è stata una caratteristica, innanzitutto quella di una estrema povertà, la maggior parte di noi, quando buona parte veniva dal Polesine, andava a lavorare per mantenersi negli studi. E quindi all’inizio di questa storia non ci sono capitali, non ci sono eredità, non ci sono grandi mezzi; c’era un’umanità, questo sì, che prima i genitori e poi un grande incontro ci hanno dato. Questo certamente. E gli anni dell’università sono stati quelli che hanno scoperchiato quale grande ricchezza c’era in questa storia, per cui quando ci siamo sposati e abbiamo cominciato i primi passi, voi dovete immaginare che noi avevamo solo un’idea: mantenere le nostre famiglie, non avevamo nessuna idea imprenditoriale. Nell’inizio della nostra storia non c’era nessuna idea imprenditoriale, l’idea che avevamo appena sposati era di poter mantenere le nostre famiglie. Per cui quello che è accaduto in trent’anni, quando penso ad oggi, a una storia aziendale che fa lavorare circa tremila famiglie, che dal turismo poi si è sviluppata in tanti campi, dall’energia eccetera, in Italia e nel mondo, io non posso non riandare sempre e sempre di più a quale è stata la sorgente. La sorgente è stata un’amicizia tra alcuni dentro un grande incontro. Badate, per dirla in modo totale e sincero, io devo sempre dire anche ai miei amici: noi abbiamo avuto un grande imprenditore, è stato don Gius, perché è stato lui che ha visto una cosa in noi, che noi non vedevamo. Vedeva una forza e una potenza, nella nostra amicizia, che noi non vedevamo, per cui quando in seguito a una esperienza quasi episodica e quasi casuale della gestione di un rifugio di alta montagna, nel 1977, lui vide in qualche modo la possibilità che nascesse qualcosa di nuovo nel turismo d’estate per i gruppi di CL, nel mondo cattolico, eccetera, noi l’abbiam seguito su una cosa che anche per noi era assolutamente imprevista e imprevedibile. E da quell’inizio, da quella fiducia, da quella preferenza, è nata poi una storia che ha prodotto, nell’arco di quattro o cinque anni e poi nel tempo, una delle più importanti aziende turistiche d’Italia. Prima sull’estate in montagna, poi sulla neve, poi sui laghi, sul mare, eccetera. Ma questa cosa nasce così, dentro una preferenza, dentro un incontro, dentro un’amicizia che trova la sua sorgente. E poi, come faccio a non dire che per venticinque anni abbiamo avuto la fortuna di averlo vicino nel mentre c’erano i convegni del movimento, e vedere come lui guardava il personale, come lui ci faceva capire come si correggono le persone che lavorano con te? Diceva sempre: è valorizzando che si correggono; e tutte le volte diceva la grandezza del servire ogni singola persona: non si serve il gruppo, si serve la persona. E attorno a questa presenza, a questo sguardo sull’umano, noi come dei bambini andavamo dietro. E la nostra forza, cosa è stata poi? E’ proprio quella, andando dietro un incontro così, vedere quale grande ricchezza era racchiusa in ogni persona e soprattutto in una unità, dentro una cosa più grande. E’ questo è ciò che ha permesso di diventare un’azienda, in cui il personale non sia innanzitutto un costo, ma sia un investimento, sia la cosa più grande. Siamo in un tempo nel quale, per tante aziende, i margini non ci sono più, e per chi non ha scoperto la grandezza di ciò che sono le persone, questo è un momento di disperazione; ma per chi ha scoperto che la grandezza di cos’è la persona, e la persona è il lavoro, e la persona è il lavoro dentro una storia comune, questo è un tempo in cui, pur con la sofferenza, si può vedere che razza di storia, che razza di tesoro c’è e dove sta l’oro dentro le imprese. Questo è il grande dono avuto, l’azienda è cresciuta, da degli alberghi in montagna e dalla povertà dell’inizio, da una professionalità che non c’era; noi non abbiamo mai progettato un’impresa, né le cinquanta aziende che sono nate in trent’anni, mai, abbiamo seguito un incontro, un’amicizia tra alcuni e le cose che accadevano, prendendo sempre di più la realtà come lo spazio nel quale qualcuno ti interroga, qualcuno ti provoca, e la realtà come un luogo nel quale tu vieni interpellato. Certo, dentro una guida, dentro qualcuno che ti fa vedere quello che succede nella realtà, dai bisogni alle possibilità, agli incontri. Lo sviluppo nostro è stata un’amicizia che attraverso degli incontri ha potuto maturare, riconoscere la ricchezza che aveva. Io a ventidue anni, ventitre anni, pensavo di non essere capace di far niente, in questo c’è un aspetto di verità, perché tu scopri la tua ricchezza attraverso degli incontri, e attraverso una storia, e attraverso uno scopo, perché bisogna scoprire che nella vita qualcuno ha pensato a uno scopo per te. Ed è una cosa grande l’azienda quando ha uno scopo che non è l’azienda, ma è come lo strumento, la possibilità, lo spazio, di dare un colore, una vivacità, un vestito, un significato, uno scopo, in cui deve sempre prevalere la persona e il suo destino. E’ questo che ti fa amare tutte le persone che son con te, facciam mille errori come tutti, ma questa cosa ci è chiara, e ci permette di ricominciare sempre. E da ultimo vorrei dire: è una cosa piccola nel turismo, ma me colpiscono in questo tempo due cose. La prima, come ai più grandi operatori del mondo e dell’Europa interessa incontrarci, conoscerci, collaborare con noi. I Club-Med: domani sera siamo qui con il presidente Giscard d’Estaing. E’ una persona che innanzitutto sulla concezione della persona e del lavoro, gli interessa creare partnership con noi, e domani sera abbiamo un incontro qui al Meeting con Giscard d’Estaing, con Arcuri di Sviluppo Italia, ma pensiamo anche al gruppo Alpitour. Si è creato un tavolo di amicizia e di attenzione con i più grandi gruppi; ma loro hanno le banche, la finanza internazionale, noi non abbiamo questo, ma c’è una cosa: l’oro è questa potenzialità, tirare fuori il positivo da ognuno, che è il cuore di questo Meeting, e questi primi pochi passi che noi facciamo ci hanno reso oggetto di attenzione da parte di tutto il mondo del turismo. E la seconda cosa che volevo dire è l’aspetto che si è sviluppato non propriamente sul turismo, ma su altri campi, nel campo dell’energia, dell’edilizia, delle costruzioni, eccetera, in Cile in Turchia, in Canada, in Etiopia. E’ una storia così: il cuore rimane la persona, dentro un’amicizia, dentro un incontro; la nostra è una storia così. Ed è per questa gratitudine che per noi cose come il Meeting fanno parte della vita della nostra azienda, non sono un prezzo da pagare.

MODERATORE:
Io voglio reagire immediatamente a questa apertura fatta da Graziano, sottolineando due punti di quello che lui ha detto, che sono assolutamente rivoluzionari rispetto alla mentalità normale con cui si ragiona per sé o per la propria azienda sul tema del lavoro. Il primo è questo: oggi si parla moltissimo di capitale umano, spesso parlare di capitale umano è una riflessione fatta come ciliegina sulla torta, sull’azienda, che è già stata costruita con altre logiche, con altre preoccupazioni, con altre enfasi, con altri obiettivi. Qui ci è stata raccontata una storia in cui l’umanità di alcuni è stato veramente il capitale, ciò da cui si è partito per investire. E mi sembra un tema veramente rivoluzionario, che si possa partire a costruire un business a partire dall’amicizia con alcuni e dalla passione a lasciarsi interrogare insieme dalla realtà che c’è intorno. Il secondo aspetto invece, per ciascuno di noi che ragiona sul proprio lavoro, direi che è quello che tu ci hai raccontato in termini di cosa ha voluto dire partire e quindi investire su una circostanza apparentemente banale, in cui un altro ha visto più a fondo e questa intuizione di un altro assieme all’amicizia con alcuni è diventato veramente una cosa a cui avete affidato la vostra costruttività. A me sembra che questi due punti siano veramente due punti che riecheggiano anche cose già dette ieri e l’altro ieri, ma che sono veramente rivoluzionarie. Quindi se su questi due punti vuoi, o sul primo in particolare, o sul secondo, intervenire, a me, per il lavoro che faccio, interessa molto capire in che modo questa origine dà forma anche al modo di trattare i propri collaboratori, di far crescere le persone, di coinvolgerle nell’azienda e quant’altro, a me personalmente.

GRAZIANO DEBELLINI:
Guardate, è un tema decisivo. Se c’è una cosa che sento come interesse nel mondo da parte dei grandi gruppi, anche delle multinazionali, è proprio questa: qual è il vostro segreto? Come è possibile che della gente si attacchi a un’azienda, si affezioni e maturi un’esperienza in cui non c’è solo un do ut des? Guardate che questa è la grande sfida e qui non servono i manuali di marketing americani, qui vanno bene tutti gli spunti organizzativi, qua ci vuole qualcosa d’altro. E noi qui, al Meeting, giriamo continuamente intorno a questa cosa, e a degli esempi che fanno vedere che quando c’è questa x, questo punto imprevedibile, è una cosa che nessuno di noi ha in mano, o possiede, e la può usare secondo il suo interesse. C’è questa cosa, o non c’è? C’è nella realtà questa cosa? Chi la cerca? Non so chi di voi c’era ieri mattina a vedere il filmato sul carcere, della mostra del carcere qui al Meeting, ma quando hanno chiesto a quei carcerati che vogliono scontare la pena, di venti, trent’anni, qualcuno l’ergastolo: Ma è successo qualcosa? Sì. Come è successo? Non lo so, ma è successo. E scoprono una positività, una speranza, dentro una situazione drammatica così, o come quella della Rose e di Vicky in Uganda. E’ la stessa cosa anche in un’azienda che fa turismo, che fa edilizia, eccetera, è la stessa partita, o può essere la stessa morte, come quella di gente rinchiusa in prigione, o afflitta da una grave malattia. E’ la stessa partita. Il grande dono ricevuto per noi è stato un incontro che continuamente ci fa rinnovare questo sguardo. Perché guardate, innanzitutto è uno sguardo, innanzitutto, perché vuol dire che io vedendo il don Gius, io e i miei amici, con Gino, Ezechiele e gli altri, vedendo il don Gius abbiamo visto uno sguardo sull’umano che non avevamo mai visto, che ci ha fatto pensare a quello che era lo sguardo di Gesù. E guardando quello sguardo il nostro tentativo si è realizzato, il nostro tentativo di accogliere della gente, di impostare un lavoro e di cominciare nel lavoro un dialogo, una correzione, di cercare per ognuno un compito, di portare insieme le cose, senza ideologizzare il capo in azienda, ma creare momenti di lavoro, di responsabilità e di corresponsabilità, avere a cuore di formare quadri e mille altri particolari. C’è un punto prima dell’aspetto aziendale, prima del marketing aziendale, prima della strategia, c’è un punto prima, che ti fa vedere sull’umano qualcosa. Poi è un tentativo, mille errori, mille correzioni, parti, riparti, perché anche costruire insieme il lavoro non è una cosa scontata. È un tentativo, da fare insieme guardando un’altra cosa. Noi, provando a farlo, in trent’anni, direi che abbiamo capito che questa strada c’è, esiste, non come modello, ma come tentativo, perché la cosa più grande rimane quello sguardo che abbiamo visto. Il nostro tentativo non è un modello che qualcuno imitando può ripetere, il nostro è il nostro tentativo, e deve essere il tentativo di ognuno. Noi ad esempio abbiamo avuto un episodio senza del quale io non so se noi saremmo qui. Quando nella festa della nostra compagnia, del nostro gruppo abbiamo avuto uno scoppio in seguito a una befana, in cui son morte due persone, sette bambini in coma, cinquanta feriti, in quel momento è come se tutto fosse andato a catafascio, tutto fosse finito; ma quel tornado che è entrato e che poi è stato per la città una testimonianza incredibile di unità, nessuno che ha fatto denunce, ecc. ma quella ferita, quel dolore, quella prova, è stata quella cosa che ci ha fatto capire che se ognuno di noi non è legato a qualcosa di più grande, ogni costruzione è proprio in balia del vento. I dolori, le piccole sconfitte in un’azienda, le piccole e grandi prove (abbiamo rischiato anche noi più di qualche volta nei passaggi) i dolori e le prove sono come delle cose che costringono a andare al cuore di un’altra cosa, che c’è dentro la tua vita un destino buono, un scopo. Guardate, se c’è questo, la cura e l’amore fino ai dettagli nell’esperienza del lavoro accadono, vengono fuori, sono tenuti in considerazione, sono il termine nei consigli d’amministrazione, nell’incontro dei quadri, nei vari momenti. Se non c’è questa cosa, è tutta un’impresa ideologica. L’altro aspetto importante che adesso mi richiamava lui – badate, io mi sono reso conto, siamo una piccola cosa nel mondo, anche se lavorano con noi tremila persone, è una briciolina, ma ha dentro un tesoro che i potenti del mondo guardano con un filo di invidia e di attenzione. Se noi la scopriamo, questa cosa può essere d’aiuto per tanti altri; se non la scopriamo, finiamo anche noi definiti dalle cose che facciamo. Perché è appassionante il fatto che per fare cose grandi nel mondo bisogna essere liberi dalle cose che si fanno; per amare il personale ecc. bisogna essere liberi dalla struttura delle cose. Se c’è questo punto di libertà, i dettagli, l’organizzazione e tutto diventano strumenti positivi. Altrimenti diventano soffocanti. Soffocanti come in tutto il mondo, stancano come in tutto il mondo, sono ripetitivi. L’altra cosa che volevo dire sulla seconda domanda è che non avevo mai immaginato di andare in giro per il mondo. Eppure oggi questo è un segno evidente. Primo, noi siamo nati in una piccola nicchia protetta, il mondo di Cl; a un certo punto, prima sul turismo, poi su tutto il resto, ci siamo confrontati col mondo. Siamo andati a confrontarci col mercato, pensavamo di essere una cosa piccola da tenere sotto il tavolo, invece avevamo addosso una ricchezza ricevuta che si poteva benissimo confrontare col mondo, e questi anni ci hanno detto quanto grande è la storia incontrata e la ricchezza umana incontrata. E confrontandoci col mondo, sul mercato, con le leggi di tutti, è diventata più vera la coscienza della sorgente dell’origine, in tutti i campi.

MODERATORE:
Mi pare che la ricchezza di quello che sta emergendo inviti tutti a fare domande, o a raccontare o fare osservazioni. C’è anche un microfono a disposizione per chiunque voglia intervenire. Sennò io vado serenamente avanti, perché sono incuriosito e colpito. Ecco, questa cosa dell’andare a paragonarsi col mondo, volevo capire meglio. Io voglio capire cosa muove da un lato, e cosa ti restituisce come valore, il fatto di fare il passo di andare a confrontarsi col mondo intero. Chiamiamolo mercato, ma mondo mi sembra una parola molto più intelligentemente suggestiva.

GRAZIANO DEBELLINI:
È una domanda complessa da fare dentro un caffè, però io tento. Innanzitutto il metodo di questa storia è sempre lo stesso: non parte da un progetto, parte da quello che succede. Perciò, per esempio, nello sviluppo parti da quello che succede, da degli incontri. È attraverso degli incontri che uno scopre il mondo, e scopre la potenzialità che c’è nel mondo, ed è confrontandosi con questi incontri che viene un suggerimento. Noi l’azienda l’abbiamo fatta sempre dopo, non avendo capitali, l’abbiamo fatta sempre dopo un incontro, dopo un’intuizione; dopo i primi passi, incominci a costruire l’azienda, dentro un gruppo di amici che cominciano con la precarietà dell’inizio, è sempre di una fragilità assoluta all’inizio. E poi pian piano, dopo questo inizio, incominci a fare i vari passi, ti dai gli strumenti: un capitale, delle società, degli strumenti, una sede, e pian piano anche l’organizzazione e le figure professionali diventano sempre di più una parte che dà una fisionomia di completezza all’azienda. Questa è la prima cosa. L’aspetto del mercato è stato parte di quello che ci è accaduto, cioè noi ci siamo accorti che quello che avevamo ricevuto non era una cosa per noi, era un bene per tutti, e perciò l’abbiamo giocata nello spazio, nella vita, ecc. e questo spazio, questi amici, questi incontri ci hanno detto che l’orizzonte è il mondo, non è Padova, il Veneto, ecc., il mondo, e perciò accogliendo l’orizzonte che nasceva dagli incontri siamo finiti in Etiopia, in Canada, in Cile, costruendo sempre dietro l’azienda, cioè rispondendo poi con uno strumento, con delle azioni, a questo input. Certo, fare un’azienda dopo trent’anni, oggi ci sono delle spalle grazie a Dio più grandi, più robuste, è più semplice. Quando si era ai primi passi erano dei passi più…però guardate, se c’è una cosa imprevedibile sono gli incontri, gli incontri danno un punto di imprevedibilità; tu puoi fare la tua cosetta passo dopo passo, programmata, oppure incontrare uno che ti porta in mezzo all’Oceano. Noi abbiamo sempre avuto la fortuna, sempre, di qualcuno che è venuto a casa nostra, ma che ci ha portato dentro l’orizzonte del mondo.

MODERATORE:
Magari sarebbe bello se qualcuno di questi incontri tu potessi raccontarcelo.

GRAZIANO DEBELLINI:
Farei tre esempi molto brevi. Molti di voi conoscono questa realtà laica, importante, internazionale, Club Mediterranée? È una realtà che è in borsa a Parigi, dentro c’è il re del Marocco, il Gruppo Rotschild, Air France, le Generali, ecc. eppure è stato possibile, è accaduto, un incontro, un dialogo, un paragone, la collaborazione delle partnership. O con il leader dell’Etiopia, che ha incontrato questa realtà e si è incuriosito: ma questi da dove vengono, da che mondo vengono, dove attingono questi criteri? E da lì nasce uno sguardo diverso, incominciano a nascere progetti profit e non profit. Così degli amici stanno costruendo la ferrovia tra Addis Abeba e il Gibuti e altri stanno costruendo delle scuole professionali, oppure un ragazzo giovane che parte, studia in Francia in una multinazionale dell’energia, torna e insieme nasce nel corso di quindici anni una delle più importanti aziende dell’energia, con presenze in Cile, in Perù, in Brasile, a Montreal, in Turchia. Gli incontri sono cose così, sempre una risorsa umana, sempre un contesto, e sempre una sintonia sullo scopo oppure una curiosità su questa sorgente.

MODERATORE:
L’hai già accennato in maniera interessante. Volevo capire nello sviluppo di questi anni che cosa ti e vi ha aiutato a non pensare a un certo punto che quella grandezza che all’inizio era evidentemente data, fosse come frutto di una propria capacità. Cosa vi ha aiutato a non smarrire questo punto.

GRAZIANO DEBELLINI:
È una domanda anche questa molto ampia. S. Ambrogio dice che i tesori più grandi sono quelli che si possono portare anche di là, e diceva: “si portano di là gli amici e le virtù, le persone care e le virtù”. Noi un pochino nell’incontro con don Giussani abbiamo tenuto presente questo. E perciò, mentre le cose crescono, se la memoria di questa cosa grande non diventa come la linfa e il sangue di un’azienda, dopo è inevitabile essere presi dalle cose, come è accaduto anche a noi e il rischio lo correremo sempre ogni giorno. Perciò un’amicizia che custodisce, che fa memoria della grandezza, di dove sta l’oro dell’impresa, questa cosa, questo richiamo ci vuole. Noi abbiamo avuto una storia grande e ricca da questo punto di vista, piena di richiamo, e tutta la nostra storia è piena di questo. E poi nella vita ci sono anche le sofferenze, che misteriosamente svelano questo stesso positivo. Perché uno lo capisce attraverso degli incontri positivi e valorizzatori, e anche attraverso le prove; capisce ciò che tiene nella vita, ciò che può dare volto a un’azienda, ciò che permette tutti i giorni di far lavorare tutta questa gente, di accoglierla, e di avere sempre il cuore pronto e disponibile. Ma dove volete che la troviamo questa forza qui? Se uno non ce l’ha, si stufa! Tutti, ogni imprenditore. Questa energia così, è una cosa che viene da fuori, ma quando entra dentro è custodita dalla fragilità di un’amicizia, di una compagnia. Noi siamo dentro una storia così. Per questo è una cosa grande la Compagnia delle Opere, per questo una cosa come la Fondazione suggerisce continuamente ciò che può dare fisionomia aziendale a qualcosa che nasce dal cristianesimo, che non nasce oggi, ma che da duemila anni suggerisce un certo modo di rapportarsi con le leggi, con lo stato, con le cose. È una storia grande, e la nostra amicizia è lo strumento con il quale provarla. Provarla e tentarla continuamente.

DOMANDA:
Grazie, ci puoi dire qualcosa sull’aspetto del passaggio generazionale, eventuale?

GRAZIANO DEBELLINI:
È una domanda importante, perché un aspetto del non attaccamento a un progetto e a un ruolo, è la valorizzazione delle risorse. Nel nostro caso, la nostra azienda non si è attaccata all’aspetto generazionale e familiare, abbiamo fatto una scelta diversa, in qualche modo di affidare la proprietà ultima a una specie di fondazione, e perciò una possibilità grandissima di valorizzare secondo un cammino di risorse, di incontri. In questo senso, se non c’è un attaccamento a un ruolo, come tante volte suggeriscono questi incontri, la valorizzazione degli altri diventa strategica. Noi abbiamo la fortuna di una seconda e terza generazione che sta crescendo, ma cresce se lo spazio del nostro cuore ha questa possibilità; perché questo è un problema di concezione. In questo ci vuole una capacità di corresponsabilità, di conduzione insieme, non dico di un unanimismo, ma di saper lavorare insieme, perché è come una cosa che rende il ruolo più flessibile, più utile, più duttile. Senza questa correzione è difficile la valorizzazione delle nuove generazioni, diventa facile attaccarsi a dei ruoli. Io credo che noi abbiamo la fortuna di star dentro a una storia che continuamente, anche quando noi per primi ci incrostiamo, ci attacchiamo a queste cose, suggerisce di non mollare su questo punto. Perché guardate, la valorizzazione degli altri, creare quadri nuovi ha un aspetto di conversione umana, per cui capisci veramente quello in cui credi; se tu cominci a pensare alla tua vita, al tuo destino come una cosa che comincia e che finisce, che non è una cosa eterna, capisci che hai un compito più grande, e chi capisce che il suo compito è dentro un compito più grande ci tiene che questo compito nelle cose più belle ed essenziali possa essere anche in qualche modo affidato, affidato e riaffilato. Se c’è questo, poi nell’azienda si trovano tutti i modi, formali, giuridici, ecc., di trasformare questo in una intelligenza, capace di formare e di valorizzare le nuove generazioni in un modo più capace di far rischiare a loro fino in fondo la partita umana dentro questo paragone, dentro questa sorgente.

DOMANDA:
Qual è il metodo che può rendere replicabile un’esperienza così, in termini di educazione? Che educazione ci vuole, che metodo permette che questa cosa accada anche altrove?

GRAZIANO DEBELLINI:
Innanzitutto non deve succedere che le cose si ripetano come sono successe a noi, perché c’è un aspetto di questa cosa che è una storia, la tua storia, la mia storia, e vorrei esprimere come questa parola contiene una cosa grandissima. Il buon Dio ha creato una cosa grande per ciascuno, e la parola storia è la parola che serve a dire un po’ questo, ha pensato per ognuno una storia buona, in cui la realtà delle cose che ti accadono, gli incontri, i doni che hai ricevuto sono i primi elementi di questo metodo. La prima cosa è accorgersi, accorgersi, la prima cosa di un’amicizia come la nostra compagnia è accorgersi che c’è questa presenza che ti fa scoprire la tua ricchezza, che ti fa scoprire che ti sono dati dei doni per un compito, per un incontro. E allora tu arrivi alla realtà in un certo modo, il primo elemento di questo metodo è che da solo non ce la puoi fare, da solo non ti accorgi, e perciò questa umiltà, questa umiltà nel guardare, questa umiltà nel chiedere, questa umiltà nel paragonarsi, questa umiltà nell’andare in cerca, questa è una cosa grande. Con l’umiltà tu trovi il tesoro del filo rosso di questo metodo. Ci vuole questo, è uno sguardo, un’attenzione, è un accorgersi. Poi incomincia una storia. Incomincia la storia del tuo tentativo, delle tue capacità che vengono fuori, che si confrontano con altri, che si confrontano col mondo e col mercato, con le sue leggi, con le sue regole, nulla si butta via di questo. Ma il metodo è una compagnia dentro la quale essere aiutati ad accorgersi. Questo accorgersi è della persona, non è mai del gruppo, il gruppo è la modalità, una compagnia è la modalità con la quale esplode la personalità di uno. La grande caratteristica del metodo è questa apertura qui, questa finestra aperta su ciò che accade nella realtà. Uno che si accorge, il primo tesoro è il dono di questa coscienza, di questa apertura, di questa umiltà, il resto viene facilmente secondo i doni di ognuno.

DOMANDA:
Volevo tornare un attimo al discorso della persona in azienda. Lavorare nel turismo, lavorare nel campo dei servizi, vuol dire servire. Questo vuol dire che i lavori, al di là dei quadri, dei manager, possono essere lavori molto umili, molto ripetitivi, molto semplici e banali. Ti ho sentito una volta dare una definizione di servizio e di servire che mi è piaciuta molto, e vorrei che in questa occasione ci ripetessi, che cosa significa comunicare questo a delle persone, a degli operativi che fanno un lavoro così, che per alcuni può essere una prigione, un carcere, il lavoro peggiore, oppure può avere un significato diverso?

GRAZIANO DEBELLINI:
Ti ringrazio in modo particolare di questa domanda, perché è una domanda che segna la nostra storia, è la spina dorsale. Perché noi nasciamo dal niente, nasciamo in un’azienda non di capitali ma di servizi, e il turismo è questo. Oggi oltretutto, nel vento economico generale italiano, internazionale, è uno dei settori diventato difficilissimo, complesso nel paragone con tutto il mondo ecc. in cui brilla ancor di più se c’è questa cosa che tu stai dicendo, perché se non c’è, non essendo più uno dei grandi settori trainanti economicamente, come reddito ecc., la cosa diventa ancor di più drammatica. La tua domanda sul servire comunque dice una cosa grande. Io credevo che Giussani scherzasse quando mi diceva che se non avesse fatto il prete avrebbe fatto il cameriere. Credevo che fosse una battuta; non era una battuta! Perché poi l’ho visto, e l’han visto i miei amici, e l’avete visto tanti di voi, come lui serviva ogni persona, e quei lavori umili, umili, che nel mondo sono considerati solo mortificanti, contengono invece una possibilità di crescita, di espressione personale, di scoperta di come è la vita, molto più grande. Tu con umiltà vedi di più; con la presunzione vedi di meno, inchinandoti, come in quel bellissimo film “La vita è bella” di Benigni. In quell’immagine il servizio del cameriere è un atto divino, il servire non è diventare schiavi, è una cosa che ti rende libero. C’è un mondo che non ci fa più scoprire come servire, e perciò le cose umili, che sono quelle di una casa, di una donna che serve in casa, fino al nostro lavoro pianificato, pulire bagni, camere, preparare, preparare, una montagna di cose umili, ripetitive ma tutto fatto a qualcuno, fatto per qualcuno. Noi abbiamo trovato uno che serviva per primo, e per il quale servire voleva dire vedere di più, scoprire di più la realtà, voleva dire diventare più grandi con il cuore, e perciò più incontri, più possibilità di bene. Più uno impara a servire la persona, più attinge questa ricchezza.

MODERATORE:
nel ringraziare moltissimo Graziano, vi ricordo che domani incontreremo un medico, che è Raffaele Pugliese. Grazie, buon Meeting.

(Trascrizione non rivista dai relatori)

Data

27 Agosto 2008

Ora

13:45

Edizione

2008

Luogo

PAD. C1
Categoria
Incontri