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UCRAINA: IL REALISMO DELLA SPERANZA
Partecipa Constantin Sigov, Filosofo e Docente all’Università Nazionale di Kiev-Mohyla, Ucraina. Introduce Alberto Savorana, Portavoce di Comunione e Liberazione.
ALBERTO SAVORANA:
Buonasera a tutti, data l’ora, verrebbe da dire buonanotte a tutti, ma credo che il motivo che ci raduna qui questa sera sia di per sé sufficiente per tenere desta l’attenzione, perché è un moto di profonda simpatia umana che mi fa essere qui questa sera; quella stessa simpatia che tanti di noi abbiamo provato in quell’inizio di Dicembre dello scorso anno, quando abbiamo visto quelle immagini drammatiche e belle di una piazza che noi tutti abbiamo imparato chiamarsi Maidan, a Kiev. Centinaia di migliaia di persone pacificamente in piazza per affermare la dignità della vita dei propri giovani, ingiustamente fatti oggetto di violenza. Da allora sono successe molte cose, la storia ha preso una piega per tanti versi drammatica, in certi casi tragica; ma quel filo di simpatia, quel filo di interesse per la vita di quei nostri fratelli ucraini, non è venuto meno anzi si è aggravato il desiderio di capire, di renderci più conto del segreto, della natura di quell’inizio, di quell’inizio che contiene una promessa di bene, di positività, che contiene il realismo della speranza come è stato intitolato questo incontro ed è un titolo eccezionale, perché questa sera dialogheremo con uno dei protagonisti di quell’inizio, un intellettuale che si presenterà lui stesso: Constantin Sigov, al quale sentiamo di essere legati per la comune passione per la vita, perché lo sentirete, ma è uno che tiene alla sua vita, è uno per cui l’esistenza è un bene da far sviluppare, evolvere e allora io questa sera vorrei dialogare con lui. Ho una lunga fila di domande ma non scoraggiatevi, il tempo sarà quello strettamente necessario a questo dialogo. Io chiederei innanzitutto a Sigov di introdurci in questo dialogo presentandosi, dicendoci qualcosa di sé, della sua vita personale, storia professionale e di come mai si è trovato un bel giorno in una periferia che tanti di noi non avrebbero saputo indicare sulla carta geografica. Una periferia che, per iniziativa di alcuni uomini, di alcuni io, si è trovata improvvisamente a diventare un crocevia, un centro dal quale passava la storia contemporanea. Per l’iniziativa di io, di persone: lui è uno di quelli. Allora, se ci dici qualche cosa di te e ci fai vedere, perché ha portato anche un piccolo video che ci proietterà indietro di qualche mese, quando è cominciato tutto…
COSTANTIN SIGOV:
Grazie mille per la vostra ospitalità, in tempi così difficili per l’Ucraina mi hanno invitato a testimoniare su di essa, a testimoniare della speranza e la vostra fiducia mi dispone a essere sincero, aperto, schietto. Ma un filosofo non può parlare della sua biografia se non cominciando dalla critica all’idea che in genere ci si fa sull’epoca del post-moderno. L’idea cioè che la storia dell’individuo inizi da lui stesso in quanto tale, dal suo racconto su se stesso e basta; il mio filo s’intreccia in un tessuto, in una trama di storia, dei miei maestri che mi hanno dato la vita. Io sono nato a Kiev nel 1962 e mi hanno chiamato Constantin e quante strade di storia ci sono in questo mio nome lo ricorda proprio poco tempo fa l’Editto di Milano. I miei genitori mi hanno amato e mi hanno educato con grande amore insieme a mio fratello, la casa era sempre aperta agli amici e c’era una grande ospitalità nei confronti di tutti quelli che venivano a studiare a Kiev da altre città dell’Ucraina. In casa nostra, spesso, la gente trovava quel calore familiare di cui aveva bisogno, e per molti la nostra casa era diventata la loro casa. In mio padre molti hanno trovato quel principio paterno che cercavano e questo mi ha fatto approfondire di più lo sguardo su chi fosse quello che io così familiarmente ero abituato a chiamare papà. Mio padre non era un dissidente ma era contento, aveva la gioia di essere amico di altri dissidenti. La sua lontananza dall’ideologia sovietica era aiutata dal fatto che i miei genitori erano insegnanti di scienze esatte all’università. Erano stati battezzati dopo che erano nati nel 1929 e noi nella nostra infanzia non siamo stati battezzati, noi abbiamo scoperto Cristo insieme a mia moglie Irina e siamo stati battezzati insieme a nostro figlio, nel 1989l’anno in cui crollò il muro di Berlino, quando il nostro amico ha visitato per la prima volta l’ex Unione Sovietica. Superare questa distanza tra la nostra vita e la vita della Chiesa, in questo siamo stati aiutati dalla nostra madrina, una poetessa moscovita, Olga Sedakova, che ci ha svelato la sintesi vivente di una pratica e ci ha fatto vedere la vicinanza di Atene e di Gerusalemme. Negli anni della Glasnost, della trasparenza, io ho studiato in un primo tempo alla facoltà di filosofia di Kiev e ho avuto la fortuna di avere come guida scientifica un vero e proprio filosofo Krimsky. Per lui la sua casa era la cattedrale di Santa Sofia di Kiev e lui in maniera molto stretta, intima e misteriosa mi ha fatto conoscere da vicino, mi ha presentato tutti quei santi che così con grande austerità mi guardavano dagli affreschi e dai mosaici dell’XI sec. Questa profonda parentela dei mosaici di Kiev con i mosaici di Ravenna, ha fatto sì che da quel momento, per sempre, io sia stato legato con l’Italia. Ma a quei tempi i confini erano chiusi e assolutamente non era possibile venire in Italia; ma l’epoca della trasparenza. Cioè l’epoca post sovietica, mi ha aiutato a vedere e conoscere la possibilità di una lotta per una perestroika, per un rinnovamento. Io sono andato verso il centro della perestroika e sono andato a studiare a studiare a Mosca, alla facoltà di filosofia. Andavo a Mosca due mesi all’anno, cioè studiavo per corrispondenza, venivo poi a Mosca due mesi all’anno per dare gli esami e a mia volta poi invitavo i migliori autori di Mosca a pubblicare dei testi nuovi, liberi, nella rivista di filosofia di Kiev. Io facevo parte appunto del Comitato redazionale di questa rivista, in questo modo abbiamo fatto conoscenza con il grande maestro di Olga Sedakova, il grande pensatore protagonista della cultura cristiana Sergej Averincev. In seguito la nostra casa editrice “Lo spirito e la lettera” pubblicò la sua opera omnia e quando noi lavoravamo sul primo volume di quest’opera per me è avvenuto un avvenimento molto importante. Per grazia di Dio la nostra vita ci ha fatto conoscere il mio padre spirituale che è qui presente oggi, e questi addirittura riuscì a battezzare mio padre nel 1999. Pensate che in uno degli uffici della nostra casa editrice anche il mio antico maestro di filosofia Krimsky venne poi battezzato. Così quella generazione che ci aveva dato la vita, che ci aveva educato, ci aveva fatto crescere venne a sua volta educata, introdotta alla Chiesa, come se fosse la generazione più giovane rispetto a noi. A metà degli anni Novanta, insieme ad Averincev e alla Sedakova, noi siamo stati per tre volte a incontri e a pranzo con Papa Giovanni Paolo II. In quegli anni si parlava molto del suo possibile pellegrinaggio, che tanto desiderava fare in Ucraina e in Russia. Voi sapete quale grandissimo significato ha avuto la sua visita per la nostra società e per tutta la nostra comunità europea, la sua visita a Kiev, e comunque per tutta l’Ucraina. Voi sapete anche che lui non ha invece avuto la possibilità di visitare la Russia. Lui aveva un grandissimo desiderio di venire in Russia, non poteva chiamare con i propri nomi quelle forze che non gli permisero di aprire la strada dopo Kiev verso ancora l’Oriente e per lui fu un grande dolore, ora è molto più semplice fare i nomi di quei cerberi dell’isolazionismo ma questo non consola certo il nostro dolore. Insieme con la generazione di Joseph Ratzinger, anche egli conosceva bene per esperienza la terribile macchina dei regimi totalitari nel continente europeo e quindi capiva quanto fosse importante che ci fosse un processo spirituale e non solo politico per la liberazione da questa ideologia disumana. Ieri, Parigi ha celebrato i settant’anni della liberazione di Parigi dopo l’occupazione tedesca. I miei genitori ricordavano la liberazione di Kiev dall’occupazione tedesca, voi potete raccontare più di me della liberazione dell’Italia e di come la generazione di De Gasperi costruisse l’Europa post totalitaria. In Ucraina questo processo non si è mai interrotto dopo l’indipendenza dell’Ucraina nel 1991, per 23 anni, senza zig zag, senza intervalli, senza rotture, tre generazioni sono state educate in uno spirito di attenzione alla realtà, al contatto e noi non abbiamo partecipato nel 1993 alla guerra cecena, i nostri figli non hanno mai partecipato a conflitti armati, sia la vecchia generazione sia quella dei nostri figli ha capito che questo è un’enorme lavoro, la liberazione di tutta Europa dall’Atlantico agli Urali. Oggi noi capiamo che questo compito continua, non nell’illusione che tutto in qualche modo si sistemerà, che noi troveremo una vita agiata, confortevole, senza responsabilità. No, noi capiamo invece che ciascuno di noi oggi è chiamato a essere responsabile, a partecipare a quello a cui ha partecipato la generazione dei nostri maestri, la generazione di Giovanni Paolo II.
ALBERTO SAVORANA:
Un uomo con questa storia, con questi maestri, con questa educazione all’attenzione alla realtà si è trovato nel Dicembre dello scorso anno tra i protagonisti di quello che è diventato il Maidan. Oggi ho visitato la mostra dedicata a Péguy, qui al Meeting, e in una delle prime sale c’è una grande frase che campeggia su una parete. Appena l’ho letta io ho pensato a voi, a te, a Filonenko, perché non conosco altri di quella terra, ma è stato immediato pensare a voi e mi son detto: questa sera a Sigov chiedo se c’è qualcosa di simile che riconosce nella sua esperienza di questo anno. La frase è questa: “Fin da ragazzo mi ha guidato un’idea semplice: dovevamo iniziare la rivoluzione del mondo dalla rivoluzione di noi stessi”. Péguy socialista tra la fine dell’’800 e l’inizio del ’900 sente profondamente questa istanza di cambiamento ma identifica fin dall’inizio l’origine di questo cambiamento in se stesso. Ti domando: è accaduto qualcosa di simile a te e a voi in questo tempo che vi ha portato alla ribalta dell’attenzione mondiale?
COSTANTIN SIGOV:
Grazie a Dio, io credo che gli Ucraini per fortuna siano un po’ di più di me e Filonenko e basta e in realtà noi effettivamente siamo delle gocce che rappresentano un oceano ed io sono molto felice che il suo libro si chiami proprio L’oceano del mistero e sono molto felice che per questo libro sia stato fatto qui quello che non è stato fatto a Kiev. Elena Mazzola e Anna sono riuscite a spremere goccia a goccia Filonenko fino a farne uscire un intero oceano e questo è possibile soltanto grazie ad una amicizia, a una amicizia così infuocata, fiammeggiante ed esigente come avviene solo in Italia. Affinché voi possiate credermi sulla parola, sul fatto che noi siamo soltanto delle piccole voci di un coro, di un enorme oceano, forse potrebbe avere senso vedere adesso, per due minuti, un piccolo video che è stato fatto e racconteremo quindi degli avvenimenti di Kiev.
Video
COSTANTIN SIGOV:
Dopo quello che avete visto è importante per voi avere un filo conduttore molto importante, che collega quello che sta succedendo adesso qui a Rimini con quello che è avvenuto a Kiev. Alla fine di Novembre e poi per tutto Dicembre e l’inizio di Gennaio, il Maidan è stato un’enorme ondata di lavoro di volontari. Questa ondata di lavoro di volontari, di movimento di volontari, era difficile immaginarselo in uno spazio del mondo sovietico, ricordate come Hannah Arendt dica che il compito del totalitarismo è di atomizzare la società, spezzare tutto in frammenti, affinché la gente sia divisa e non possa fare insieme un’opera comune. Il principio che rallegra maggiormente nel nostro Paese, all’inizio di questo XXI sec., anche in Russia, è stato questo movimento di volontari, di aiuto a tutti coloro che nella società post sovietica erano stati ricacciati nella povertà, gente che era invalida, quelli che più di tutti avevano subito fortemente le conseguenze della disumanità imperante. Sul Maidan, non appena la gente vide il primo esplodere delle repressioni da parte dell’autorità, subito ha cominciato un movimento per ricostruire in maniera umana la vita sullo stesso Maidan. Era inverno, freddo, Dicembre, per cui la gente portava vestiti caldi, roba da mangiare, medicine e tutto questo veniva fatto gratuitamente e già allora cominciava una propaganda falsa e la gente invece scriveva anche sui vestiti: non siamo qui per i soldi. La gente portava anzi soldi, denaro, per sostenere questo movimento di solidarietà e questa gioia di poter servire gli altri era un movimento di comunione che concretamente si incarnava nel tè caldo, nei panini offerti dalle persone più belle, dai volti più belli del nostro Paese. Questo mi ha aiutato a liberarmi da qualunque sfumatura di esotismo. Posso dirvi che quelle migliaia di volontari che lavorano qui, fanno esattamente la stessa cosa che facevano i nostri volontari a Kiev. E’ lo stesso spirito, lo stesso movimento di amore, di solidarietà a crescere in questo. E’ bellissimo che a Rimini voi riusciate a tenere questo spirito per un’intera settimana e lo prepariate per mesi e mesi; a Kiev c’è stata una prima settimana e poi il primo Dicembre io, mia moglie e i miei figli siamo stati insieme a mezzo milione di abitanti di Kiev, sulla piazza, quando abbiamo deciso che non avremmo abbandonato il Maidan. Poi c’è stata la seconda settima, l’8 Dicembre, che nel nostro calendario è la festa del Santo Martire Papa Clemente Romano; quest’anno non a caso questa festa è caduta di domenica e centinaia di migliaia di persone sulla piazza di Kiev hanno festeggiato questa festa straordinaria, cioè il protettore di Kiev, le cui reliquie si trovano da noi e con cui è stata battezzata la Rus’ mille anni fa. Nella Santa Sofia di Kiev c’è un museo dell’XI sec., in cui c’è Papa Clemente insieme a grandi padri e dottori della Chiesa come Giovanni Crisostomo, Basilio il grande e così via. Ebbene questa è stata la prima settimana, analoga alla settimana del Meeting. Poi sono venuti tempi più difficili e questo movimento di volontari ha continuato la seconda, la terza, la quarta, la quinta settimana ed io devo dirvi, la cosa che più ti colpisce, è che questo movimento di volontari continua anche oggi, ma di questo parleremo poi dopo. E’ il filo che lega la fine del 2013 e ormai l’estate del 2014, non è giusto dire che si è scavato un abisso tra questi due periodi e ora voglio dire un’altra cosa importante. Io devo dire che la nostra casa editrice è stata molto ispirata dall’esempio di Péguy, come scrittore e editore è stato per noi davvero un modello. Io ho insegnato all’università di Parigi dal ’91 al ’95 e abitavo in una via proprio vicino alla casa editrice Péguy. La mia casa editrice, “Lo spirito e la lettera”, è nata con la speranza che anche noi, nella nostra terra, possiamo tradurre in atto quello stesso spirito che aveva animato Péguy; ebbene i versi biblici di Péguy fanno vedere come la nostra quotidianità di oggi faccia parte dello spazio, della storia biblica. Proprio questa apertura alla dimensione degli spazi biblici, è diventato l’avvenimento di questo inverno in tutta l’Ucraina, non solo a Kiev ma anche in tante altre città. Ci sono due modi di capire o non capire la Bibbia: il primo è il modo di non aprirla mai, in epoca sovietica era proibito pubblicare la Bibbia, in casa nessuno o quasi ce l’aveva ed io per la prima volta ho chiesto la Bibbia in Cecoslovacchia, quando ero riuscito negli anni della perestroika ad andare là. Ma probabilmente anche in Italia ci sono persone che non aprono la Bibbia tutti i giorni, un altro modo di non capire la Bibbia è sapere qualcosa di superficiale e limitarsi a qualche immagine, a qualche quadro. Non staremo a perdere il nostro prezioso tempo criticando uno sguardo superficiale sulla Bibbia. Meglio che noi facciamo vedere il paradosso e il vantaggio di quelli che non hanno mai saputo niente delle storie della Bibbia; oggi non è una rarità che la gente non sappia più niente della Bibbia. Un grande biblista raccontava una volta sorridendo questo episodio: lui per la prima volta stava parlando agli studenti americani di come Eva aveva colto la mela dall’albero della conoscenza, come Eva l’aveva addentata, come aveva poi teso la mela ad Adamo e gli studenti ascoltavano questa storia con un interesse sempre crescente e chiedevano: e poi cosa succede? Questa storia come andrà a finire? Cosa farà poi Adamo con questa mela? L’assaggerà anche lui? Poi che cosa succederà a questi due ragazzi? In realtà non sapevano niente di questo che è il libro dei libri, ma in questa totale ignoranza si può trovare un aspetto positivo: gli studenti erano per lo meno interessati, e questa è la gioia, sapere qualcosa di nuovo su Adamo ed Eva, cosa veramente fosse capitato. Proviamo a non ridere di questi studenti americani, lasciamo perdere un attimo la superiorità degli studenti europei, italiani, ucraini, russi o polacchi, proviamo a fare anche noi una specie di esperimento mentale. Immaginiamo di avere letto solamente adesso per la prima volta di Adamo ed Eva, Caino e Abele, di Noè e del diluvio universale, della torre di Babele e della confusione delle lingue, proviamo a pensare di ascoltare solo adesso la storia di Mosè e di essere arrivati solamente a metà dell’esodo dall’Egitto. Noi non sappiamo niente del re Saulo e tanto meno non sappiamo chi sia Davide e come finirà la sua storia. Proviamo adesso a dimenticare tutti quei bellissimi quadri che esistono di Davide, capisco che in Italia sia molto difficile, quasi impossibile chiedere una cosa del genere, ma provate a pensare per un attimo di non aver mai visto Caravaggio, di non ricordare di come lui abbia raffigurato Davide; se il nostro Meeting non fosse in Italia ma a New York o in Cina forse sarebbe più semplice e più semplice metterci d’accordo di dimenticare almeno per mezz’ora Caravaggio. Questo esperimento può aiutare a chiarire la mia ipotesi: quale momento della storia sta attraversando oggi il nostro continente? Permettetemi di mostrare la mia ipotesi attraverso una breve analogia. Io dirò del tutto apertamente, con la sincerità a cui mi tiene la vostra fiducia, la fiducia di quelli che mi hanno invitato qui, che si tratta di un dramma che noi non conosciamo, che possiamo immaginare di non sapere come vada a finire il duello tra Davide e Golia, di non sapere oggi come andrà…, non ne sappiamo niente; e per questo prendiamo il protagonista di una periferia, un outsider, uno che non è preso sul serio dai suoi fratelli maggiori – questo era appunto, il giovinetto Davide. Chi di voi non viene praticamente terrorizzato al pensiero di un incontro, di un duello con un uomo così mostruoso, crudele, efferato come poteva essere Golia? Immaginatevi di avere il cuore gelato all’idea di vedere questo piccolo volontario magrolino che si chiama Davide. Sta avanzando davanti a noi senza elmo, senza armatura, senza scudo, di fronte a questo Golia che era il terrore di tutti gli altri soldati, era questo grande gigante. Per noi è difficile vedere tutta la tragicità e drammaticità di questa scena e il terribile prezzo che questo straordinario volontario, Davide, era pronto a pagare. Noi cerchiamo di tenerci lontano dall’abisso al quale invece lui guarda con coraggio e io sul Maidan mi sono incontrato con persone così, io conosco i loro volti; noi di solito ci nascondiamo dietro un paravento e ci trinceriamo perché sappiamo che c’è il lieto fine, ma la Bibbia non è un repertorio di quiz che hanno poi alla fine la loro risoluzione, non esiste una risposta già pronta sulla questione della vita e della morte di ciascuno che parteciperà alla battaglia. Dov’è il creatore nel momento del pericolo mortale della sua creatura, di questa persona che non ha uguali al mondo? Qual è la mano che può sostenere un uomo quando quest’uomo decide di uscire dalla folla e di offrire in sacrificio la propria vita, di dare la propria vita per i propri amici? Davide chi sta difendendo? I suoi fratelli, i suoi amici, il suo popolo? Io direi di più, perché Davide sta difendendo la speranza e vediamo che i soldati più forti abbassano le mani senza speranza e si sta distruggendo come sabbia la forza degli atleti e degli eserciti. Invece un debole volontario decide di portare il suo contributo decisivo che cambia immediatamente il senso della battaglia e in secondo luogo porta ad una svolta totale nel corso della battaglia. Dimentichiamoci adesso del lieto fine, non è difficile, ma dobbiamo a questo punto lasciar perdere la droga che può essere l’happy end, il lieto fine. Qui adesso, in questo momento non sappiamo che cosa farà il mostruoso Golia, se concerà per le feste il povero volontario Davide, dimentichiamo i loro nomi, lasciamo perdere quello che noi sappiamo della loro storia, proviamo a immaginarci di avere davanti a noi la scena: da un lato questo mostro, questo gigante armato fino ai denti che è stato sempre il vincitore dei soldati più forti e adesso questo terribile guerriero sta venendo verso di me. Ma per fortuna, mentre lui sta continuando a venire verso di me, ecco che si sente un’altra voce, è la voce dell’uomo che oggi sta continuando il compito che un giorno fu quello di Davide, ebbene il nome di quest’uomo, il Davide di oggi, è di nome Francesco. Che strano volontario Francesco! Ormai certamente non è più un ragazzino come Davide, anzi è un venerando vecchio. Un uomo però che non è capace di stare zitto come gli altri e mascherarsi dietro un muro di indifferenza, sebbene intorno a lui abbiano scavato tutto un fossato di paura e abbiano riempito questo fossato dell’acqua della menzogna o della mezza verità. Questo volontario senza pari, esce dalle mura, fa calare un ponte e attraversa questo fossato della paura. Ecco i suoi passi concreti verso la periferia e non soltanto chiama lì altre persone, manda degli altri, ma lui stesso va nelle periferie e quando ci è arrivato, leva le sue braccia verso il cielo in modo tale che il mio e il vostro sguardo si alzino, e lo fa alzare dove? Dove c’è il cielo, forse c’è una stella, un punto di vista da cui è possibile vedere tutta la superficie della terra che è tutta un’unica e sola periferia. Adesso possiamo dire che siamo in una notte buia, è il tempo delle tenebre, ma abbiamo anche la possibilità di vedere che il vostro Paese e il nostro Paese e i Paesi vicino a noi sono sotto lo stesso cielo stellato. E’ difficile opporsi alla paura della violenza che è impersonata dal nome di Golia. Il primo Libro dei Re ci dice che tutti gli israeliti, visto Golia, visto quest’uomo, fuggivano da lui, tutti erano terrorizzati. Provate ad aprire il XVII cap. del primo Libro dei Re e vediamo che anche oggi tanti leader di tanti Paesi del mondo hanno paura dei Golia di oggi, che continuano a insultare gli eserciti del Dio vivente ma Davide risponde che nessuno si prenda paura per lui! E oggi Papa Francesco ci invita forse a fare qualcos’altro? Proviamo anche noi a non avere paura di seguire questo suo richiamo. E’ venuto il momento per gli europei di chiedersi quale sia stato l’esito dell’appello che ci ha fatto Giovanni Paolo II: non abbiate paura. E’ importante ricordare il gesto, il senso, la profondità di questo appello e la punta del grande iceberg è stato appunto questo appello: non abbiate paura. Egli ci chiamava ad una profonda critica della civiltà della paura. Molti non capivano quali macchine della paura e del terrore fossero al servizio di questa civiltà e l’hanno resa una cosa normale, una cosa che esteriormente sembra non farci più nemmeno paura. Ma il vecchio compromesso è stato distrutto in questo anno e io voglio concludere qui dicendo che quando ho sentito questo appello alla preghiera, all’angelus di questa domenica, io ho pensato che ci sono tre significati: il 24 agosto è la festa dell’indipendenza dell’Ucraina, secondo un segnale inquietante dei testimoni, vedete a quale aggressione sono sottoposte le persone del nostro Paese e il profondo realismo dello sguardo che richiama l’attenzione di tutta l’umanità, di tutti i cinque continenti al fatto che oggi l’Ucraina sta veramente percorrendo una via crucis e questo è un appello alla preghiera di tutti credenti e non credenti, di ogni confessione. Questo è un appello a ciascuno di noi, ovunque ci troviamo, in qualunque Paese, noi non possiamo non udire questo appello.
ALBERTO SAVORANA:
Mi colpisce profondamente questa percezione che tu hai – l’episodio di Davide e Golia lo rende come immagine – che tutta la vita dell’uomo, il destino dell’uomo e dei popoli è nelle mani del mistero, è misterioso. Tu dicevi, dopo aver celebrato l’inizio, la prima settimana e poi le settimane successive del Maidan: noi non sappiamo cosa farà Golia, stiamo attraversando una notte buia ma io non ho avvertito in questo un senso di sconfitta, un senso di cedimento allo scoraggiamento. Piuttosto è stato per me illuminante ascoltare ieri il tuo amico Filonenko, nostro amico Filonenko, quando ha parlato di vulnerabilità. La vulnerabilità dell’io non come un deficit, una mancanza, ma come una dote, una risorsa che rende disponibili a come questo Mistero che governa la storia si renderà presente. Allora la domanda che vorrei farti è: tu hai parlato della prima gloriosa settimana che hai paragonato alla settimana del Meeting, poi noi torniamo a casa sabato invece voi avete continuato una seconda, una terza, una quarta e hai detto che poi i tempi si sono fatti difficili. In questo continuare di queste settimane, che cosa vi ha sostenuto, che cosa ha sostenuto questa speranza di cui ci hai appena parlato? Perché questa speranza non era un sogno, uno sforzo di autoconvinzione. Dove affonda come radici questa speranza?
COSTANTIN SIGOV:
Sul Maidan noi abbiamo incontrato uomini che avevano superato questa paura della morte, perché quello per il quale essi erano scesi in piazza si chiama nel Vangelo: dare la vita per i propri amici. C’è un altro episodio della Bibbia che parla del tempo che è venuto questa primavera: oggi la storia ci chiede come noi possiamo sopportare le persecuzioni del faraone, quali argomenti possono toccare il cuore di pietra del faraone; continuano le pene e i supplizi del faraone, noi non vediamo la fine, quasi non sentiamo più la voce di una speranza e sempre più forte si sentono i gemiti dei feriti, il pianto delle vittime, un pianto badate bene che non è soltanto da una parte, un pianto che si eleva da tutte le parti, il pianto di tutte le madri, delle sorelle, dei padri, dei fratelli, degli amici sulla morte di uno che ha dato la vita per loro, sulla morte delle persone care e della vita dei cari che sono rimasti senza di loro; nessuna macchina della propaganda può con il proprio rumore cancellare questo pianto, ma tra le voci che sono impossibili da spegnere, dalle forti fanfare delle mine della propaganda, bisogna continuare a trasmettere come di mano in mano, in una staffetta, con un gesto, con lo sguardo se ci mancano le parole, questa notizia, questo annuncio sulla nostra speranza in una fine di tutto questo, in una soluzione. Questo lavoro oggi lo stanno continuando i volontari e i rappresentanti di tutte le chiese che aiutano centinaia di migliaia di profughi che si sono rifugiati a Kiev e in tutta l’Ucraina e questo è una cosa che sarà ancora per tanto tempo. Dobbiamo prepararci a pensare che questo lavoro continuerà a legare il movimento che ha iniziato e che sembrava quasi una trasfigurazione nel nostro filmato e quel momento in cui la gente cominciava a capire che questo era il preannuncio della croce e del calvario. Se voi mi permettete di passare dal piano della Bibbia al piano della nostra storia direttamente, io credo che per tutti noi il mese di marzo ci ha portato una terribile notizia: il vecchio compromesso è stato distrutto quest’anno. L’annessione della Crimea ha praticamente cancellato il principio dell’inviolabilità delle frontiere e tutte le leggi che, dopo la seconda guerra mondiale, avevano cominciato a costruire i rapporti tra i Paesi dell’Europa e del mondo. Un regime dittatoriale in Russia, Bielorussia e Kazakistan apertamente parla dell’odio nei confronti dell’Occidente. Oggi questi tre Paesi che propongono un progetto euroasiatico si sono riuniti a Minsk e non possono accettare il rifiuto dell’Ucraina a unirsi in questo progetto euroasiatico contro i Paesi europei e l’aggressione nei confronti dell’Ucraina è soltanto un passo per spaventare qualunque Paese, dalla Polonia all’Italia. Putin realmente punta sulla revanche della civilizzazione della paura. E’, se volete, l’antipodo di Giovanni Paolo II, perché lui esige: abbiate paura! Invece, il richiamo del Vangelo o della Bibbia è non abbiate paura. Lui sta veramente distruggendo i legami della fiducia e dissemina odio. Questa praticamente è il ritorno della politica del bastone e della carota, è il rifiuto delle verità più fondamentali del Vangelo, è l’ipocrisia che ha creato un’ondata pazzesca di anticlericalismo in tutto lo spazio ex sovietico; un simile anticlericalismo noi non l’avevamo mai visto e per questo l’illusione del putinismo, Putin come colui che combatte per i valori tradizionali, è un’illusione che bisogna dissipare anche tra i cattolici di destra in occidente.
ALBERTO SAVORANA:
Hai parlato del momento che state vivendo come una autentica via crucis, una croce, un calvario. E questo evidentemente per persone che condividono la fede cristiana ha dei significati molto precisi, di un sacrificio in un contesto che sembra più, più e meglio attrezzato delle forze che un cristiano può mettere in campo. E ora ti domando: per l’esperienza tua di questo anno, quale contributo senti che il tuo essere ortodosso, l’essere di tanti cristiani tra questi volontari di cui hai parlato questa sera, quale contributo originale senti di poter dare, senti che state dando a questo attraversamento del fossato della paura – questa espressione che hai usato per indicare Papa Francesco – e per andare nelle periferie? Qual è il contributo originale che l’essere cristiani può dare a questa vostra situazione, così difficile, così drammatica, ogni giorno se possibile più difficile, più complicata?
COSTANTIN SIGOV:
La nostra esperienza parla del significato fondamentale, del superamento, del distacco, della rottura tra le varie generazioni. Averincev diceva che la solidarietà delle generazioni è il fatto cruciale nella liberazione della società. Guardate due forme opposte di vita: da un lato ci sono le persone pseudopolitiche che vivono secondo la congiuntura, che pensano soltanto a come campare mentre vengono eletti, e con avidità organizzano i propri interessi e organizzano anche il terrore di questi momenti. Ci incatenano a vivere soltanto il momento presente, senza pensare ad un futuro immediato, e ad un futuro anche di lunga portata. È l’alternativa della visione biblica del tempo. Per noi oggi il senso della vita ha l’aspetto dei volontari, ha la tradizione degli apostoli, dei discepoli di Cristo, di Clemente, di tutti i protettori e patroni dell’Europa che noi ricordiamo: Benedetto, Cirillo e Metodio. Questa è la nostra vita. Noi non saremmo così sicuri di noi, così audaci se in primo piano, sul fronte, non fossero i nostri figli. Loro condividono i nostri ideali, e io posso dirlo dall’esperienza dei miei figli e dall’esperienza del Maidan. E per questo per noi oggi è molto chiaro che il futuro è collegato alla nostra solidarietà, alla solidarietà delle generazioni che conosco, che io vedo oggi. E nel superamento di quella paura della distruzione della speranza, noi abbiamo perso molte false speranze, sulla fine della storia, sulla vittoria così scontata della democrazia, dell’economia senza che ci fosse un nostro sforzo, un nostro contributo. Ma scusatemi, qual è l’idea caricaturale di politica che domina? C’è il politico tipico che viene a visitare i vari gruppi: prima dai cristiani, poi va da altri che sono invece associazioni cristiane in cui non si parla di cose cristiane, poi va ad un terzo show e avanti di questo passo. E qual è la sua motivazione? Passare dal suo ufficio ministeriale, salire la scala del potere. Ma c’è in Europa un’alternativa? Un altro modo di unirsi, di fare dei meeting? Dopo il grande incontro pubblico con migliaia di persone che hanno ascoltato ieri il nostro oceano Filonenko, dopo tutti quelli che si sono con noi riuniti questa sera abbiamo il desiderio di continuare questa nostra conversazione faccia a faccia, tra uomini, uomini umani e magari in piccoli gruppi, magari anche su questioni più pratiche, più concrete, costruttive. Nuovi incontri possono intrecciarsi con le amicizie che passano attraverso una prova che ci lega di anno in anno. Così sono nate per esempio le esperienze come le nostre riunioni estive che facciamo oramai da tredici anni intorno a Kiev e quest’anno non abbiamo incominciato dal tema della liberazione, abbiamo incominciato dal tema della comunione, della koinonia, perché soltanto attraverso la vera comunione noi possiamo camminare verso la liberazione. E noi sappiamo che effettivamente l’amico è possibile conoscerlo nella disgrazia. Quindi i fili di queste azioni concrete creano poi trame di tessuti, di progetti che diventano già possibili nella nostra società e l’incarnarsi in opere concrete della nostra solidarietà può farci portare ad un futuro meeting, che magari sarà dopo la guerra. Ma noi ci stiamo occupando di questa possibilità di incontrarci senza guerra in questo momento. È fondamentale rispondere a questa sfida e questo è lo scopo del nostro incontrarci oggi. Io scrivo ai miei amici a Kiev e a Kiev la gente sa di questo Meeting che stiamo facendo a Rimini e l’Ucraina in questo momento vi è riconoscente per quello che state facendo per lei oggi, qui ed ora.
ALBERTO SAVORANA:
Ti faccio un ultima domanda. Non vi sarà sfuggito l’accenno che ha fatto a questo raduno, a questo corso estivo che hanno organizzato questa estate e al fatto che non hanno messo a tema quello che forse tanti di noi avrebbero messo a tema in modo molto più ovvio. Di fronte alla loro situazione drammatica, non hanno messo a tema la liberazione ma guarda a caso la parola “comunione”. E allora ti racconto tre minuti anche io una storia, domanda a quelli che sanno il lieto fine di dimenticarlo, ed è una storia che inizia tra la fine del ’67 e l’inizio del ’68, quando un giovane sacerdote di Milano ha radunato attorno a sé decine di migliaia di giovani presenti nelle scuole e nelle università. Improvvisamente l’occupazione dell’università Cattolica fa scoppiare una sorta di rivoluzione, una sorta di Maidan. E tanti di questi giovani, a migliaia, lasciano il suo movimento e aderiscono a questo gruppo, che promette la rivoluzione, che promette il cambiamento delle strutture sociali come miracolo improvviso prodotto dalle proprie forze. E questo giovane prete che si trova quasi solo, con pochi ragazzi attorno, una cosa ha chiara e lo dice: “Guardate che noi possiamo essere l’avanguardia di un cambiamento profondo della società. Ma ad una condizione: che riconosciamo che non c’è rivoluzione della società, del mondo, dei costumi che non inizi da una profonda rivoluzione di se stessi”. Sfida quei giovani a prendere coscienza della natura, profonda, sconfinata e misteriosa del proprio bisogno umano, del bisogno della propria natura. Che non è innanzitutto il cambiamento delle strutture ma è il cambiamento di sé, una speranza che faccia dire a te, come hai detto, mi fa venire i brividi a ripensarci, in modo sereno, lieto, che state vivendo una via crucis. Ma chi può dire questo se non è sostenuto da una autocoscienza, da una consapevolezza di ciò che ha cambiato radicalmente il proprio cuore e che se Dio vuole misteriosamente può contagiare come quelle centinaia di migliaia di fiammelle che non sono accendini, sono telefonini, perché siamo nell’era digitale, che hanno illuminato la piazza ripresa dal drone? Il lieto fine è che da lì ad un anno, un gruppo di ragazzi dell’Università Statale di Milano che erano rimasti amici di quel sacerdote che si chiamava don Luigi Giussani, espongono un piccolo volantino in università, che ha un titolo che ricorda esattamente le due parole che tu hai utilizzato alla fine del tuo intervento e anche loro le hanno invertite. Il titolo è: comunione e liberazione. E dicono come ci hai detto tu “anche noi vogliamo la liberazione. Anche noi vogliamo l’uscita dalla paura, anche noi vogliamo attraversare quel fossato che sembrerebbe impossibile da attraversare con le proprie forze, ma noi “abbiamo scoperto che questa liberazione non è opera delle mani del uomo, è una possibilità che il Mistero, l’oceano del Mistero si faccia amico, compagno, non abbandoni l’uomo al suo destino. E la forma di questa compagnia si chiama comunione”. Questo l’augurio che sentiamo di farvi in questa vostra avventura di cui non sapete la fine, ma come ciascuno di noi non sa la fine della sua giornata perché non è nelle sue mani. Ho avuto l’occasione di leggere gli appunti di un dialogo che nel mese di maggio, a san Pietroburgo, don Carrón ha avuto con Filonenko, proprio sui fatti che stanno coinvolgendo l’Ucraina. E c’è una frase che mi sono appuntato perché sembra un commento al titolo del Meeting, “Il destino non ha lasciato solo l’uomo”. E Carrón diceva, rispondendo ad un intervento/testimonianza di Filonenko: “Che cosa ha cominciato a fare il Mistero in mezzo a noi? Cioè il Mistero che non ha lasciato solo l’uomo? La comunità cristiana. Noi mettiamo la speranza in nessun altra immagine di risposta che non sia la comunità cristiana. Sembra niente, sembra la cosa più fragile e più estranea ai grandi stravolgimenti del mondo, che come sempre il potere cerca di realizzare. Eppure è l’inizio di quella speranza, di quella speranza che sostiene il piccolo Davide difronte al grande Golia. E questo è il primo contributo al cambiamento del mondo”.
E allora l’ultima domanda, puoi rispondere velocemente o come credi. Don Giussani dice che fare esperienza per un uomo significa innanzitutto accorgersi di crescere. Allora, dopo quasi un anno di quella prima settimana del Maidan, dove tu, tua moglie e i tuoi figli siete stati tra quei volontari, tra quei telefonini accesi, come sei cambiato? Puoi dirci qualche aspetto di te in cui senti di essere cambiato, cioè cresciuto? Per cui questa circostanza che è una via crucis, una croce, non ti può essere nemica perché è stata l’occasione senza la quale tu non ti saresti reso conto di alcune cose? Ce ne hai dette già stasera, ma se tu dovessi dire io, Constantin Sigov, da quel primo dicembre, da quel fine novembre del 2013 in che cosa sono cambiato? O come questa circostanza è diventata occasione per la tua maturazione?
CONSTANTIN SIGOV:
E questo è solo l’inizio. Voi pensavate che fosse già la fine ma è solo l’inizio. L’inizio per me, e devo dire che questo è legato per me ad un forte senso di vergogna. Voi sapete come è breve la memoria umana, ognuno di noi studia le lingue straniere e ben presto le dimentica. Io ho dimenticato molte delle cose che ho sentito alcuni anni fa in una conferenza sull’Europa e l’America. E io adesso ricordo con vergogna come io non fossi attento al problema delle persone che venivano da Paesi dove c’èrano delle disgrazie e questo vi dà il diritto, a vostra volta, di ascoltare così, solo con mezzo orecchio, quanto vi sto dicendo. Però questo inverno io ho incominciato a incontrare persone con cui insieme abbiamo incominciato ad essere attenti alle sorti degli uomini scossi, come dice Patočka, un filosofo che prima avevo letto poco. Queste cose ridestano la coscienza, ed effettivamente ricordo dei momenti concreti in cui ho ascoltato delle persone con meno attenzione di quella con cui voi oggi state ascoltando me. E che cosa può vincere questa nostra assenza di memoria? Cosa può vincere il tempo? È la gratitudine che può vincere tutto questo. Deve persone nascere una continua gratitudine nei confronti delle persone che hanno difeso la nostra libertà e continuano a difenderla. E io non ho ancora il diritto di parlare di questo. L’ultima cosa che io oggi voglio semplicemente dire è che spero. Io spero soltanto. Ma una cosa la so: la straordinaria attenzione, con cui voi qui in Italia avete ascoltato e sentito parlare dell’ucraina, io questo non lo dimenticherò mai.
ALBERTO SAVORANA:
E io credo che nessuno di noi dimenticherà mai la testimonianza che tu ci hai dato questa sera, perché è la testimonianza di un uomo che ha accettato fino in fondo e continua ad accettare la sfida di quel Mistero di cui noi non sappiamo se non ciò che quel Mistero stesso rivela a noi. È una sfida altamente positiva ed è una sfida che ci riguarda tutti. Per questo dopo questa sera ti sentiamo più amico sulla comune strada. L’unico augurio che ti possiamo fare è di non perdere mai questa attenzione alle persone e alle cose che ci hai testimoniato, perché è la stessa attenzione alle persone alle cose che noi stessi vogliamo per noi. E così gli uni e gli altri, anche se chissà quando ci rivedremo, potremo iniziare ad accompagnarci vivendo le circostanze. Le vostre molto più drammatiche e violente delle nostre, ma non meno sfidanti perché colpiscono il fondo del cuore dell’uomo. “Una ragione adeguata per vivere e per morire” è quella cosa impressionante che ha detto soltanto uno nella storia: “Non c’è amore più grande di chi dà la vita per i propri amici”. E don Giussani commentava “indubbiamente dovresti essere Tu, Signore, l’Amico per eccellenza”, perché probabilmente tante di quelle lucine di Maidan, inconsapevolmente, stanno dando la vita per quell’Amico e la carità più grande che gli si può fare, come la carità più grande che possiamo fare a ciascuno di noi, è indicare il nome di quell’Amico misterioso, senza il quale non vale la pena vivere. Grazie.