Chi siamo
TRANSIZIONE ENERGETICA: COSTI E COMPETITIVITÀ
In diretta su askanews, Icaro Tv, Italpress, Teleradiopace
Ignazio Capuano, presidente Conai; Francesco Gattei, Chief Financial Officer (CFO) Eni; Sandro Gambuzza, vicepresidente di Confagricoltura.; Maximo Ibarra, amministratore delegato Engineering; Fabrizio Palermo, amministratore delegato Acea; Gilberto Pichetto Fratin, ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica; Roberto Sancinelli, presidente Montello S.p.A. Introduce Felice Vai, vicepresidente Compagnia delle Opere e referente Filiera Energia
Fornire soluzioni al cambiamento climatico rappresenta una delle sfide determinanti del nostro tempo e rispondervi adeguatamente richiederà profondi cambiamenti in un contesto macroeconomico sfavorevole. Infatti, se l’obiettivo di mitigare i mutamenti climatici è desiderabile e il percorso di transizione energetica irreversibile, occorrerà individuare quali siano i percorsi possibili per rendere tutto questo accettabile in termini di sostenibilità, sicurezza ed accessibilità. In altri termini, si tratterà di comprendere quale sia il prezzo sociale che si è disposti a pagare per limitare l’aumento della temperatura del pianeta entro 1,5°C. La direzione di questo cammino, che non può non partire dall’industria energetica, dipende in buona misura dalla spinta impressa da governi e decisori pubblici nel trovare soluzioni capaci di conciliare tutte le esigenze in campo.
Con il sostegno di Acea, Montello, Hines, Conai, Amazon, Seingim, Unioncamere, Dintec, PID-Punto Impresa Digitale, SGR Efficienza energetica
TRANSIZIONE ENERGETICA: COSTI E COMPETITIVITÀ
TRANSIZIONE ENERGETICA: COSTI E COMPETITIVITÀ
Venerdì 23 agosto 2024 ore 15:00
Sala Conai A2
Partecipano:
Ignazio Capuano, presidente Conai; Francesco Gattei, Chief Financial Officer (CFO) Eni; Sandro Gambuzza, vicepresidente di Confagricoltura.; Maximo Ibarra, amministratore delegato Engineering; Fabrizio Palermo, amministratore delegato Acea; Gilberto Pichetto Fratin, Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica; Roberto Sancinelli, presidente Montello S.p.A; Maximo Ibarra, amministratore delegatp Engineereng.
Introduce:
Felice Vai, vicepresidente Compagnia delle Opere e referente Filiera Energia
Vai. Buonasera a tutti, grazie per la vostra partecipazione, grazie per essere qui a questo incontro dal titolo “Transizione energetica, costi e competitività”. In questa brevissima frase ci sono dei concetti di una complessità pazzesca che trattano argomenti epocali per l’intero pianeta. Transizione vuol dire passaggio, cambiamento, un percorso da un punto all’altro. Quindi, non può essere un passaggio semplice. Noi siamo così illusi nel pensare che contribuire ad arrestare il cambiamento climatico, che potrebbe mettere a rischio la vita delle future generazioni, non abbia un costo, che non richieda un sacrificio, direi, da parte di tutti noi? La questione è: le scelte che faremo e le azioni che metteremo in campo mineranno la competitività delle nostre imprese, dei nostri paesi? Oppure sapremo cogliere l’opportunità che è sempre implicita in un periodo di crisi, di difficoltà, di cambiamento? Questo è il punto. Saremo in grado, quindi, di intraprendere una transizione giusta? Una “just transition”, come si dice in inglese?
L’incontro odierno si prospetta particolarmente stimolante. Per quale motivo? Perché i nostri relatori fanno parte di realtà che operano in settori anche diversi, non sono tutti puristi dell’energia rinnovabile, hanno delle complementarità. E questo ci aiuterà perché, voi lo sapete meglio di me, in un’ora scarsa faremmo fatica a trattare in modo completo tutta la questione del cambiamento climatico. Diciamo che probabilmente non saremmo qui, ma in altri luoghi, non lo so, però iniziamo ad aprire la mente. Dico sempre che un incontro ha un esito positivo se ci cambia da quando siamo entrati a quando usciamo, se ci lascia delle suggestioni che ci aiutano in un lavoro successivo. Bene, nel ringraziare i nostri relatori, che ora presenterò brevemente, perché siamo in tanti e anche il tempo è uno degli elementi da tenere sotto controllo, inizierò a presentarli nell’ordine dei loro interventi. Fabrizio Palermo, amministratore delegato di ACEA; Ignazio Capuano, presidente di Conai; Sandro Gambuzza, vicepresidente di Confagricoltura; Francesco Gattai, CEO di Enel, che parlerà dopo Maximo Ibarra, CEO di Engineering. Dopodiché, abbiamo Roberto Sancinelli, presidente di Montello SPA. Spero di averli menzionati tutti. E, infine, Gilberto Pichetto Fratini, Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica. Iniziamo con Fabrizio Palermo, amministratore delegato di ACEA. Dottor Palermo, lei guida ACEA, che è uno dei principali operatori idrici del Paese. Sorge spontanea la domanda: ma il tema dell’acqua, che noi immaginiamo concentrato sul fatto di fare la doccia, avere la possibilità di bere, di cuocere la pasta, cosa c’entra con la transizione energetica e con i costi e le opportunità della transizione? Ce lo spieghi.
Palermo. Il tema parte da quello che ha detto lei, ossia che noi, secondo me, l’acqua la diamo molto per scontata. Oggi siamo il primo operatore italiano sull’acqua, il secondo a livello europeo, con 10 milioni di clienti, 56.000 chilometri di rete idrica e quasi 25.000 chilometri di rete fognaria. Siamo l’unico operatore anche presente all’estero, in Sud America, in quattro paesi e questo in un certo senso ci dà un punto di vista privilegiato per osservare il tema dell’acqua. Oggi, a nostro avviso, l’acqua vuol dire anzitutto due cose. La prima è che rappresenta un volano di sviluppo enorme, perché l’acqua influenza circa il 20% del PIL direttamente, tra settore agricolo, industriale ed energetico, dato che molte delle nuove energie, compreso l’idrogeno e il nucleare di quarta generazione, si basano fortemente sul tema dell’acqua. Essa alimenta inoltre un altro 20% indirettamente, riguardando anche tutto il tema del mare, dell’inquinamento marino, che sostanzialmente deriva da terra, dalla mancanza di depurazione, dall’afflusso di plastiche attraverso i fiumi nel mare, e tutto il problema delle microplastiche e quant’altro. Inoltre, è un settore che ha una ricaduta in termini di moltiplicatore sul PIL nazionale di circa tre volte, per cui i lavori infrastrutturali sull’acqua hanno un impatto significativo sull’economia. Ma acqua significa anche salute pubblica, un aspetto spesso poco noto oggi. La salute pubblica, sostanzialmente, perché oggi l’acqua è sempre più un tema da controllare, vista la presenza di inquinanti importanti. Il primo sono le microplastiche: ricerche promosse anche dal WWF indicano che ogni settimana ognuno di noi ingerisce circa 5 grammi di plastica, che significa 250 grammi l’anno. Cinque grammi sono l’equivalente di una carta di credito, tanto per essere chiari. Questo deriva dall’acqua, da ciò che mangiamo e da altro. L’altro aspetto è tutto il tema dei PFAS, gli inquinanti perenni presenti nell’acqua, il che richiede un controllo, depurazione e altre misure per rendere l’acqua sicura e potabile. Per cui, sono due temi molto importanti per la vita umana: da un lato lo sviluppo, dall’altro la qualità stessa dell’acqua. Su questo noi siamo impegnati, ma credo che il tema sia diventato oggi urgente. Urgente perché, da un lato, è aumentato il consumo d’acqua, anche a causa dell’aumento della popolazione globale e della tendenza all’uso intensivo dell’acqua. Dall’altro, è diminuita la disponibilità. Si stima che sia ridotta di circa un 20% rispetto al secolo scorso, con proiezioni di ulteriori riduzioni in futuro perché gli usi aumentano. Questo porta a un’analisi sulle infrastrutture. Le infrastrutture e gli investimenti a livello europeo e globale sono totalmente inadeguati. Le strutture sono vecchie perché troppo spesso si è dato per scontato che l’acqua fosse presente, e si è sotto-investito. In Italia, si sostituiscono circa 3,5 metri di tubi per chilometro, il che significa che per rinnovare le reti ci vorranno 250 anni a questo ritmo. Le perdite idriche in Italia sono in media del 41%, contro il 26% della media europea, quindi c’è molto da fare. Noi crediamo che questo sia un elemento strategico, perché la disponibilità d’acqua diventa un elemento di “level playing field”, cioè se si vuole avere un’industria competitiva in prospettiva, la risorsa idrica deve essere presente. Lo stesso vale per l’agricoltura e, in prospettiva, anche per l’ambiente e per l’intelligenza artificiale. Si stima che l’intelligenza artificiale possa richiedere significative quantità d’acqua; ad esempio, 20 domande su ChatGPT consumano mezzo litro d’acqua, e si prevede che la crescita dell’intelligenza artificiale porterà a un incremento dei consumi globali di 4 miliardi di metri cubi, quattro volte il consumo di un paese come la Danimarca. Questo significa che bisogna agire. Qualcosa si sta facendo: è stata lanciata una coalizione del G7 sull’acqua proprio recentemente. E’ qui presente il Ministro. E’ stato dato un segnale molto forte a livello del G7 ed è stata promossa, a livello di Davos, una coalizione di tutti gli operatori idrici a livello mondiale per affrontare il tema dell’acqua. Il Piano Mattei ha incluso uno dei sei pilastri, il quinto, proprio sull’acqua, e si è iniziato un percorso molto importante per sostenere lo sviluppo del nostro Paese e, in generale, dell’Europa.
Vai. Ricordo, se non vado errato, che l’anno scorso ci furono problemi anche di energia elettrica in Francia: pur avendo le centrali nucleari, i fiumi erano a un livello tale da non permettere il raffreddamento, e quindi l’energia non veniva prodotta.
Palermo. Un flash: è stata fatta una legge per vietare la costruzione delle piscine nel sud della Francia.
Vai. Ecco, questo è il livello; vedete come tutto è connesso. E quindi, Conai, cosa ha da dire da questo punto di vista? Capuano.
Capuano. Innanzitutto, se mi permettete, allargherei il concetto di transizione energetica e la farei “transizione intergenerazionale”. È un buon spunto, perché noi parliamo di energia, ma dobbiamo parlare anche del consumo di materiali, della salvaguardia dell’ambiente, degli aspetti sociali ed economici che impattano le generazioni presenti e future. Credo che, come dicevi prima, sia un tema piuttosto complicato, multidimensionale, con molte variabili difficili da mettere insieme. Forse l’intelligenza artificiale ci aiuterà, non lo so, ammesso che chi sviluppa l’intelligenza artificiale sia sufficientemente intelligente. CONAI cosa fa? CONAI rappresenta tutti i consorzi di filiera, che comprendono circa 700.000 imprese, produttrici e utilizzatrici di imballaggi, e noi, attraverso questo consorzio, gestiamo i rifiuti di imballaggio. Oggi siamo ben oltre il 70% di recupero degli imballaggi, il che è una cifra enorme. Più di 7 imballaggi su 10 vengono recuperati e riciclati e non reimmessi nel consumo, ma resi disponibili come materia di secondo, terzo o quarto impiego. E questo, tornando alla domanda su cosa c’entra CONAI, il fatto di mettere a disposizione ulteriormente materia prima, seconda, in questo caso, tonnellate di materiale di differente utilizzo, chiaramente aiuta a ridurre la domanda di nuovi materiali. L’uso di nuovi materiali ha impatti non solo sull’estrazione, se parliamo di minerali, ma anche su alberi, fossili, eccetera. Inoltre, dà un contributo perché l’uso di questi materiali ha un contenuto energetico più basso; cioè, il processo di questi materiali consente di ridurre il carico energetico. Faccio un esempio: utilizzare il rottame di vetro ha un’efficienza energetica del 25%; per produrre una tonnellata di vetro utilizzando rottame si spende il 25% in meno di energia. Così come per l’alluminio, parliamo addirittura di oltre il 90%. Questi sono i numeri. Cosa significa tutto questo? Si traduce in minori emissioni di gas climalteranti, cioè CO2 sostanzialmente, e quindi questo è il beneficio per l’ambiente. Poi c’è anche un aspetto economico importante: il beneficio economico di tutto questo sistema è di circa 3 miliardi, secondo l’ultimo dato che abbiamo stimato. Questo dato è composto dal materiale che viene reimmesso per ulteriore utilizzo, dal lavoro dell’indotto e anche dalla riduzione della CO2. Non ho fornito un dato: le tonnellate di imballaggi che vengono immesse in Italia sono oltre 14 milioni e noi ne recuperiamo 10 milioni e mezzo; questo rappresenta quel 70 e oltre per cento. È giusto sottolineare, visto che c’è il Ministro, e mi fa piacere ricordarlo, che siamo il numero uno in Europa. Siamo stati bravi e questo rappresenta una caratteristica dell’Italia: quando abbiamo problemi e difficoltà, troviamo sempre il modo di uscirne, di uscirne bene. Se guardiamo indietro, 30 anni fa, eravamo in una situazione molto complicata, anche nel nord Italia. Vorrei aggiungere, se ho ancora il tempo, un flash sulla decarbonizzazione, perché è un fattore molto importante che riguarda molte imprese che utilizzano e processano materiale. Siamo una nazione manifatturiera, quindi questo è il nostro lavoro. Decarbonizzazione: la risposta sembra essere “elettrifichiamo tutto”, ma elettrificare tutto non è possibile, credo, almeno nel breve termine. Non voglio fare uno spot per il relatore che verrà dopo, ma è così. Ci vogliono terre rare, metalli preziosi, rame. Ma chi possiede ora tutte queste risorse? La raffinazione di questi materiali è in Cina. La Cina ha già preso possesso di vari giacimenti. Ho letto recentemente che un giacimento di rame, il secondo più grande al mondo, in Afghanistan, è diventato cinese, sarà operato dai cinesi. Quindi, dobbiamo sempre ricordare, per aggiungere complessità e ulteriori variabili difficili nell’equazione, anche il problema geopolitico. Quello che mi piacerebbe concludere è che l’economia circolare, di cui facciamo parte, deve essere vista come uno strumento di politica industriale che può dare un notevole contributo a queste tematiche.
Vai. Grazie. Ing. Gambuzza, vicepresidente di Confagricoltura, il settore agricolo gioca un ruolo importante da questo punto di vista. Come dovrà evolvere? A quali sfide è chiamato un settore come quello che lei rappresenta?
Gambuzza. Quello della transizione energetica è un tema di assoluta centralità per il futuro, per il futuro non solo del settore agricolo ma dell’intero sistema economico e quindi ambientale. Il sistema agricolo sicuramente gioca un ruolo essenziale nella transizione energetica; infatti, storicamente l’agricoltura sostanzialmente ha sempre avuto un legame intimo, profondo, con l’ambiente e con le risorse naturali. E questo legame così profondo ci pone di fronte a una grande responsabilità, sostanzialmente quella di essere coprotagonisti nel processo di decarbonizzazione e quindi anche della promozione delle energie rinnovabili. Come dovrà evolversi il settore agricolo? Questa è una bella domanda. Io ritengo, noi riteniamo che siamo di fronte alla messa in atto, alla messa a terra di un nuovo modello di sviluppo agricolo nel nostro Paese, proprio prendendo come riferimento la transizione digitale, la rivoluzione digitale, che non può essere chiaramente portata avanti se non ricorrendo anche a una sorta di autonomia energetica delle nostre imprese. Parliamo di robotizzazione, parliamo di applicazione di sensori, parliamo sostanzialmente di agricoltura 4.0, ma tutto si basa sull’efficienza energetica e quindi per certi aspetti dell’autonomia energetica, che incide e impatta fortemente sulla competitività delle nostre imprese, soprattutto le più strutturate e quelle che si confrontano poi con i mercati. Peraltro, non vi è dubbio che anche la disponibilità, l’autonomia energetica impatta fortemente anche sul reddito delle imprese agricole, che sono imprese e come tale devono fare reddito. Quali azioni? Qua, insomma, possiamo partire da alcuni concetti, ritengo fondamentale a questo punto, cioè l’integrazione della filiera. Il concetto di risparmio energetico, il concetto di economia circolare, che è quindi sostanzialmente il recupero delle biomasse, il recupero per il biogas, il biometano, anche eolico, poi abbiamo il fotovoltaico, declinato così come stiamo facendo sostanzialmente; è un momento di grande attivismo per il PNRR, in particolare per l’agrivoltaico, ma anche per quanto riguarda il pacchetto agrisolare, diciamo che l’intera filiera agroalimentare deve assolutamente collaborare verso un unico obiettivo; non basta che soltanto il sistema agricolo faccia la propria parte, tutti dobbiamo fare la nostra parte in un’ottica di filiera. È evidente che altri aspetti sono quelli legati al fatto che noi ci rivolgiamo chiaramente alla politica, perché, per quanto riguarda, lei lo diceva all’inizio la sostenibilità, tutto, ha un costo. Pertanto, ci rivolgiamo alla politica affinché metta in atto azioni concrete e sensibili per l’implementazione di questa attività. Fra l’altro, abbiamo anche un’esigenza di snellimento delle procedure, perché la struttura imprenditoriale nazionale agricola è del tutto particolare, frastagliata in almeno un milione di entità agricole.
Vai. Devo dire che quando organizzavamo il panel mi hanno parlato anche di lei, Ibarra, e dicevo: “Ma transizione, no?”. Invece mi sembra che tutti i relatori che l’hanno preceduta hanno parlato di intelligenza artificiale, di digitale e quant’altro. Oltretutto, vedendo le varie attività dell’azienda che lei amministra, ho visto che ha dato vita a una partnership con l’università Guido Carli per una cattedra di Intelligenza Artificiale applicata al Cambiamento Climatico, la prima in Europa, con l’obiettivo di formare nuovi profili in grado di applicare potenzialità e intelligenza artificiale alle sfide ambientali. Quindi mi sembra che sicuramente c’è attienenza.
Ibarra. Sicuramente c’è attinenza. Intanto buon pomeriggio anche da parte mia. Devo dire che mi ha colpito quello che ha detto Fabrizio Palermo prima sulla quantità di plastiche che ingeriamo, quindi a questo punto penso che questo chiaramente porti a una grandissima riflessione, perché stiamo parlando delle tante emergenze. Transizione energetica, chiamata anche green, e transizione digitale, queste due cose che sostanzialmente vanno di pari passo. È assolutamente così; non esiste transizione energetica che possa avvenire in modo efficace ed efficiente senza un contributo importante da parte delle tecnologie digitali. Per fare ordine sul tema del digitale non esiste una sola tecnologia, ma esistono diverse. Una delle ultime, quella che di fatto è più ricorrente nei nostri discorsi, è l’intelligenza artificiale, che, ripeto a tutti, esiste da molti decenni. Ora è semplicemente più utilizzabile, più fruibile, perché la capacità di calcolo è ben superiore rispetto a prima, perché disponiamo del cloud, delle reti in fibra ottica, e quindi chiaramente l’intero ecosistema è più facilitato. Però tecnologie come il digital twin, di cui si sente parlare anche poco, di più ultimamente per fortuna, più tutto il tema della sensoristica e quindi questo ecosistema che ci permette fondamentalmente di far sì che le tecnologie lavorino insieme e facilitare la transizione energetica. Sono d’accordo con quello che è stato detto prima sul tema degli investimenti necessari; sono imponenti. Quindi, immaginarsi che overnight, nel giro di 24 ore, ci ritroviamo tutti con un modello tale per cui le fonti di energia sono soltanto quelle rinnovabili mi sembra una chimera. Ma iniziare ad accompagnare questo cambiamento con dei casi d’uso pratici che possano permetterci di toccare con mano quello che sta avvenendo e che le cose si possano effettivamente realizzare, secondo me, è un aspetto importante. C’è un dato su tutti: negli ultimi anni, grazie a questa famiglia di tecnologie che ho citato prima, l’emissione di gas serra è ridotta del 20%, che è pochissimo, perché questo non significa che tutta l’anidride carbonica che c’è in atmosfera di punto in bianco si riduca; lo stock rimane imponente. E poi si è verificato anche un decremento del consumo di elettricità grazie alle tecnologie. Poi c’è l’effetto paradosso di cui parlava sempre Palermo prima, ed è quello che dice: attenzione, perché con le nuove tecnologie sarà anche importante o comunque sarà necessario incrementare il consumo elettrico. Però poi la tecnologia viene in soccorso della tecnologia, quindi renderà questo sicuramente più efficiente. Ora, quando parliamo di casi pratici ce ne sono due. Da una parte abbiamo un monitoraggio delle infrastrutture. Oggi la tecnologia permette di monitorare le infrastrutture. Nel caso di queste reti capillari, che vengono chiamate smart grid di fonti di energia rinnovabile, come possono essere anche le comunità energetiche rinnovabili, riuscire a misurarle, riuscire sostanzialmente a monitorare, a controllare questa produzione di nuova energia e distribuirla nel modo corretto a chi ne ha bisogno nel momento giusto, questo richiede sicuramente un’intelligenza dal punto di vista della tecnologia, quindi piattaforme che sappiano fare questo. Così come anche lo stoccaggio, perché se io ho energia rinnovabile devo fondamentalmente utilizzarla in certi momenti, dicevo prima, più frammentata e soprattutto meno prevedibile. Quindi oggi, grazie a queste piattaforme digitali di AI, riusciamo a fare un numero di calcoli che è incredibile e quindi poter fare delle previsioni che sono molto più sofisticate rispetto a prima. Un altro è quello del monitoraggio delle reti idriche. Quindi se io riesco a distrettualizzarle, se io riesco a capire esattamente tutti i flussi, come avvengono, e a monitorare questi dati che riesco a catturare dalle sonde, dai sensori, probabilmente riesco a fare delle previsioni di quello che può succedere. Come anche la simulazione per quanto riguarda alcune infrastrutture critiche, che possono essere infrastrutture fisiche o addirittura anche temi legati alla fragilità del territorio. Se io doto di sensori tutte queste infrastrutture o il territorio, riesco grazie a modelli di simulazione a capire prima quello che può succedere un domani, quindi a prendere iniziative. Quindi da questo punto di vista le due transizioni lavorano insieme, sono inscindibili. Tornando al punto che lei citava alla fine sulla cattedra, quindi abbiamo fatto questa partnership con l’università perché il tema che abbiamo tutti nel sottofondo è quello legato al cambiamento climatico, che è ineluttabile. Ci piaccia o no, le cose che avvengono, ogni estate ce ne accorgiamo sempre di più. Questo ha conseguenze a 360°, compreso il consumo energetico e il consumo idrico, e quindi cominciare a fornire o meglio a formare delle persone, dei ragazzi e ragazze, attraverso queste tecnologie, dotarli di skill, di competenze che possano aiutare un domani attraverso sempre l’utilizzo delle tecnologie e contrastare quindi quello che sta accadendo per quanto riguarda il cambiamento climatico. Quindi questa cattedra in effetti era la prima in Europa, speriamo che possa servire da esempio a tante altre, perché abbiamo bisogno di queste competenze, soprattutto persone che sappiano gestire queste competenze, e iniziare a far sì che quei casi d’uso, quelle soluzioni di cui parlavamo prima, siano sempre di più e aiutino appunto a portare le nostre comunità ad avere uno sviluppo molto più sostenibile.
Vai. Grazie, grazie infinite. E’ sotto gli occhi di tutti che Eni ha da tempo intrapreso un importante percorso di attenzione alla transizione energetica in una molteplicità di azioni. Chiedo a Gattei, cefo di Eni, quale attività e investimenti sta mettendo in campo? Questo cambiamento di pelle che effettivamente sta avvenendo in una modalità sorprendente, con consapevolezza e con una strategia ben definita.
Gattei. Grazie, buon pomeriggio a tutti. Chiaramente la nostra strategia è una strategia che è definita sulla base di quello che noi riteniamo sia la transizione e sulla transizione bisogna togliere tutta una serie di concezioni sbagliate. Di transizioni nella storia umana ne abbiamo viste, probabilmente la prima è stata il fuoco, la seconda è stata la addomesticazione degli animali, che ha trasformato l’uso del muscolo animale come supporto al lavoro fisico e al trasporto. Poi abbiamo avuto la grande transizione legata ai combustibili fossili e tutte queste transizioni hanno una caratteristica: hanno tempi lunghi, sono additive, cioè noi non abbiamo mai sostituito né gli animali né il fuoco. Ci sono ancora buona parte di usi che prevedono animali e fuoco. Abbiamo espanso l’umanità, abbiamo espanso i nostri bisogni e quindi abbiamo aggiunto, come anche l’intelligenza artificiale dimostra, nuove cose, nuovi oggetti. Se voi vi guardate intorno in questa stanza, in questa stanza non c’è nulla che non è legata agli idrocarburi. Se voi pensate, queste seggiole sono fatte di alluminio, sono fatte di processo quindi che richiede questo tipo di materiale, sono fatte di tessuti non naturali, le piante in fondo probabilmente sono cresciute con dei fertilizzanti di natura artificiale, o sono finte, da qua non riesco a capirlo. E quindi il nostro mondo è un mondo imperniato di oggetti e di fisicità che non può essere completamente trasformata o transitata attraverso un percorso di immaterialità che invece è la percezione della transizione. Il consumo elettrico copre un quinto del consumo finale di energia. I beni, gli usi, gli oggetti che costruiamo in buona parte non possono essere elettrificati. Se voi avete bisogno di una medicina, avete bisogno di un processo chimico. Non potete usare l’elettrone come medicina. Avere questa trasformazione è quindi una esigenza che noi dobbiamo mantenere anche nella prospettiva di una transizione. Transizione vuol dire nuovi oggetti, server, connessioni, elettrolizzatori, nuove rotte di trasporto dell’energia, nuove macchine, eccetera. La transizione non è il cambiamento della offerta di energia, ma il cambiamento dell’offerta, del trasporto, dello stoccaggio e della domanda di energia. Se noi cambiamo uno solo di questi oggetti, il sistema in realtà va in disequilibrio, la transizione si ferma, i costi schizzano e quindi il sistema sostanzialmente perde la sua capacità trasformativa. Quindi quando noi parliamo di strategia in Eni, noi teniamo conto di tutti questi elementi e il primo elemento è tenere la casa in ordine. Se voi volete trasformare il sistema industriale, il sistema industriale deve funzionare in maniera affidabile, economica, ambientalmente sostenibile, competitiva; altrimenti la transizione è un disegno sulla carta che si interrompe. È per questo che quello che vedete in Eni è continuare a produrre idrocarburi, ma non è che li produciamo come si producevano 15-20 anni fa; li produciamo con l’obiettivo di ridurne il footprint carbonico, come sostanzialmente consentendo, aumentando la produzione di gas rispetto al petrolio, quindi creando una disponibilità di energia densa a basso costo nei paesi o nelle aree dove c’è questa esigenza, dove magari si brucia carbone. Continuiamo a produrre eventualmente petrolio in aree con minore costo, minore impatto in termini di emissioni. Abbiamo annullato il flaring, non stiamo annullando sostanzialmente il flaring, o settiamo la componente residua. Questo è il mondo legacy, il mondo che ci serve per tenere in piedi la trasformazione nel suo processo industriale di base. E poi c’è il mondo nuovo. Il mondo nuovo è innanzitutto offrire ai nostri consumatori prodotti decarbonizzati a livello domestico o in mobilità, quindi con tutti i nostri biocarburanti che funzionano sia per eventualmente l’uso nelle automobili leggere, ma ancora maggiore più significativo è la rilevanza che potranno avere per quel trasporto come lo shipping o come il trasporto aereo su cui non è possibile avere l’alternativa elettrica. Questi due business hanno già raccolto un interesse tale del mercato che con le operazioni di valorizzazione che stiamo cogliendo valgono oltre 22 miliardi potenziali. Quindi stiamo parlando di business veri che hanno una sostanza economica che non richiedono sussidi, che crescono con la loro capacità di cassa e che sostanzialmente perseguono una strategia di diversificazione e di transizione affidabile e concreta. Altri elementi che abbiamo, ovviamente nel nostro tool di attrezzi, sono la cattura di carbonio, dove siamo tra i primi in Europa, e novamont, quindi la biochimica, una nuova catena di chimica basata ancora su componenti di feedstock bio e potenzialmente nel lungo termine il nucleare da fusione elettromagnetica. Questa è la nostra strategia e la concretezza sostanzialmente di una transizione che ha un elemento comune, la neutralità tecnologica. Noi non siamo “opinioned” su una tecnologia o su un’altra. Quello che succederà tra i prossimi 20-30 anni non lo sappiamo. L’evoluzione tecnologica può sorprendere con dei breakthrough improvvisi e con dei rallentamenti inaspettati. Noi dobbiamo essere pronti ad avere in mano tutte queste carte e questa opzionalità per cogliere le opportunità migliori anche in funzione di geografie e di usi che richiedono tecnologie e opportunità diverse.
Vai. Grazie Gattei. Prima in un dialogo il dottor Sancinelli della Montello SPA ha lanciato un termine che mi ha incuriosito. Non giriamoci intorno e tiriamolo fuori subito: energia circolare. Ma cosa vuol dire energia circolare? Al Meeting lanciamo un termine nuovo, quindi una notizia.
Sancinelli. Innanzitutto, ormai è necessario che l’Italia arrivi ad essere autosufficiente energeticamente nel più breve tempo possibile. Vediamo tutto quello che sta capitando nel mondo, i cambiamenti che ci sono, e l’obiettivo oggi, ormai urgente, è di arrivare all’autosufficienza. Autosufficienza vuol dire sfruttare un mix energetico che ci permetta di utilizzare tutte le fonti. Noi abbiamo l’idroelettrico, il fotovoltaico, le biomasse, la geotermia, i gas di casa nostra da sfruttare. Cominciamo a sfruttare anche quelli, prima di andare a prenderli fuori. E perché no? Anche il nucleare di ultima generazione, eccetera. Sono tutti parte di un mix che deve portarci all’autosufficienza. Questo mix manca però di una fonte: quella dell’energia circolare. Da cosa nasce questo? Perché il rifiuto, il campo di cui si occupa la società che rappresento, oggi il rifiuto è diventato un elemento che si sostituirà ed è destinato a sostituire tutte quelle fonti fossili, quelle materie prime fossili nel sistema produttivo e di consumo. Essendo ormai il rifiuto destinato a diventare sempre più una materia prima, ha bisogno di essere trattato, lavorato, preparato proprio per il fine dell’economia circolare. Ma per fare questo bisogna applicare delle tecnologie, impianti adatti, eccetera. È un’industria oggi. Oggi fare il riciclo è industria. Alla fine rimane un residuo, come per tutte le industrie, perché non tutto è possibile trasformare in quello che è l’obiettivo… Allora questo residuo, che è energeticamente molto ricco, potrebbe rientrare in quel concetto che mi diceva lei: di cominciare a valutare, oltre a questo mix di energie che abbiamo detto e identificato, identifichiamo anche l’energia circolare. Perché solo così, fra l’altro, si compie veramente l’economia circolare. L’economia circolare, finché noi ricicliamo in materia, non è compiuta. In Italia siamo bravi, siamo i primi in Europa; oggi possiamo dire che l’Italia arriva all’80% di trasformare un rifiuto in materia prima e seconda da rimettere nel sistema produttivo di consumo. Ma questo 20%, questa percentuale che rimane, dove va a finire? Oggi purtroppo va a finire o in discarica, o va a finire, soprattutto, in termovalorizzazione, o, non chiamiamola termovalorizzazione perché è una tecnologia, in una valorizzazione energetica all’estero. Anche questa è una vergogna. Perché cosa mandiamo? Mandiamo centinaia e centinaia di milioni di euro all’anno all’estero, che poi fra l’altro la utilizzano, producono l’energia e ce la rivendono anche. Insomma, qui uno potrebbe cominciare a pensare a come chiamare questo fatto. Io dico questo: noi dobbiamo far sì che anche questo rientri in una prassi, una prassi che preveda che una valorizzazione di questi residui, senza saltare la gerarchia del riutilizzo, del riciclo, ma quello che ne risulta alla fine, il residuo di fine ciclo, venga valorizzato energeticamente. Questo sarebbe un’altra fonte che, fra l’altro, secondo studi fatti, potremmo dire che potrebbe coprire il 5% della necessità energetica dell’Italia, quindi non è poca cosa, è importante. E direi che l’energia circolare, caro Ministro, è un appello che le faccio: cominciamo veramente a prenderla in considerazione e a sostenerla. Attenzione, quando dico sostenerla, aggiungo un’altra cosa: noi operatori non chiediamo incentivi per fare questo. Chiediamo la possibilità di realizzarlo, che è una cosa differente. Non vogliamo incentivi, anche perché gli incentivi destabilizzano il mercato, creano solo problemi, lasciamo perdere. Ecco, questo è il concetto che voglio lanciare qui, e mi permetto, magari con un po’ di presunzione, di dire: cominciamo veramente a prendere in considerazione questo termine e a sviluppare tutto ciò che è necessario. Le tecnologie ci sono, e attenzione, perché quando parliamo di centrale elettrica a residui, mi perdoni, velocissimo: centrale elettrica a residui, siano esse termiche, sia la gasificazione, ne stanno emergendo anche altre tecnologie. E anche per piccoli impianti diffusi, dove possiamo arrivare addirittura alle industrie manifatturiere che, con questi scarti, possono autoprodurre l’energia elettrica e diventare autosufficienti. Questa è la strada da percorrere. Come l’Italia deve diventare autosufficiente, diamo la possibilità anche alle industrie che ne hanno necessità di diventare autoproduttori e autosufficienti energeticamente.
Vai. Grazie infinite, grazie. Mi sto chiedendo se il Ministro riuscirà a contenere tutti gli spunti di coloro che lo hanno preceduto, perché ci sono veramente tanti spunti e tanti contenuti. Ministro, un flash solo su questo: ti ha sempre contraddistinto un estremo pragmatismo. Prima si parlava di neutralità tecnologica. Le imprese, Sancinelli è esplosivo, dicono: lasciateci lavorare, fateci fare, lasciateci esprimere. Il tuo governo come si sta ponendo? Qual è il tuo punto di vista?
Fratin. Grazie dell’invito, grazie di avermi fatto partecipare al dibattito, partendo proprio dall’essenzialità. Avete dato un titolo che è tutto, infatti poi nel panel il tema è stato il tutto, che di fatto raggiunge quello che è l’obiettivo. Transizione, cosa significa? Un passaggio a qualcosa che viene dopo è una rivoluzione, e quello che stiamo vivendo è una rivoluzione, che parte certamente dalle emissioni di CO2, quindi dalla necessità di una mitigazione, ma dall’altra parte la necessità di fare tutte le azioni di adattamento a quello che è già cambiato, e nel cogliere quelle che sono le future opportunità. Cosa è emerso? È emerso in modo chiaro; non voglio arrogarmi il diritto di fare la sintesi del tutto, perché sarebbe un eccesso di presunzione e un’incapacità da parte mia di riuscire a farla, ma è emerso il fatto che in questa rivoluzione industriale noi dobbiamo manifestare tutta la nostra capacità e le capacità sono quelle della conoscenza di settore e l’ha dimostrato sul fronte dell’acqua il primo intervento di Palermo, che ci ha illustrato una delle ricchezze che noi abbiamo, che naturalmente ci permette di fare tutti gli altri passaggi mantenendo quelle che sono le caratteristiche del nostro paese. Siamo un paese che ha una biodiversità eccezionale, ma corriamo il rischio di perderla. Le considerazioni che faceva Sancinelli, che io condivido pienamente, perché rappresentano un modello di economia circolare, come quello della Montello, dimostrano che l’Italia è un paese molto lungo, con un percorso che deve essere realizzato anche in forme di raccolta differenziata, che non è ancora ovunque, e che dobbiamo portare avanti. Così come sul fronte idrico, stiamo cercando di ridurre i 2.391 gestori di acqua, ma sappiamo bene quanto sia difficile dire a un piccolo comune di smettere di gestire da solo, perché chi si fa la gestione da solo è perché ha troppa risorsa e non vuole condividerla con gli altri. Tuttavia, non ha nemmeno le condizioni per fare quegli investimenti che sono necessari per avere una rete idrica o irrigua adeguata e nell’irrigua c’è l’altro fronte di utilizzo dell’acqua che è l’agricoltura. Solo con un sistema di irrigazione moderna e di agricoltura moderna si raggiunge anche l’obiettivo di intervenire sull’emissione di CO2, che rappresenta uno dei grandi fronti, quello agricolo. Perché i tre grandi fronti di emissione, per capirci, sono agricoltura, trasporti, l’industria. I trasporti, dove dobbiamo giocare su ogni sfida, non mi dilungo ma può essere non solo elettrico, anche endotermico come motore a combustione interna, perché la politica non è mai arrivata 15 anni prima della realtà della tecnologia e della scienza, e chi ci ha tentato è stato un fallimento nella storia della programmazione politica. Quindi, tutte queste azioni sono un insieme che vanno a concatenarsi e che sono legate alla percezione che ora comincia ad emergere. Ma dieci anni fa non era ancora così evidente, lo era solo per i più lungimiranti. Questa è la differenza. Quando parliamo di essenziale, l’essenziale per noi è lavorare per le future generazioni. Quando è stata redatta la Costituzione, una Costituzione ben pensata e studiata, che tutti ritengono valida, l’articolo 9 e l’articolo 41 non citavano l’ambiente perché non era un’esigenza. La discarica era vicina a casa, si buttava lì. Non c’era la percezione. Ora è una sfida anche di conoscenza, una sfida di consapevolezza che deve partire dai giovani e saranno loro a darci i risultati. A noi serve il realismo, piedi per terra. E i piedi per terra ci dicono che, col passo di oggi, tutte le previsioni indicano una domanda di energia doppia entro il 2050. Per raggiungere questo obiettivo dobbiamo sfruttare tutti i percorsi, utilizzare tutte le energie rinnovabili, e anche il fronte dell’energia nucleare, che è una sfida che come Paese dobbiamo portare avanti. Anche sul fronte dell’energia nucleare, è inutile fare una discussione filosofica: nel 2023 ne abbiamo comprato 18 miliardi di kWh dalla Francia, quindi utilizziamo energia nucleare. Dobbiamo investire nella ricerca, nella sperimentazione, e poi nella produzione, perché è l’unico modo per mantenere i livelli di domanda energetica con l’intelligenza artificiale, le nuove attività e il consumo. Questa è la sfida. Sto sforando, mi scusi, e quindi mi fermo immediatamente.
Vai. Grazie Ministro, grazie. Dunque, ora tremo perché sto per buttare acqua sul fuoco, quindi, Sancinelli, è un po’ colpa mia se la provoco. Perché, secondo me, è emblematico di dove dobbiamo correggerci. Siamo reduci da un’impegnativa trattativa con l’Europa sulla direttiva sugli Imballaggi, dove la transizione si sarebbe trasformata per le nostre imprese in una sonora batosta. Ora si insedierà una nuova commissione e il problema è aperto. Quindi, Europa, secondo lei, Sancinelli, cosa si aspetta e cosa dovrebbe fare? Le do due minuti, non di più, perché siamo ai 30 e dobbiamo rifare il giro al contrario.
Sancinelli. Ma guardi, con l’Europa dobbiamo farci valere di più, perché noi, l’Italia, con 60 milioni di abitanti, non possiamo farci condizionare da 10 paesi che, messi assieme, non fanno l’Italia. Insomma, a un certo punto è un appello anche alla politica: incidere di più, assolutamente, picchiare i pugni, stare fermi. Dobbiamo avere questo coraggio di farlo, non essere più accomodanti. L’altra cosa: dobbiamo credere e dare più fiducia alla scienza e alla tecnologia, perché la transizione energetica, la transizione ecologica, si ricordi che verrà superata, il cambiamento avverrà grazie alla scienza e alla tecnologia. Poi naturalmente occorre anche il comportamento nostro, ma il nostro comportamento è qualcosa che aiuta, ma sarà quello in cui dobbiamo credere. La questione delle centrali, poi, mi lasci dire perché è importante quanto detto prima. Guardi che è stato dimostrato scientificamente che una centrale, siano essi inceneritori o, chiamiamoli anche termovalorizzatori, oggi voglio parlare di una centrale elettrica che funziona con residui e rifiuti. Bene, facendo un paragone con una strada secondaria con traffico, oggi con le nuove tecnologie l’impatto ambientale e l’inquinamento è minore, ma molto minore rispetto a una strada secondaria. Noi abbiamo milioni di strade secondarie, quindi è ora di finirla con questi tabù, dobbiamo superarli, questi tabù, e avere fiducia nella scienza e nella tecnologia. Grazie.
Vai. È stato bravissimo. Gattei, sto per porre una domanda che però nel dialogo mi mette un po’ in difficoltà e penso che me la correggerai, perché la ritengo forse un po’ superficiale, però la pongo. Ma quindi, quali sono le sfide e i tempi della transizione?
Gattei. Le sfide alla transizione le abbiamo descritte: il sistema è complesso, è lungo, tocca geografie diverse, usi finali diversi. I costi che possiamo sostenere a livello degli stessi paesi sono differenziati, a livello di aree geografiche sono differenziati. Le risorse a disposizione, Nord Europa, Sud Europa, Medio Oriente, Asia, sono completamente diverse. A volte vengono citati come esempi virtuosi paesi come l’Islanda, la Danimarca, il Portogallo, che non hanno nulla a che fare con l’Italia. Sono paesi che hanno una dimensione industriale, condizioni climatiche, condizioni di popolazione completamente diverse, geografiche completamente diverse. Quindi, noi dobbiamo studiare e ragionare su un fatto: ogni paese avrà la sua transizione, è un abito sartoriale, la transizione, non è un prodotto così di massa. Ognuno dovrà identificare la sua strada, la più efficiente, quella che consente a lui di rimanere competitivo, sicuro e di poter avere la trasformazione energetica e di decarbonizzazione a cui ambisce. Per questo, la vera sfida è culturale. Noi concepiamo la transizione come il derby: i fossili contro le rinnovabili, i buoni contro i cattivi, i vecchi contro i nuovi, l’immateriale contro il materiale. Non è così. Il mondo intangibile dell’elettronica è un mondo fisico che semplicemente non misuriamo, perché noi ne vediamo un’espressione finale, pulita, che non puzza, che non fa particolare odore, che non sporca le mani. Mentre invece quel mondo lì, a monte, ha dei processi industriali che sono ancora più invasivi di quelli a cui siamo abituati nel cosiddetto mondo vecchio. Allora, quando noi supereremo questa cultura e questa mis-cultura, questo pensiero magico, parlavamo prima dell’affidamento alla tecnologia, alla scienza, ecco, fino ad oggi abbiamo creduto a un pensiero magico: la transizione uguale elettrone. L’elettrone può fare dei mestieri, può consentire di assorbire tutta una serie di fabbisogni energetici, ma non tutti, solo ad una parte relativa di tutti questi fabbisogni energetici. L’elettrone è perfetto per consegnare dati, è perfetto per raffrescare, è perfetto per illuminare. Per tutto il resto, l’elettrone non funziona. Possiamo migliorare, ci sono dei processi industriali che possono essere in qualche modo elettrificati, ma c’è gran parte di questa attività tipica, produrre cemento, produrre plastica, produrre acciaio, che non può funzionare con l’elettrone. E quindi, una volta che avremo superato questo elemento di trasformazione, avremo la ricetta giusta. La ricetta giusta è lasciare al mercato la scelta tecnologica. L’Europa ha ridotto l’emissione del 15-16% dall’accordo di Parigi. Contemporaneamente il nostro PIL è aumentato di un 7-8%. All’apparenza è un buon risultato. Gli Stati Uniti, che hanno lasciato fare al mercato, hanno dato dei contributi, ma hanno ridotto l’impatto delle policy, hanno aumentato il loro PIL del 50%, riducendo le emissioni dell’8%. Allora, cosa ritenete più efficace? Una soluzione in cui uno riduce le emissioni il doppio dell’altro, ma riduce la sua produzione di un quinto rispetto alla capacità di crescita dell’altra area continentale, che ha un vantaggio competitivo e prospettivamente crescente. Questo è l’elemento che dobbiamo superare e che domina principalmente il dibattito europeo e che speriamo, in funzione anche dell’evoluzione politica in corso, possa avere un atteggiamento più neutrale rispetto agli strumenti che abbiamo in mano.
Vai. Ibarra, pare che delle opportunità ci siano. Quali opportunità vede lei in questo periodo e come possiamo coglierle queste opportunità? Diamo un messaggio non dico di ottimismo, ma di realismo, della voglia di costruire e di fare che è l’emblema di questo Meeting. Ci dica il suo punto di vista.
Ibarra. Abbiamo toccato questo argomento anche nel giro precedente, però, a me fa moltissimo piacere quello che è stato detto prima riguardo la fiducia nella scienza e nella tecnologia, nella ricerca, perché penso che questo insieme di tecnologie, di cui parlavo all’inizio, possa offrire delle soluzioni tangibili. Quindi, noi oggi abbiamo tre temi. Il primo è quello che dice: ci sono delle emergenze? Sì, ci sono dei cambiamenti. C’è un incremento della popolazione, prima il cambiamento climatico, carenze di alcune risorse che possono essere considerate strategiche. Abbiamo anche un tema di riuscire ad avere più autonomia dal punto di vista del consumo energetico, quindi non dipendere da troppe fonti o comunque da altre geografie. E quindi la soluzione può sempre arrivare da queste piattaforme. A me piace chiamarle piattaforme, non solo la tecnologia, perché la tecnologia è un linguaggio un po’ troppo astratto. Ogni singola tecnologia, poi, di fatto non significa nulla se presa, come dire, individualmente. Se la si prende invece insieme, noi stiamo costruendo, non soltanto noi come ingegenri, ma tante altre realtà in giro per il mondo, delle soluzioni. Quindi, delle soluzioni che affrontano dei temi. Abbiamo parlato prima di soluzioni per quanto riguarda il mondo dell’idrico, per quanto riguarda il tema delle comunità energetiche, quindi riuscire sostanzialmente a gestire queste diverse fonti che non sono programmabili per definizione. Il tema dell’agricoltura è stato citato anche all’inizio, come riuscire a monitorare meglio le colture. Quindi, sono tutti temi che dicono: attenzione, noi oggi abbiamo delle soluzioni che ci possono dare un vantaggio nel prevenire e qualche volta anche nel risolvere. Ora, non si potranno risolvere tutti i problemi con le tecnologie di oggi, però sicuramente attraverso un comportamento delle persone, degli individui, attraverso un ulteriore progresso della tecnologia, secondo me le soluzioni importanti le troveremo, fino ad arrivare addirittura a come catturare il CO2 direttamente dall’atmosfera e sostanzialmente risolvere anche il problema del riscaldamento del pianeta. Questo, chiaramente, è un po’ fantascienza in questo istante, ma non escluderei che possa essere una delle soluzioni future. Quello di cui c’è bisogno però in questa fase, per cominciare anche a parlare di cose molto tangibili, è quella della collaborazione. Quindi, la politica, ovviamente, deve identificare quelli che sono gli obiettivi, gli obiettivi di lungo termine. Quello che possono fare aziende come la mia o come tutte le altre aziende rappresentate qui, è cominciare a collaborare tra di loro per riuscire a creare delle partnership che accelerino questo passaggio, questa transizione. E questo lo si può fare. Ad esempio, esistono risorse per quanto riguarda il Recovery Fund, quindi tutto il tema di cui si sta parlando in questi ultimi tempi, e queste chiaramente richiedono aziende che siano in grado anche di poter implementare queste soluzioni. Quindi una partnership pubblico-privata che possa dare risposte è sicuramente un tema importante. Abbiamo costruito anche recentemente un’alleanza, l’abbiamo chiamata Alleanza per l’Italia, con un’altra azienda, in modo da poter dialogare con il suo ministero e riuscire a trovare soluzioni ancora più efficaci rispetto a quelle che oggi sono in campo. Io, da questo punto di vista, sono molto ottimista. Non penso che troveremo la soluzione che risolve tutti i problemi che in questo momento ci riguardino o che ci riguarderanno, però saremo nelle condizioni di cominciare a toccare sempre di più con mano, soluzioni che ci permettono di gestire le varie emergenze in modo molto più efficace rispetto ad oggi. Per quanto riguarda il tema dell’idrico, questo è un dato che sicuramente potrà avere riscontro anche da parte di Fabrizio. Però, se noi dotassimo tutte le case degli italiani di contatori smart, per quanto riguarda il consumo idrico, probabilmente ci sarebbe un risparmio enorme. Non dico chissà quanto, ma almeno un 10%, se non ricordo male, sarebbe praticamente il risparmio idrico. Se riuscissimo a ridurre di poco quella che è la perdita delle varie infrastrutture idriche, è chiaro che avremo altre disponibilità di risorse che diventano molto strategiche. Le tecnologie oggi permettono di trovare queste soluzioni. La frammentazione sicuramente non aiuta, come diceva il Ministro prima, però se si riesce a fare una collaborazione pubblico-privata ancora più forte, secondo me l’ecosistema sarà molto più ricco, molto più sofisticato, e quindi saremo nelle condizioni di far fare un passo in avanti all’Italia non indifferente.
Vai. Grazie. Grazie, Ibarra. Gambuzza, ma il mondo agricolo che è costituito da piccole, medie e micro imprese è pronto a affrontare una sfida così?
Gambuzza. Io intanto vorrei affrontare la sfida di dare uno spaccato delle imprese italiane. Nell’ultimo censimento dell’agricoltura del 2020 risultavano un milione e centomila entità agricole, io le chiamo così, poi aziende agricole. Andando in profondità sostanzialmente, vediamo che 300 mila di queste hanno una consistenza di mezzo ettaro, altre 200 mila non sono neppure iscritte alla Camera di Commercio, il che significa sostanzialmente che forse sono fuori dal mercato. 300.000 sono condotte con formule, voglio dire in modo imprenditoriale, ma comunque con una base familiare importante. 300.000 sono le imprese assuntrici di manodopera che danno lavoro, che quindi concepiscono l’impresa, non più azienda, ma l’impresa agricola che esporta, rivolta quindi al mercato. Questo è lo spaccato. Per le prime 300 mila aziende, evidentemente, il percorso è già avviato. E’ avviato intanto dal punto di vista dell’autosufficienza energetica e adesso con la sfida anche di andare oltre con la produzione di energia, diciamo energia elettrica, da vedersi anche nell’ottica di reddito di attività complementare a quella agricola e quant’altro; sono ormai avviate verso la transizione. Per le altre 300 mila, ed è su queste che sostanzialmente parliamo, è evidente che la formazione è un concetto assolutamente importante. Da questo punto di vista, diciamo, le organizzazioni datoriali devono fare la propria parte. L’altro aspetto è, per così dire, la cultura finanziaria, perché investire in impianti energetici significa sostanzialmente reperire il capitale e la formazione finanziaria sul credito agevolato e quant’altro diventa fondamentale. Le altre due strade che vanno assolutamente evidenziate sono sicuramente quelle delle comunità energetiche e agricole. E poi, per raggiungere ambiziosi obiettivi energetici, abbiamo anche lo strumento che noi cerchiamo sempre di implementare, che è quello delle reti d’imprese finalizzate a obiettivi ben individuati.
Vai. Capuano, per Conai cosa serve allora per il futuro?
Capuano. Devo sognare o essere coi piedi per terra?
Vai. Temo sulla seconda.
Capuano. Nel sogno ci vorrebbe, ma forse è stato anche detto dai precedenti interlocutori e relatori, ci vuole una visione realistica, che significa basata non su sogni, non su ideologie. Ha detto Sancinelli, science-based. Questa è la cosa importante, come cappello. Poi nel pratico ci sono, secondo me, quattro ingredienti, di cui due facili, più o meno, e due un po’ più difficili. Comincio da quelli facili; ecco dicevo se devo sognare o devo stare coi piedi per terra. La finanza. La finanza, se ci sono progetti e c’è il PNRR, che è un volano importantissimo di capitali che possono essere messi a disposizione. Ci sono le imprese che, in modo volontario, insieme alle imprese industriali, vanno avanti accompagnate anche dalla finanza, quindi dalle banche, eccetera, che premiano progetti cosiddetti ESG che si pongono degli obiettivi di riduzione del contenuto del footprint, del contenuto carbonico del loro prodotto e del loro processo. Quindi tutto questo è un movimento che c’è a livello regolatorio in Europa, e non so dove in quale settore sia arrivata, c’è la tassonomia che va a declinare quali sono gli investimenti definiti più o meno green, per cui le banche classificano i progetti in funzione di quelli e danno i finanziamenti o meno. E questo, diciamo, è una cosa, mi faccia dire, un po’ abbastanza facile. Poi c’è la tecnologia, io credo molto nella tecnologia, ci crediamo tutti, ci saranno nuovi processi a disposizione, nuovi strumenti per produrre quello che produciamo, quindi riducendo, come ho detto prima, l’impronta carbonica. Ma anche nell’ambito del riciclo ci sono nuove tecnologie che aumentano quello che non siamo ancora all’80%, siamo più modestamente al 75%, oltre il 70%. Siamo soprattutto scoperti non solo sull’imballaggio, ma anche su tutto quello che è il recupero dei minerali preziosi, delle terre rare, delle batterie, eccetera. C’è un lavoro da fare. E questo, secondo me, fa parte delle cose più o meno facili. Tra le cose un po’ più difficili, adesso non vorrei mettere in imbarazzo il Ministro, però chiaramente ci vuole un frame legale stabile e sicuro, ci vogliono degli iter autorizzativi, non voglio dire facilitati, però con cadenze e tempistiche abbastanza stringenti perché un’impresa che decide un investimento lo deve pensare, progettare, e poi attende due anni, tre anni, quattro anni o anche di più per avere i permessi, non si finisce più. Poi ci sono delle cose più basilari che sono, non so, i codici identificativi dei rifiuti famosi CER che possono cambiare da regione a regione e gli end-of-waste cambiano da regione a regione, perché una regione te li mette come sottoprodotti, un’altra te li mette come rifiuti. E se posso usare un termine tecnico, ma si possono dire le mezze parolacce qua… mezze? È un bel casino. Quindi ci vuole anche qui un po’ di chiarezza, perché fare impresa è impresa. Poi andiamo a quello che è più difficile di tutti. La prima, l’ha ricordato il Ministro, ci vuole consapevolezza da parte del cittadino. Quindi, noi cittadini che vogliamo avere certi livelli di standard di vita, di benessere, li vogliamo mantenere. Siamo quindi molto poco disponibili ad accettare l’impianto eolico, il fotovoltaico, o il nucleare. Dovremmo accettare anche tutto quello che ne consegue, se li vogliamo mantenere. Questa è la cosa più difficile. I media possono dare il contributo con una corretta informazione che ci vuole. Se c’è questo, passiamo dall’aiutare anche il decisore a prendere le decisioni giuste senza avere la pressione politica, perché poi lo capisco: io sono il rappresentante di tanti voti che mi dicono di non farlo. Quindi avere una corretta visione da parte dei cittadini è importante. Grazie.
Vai. Come vedete, siamo nel “quali azioni”, cosa serve, e allora chiedo anche a Palermo per quel che riguarda tutti gli aspetti idrici che lei ha tracciato: situazione critica, secondo lei, qual è la ricetta? È difficile che ci sia, però, come dire, cosa ritiene che sia opportuno fare?
Palermo. Credo che anzitutto che sull’acqua c’è un tema di presa di coscienza. Lei parlava prima del tema europeo. L’Europa nasce sostanzialmente per risolvere un problema, che ricordo era il carbone e l’acciaio. Nasce la CECA, quindi l’Europa. Da lì, nel 1967, nasce il primo commissario per quanto riguarda l’energia. Oggi forse c’è una riflessione da fare anche su questo. C’è una focalizzazione complessiva a livello europeo sul tema idrico nel suo complesso. In Italia è stato fatto tanto, il governo ha nominato un commissario sull’acqua, dandogli poteri straordinari e quant’altro. Ma il primo tema è individuare un decisore che abbia il quadro completo della situazione, perché purtroppo oggi le responsabilità sono spesso frammentate anche a livello europeo. Il secondo aspetto è intervenire su due lati: da un lato il consumo, quindi la consapevolezza del consumo a tutti i livelli e questo riguarda sia i consumatori, con informazione, strumenti che rendono consapevoli del consumo, per cui è giustissimo ciò che diceva prima Max sul tema dei contatori, perché oggi una famiglia media in Italia consuma praticamente un euro al giorno per l’acqua, quasi meno di un caffè. Allora, da un lato c’è un tema di quanto consumiamo; dall’altro c’è anche un tema di percezione dell’acqua come risorsa scarsa. Siamo tutti consapevoli che, sui temi energetici, si è capita l’esigenza di risparmiare quando, purtroppo, c’è stato anche un incremento dei costi. Triste dirlo, ma spesso è così. Per cui intervenire sulla domanda è molto importante, ma poi c’è tutto il tema di come aumentare la disponibilità della risorsa. Il primo tema è non perderla. Se io ho un livello di perdite alto, è inutile parlare di impianti di potabilizzazione, perché comunque l’acqua si collega sempre a un tubo. Se il tubo perde e disperde il 50% di ciò che trasporta, c’è un grosso problema. Questo è un tema di investimenti sulle reti fondamentale. A quel punto, c’è il tema di cercare di fare il più possibile. Qui si può usare l’intelligenza artificiale, perché esiste tutta la manutenzione predittiva. Oggi c’è un mondo da fare sulle reti per trasformarle in reti intelligenti, in grado anche di capire quando vanno corrette e riparate. Ma poi c’è un tema di intervento su tutto ciò che riguarda le fonti di approvvigionamento. La principale è anche il riuso, perché oggi uno degli obiettivi che noi, come azienda, stiamo promuovendo è il “net zero water”, cioè il concetto che lo stesso litro d’acqua deve essere riutilizzato il più possibile, più volte possibile, depurandolo e riutilizzandolo. Solo facendo questo, già otteniamo una quantità d’acqua, per quanto riguarda almeno il nostro Paese, che è impressionante. Poi bisogna intervenire su tutti gli altri utilizzi, e questo riguarda anche riuscire a catturare la maggior quantità di acqua piovana possibile. C’è tutto il tema, ben noto al ministro, delle dighe: oggi la metà delle nostre dighe sono piene di detriti, per cui i bacini sono al 50% pieni di detriti e risultano inutilizzabili. Andando di questo passo, finiremo con una saturazione delle dighe. Per cui, sicuramente, bisogna iniziare a lavorare su questo aspetto. È complicato, ma si può fare. Bisogna aumentare anche tutti i micro bacini per aiutare l’agricoltura; molto può essere fatto in questo ambito. Ci sono sistemi veloci di accumulo per gestire anche i problemi delle bombe d’acqua che colpiscono le città, per accumulare rapidamente grandi quantità di acqua e poi smaltirle e riutilizzarle. Per cui, oggi le tecnologie ci sono. Cosa serve d’altro? Due abilitatori: le norme e le regole, come al solito, perché se non ci sono regole che incentivino, come dicevano più persone, la riduzione del numero degli operatori… perché la gestione dell’acqua è un settore industriale. Peraltro, è l’unica risorsa per cui non si paga la risorsa in sé, si paga solo il servizio industriale di trasporto e di certificazione, che garantisce che l’acqua che si beve sia potabile a tutti gli effetti. L’acqua, in realtà, non si paga; si pagano le infrastrutture funzionali per averla comodamente a casa, nel proprio bagno. Per il resto, non viene pagato. Quindi, le regole sono fondamentali per favorire la nascita di grandi operatori industriali, che possano fare investimenti anche utilizzando nuove tecnologie. È necessario ridurre e soprattutto ampliare gli ambiti, perché sono stati costruiti gasdotti che trasportano il gas attraverso interi Stati per migliaia di chilometri, ma l’acqua in Italia non può essere spostata quasi da una provincia all’altra perché non esistono collegamenti tra i tubi. Questo significa che, se le persone si spostano, banalmente anche nel periodo estivo per andare in vacanza, io non posso spostare l’acqua necessaria meno in città e più sul litorale. Sembra banale, ma è così. Per cui, c’è anche un tema normativo per favorire ambiti più grandi e rivedere le tariffe, perché il sistema dell’acqua e i meccanismi tariffari attuali non favoriscono gli investimenti. L’acqua, essendo stato l’ultimo settore, ha modelli tariffari molto arretrati rispetto all’elettrico, al gas e ad altri settori. Poi c’è il tema dei finanziamenti, perché tutto questo, come dicevo, ha un costo. Il costo di un litro d’acqua al rubinetto oggi è di 21 centesimi di euro, mentre una bottiglietta comprata fuori costa uno o due euro: c’è una differenza abissale. È chiaro che questo è un tema su cui non si può intervenire sulla tariffa, ma bisogna agire su una gamma di soluzioni. Sicuramente, se l’acqua è un generatore di sviluppo e ha ricadute importanti sul PIL, è chiaro che bisogna anche valutare interventi a livello forse comunitario, a livello nazionale. Oggi stiamo gestendo il più grande investimento idrico italiano e uno dei più grandi in Europa: il raddoppio del Peschiera, che è praticamente la sostituzione della condotta che porta l’80% dell’acqua a Roma, un investimento di un miliardo e quattro. Questo è il primo caso di cofinanziamento da parte del governo, in quanto infrastruttura critica. Su questo credo che molto sia già stato fatto quest’anno dal governo, ma sicuramente rimane un tema prioritario. Grazie.
Vai. Ministro, io raccolgo due spunti, così tu puoi sintetizzare. Scienze e tecnologia fondamentali, ma anche cultura, collaborazione e comportamento, di questo abbiamo parlato, insieme, con il sostegno della politica, che ci aiuti a costruire. Raccogli questo, distilla questo e dicci come pensi, come politico e come cittadino, di sostenere questa transizione.
Fratin. Sì, grazie. Io direi che qui, in questo panel, abbiamo avuto la rappresentazione dei campioni di quella che può essere la capacità del nostro paese di vivere la transizione, di affrontare il passaggio al “dopo”, che è il valore della valutazione, come quelle sull’acqua, parto da Palermo perché è il primo della fila, e dall’altra parte, le difficoltà a raggiungere quell’obiettivo, difficoltà che abbiamo. Io prima ho parlato di passare da 2391 a cento, ma sono alle prese con il commissariamento di una provincia perché non ho ancora raggiunto l’obiettivo, almeno di avere l’autorità d’ambito. Ecco, questa è la realtà. Poi naturalmente ci sono le diffide fatte alla regione e così via. Però, la dimostrazione è stata che ci sono le idee e gli strumenti, anche se accompagnati da una serie di difficoltà. Ci sono le capacità, le idee e gli strumenti sul fronte del duo Conai e, naturalmente, Montello. Sono questi che mi hanno permesso, durante il Consiglio Europeo dei Ministri, quando ho presentato la prima bozza degli imballaggi, di dire: guardate che non è l’Italia che deve adeguarsi alla Germania, ma in questo caso è la Germania che deve adeguarsi all’Italia perché è 30 punti sotto. E questo ho potuto dirlo grazie ai dati che mi trasmetteva Capuano, dai quali emergeva che noi qui siamo i campioni e possiamo insegnarlo ad altri. Ho avuto una bilaterale un’ora fa con un ministro di un paese estero, che ci ha chiesto aiuto sul fronte dei rifiuti, complessivamente, dove ho citato anche quelli che sono i nostri campioni. Abbiamo avuto la valutazione rispetto all’agricoltura, dove abbiamo i campioni e abbiamo la difficoltà di portare il fondo, che rappresenta la parte più distante della percezione, a raggiungere l’obiettivo. Abbiamo la capacità e le menti della tecnologia e anche la capacità e le teste per poter portare a termine l’operazione di riconversione che sta facendo Eni con le raffinerie. È una riconversione colossale, perché noi eravamo il paese delle raffinerie, siamo il paese in mezzo al Mediterraneo. Abbiamo il colosso dei produttori di petrolio, che è Eni, e proprio Eni è più avanti degli altri nel portare avanti questa trasformazione. Questo lo possiamo fare perché è frutto di 50, 60, 70 anni fa, è figlio di quello che è stato l’allora miracolo italiano, se volete: un paese di straccioni che non aveva materie prime. Questa frase la uso spesso, qualcuno l’avrà già sentita da me più volte. Nei sussidiari — adesso ci sono 50 libri alle elementari, forse troppi perché non riescono a leggerli tutti, ma non entro in temi che non mi competono — una volta c’era il sussidiario e il libro di lettura. E se ne cercate uno, troverete scritto: “L’Italia è un paese che non ha materie prime”. Bene, questo Paese che non aveva materie prime, utilizzando la materia grigia e le braccia, è diventato la sesta o settima potenza al mondo, in un certo periodo. E l’ha fatto con la propria capacità. Noi dobbiamo affrontare questa sfida, che è una rivoluzione. Su che tipo di rivoluzione sia, dove piazzarla, su quale punto piazzarla, lo lascio alla libera valutazione, ma possiamo sicuramente considerarla almeno come il passaggio dal vapore al motore a scoppio. È una rivoluzione dalla quale non dobbiamo difenderci, ma accoglierla come un’opportunità: un’opportunità per una nuova economia, per un nuovo modello di occupazione, per una crescita culturale e per una rivalutazione dei prezzi. Prima si parlava di energia, ma in questo “Paese del no”, dove non vogliamo il fotovoltaico, non vogliamo l’eolico, non vogliamo il nucleare, non vogliamo le emissioni carboniche, non vogliamo il PM10, quindi non vogliamo l’inquinamento, però non vogliamo fare nulla per contrastarlo. In questo Paese del no, vogliamo avere il coraggio di fare delle scelte? Questa è la sostanza. E allora dobbiamo fare delle scelte, perché non possiamo continuare così, tanto per dirla con un messaggio solo sui prezzi, che forse è ciò che si percepisce immediatamente. Ma noi abbiamo l’energia che costa oltre 100 euro al megawattora. La Spagna ce l’ha a un terzo, la Francia ce l’ha a metà. Ma fino a quando vogliamo andare avanti come Paese in queste condizioni? Dobbiamo assolutamente percorrere tutte le strade e avere anche il coraggio, perché certo, ogni rivoluzione comporta anche sacrifici; bisogna trovare un punto di equilibrio. Ogni passaggio lo dobbiamo fare. I rifiuti del nucleare: nessuno li vuole nel proprio comune, nella propria provincia, nella propria regione e nel proprio paese, ma tutti vogliono comunque che ci sia il reparto di medicina nucleare negli ospedali. Tutti fanno la scintigrafia, tutti quelli che ne hanno bisogno vanno a farla. Nessuno, tra coloro che dicono che non vogliono il deposito dei rifiuti nel proprio comune, provincia o regione, vieta ai propri familiari e amici di fare PET, scintigrafie, TAC, e così via. Poi io, non essendo medico, non conosco tutte le altre applicazioni e nemmeno quelle per i dispositivi antifumo che contengono particelle che devono andare nel deposito di rifiuti a bassa intensità nucleare. Non è il problema di quelli ad alta intensità. Possiamo decidere di pagare milioni di affitto ai francesi, che accettano i rifiuti, e agli inglesi, che li accettano e li tengono lì. Il problema è la produzione giornaliera. E noi, quando parliamo di consapevolezza, dobbiamo anche superare questo passaggio. La conoscenza significa anche acquisire consapevolezza.
Vai. Grazie. L’invito a partecipare ai numerosi incontri del Meeting. Buon Meeting a tutti. Parleremo anche delle comunità energetiche. Come vedete, il cantiere è aperto. Buona giornata a tutti.