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STORIE DI SPORT, STORIE DI VITA. Rassegna video a cura del giornalista TV Nando Sanvito.
Insieme al Traguardo: storie quasi impossibili.
NANDO SANVITO:
Benvenuti, buongiorno a tutti. Mi dispiace che la logistica sia quella che è. C’è la colonna in mezzo alla sala per rendere la visione ancora più dribblante. Do un avviso di servizio. Chi si fosse perso il video che ho presentato domenica sulle Olimpiadi naziste, potrà vederlo domani alle 18 al villaggio ragazzi, poi per chi resisterà e sopravviverà, giovedì, ci sarà la proiezione de La forza dell’imprevisto, che è il primo filmato che proposi semi clandestinamente al Meeting di 5 anni fa e, come insegnano i giuristi, i reati sono ormai caduti in prescrizione dopo 5 anni quindi potremmo farlo vedere questa sera. Partiamo da una storia e da una delle più avvincenti e famose sfide che sono entrate a pieno diritto nella leggenda dello sport. Una sfida che paradossalmente è stato un duello non per la vittoria. Non spaventatevi se c’è un commento in lingua francese, l’importante è vedere le immagini.
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NANDO SANVITO:
Bene. Erano immagini di più di 30 anni fa. Il ’79, il Grand Premio di Francia a Dijon e c’è questo splendido duello tra il canadese Gilles Villeneuve su Ferrari e il francese René Arnoux su Renault. I loro ultimi due giri sono stati lo spettacolo, credo, più esaltante mai proposto nella storia della Formula 1. Pensate che dopo il traguardo, nel giro che normalmente era continuato, al saluto della folla hanno continuato a sorpassarsi e contro sorpassarsi, rischiando la vita. Dei pazzi, insomma. Dopo aver vinto i primi 4 Gran Premi, la Ferrari era arrivata a questo Gran Premio rassegnata, perché i meccanici della Renault avevano messo a punto questo motore turbo – era la prima volta che si vedeva un motore turbo – e Villeneuve era riuscito a tenere per mezzo Gran Premio la posizione e poi era stato sorpassato da Jabuille che poi avrebbe vinto. Questo duello è stato un qualcosa che ha contribuito ad alimentare il mito della Ferrari. Ma chi ha creato la Ferrari? Siamo nella regione di Enzo Ferrari. Chi era Enzo Ferrari? Un industriale pieno di soldi? No, era un povero in canna. Era un geniale ingegnere meccanico? No, non ha fatto neanche la quinta elementare. Chi era, allora, Enzo Ferrari? Semplicemente uno che collaudava le auto di una piccola casa automobilistica modenese di cui, poi, divenne pilota. Qui vediamo alcune immagini di lui pilota. Bene, da pilota Ferrari ha coltivato un sogno, quello di creare una scuderia automobilistica solo per le corse, ma era senza soldi e non sapeva progettare un auto – tant’è vero che a chi gli chiedeva che auto avesse in testa, lui rispondeva un motore potente con quattro ruote attaccate, era il massimo di quello che riusciva a descrivere – sennonché, a venticinque anni, nel 1923, succede quello che state per vedere.
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NANDO SANVITO:
Bene. Ferrari ha una sola ricchezza, non soldi, non competenza, non potere politico, la sua ricchezza è un sogno, come dice nel film – o come lo definisce altrove, un progetto ideale – da rendere opera ma per realizzarlo ha bisogno di incontrare e di avere a fianco quelli che con lui lo renderanno possibile. Avete visto, lui osa, bleffa, mette in gioco totalmente la sua grande passione e il destino gli affianca le persone giuste e abbiamo visto – come era veramente – Vittorio Iano, il più esperto progettista della Fiat, conquistato dalla personalità e dalla forte carica immaginativa di Enzo Ferrari. Rilevano il reparto corse dell’Alfa Romeo, che diventerà progressivamente la scuderia Ferrari. Questa è la prima auto che hanno inventato insieme, Iano e Ferrari, che consentirà poi le vittorie di Antonio Ascari – eccole qui, questo è il Gran Premio del Belgio di Formula 1 – e di Giuseppe Campari. Quindi il destino ti dà talento ed aspirazioni ma anche la compagnia per realizzarlo e ti accompagna fino alla fine. Enzo Ferrari muore alla vigilia di ferragosto del 1988. Il mondo lo saprà solo a funerali avvenuti per sua disposizione testamentaria. La Formula 1 torna in Italia tre settimane dopo la sua morte. Si corre il Gran Premio di Monza, dodicesima prova stradominata dalle McLaren – Honda – pensate, 11 Gran Premi disputati fino a quel momento, 11 vittorie della McLaren, 7 di Senna, 4 di Prost. Addirittura nel Gran Premio che precede questo Gran Premio di Monza, le due Ferrari in Belgio si erano entrambe ritirate. Pensate un po’ come era messo l’ambiente. Si arriva, dunque, a Monza e questo striscione ricorda il “Drake” cioè Enzo Ferrari e inneggia i due piloti della Ferrari che sono Berger e Alboreto. Il domino della McLaren anche qui a Monza è assoluto ma al 34° giro, problemi al motore alla McLaren di Prost che si ritira. Resta però al comando Ayrton Senna, dominio assoluto, anche qui ma guardate che succede al terz’ultimo giro.
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NANDO SANVITO:
Bene. Un innocuo sorpasso per doppiare un altro pilota. Questo doppiaggio diventa fatale per Senna, un malinteso tra i due, collisione e Senna si ritira.
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NANDO SANVITO:
Avete visto, dunque, l’esito di questa gara. Doppietta Ferrari. Primo Berger, secondo Alboreto, delirio a Monza ed Enzo Ferrari dal cielo sorride. Gli altri Gran Premi li vincerà tutti quanti Senna su McLaren. 15 Grand Premi vinti su 16 della McLaren ma non hanno vinto quello d’Italia. Un altro spunto ce lo dà questa storia.
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NANDO SANVITO:
Bene. Erano le immagini della conquista della medaglia d’oro alle Olimpiadi di Lillehammer nel 1994 da parte di Gerda Weissensteiner, ultima di 8 fratelli di Colle Pietra in Val Punteria. Questa donna, pochi giorni dopo la conquista di quella medaglia d’oro nello slittino, si deve confrontare con una incredibile realtà. La prima cosa succede dopo pochi giorni da quella gioia, viene a sapere che mentre sta viaggiando in moto sulla statale del Brennero con un amico, suo fratello Daniel, venti anni, ha un incidente stradale e muore sul colpo. Fanno il funerale di questo ragazzo e mentre lei coi suoi familiari si trovano in questo cimitero di Colle Pietra per seppellire il fratello, durante il funerale, uno o più persone entrano nella sua casa e le rubano varie cose, tra cui la medaglia d’oro olimpica. Qualche girono prima c’era stato uno strano furto anche a Vipiteno, nella casa della direttrice dello slittino azzurro, Brigitte Fink. La polizia, grazie all’aiuto di alcune telefonate anonime, pensa si tratti di una vendetta – tra virgolette – nazionalista sud tirolese, per chi si era avvolto nel tricolore alle Olimpiadi norvegesi. Fatto sta che dopo questo episodio cambia anche la dirigenza del settore tecnico dello slittino, Gerda Weissensteiner non va molto d’accordo con i nuovi dirigenti. Abbandona l’attività agonistica senza mai però mollare l’idea di riprendersi in qualche modo quella medaglia. L’occasione arriva ai giochi olimpici di Torino 2006, quando il bob apre alle donne. Lei resta folgorata dal bob e quindi decide di misurasi con questa disciplina. Ovviamente viene scelta, vista anche l’esperienza che aveva nello slittino e il suo destino si incrocio con quello di una ragazza brianzola ventinovenne, eccola qui. Si chiama Jennifer Isacco, lei era stata campionessa italiana di atletica leggera nei 100 e 200 metri nella categoria allievi tra il ’92 e il ’94. Poi aveva accompagnato un amico in una vacanza in Austria e questo amico aveva bisogno di una frenatrice, un’addetta alla spinta nel bob – pensate sono quasi 200 chili di roba da spingere – e si innamora del bob e viene scelta come riserva del bob, ma alla vigilia di quella Olimpiade, qualche mese prima, si infortuna la titolare che doveva scendere con Gerda Weissensteiner e dunque lei, da riserva, diventa titolare. Va a piazzarsi a Colle pietra in Val Punteria in casa di Gerda per preparate la gara olimpica per 5 mesi. Vediamo cosa succede in quella gara.
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NANDO SANVITO:
Bene. Gerda e Jennifer vincono la medaglia di bronzo e Gerda mostra un biglietto che Jennifer lei ha messo in mano al momento della partenza. Lo mostrano alle telecamere. Weissensteiner sarà a distanza di dodici anni – vince la medaglia doro e dopo dodici anni vince la medaglia di bronzo – la seconda donna al mondo a vincere due medaglie in due differenti specialità e lo fa a 37 anni. Dopo la medaglia olimpica Gerda Weissensteiner si dedica totalmente alla sua personale famiglia e un anno dopo le nasce un figlio. Eccolo qui, non poteva che chiamarsi Daniel, in onore del fratello che era morto. Pensate un po’. Quando nasce Daniel? Nasce per parto spontaneo il 27 febbraio, giorno del compleanno della sua compagna d’avventura Jennifer.
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NANDO SANVITO:
Queste sono le immagini della finale dei 100 metri farfalla alle Olimpiadi Seul del 1988, qui in piscina c’è lo statunitense Matt Biondi che aveva vinto sei medaglie d’oro, è in testa, attenzione all’ultima bracciata. Ebbene sì, Matt Biondi sbaglia l’ultima bracciata nel senso che arriva ad un centimetro dall’arrivo, e per questo centesimo di secondo viene superato da Anthony Nesty. Lo vedete. E’ la prima volta che un’atleta di colore vince una gara di nuoto. Lui è nato a Trinidad nel Tobago, ma si era trasferito nei primi mesi nel Suriname. Pensate questo stato, 400.000 abitanti, aveva una sola piscina. Dodici anni dopo nel nuoto fa notizia un altro staterello, dobbiamo però cambiare di continente, dobbiamo spostarci dall’America all’Africa. Questo stato forse voi non lo conoscete neanche si chiama Guinea equatoriale, 28.000 metri quadri, e mezzo milione di abitanti; la bandiera con scritta “unidad paz e justicia” ci ricorda che la lingua ufficiale è il castigliano e che è stata colonia spagnola fino al 1968, quando si è resa indipendente. Vive di giacimenti petroliferi, questa è la sua capitale Malabo, trentottomila abitanti, situata su un isola; non è competitiva a livello sportivo ma essendo affiliata la CIO, Comitato Olimpico Internazionale – il CIO si vanta di avere più nazioni aderenti che non l’Onu – doveva in qualche modo andare alle Olimpiadi anche se li dentro non c’è nessuno che sia, sportivamente parlando, interessante. L’unico sport sviluppato in Guinea è la pelota basca, retaggio della colonizzazione spagnola, ma sapete che la pelota basca non è uno sport olimpico e dunque devono inventarsi qualcosa per portare qualcuno alle olimpiadi di questa nazione.
Danno una borsa di studio, ci sono dei volontari che fanno una selezione, la selezione la vince questo signore qui. Vediamo se compare in foto, io la considero la più simpatica faccia da “pirla” che si sia mai vista. Bene questo signore si chiama Eric Moussambani, classe 1978. Lui è conosciuto perché fa l’animatore turistico nei villaggi, è un poliedrico, sa giocare a calcio, a basket, a pallavolo, però non ci sono questi sport da fare alle Olimpiadi, perché non hanno una squadra decente in nessuno di questi sport, e dunque il CIO comunica nove mesi prima che il posto utile per le Olimpiadi sarà nel nuoto. Non ci sono nuotatori professionisti nel paese, Moussambani ha un piccolo problema, non sa nuotare, naturalmente si fa coraggio, impara a nuotare. Così otto mesi prima di questo evento comincia ad allenarsi in un fiume vicino a casa sua, che però si scopre essere impestato da coccodrilli e dunque cambia e va nell’unica piscina di ventidue metri che c’è nel paese, in un albergo. La Guinea equatoriale non ha strutture sportive. Insomma impara a nuotare e va alle Olimpiadi di Sidney nel 2000. Voi sapete in Australia il nuoto è lo sport più popolare con il rugby; e per la prima volta a Sidney vede una piscina da 50 metri, che è quella olimpica. Sapete che lui corre nello stille libero, fa i 100 metri stile libero, ci sono dieci batterie di qualificazione, i primi sedici vanno in finale. Le batterie partono dai tempi più bassi e vediamo cosa succede. Lui finisce in una batteria dove c’è un atleta… bè vediamolo tanto ve lo spiego mentre vediamo.
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Ecco qua ci sono solo tre atleti Karim Bare del Niger, Farkhot Oripov del Tagikistan, e Moussambani della Guinea Equatoriale. Ecco qui Moussambani.
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Moussambani ci resta male, pensa di essere squalificato e invece scopre che sono stati squalificati gli altri due. Attenzione, guardate come nuota: gambe larghe e non mette mai la testa sotto l’acqua, come i cani. Qui comincia ad impallarsi e i dirigenti cominciano a spaventarsi e allertano il settore medico, perché hanno paura che anneghi. 1.52.72 praticamente quasi il triplo del tempo con cui vincerà quell’olimpiade l’olandese van den Hoogenband, ma comunque, questa prova disastrosa rende molto famoso Eric Moussambani.
Viene intervistato dalle televisioni di tutto il mondo, perché sono increduli che uno così si sia potuto presentare alle Olimpiadi; un giornalista australiano lo battezza Eric l’Anguilla, e viene invitato, pensate, il mese seguente, a Londra per ricevere gli oscar della tv britannica, perché questa sua esibizione rimandata mille volte in tv fa sempre il record di ascolti. Viene premiato, prenderà in affitto uno smoking, insomma non vi sto a dire come arriva a Londra, perché già questa è un’avventura, ma insomma diventa famosissimo. Addirittura la tv tedesca gli paga una comparsata, lui pensa per partecipare ad un talk show, lo portano invece in Germania e lo mettono in una piscina dove dovrà misurarsi in una sfida a due sui 100 metri con una signora di ottanta anni. Sfida per altro vinta a fatica, essendo questa una ex nuotatrice, bene torniamo al nostro uomo. Torna da Londra con un contratto firmato per pubblicizzare articoli di abbigliamento e una borsa di studio offerta da una università americana per allenarsi e studiare. Ma un errore burocratico del Ministero competente gli fa scadere il visto per gli Stati Uniti e quindi l’opportunità è persa, il contratto pubblicitario non viene rinnovato. Se ne va allora in Spagna, dove trova lavoro e si allena da solo puntando sulla vasca corta, 50 metri, ai mondiali del 2001 in Giappone e a quelli del 2003 a Barcellona. Viene eliminato senza scampo in batteria in questi mondiali, però insomma in questi quattro anni riesce a migliorarsi, al punto da dimezzare il suo tempo; riesce a scendere sotto i 57 secondi, che è sempre un tempo altissimo, ma comunque. Punta alle olimpiadi del 2004 ad Atene. Al potere nella Guinea Equatoriale dal 1979 c’è questo signore, un generale, si chiama Teodoro Obiang Nguema Mbasogo, ha fatto un colpo di stato militare nel ’79, e il suo partito controlla 99 seggi su 100 in Parlamento. Potete immaginare che razza di democrazia sia questa, e quanta corruzione e quanta inefficienza della burocrazia governativa ci sia e questa burocrazia dà un’altra incredibile prova di sé. Sapete che per andare alle olimpiadi bisogna consegnare una documentazione dove c’è una foto e tutto il carteggio che chiede la sede del CIO che va spedito a Losanna in tempo utile. Bene, non so come, alla fine non trovano la foto di Moussambani, gliela staccano allora dal passaporto e la mettono allegata a questa documentazione. Ma alla sede di Losanna del Cio questa foto non arriva mai. Probabilmente si è sfilata dall’incartamento quando l’hanno maneggiata i funzionari guineani, resta il fatto che non c’è più tempo per rimediare e quindi per documentazione incompleta viene rifiutata l’iscrizione di Moussambani alle Olimpiadi. Da allora non si è saputo più nulla di lui. Qualcuno dice che sia finito in Florida a lavorare nei computer ma comunque non ci sono certezze. Beh, qui c’è una vicenda personale incredibile, veicolata su un grande palcoscenico: uno che non pensava di essere nuotatore, si ritrova a sorpresa a farlo senza prenderlo troppo sul serio e diventa suo malgrado famoso. Quando poi si mette a fare sul serio e ci crede, il destino, in modo apparentemente beffardo, lo priva di questa aspirazione. Abbiamo visto che il suo livello di competitività comunque mediocre non avrebbe sfigurato alle Olimpiadi in modo così clamoroso come quattro anni prima.
Ma c’era bisogno di lui? Si può concludere che non era suo destino diventare nuotatore ma che il Destino con D maiuscola ha usato la sua avventura. Per cosa? Hanno fatto uno studio e nessuno, quasi nessuno conosceva la Guinea Equatoriale. L’avventura incredibile di Moussambani, hanno calcolato che ha portato una popolarità ed un’attenzione sulla Guinea Equatoriale assolutamente sconosciuta prima. Quindi il destino ha usato l’avventura di questo uomo per portare alla ribalta dell’opinione pubblica internazionale una realtà che era completamente ignorata, sconosciuta, marginale, anche politicamente scomoda ed ingiusta, su cui andavano accesi i riflettori dell’opinione pubblica. Quella vicenda personale involontariamente li ha accesi.
Accendiamoli dunque anche noi questi riflettori per un attimo su questa realtà nel suo bene e nel suo male.
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NANDO SANVITO:
Insomma ancora una volta, come spesso sottolineo, un esempio di come un evento sportivo non sia sportcentrico. Bisogna allargare i suoi confini fuori dalla cornice dell’evento stesso per capirlo fino in fondo. Spostiamoci di continente e dall’Africa veniamo in Europa, in questa isola dalla gloriosa storia, Cipro. Guardiamo queste immagini che ci riportano indietro di trentacinque anni.
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NANDO SANVITO:
Era appunto il 1974 quando l’esercito turco invade e occupa il 18% dell’isola di Cipro. Qui ci vive quasi un terzo della popolazione a maggioranza di lingua turca. A seguito di questa invasione, Cipro viene divisa in due parti, la parte sopra controllata dai turco ciprioti, dall’esercito turco e quella sotto controllata dai greco ciprioti, dai ciprioti di lingua greca. In questa parte occupata dai turchi rimane una città, come vedete, Famagosta; una città a cui noi siamo legati, che fu conquistata dai genovesi nel ’300 e poi dai veneziani nel ’400, che hanno costruito queste mura che ci sono ancora oggi.
Divenne famosa perché quando i turchi la misero sotto assedio, il senatore veneziano Bragadin, nonostante fosse stato concordato, dopo un anno di assedio, un uscita pacifica, venne preso, scorticato vivo e con lui molti suoi compagni. La cattedrale di San Nicola è da allora una moschea. Tornando alla nostra cartina, vedete che Famagosta resta dall’altra parte e lì ci sono moltissimi cristiani di lingua greca, ciprioti di lingua greca, che scappano da quella città e si uniscono ai duecentomila profughi che abbandonano quella parte per trasferirsi nella parte sotto. La maggior parte di questi cittadini di Famagosta va a Larnaca dove c’è l’aeroporto e qui cercano di ricostruire la loro vita e nella loro vita c’è anche lo sport. Il club sportivo di Famagosta, vedete, che si chiama Anorthosis che vuol dire rinascita. Bene, questa è la vecchia sede dentro Famagosta, adesso è una città fantasma, da più di trentacinque anni ci sono solo topi, l’erba alta e guardate come è lo stadio, vedete. Loro lo ricostruiscono a Larnaca, eccolo qui lo stadio. Ma nel frattempo non c’è ancora pace; quelli che hanno abbandonato quella città ci vogliono rientrare e spesso ci sono manifestazioni sul confine che è garantito dalle truppe dell’Onu, perché la città si vede è lì.
Vediamo in una di queste manifestazioni cosa succede; questo avviene dopo un raduno di motociclisti nei sobborghi di Famagosta. Sparano, questo è l’esercito turco che spara; questo signore ha la casa proprio lì, è dalla parte turca, vorrebbe rientrarci, i soldati dell’Onu lo fermano, c’è proprio la bandiera turca sopra, vedete. Bene, in questo clima veramente di tensione succede un fatto clamoroso dal punto di vista sportivo. Nell’estate del 2008 la squadra di calcio dell’Anorthosis di Famagosta, si qualifica per la Champions League. E’ la prima volta che un club cipriota arriva a disputare questa competizione che è la più importate del calcio europeo; c’è un piccolo particolare però, quello stadio che abbiamo visto ricostruito a Larnaca dai cittadini di Famagosta è considerato dalla Uefa troppo piccolo per ospitare le partite di Champions Lague, ha solo 9700 posti, dunque non viene accettato e omologato. L’Anorthosis per giocare deve trasferirsi in un altro stadio, dove? Nella capitale, cioè a Nikosia, la vedete, città simbolo della divisione dell’isola, perché passa proprio in mezzo alla linea di divisione, c’è un muro che divide la città in due. I ciprioti da una parte, i turco ciprioti dall’altra. E’ l’ultimo muro rimasto in piedi dopo la caduta del muro di Berlino. Questo è il punto di passaggio, l’unico punto di passaggio fino a qualche tempo fa, adesso ne hanno aperto un altro. Bene, immaginatevi la situazione! L’Anorthosis è di Famagosta, ha dovuto fuggire da lì, hanno messo sede in un’altra città, Larnaca, ma sono costretti a giocare in una terza città Nikosia. Il sorteggio li mette nel girone dell’Inter. Noi rimaniamo molto colpiti quando alla partita che si gioca a Milano, i tifosi ciprioti, che noi seguiamo con una telecamera, non fanno come tutti i turisti, che come prima cosa vanno a visitare il duomo, il castello sforzesco; no la prima cosa che fanno è andare in pellegrinaggio ad una stazione della metropolitana, Famagosta. Dove fanno le foto di gruppo, orgogliosi che ci sia una città europea come Milano che ha dedicato una piazza e comunque una fermata di metropolitana alla loro città fantasma. Ma veniamo alla partita di Nicosia fra l’Anorthosis e l’Inter. L’Anorthosis accoglie l’Inter in un momento particolare, hanno perso 4 a 0 col Nicosia, dopo che venivano da 38 turni imbattuti, sono scesi al terzo posto della classifica, hanno sbagliato tre rigori nelle ultime due partite, e di fronte all’Inter sono costretti di fare a meno dei loro tre uomini migliori, Sàvio, Dellas e il capitano Nicolaou. A questo punto l’allenatore si prende paura e lascia fuori il bomber della squadra Sosin e mette in avanti un 34enne, Frousus. Dulcis in fundo, perdono per infortunio l’unico creatore di gioco che avevano in campo, Paulo Costa.
Vediamo cosa succede.
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NANDO SANVITO:
Bene quella che doveva essere una partita senza storia a favore dell’Inter, visto l’equilibrio delle forze in campo, abbiamo visto finire in pareggio con tre gol incredibili e surreali dei ciprioti. In quella partita c’erano molti più fattori in gioco che non una semplice palla e chi doveva calciarla. Come spesso ripeto nelle mie storie, per capire un evento personale e collettivo bisogna sempre metterlo in relazione con qualcosa di più grande. L’Anorthosis in Champions League significava contribuire a tenere i riflettori accesi dell’opinione pubblica su un dramma dimenticato e irrisolto, come quello del muro che separa questa isola, questa divisione intollerante. E anche l’esito consolante per i tifosi ciprioti di quella gara è stato un regalo. Adesso saltiamo questa storia perché vediamo la prossima.
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Avete riconosciuto Micheal Jordan, insomma parliamo di basket. Ma chi ha visto la mostra che abbiamo preparato e presentato qualche anno fa a Rimini, sa a chi dobbiamo essere riconoscenti per il dono del basket, a questo signore canadese, figlio di emigrati scozzesi, che alla fine era diventato un prete presbiteriano oltre che insegnante di educazione fisica. Ebbene incarica la Young Men’s Christian Association, l’associazione cristiana che ha inventato le palestre, di inventare un gioco da poter fare in palestra. Stare dentro quando faceva freddo facendo solo ginnastica infatti annoiava i ragazzi. E inventa appunto il basket, un canestro, questo. Il canestro per raccogliere le pesche, il basket, questo è il primo canestro in cui giocavano in quella palestra, abbiamo anche le foto di una delle prime partite. C’era anche la squadra femminile e abbiamo anche il pallone. Bene, oggi il basket coinvolge 200 milioni di praticanti a cui Naismith non pensava certo, quando volle creare il basket pensando alle regole basate sulla legge della carità cristiana, tanto è vero che è un gioco che valorizza sempre la squadra, il singolo solo in funzione della squadra. Naismith non pensava che il sport servisse a qualcosa di più che un passatempo. Ce lo spiega un allenatore italiano, che nel ’95 ha rinunciato alla panchina delle serie A, dopo 12 anni.
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NANDO SANVITO:
Marco Calamai prende una vecchia stalla che gli offre la curia modenese, ci mette 17 ragazzi tra i due e i venti anni con difficoltà psichiche e di comportamento, psicotici, autistici, spastici, down, li iscrive ad un campionato, un campionato Aspi, tutti di squadre normodotate. Lui mette in piedi una squadra integrata 3+2, tre normodotati e due diversamente abili: vince 17 partite su 20, arriva alle finali nazionali nel 2006-07, dove conquisterà il secondo posto. Sono 450 ora a seguire questo suo metodo. Certo non sa che a distanza di un continente, in America, 10 anni dopo verrà travolto da una insolita storia. Allena una squadra scolastica nello stato di New York, ha un ragazzino artistico, Jason McElwain, non ha mai giocato in partita è sempre stato in panchina tutta la stagione, mai un minuto di gioco ma è l’ultima gara casalinga, mancano quattro minuti alla fine, hanno una dozzina di punti di vantaggio, l’allenatore decide di buttare nella mischia questo ragazzo autistico, Jason McElwain. Nel primo minuto Jason sbaglia i primi due tiri, guardiamo cosa succede negli ultimi tre minuti di gioco.
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L’abbraccio della madre. Con sei tiri uno da tre punti e uno da due, Jason fa in tre minuti 20 punti. Neppure nella NBA si è visto qualcosa del genere. Diventerà notizia nei più importanti telegiornali, al punto che lo stesso presidente Bush chiederà di incontrarlo. Chiudo con questa storia che a me piace tantissimo, vediamola.
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Siamo alle olimpiadi di Pechino, nella finale di tiro assegno con carabina dalla distanza di 50 metri, in tre posizioni, come sapete, sdraiati, in ginocchio e in piedi. Al comando c’è lo statunitense Matthew Emmons, famoso non solo per essere uno dei migliori al mondo, ma per l’incredibile epilogo che acompagnò questa stessa gara quattro anni prima, alle olimpiadi di Atene, dove lui era primo all’ultimo tiro, con tre punti di vantaggio. Tre punti sono una enormità in uno sport dove le distanze spesso sono calcolate in centesimi di punto. Effettivamente all’ultimo tiro Emmons centra perfettamente il bersaglio. Peccato però che non sia il suo ma quello del vicino, a cui involontariamente tra l’altro regala la medaglia di bronzo. A commentare questa gara insieme al telecronista della tv della repubblica ceca c’è anche una ragazza, Katerina Kurkova, pure lei una tiratrice ventenne della Repubblica Ceca e lo capiamo anche da queste immagini. Tra l’altro finisce anche sul podio con la medaglia di bronzo. Rimane scioccata dalla scena che avviene in un silenzio irreale, poi a gara finita segue il giornalista della tv ceca nella zona mista dove si possono fare interviste agli atleti e lì incontra Matthew Emmons. Come va a finire lo capite da questa foto: sarà un colpo di fulmine e si sposeranno nel 2007. Emmons perde una medaglia d’oro ma trova una moglie. Lei si presenta alle olimpiadi di Pechino, quattro anni dopo, appunto, da signora Emmons: qual è la prima medaglia d’oro che si assegna a Pechino il primo giorno di gara? Quello della carabina da 10 metri, la conquista proprio lei, Katerina Kurkova. Ma torniamo alla gara del marito alle ultime olimpiadi.
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NANDO SANVITO:
Come vedete dalla classifica, il vantaggio di Emmons è rassicurante, può persino permettersi il lusso di fare un brutto tiro, un tiro da sette, perché il suo vantaggio su gli altri lo vedete è un buon margine. Vediamo come finisce questa gara. Avete visto ha completamente “cannato”, finirà quarto, non riesce nemmeno a prendere la medaglia. Questo sguardo e abbraccio di Katerina Kurkova, la moglie, mi ha fatto tornare alla mente un altro e ben più famoso scambio di sguardi che vi ho proposto due anni fa, al villaggio ragazzi. Se qualcuno l’ha visto se lo ricorderà nelle Olimpiadi invernali di Torino, alla fine di un esercizio rovinato da una caduta. Questo è lo scambio di sguardi tra Fusar Poli e Margaglio, questi due italiani. Bèh, il mistero della vita ci stupisce sempre e ha una grande fantasia. La sconfitta di Atene fece trovare ad Emmons una moglie ed io mi sono chiesto questa di Pechino cosa ci avrebbe riservato e mi sono imbattuto, adesso non spaventatevi ma devo cambiare, sarà l’ultima immagine che vi propongo. Quello che ci ha lasciato quella sconfitta lo si è capito nove mesi dopo, esattamente nove mesi dopo! Bèh queste storie hanno un filo comune: abbiamo visto atleti con aspirazioni, con talenti, con limiti, tutti strumenti con cui anche noi come loro dialoghiamo con la realtà. Ma questa sfida con la realtà è una corsa, diciamocelo, in termini sportivi, che ha una sorta di traguardo finale ma anche delle tappe. Ogni tappa quotidiana di questa corsa ha un suo premio, una sua verifica, che è la crescita della nostra umanità, della sua progressiva apertura, sia in termini di conoscenza che in termini di affettività, apertura fino a diventare totale. Il bello, quello che mi ha commosso di queste storie, è che noi non siamo mai soli, perché il destino, attirandoci a sé, non ci dà solo la pista su cui correre e le regole del gioco ma ci dà soprattutto la compagnia necessaria per arrivare al traguardo: la famiglia, le amicizie, la comunità umana, gli incontri e un sorreggersi a vicenda in cui ognuno vede e sente qualcosa che l’altro non riesce a vedere e sentire e viceversa. Questa coopenetrazione ci consente di allargare gli orizzonti di mente e cuore, perché gli ingranaggi della vita si attivano solo con un motore che non è quello della Ferrari, ma è quello dell’amore o come sarebbe più giusto dire, quello della carità.
Grazie.
(Trascrizione non rivista dai relatori)