STORIE DI RINASCITA A TAIWAN

Donato Contuzzi, rettore della casa di formazione della Fraternità San Carlo Borromeo, missionario a Taiwan dal 2012 al 2022; Gianni Criveller, sacerdote del Pime, storico, teologo e sinologo, direttore dell’agenzia AsiaNews e della rivista Mondo e Missione; Xu Yahan, giovane taiwanese convertita al cattolicesimo. Modera Leone Grotti, giornalista Tempi

A Taiwan, a 180 km dalla Cina, i cattolici sono un piccolo gregge di 150 mila persone su 23 milioni di abitanti. Nella patria mondiale dei microchip la fede, attraverso l’incontro con il movimento di Comunione e liberazione e i missionari della Fraternità san Carlo, genera storie commoventi e miracolose come quelle narrate negli Atti degli apostoli.

STORIE DI RINASCITA A TAIWAN

STORIE DI RINASCITA A TAIWAN

Mercoledì 21 agosto 2024 ore 16:00

Arena Tracce A3

Partecipano:

Donato Contuzzi, rettore della casa di formazione della Fraternità San Carlo Borromeo, missionario a Taiwan dal 2012 al 2022; Gianni Criveller, sacerdote del Pime, storico, teologo e sinologo, direttore dell’agenzia AsiaNews e della rivista Mondo e Missione; Xu Yahan, giovane taiwanese convertita al cattolicesimo.

Modera:

Leone Grotti, giornalista Tempi

Grotti. Benvenuti a questo nuovo appuntamento all’Arena Tracce. Oggi, come suggerisce il titolo, parliamo di Taiwan, un argomento un po’ inconsueto, e lo facciamo in modo un po’ diverso rispetto a come viene trattato di solito sui giornali. Quando se ne parla, accade sempre per tre motivi: motivi politici, ogni volta che la Cina minaccia di attaccare militarmente l’isola tropicale; motivi economici, visto che Taiwan ormai è diventata la capitale mondiale della produzione dei microchip, producendo il 60% a livello globale e il 90% di quelli avanzati, quindi tutta la tecnologia che usiamo non sarebbe disponibile se non ci fosse Taiwan; oppure motivi atmosferici, visto che l’isola è soggetta a frequenti terremoti e tifoni. Oggi, invece, vogliamo andare più all’essenziale, come suggerisce il titolo del Meeting. Nella lettera che ha inviato al Meeting di Rimini, papa Francesco dice che l’essenziale è l’amicizia con Gesù, un’amicizia che noi dobbiamo mendicare. Ora, ci sono posti dove la mendicanza dell’amicizia con Gesù assume forme molto inconsuete, semplicemente perché Gesù è di fatto uno sconosciuto. Taiwan è, appunto, uno di questi posti, perché, su 23 milioni di abitanti, i cattolici sono meno dell’1%, circa 150 mila; i cristiani sono un po’ di più, sono il 3%, ma comunque la stragrande maggioranza della popolazione segue le religioni popolari cinesi, il taoismo o il buddismo. È quindi una terra dove, per trovare l’essenziale, bisogna innanzitutto portarlo. È una terra in cui c’è tanto bisogno di missione, non nel senso “terzomondista” immediatamente evocato dalla parola, per cui pensiamo che la missione sia necessaria solo nei paesi sperduti dell’Africa, molto poveri, dove c’è bisogno di andare ad aiutare e a salvare. Molte volte, infatti, la povertà non è materiale ma spirituale, e Taiwan è, in fondo, un posto di questo tipo. Si tratta di un paese ricco, sia dal punto di vista materiale che spirituale, dove vivono e sopravvivono ancora la cultura e le tradizioni millenarie cinesi, forse anche più che in Cina, dove gran parte di queste ha dovuto attraversare la distruzione durante la rivoluzione culturale. Tuttavia, Taiwan è anche una terra di prima evangelizzazione, nonostante siamo nel 2024. I domenicani vi giunsero per la prima volta intorno al 1600, ma furono cacciati quasi subito e hanno dovuto aspettare secoli prima di tornare. Di fatto, il cristianesimo ha avuto una diffusione significativa solo a partire dal 1949, quando l’esercito di Chiang Kai-shek, formato per lo più dai nazionalisti che persero nel 1949 la guerra civile contro i comunisti di Mao in Cina, scapparono sull’isola di Formosa, a Taiwan, portando con sé moltissimi cristiani, centinaia di preti e suore che diedero un impulso fortissimo all’evangelizzazione. Si parla di settant’anni fa. Eppure, a Taiwan c’è una particolarità: l’incontro tra cristianesimo e tradizioni e culture cinesi dà luogo, come dice il titolo di questo incontro, a storie incredibili, a storie molto belle di rinascita. Di questo oggi vogliamo parlare durante il nostro incontro, e lo faremo con i nostri relatori che vado subito a presentare. Qui di fianco a me c’è – molti di voi lo conoscono già – don Donato Contuzzi, che oggi ricopre l’incarico di direttore della Casa di Formazione della Fraternità San Carlo Borromeo e che è stato in missione a Taiwan dal 2012 al 2022. Poi abbiamo padre Gianni Criveller, missionario del Pime, docente di Teologia della Missione presso lo Studio Teologico Missionario del Pime e di Introduzione alla Teologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore. Padre Criveller dal 2023 è direttore dell’agenzia Asia News, direttore della rivista Mondo e Missione ed è tra i più grandi studiosi in Italia della cultura e della religione cinese; come missionario, ha vissuto e insegnato a Taiwan, a Hong Kong, in Cina e a Macao a lungo, cioè dal 1991 al 2017. E per ultima, ma solo in ordine di distanza, abbiamo Xu Yahan, giovane taiwanese che si è convertita al cristianesimo attraverso l’incontro con i missionari della San Carlo e il movimento di Comunione e Liberazione. Inizio con una domanda a padre Criveller. Poco fa abbiamo ricordato il titolo del Meeting sulla ricerca dell’essenziale. Ma la gente a Taiwan, come anche in Cina, cerca l’essenziale? E come lo cerca? E qual è la nostra responsabilità nell’aiutarli a trovarlo?

 

Criveller. Buon pomeriggio a tutti. Gesù non è cinese. Vorrei tentare di rispondere a questa domanda con questa affermazione. Quando ero a Taiwan, mi ero interessato alle storie di conversione, di cui parliamo anche nel libro che viene citato in questo incontro. In particolare, ricordo le conversazioni che poi sono diventate anche un’intervista con un giovane universitario che si è battezzato proprio nei mesi in cui noi abbiamo fraternizzato. Il suo nome cristiano era Leonardo, e mi parlò della sua conversione. Ricordo di avergli chiesto: «Ma un ragazzo cinese, in generale un cinese – Taiwan è abitata in gran parte da cinesi – cosa pensa quando sente la parola Gesù?». La sua risposta fu: «La cosa che pensa un cinese quando sente il nome di Gesù, secondo lui, è che Gesù non è cinese». Ho trovato questa conferma quando poi ho studiato i primi dialoghi tra i missionari gesuiti del 1600, in particolare Matteo Ricci e Giulio Aleni. Una delle maggiori obiezioni da parte dei loro interlocutori e dei letterati cinesi del tempo era: «Ma insomma, Gesù non è cinese, è vostro; noi abbiamo altri e bastano, ci bastano.» Questa risposta mi colpisce sempre perché, in effetti, Gesù non è cinese e quindi il sottotesto è questo: «Gesù non è cinese, non ci interessa, non ne abbiamo bisogno. Abbiamo vissuto per millenni senza di lui, la stragrande maggioranza dei cinesi vive senza Gesù, senza conoscerlo». Anche il cardinale Pizzaballa raccontava ieri l’esperienza che fanno i missionari nel rendersi conto di come la stragrande maggioranza delle persone nel mondo viva senza essere cristiana, mentre per noi è praticamente al centro del nostro interesse.

Ho compreso quindi – e poi torno al tema dell’essenziale – che noi missionari, noi cristiani, annunciamo qualcosa di cui la gente non ha bisogno. Non è perché a un cinese Gesù non interessa che noi dobbiamo smettere di fare missione. In realtà, noi annunciamo Gesù in ogni caso, perché lo riteniamo la cosa più importante. Non è perché dobbiamo colmare il vuoto, il bisogno, la povertà di qualcuno. Non è questo l’inizio della missione, in nessun modo. Il tema di questo Meeting è l’essenziale, però a me piace anche quello che è il contrario dell’essenzialità, cioè le cose accessorie, le cose accidentali. In realtà, in un senso molto importante, le cose accessorie o accidentali, che secondo la filosofia sono il contrario dell’essenziale, sono pure molto importanti. Per esempio, tutti i nostri incontri, anche gli incontri che cambiano la nostra vita, sono accidentali, sono eventi imprevisti, però sono importanti.

A Taiwan (e, se vogliamo, anche in Cina, ma oggi parliamo di Taiwan) diventa sempre più chiara questa realtà: la fede è un dono, è un regalo che noi offriamo gratuitamente non perché la gente se l’aspetti, non perché la gente ce lo chieda; è un dono, è un dono vero. È sempre non necessario; quando noi regaliamo una cosa necessaria a una persona che amiamo, rischiamo di offenderla. Si regalano sempre cose che non sono necessarie, come una collana, un mazzo di fiori, un anello. Se ricevessi in dono un aspirapolvere perché la mia stanza è sporca, mi offenderei di fronte a un regalo del genere.. Invece, la gratuità sta nell’eccedenza, nella non necessità, in un senso molto importante. Quando questo dono è condiviso, quando questo dono è dato, anche a persone che apparentemente non ne hanno bisogno, allora succede qualcosa. Allora succede qualcosa di importante. È la dinamica dell’amore, sia l’amore innamorato che l’amore dell’amicizia, che hanno molto in comune.

Qui torniamo al tema dell’amicizia, che è così essenziale e che è anche così importante nel libro scritto dai missionari di San Carlo. Ti accorgi che una cosa è essenziale quando la vivi; incontri Gesù, magari fino ad allora non ne avevi sentito il bisogno, però, una volta che l’hai incontrato, diventa così importante che non ne puoi più fare a meno. L’”essenza” di essenziale io la vorrei leggere in questo senso. “Senza” sta dentro la parola “essenza”, che è il sostantivo a cui si riferisce l’aggettivo “essenziale”: una cosa di cui non si può fare a meno. Ma non ne puoi fare a meno quando la incontri, quando la scopri. Esattamente come l’innamoramento: prima di innamorarti vivevi lo stesso la vita, però dopo esserti innamorato (oppure dopo aver incontrato un amico che è diventato importante), non ne puoi più fare a meno e allora diventa veramente essenziale. Secondo me questa dinamica, in situazioni come quella di Taiwan, diventa molto preziosa, diventa molto importante; si vede che è qualcosa di vero.

Il tema dell’amicizia è, dunque, centrale, perché parliamo proprio della comunicazione di un’amicizia. Perché io dono qualcosa che è importante per me, anche se il mio interlocutore sembrerebbe non interessato? Perché è importante per me, perché è un dono, è un regalo. L’amicizia è un nome importante per la missione. È un nome nuovo per la missione, che è fondamentale. Anche in senso pratico – dove ci sono degli amici che fanno missione, fanno molta strada. Quando i missionari sono divisi fra di loro, non convincono nessuno. Se sono amici e creano rete di amicizia, allora le cose cambiano. Perché? Perché l’amicizia è proprio la condivisione di questo dono, dell’amicizia con Gesù. Benedetto XVI ha scritto pagine meravigliose sull’amicizia, come l’antropologia della vita cristiana. Cosa vuol dire essere cristiano? Vuol dire vivere questa amicizia e condividerla, metterla in circolo. Matteo Ricci, il missionario al cui studio ho dedicato molti anni della mia vita, ha scritto il suo primo libro in Cina proprio sul tema dell’amicizia. È una specie di Magna Carta, quasi un manifesto, perché nell’amicizia ha trovato un punto di congiunzione tra il Vangelo, l’umanesimo cristiano di cui lui era figlio, e la cultura cinese. Nella cultura cinese l’amicizia è molto importante; nelle cinque virtù confuciane è la quinta. Ce ne sono quattro prima, ma le quattro sono tutte necessarie/stabilite???: l’imperatore, il padre, il fratello maggiore, il marito o la moglie. Queste sono già decise da altri, anche il matrimonio è già deciso da altri nella tradizione. Solo gli amici li puoi scegliere, solo nell’amicizia c’è l’elezione, c’è la libertà, e per questo è un dono molto importante. Non c’è un amore più grande di chi dà la vita per i propri amici ed è questa l’opera di Gesù: spezzare, abbattere (come dice San Paolo) il muro di inimicizia che ci divide. Per questo ritengo sia importante questo libro, come lo è il tema dell’amicizia, che a Taiwan come in Cina noi abbiamo vissuto. La via intellettuale di adesione al cristianesimo, convinti dalla sua ragionevolezza, è certamente importante; alcuni arrivano attraverso questa strada. In realtà, però, si aderisce al cristianesimo, alla fede, perché ci si sente coinvolti in una storia di amicizia e di amore, ci si sente riconosciuti, ci si sente apprezzati, si avverte di entrare in una nuova famiglia, in una rete di amici. È il cuore che è coinvolto; certo, poi la mente riflette su questa esperienza, la trova ragionevole, la trova importante; però, se non ci fosse questa rete, neanche il ragionamento funzionerebbe. È difficile convincere uno con la ragionevolezza della dottrina cristiana, che tra l’altro (ve l’assicuro!) è molto complessa e spaventa chiunque. Invece, l’esperienza dell’amicizia con Gesù è una cosa chiara, è una cosa che si può sperimentare, è una cosa che riguarda il cuore.

Vorrei dire un’ultima parola su Taiwan, che è l’oggetto di questo incontro. In ciò che ho detto finora ho cercato anche di riassumere sia tanti anni della mia esperienza missionaria a Taiwan, a Hong Kong, come ha ricordato Leone, in Cina, a Macao che la mia riflessione sulla missione e sul suo significato. Taiwan per me è stata molto importante, perché è proprio da lì che ho cominciato e che ho costruito delle reti di amicizia, facendo della gente cinese la mia nuova famiglia. Taiwan presenta delle caratteristiche molto importanti. Innanzitutto, la Chiesa a Taiwan è libera. È una chiesa piccola, certo, ma non sono i numeri che contano. La validità di un’esperienza cristiana non si basa soprattutto sul successo o sui numeri, ma sull’autenticità dell’esperienza cristiana, della fedeltà al Vangelo. Ovunque ci sia un martirio c’è la fedeltà al Vangelo, e il martirio – o la confessione della vita cristiana in situazioni difficili – testimonia che il Vangelo è autenticamente vissuto. A Taiwan non abbiamo situazioni di martirio come in altre zone (intendo il martirio nel senso di testimonianza difficile, non necessariamente di essere uccisi per la fede). Quello che è importante a Taiwan è che la Chiesa è libera e che ha un impatto importante nella vita delle persone, anche se è un piccolo gruppo, un piccolo gregge. Qui la Chiesa dialoga con i credenti delle altre fedi. Lo accennava anche prima Leone; Taiwan è una terra di grande spiritualità, perché chi vuole conoscere le fedi tradizionali, le culture tradizionali, le culture religiose tradizionali cinesi le incontra solo a Taiwan, non più in Cina, non a Hong Kong, ma a Taiwan; e la Chiesa è in dialogo con loro. Inoltre, Taiwan è la prima democrazia cinese. Dunque, non c’è incompatibilità tra culture cinesi e democrazia, e Taiwan lo dimostra. Taiwan dunque è una terra di speranza. Molto spesso nei dialoghi internazionali, nelle conversazioni (talvolta, disgraziatamente, anche all’interno degli ambienti ecclesiali), Taiwan viene considerata come una fastidiosa difficoltà nel dialogo con la Cina, per cui bisognerebbe metterla da parte in maniera da poter finalmente incontrarsi con la Cina. Però questo sarebbe ingiusto, perché è vero che la Cina è grande e Taiwan è piccola, ma questo non è un ragionamento evangelico. Quello che è più importante è riconoscere la dignità di questa esperienza a Taiwan e, naturalmente, la dignità di ciò che succede in Cina e a Hong Kong, a Macao e a Singapore. Dunque Taiwan è una grande speranza, perché la Chiesa è libera, perché c’è una democrazia che funziona; infine, Taiwan è bella. Il nome tradizionale di Taiwan era Formosa, che vuol dire proprio l’isola bella. Lo è dal punto di vista paesaggistico, lo è per la nobiltà della sua gente. Ci sono tante cose a Taiwan: non ci sono solo i cinesi, ci sono anche i gruppi indigeni, autoctoni che vivono soprattutto nelle montagne, che hanno le loro culture, le loro lingue, le loro tradizioni. È un’isola bella e sono contento di avere avuto l’occasione, oggi, di condividere un po’ di questa bellezza con voi.

Grotti. Grazie davvero a padre Criveller, perché in pochissimo tempo è andato davvero all’essenziale, offrendoci questa bellissima definizione della missione come amicizia, che è effettivamente ciò che io ho visto quando sono andato a Taiwan. Padre Criveller accennava a un libro, disponibile qui al Meeting, intitolato “La Croce e il Dragone”, che racconta la storia della missione della Fraternità San Carlo a Taiwan attraverso le storie di chi, incontrando i missionari, si è avvicinato al cristianesimo. Quando sono arrivato a Taiwan un anno fa ho visto esattamente ciò che è stato raccontato: un’amicizia che si allarga e che viene donata a tutti. Perciò adesso vorrei chiedere a Don Donato Contuzzi di raccontarci sia la storia della missione della Fraternità San Carlo a Taiwan che la sua esperienza come missionario in quella terra. Grazie.

Contuzzi. Buon pomeriggio a tutti. Penso che nella parola “amicizia” si riassuma davvero l’origine della nostra missione a Taiwan, il modo in cui si è sviluppata e anche il suo destino. Inizio dicendo che probabilmente la missione della San Carlo non ci sarebbe oggi se non ci fosse il Meeting e se non ci fosse Rimini, perché furono Icio e Isa, due sposi riminesi che, tra l’altro, sono qui presenti, a portare la presenza del movimento a Taipei nel ’91. Don Giussani, infatti, cercava allora persone disponibili che andassero in tutto il mondo per raccontare di questa amicizia. Trovò così la disponibilità di questi due ragazzi, con la loro ingenua baldanza (anche un po’ temeraria, dobbiamo dire, dopo tutto quello che hanno passato). Così, attraverso la comunione matrimoniale di questi due ragazzi nacque il primo gruppetto di persone che incontrò il Movimento nell’Università Cattolica di Taipei. Dopo di loro ci furono Andrea e Cecilia, un’altra coppia di sposi, e anche Valentina Zampetti. Insomma, la nostra missione come San Carlo è stata preparata dalla storia di queste persone. Ed è impressionante come don Giussani abbia sempre educato tutte le persone del Movimento a questa dimensione missionaria, a prescindere dalla forma vocazionale con cui ognuno di noi è chiamato a vivere l’incontro con Cristo. Lui disse nell’82: “La fede è occasione per una presenza, cioè per una testimonianza. Il sintomo più grande della vita della fraternità è che la vita della fraternità è centrata. Il sintomo più grande di questa maturazione è che cresce in noi la passione per il mondo e per gli uomini. Quello che ci è stato dato è per un compito, per una missione. Questo compito non è qualcosa di aggiunto, come diceva adesso padre Gianni, ma – cito sempre Don Giussani: “La forza missionaria della Chiesa è innanzitutto nella potenza della sua unità e del fascino che ne fa sentire all’intorno. Lo slancio a testimoniare Cristo viene molto più dall’interno che da una necessità o da un appello esteriore”. È esattamente quello che ha detto padre Gianni. Così, quello che ha permesso l’apertura della casa della Fraternità San Carlo a Taiwan, ufficialmente aperta nel 2001, fu la visita al Meeting nel 1997 dell’allora arcivescovo di Taipei, Ti-Kang, invitato appunto da Icio e Isa. Lui fu così colpito dalla vita che vide qui, generata appunto dalla fede, che chiamò la Fraternità San Carlo a continuare l’opera che era stata iniziata dai nostri amici laici prima di noi. Questo invito del Vescovo incontrò il desiderio di don Massimo Camisasca, il nostro fondatore, oggi Vescovo emerito di Reggio Emilia, che desiderava aprire una casa in Oriente per tracciare un orizzonte ideale per tutta la fraternità, che simboleggiasse la distanza non solo fisica ma anche culturale che Cristo desidera abbracciare attraverso le nostre persone. Nel 2001, don Paolo Comin e don Paolo Desandré si trasferirono a Taipei per imparare il cinese mandarino, la lingua ufficiale di Taipei, molto bella ma anche un po’ complessa, tonale, fatta di ideogrammi e di cinque accenti con cui ogni ideogramma, che è ogni sillaba praticamente associata a un’idea, può essere pronunciato. Per cui, se dico “ma” o dico “mà”, ho detto “mamma” o “cavallo”. Insomma, quindi vi lascio immaginare quante volte i nostri parrocchiani hanno riso a nostra insaputa di quello che dicevamo. Ai primi due, partiti per studiare il cinese, si aggiunse l’anno dopo don Paolo Costa, che oggi è qui presente e che vive a Taiwan ormai da ventidue anni. Così si formò la prima comunità della Fraternità San Carlo, famosa come comunità dei Tre Paoli. Poi si aggiunsero don Emmanuele Silanos, che oggi è vicario generale della Fraternità, don Francesco Facchini e don Emanuele Angiola. Infine sono arrivato io, che sono rimasto lì per dieci anni. Mi sono trasferito stabilmente a Taiwan il giorno del mio compleanno, quindi, anche simbolicamente, tutto quello che è accaduto e che vi racconterò è stata per me una storia di rinascita. Attualmente la nostra casa è formata da cinque sacerdoti: appunto don Paolo che è qui, don Emanuele Angiola, don Antonio Acevedo, don Simone Valentini e don Martino Zavarise, che è l’ultimo arrivato. Di cosa ci occupiamo a Taiwan? Prevalentemente di tre ambiti: l’ambito parrocchiale, quello universitario nell’Università Cattolica e quello legato alla comunità del movimento. Negli anni che ho vissuto lì ho potuto vedere come la fede davvero sia capace, innanzitutto, di abbracciare tutto l’umano, anche quello che sembra più distante da te, oppure di suscitare la fede dentro questo abbraccio o di riempire di ragioni e di consapevolezza la fede già presente. In un suo intervento, Ratzinger dice che evangelizzare vuol dire mostrare l’arte di vivere. È molto interessante come definizione, perché dice proprio del problema umano, quello che Giussani identifica con le domande ultime che abbiamo nel cuore, con la ricerca della felicità, insomma. Questo è il problema dell’evangelizzazione, è un problema innanzitutto umano. Leone all’inizio già accennava al fatto che Taiwan non è un paese povero economicamente, ma lo è in altri sensi. Sempre Ratzinger dice che “la povertà più profonda è l’incapacità di gioia, il tedio della vita considerata assurda e contraddittoria. Questa povertà, oggi, è molto diffusa e suppone e produce l’incapacità di amare. Ecco, se l’arte di vivere rimane sconosciuta, tutto il resto non funziona più”. Come ho già detto, noi siamo implicati nell’Università Cattolica, che riflette un po’ il paese, per cui di cattolici ce ne sono pochissimi, sia tra i ragazzi che i professori. Siamo implicati nella facoltà di lingue straniere e nel dipartimento di religioni. Don Emanuele insegna lì. Ogni settimana i nostri studenti (da ora in poi userò il presente, prima persona plurale, perché il cuore è ancora in parte lì) propongono due momenti: un raggio settimanale (un incontro tematico) e un momento di carità in un ospizio. In questo raggio cantiamo insieme, poi poniamo un tema attraverso un canto, un film, qualche spunto come l’amicizia, lo studio, il rapporto con i genitori, anche la sofferenza, l’educazione per arrivare a una sintesi. Durante questi incontri siamo sempre continuamente colpiti da due cose. Innanzitutto, il grande bisogno di ascolto e di accoglienza dei ragazzi che incontriamo, perché gli standard proposti dalla società, che a volte vengono anche adottati dalle famiglie, di fatto sono un costante giudizio negativo su di loro, sulla loro persona che non va bene, che non è abbastanza, che deve fare di più, deve essere di più… Insomma, tu sei ciò che fai o ciò che appari. Questo genera spesso molta solitudine tra i ragazzi. Giussani afferma che la compagnia tra noi deve essere come una scuola di condivisione del bisogno e, indubbiamente, il primo bisogno di una persona è quello di essere accolta, così com’è. Quindi per il cristiano, per il cristianesimo, tu non sei ciò che fai, ma sei ciò che ricevi: la vita, i doni che hai, i rapporti. E questa è la seconda cosa che colpisce: tanti ragazzi riscoprono il proprio valore e il valore della loro vita nell’ambito di questa amicizia che accade tra di loro e con noi, che siamo i loro professori. Dico “accade”, perché sia io che loro siamo stati e siamo spettatori di quello che Cristo fa in missione. Infatti, è Lui che incontra chi vuole e permette a ciascuno di compiere un cammino di liberazione da tante schiavitù che purtroppo sono legate un po’ alla società moderna ed edonista. È molto bello vedere i ragazzi che fioriscono, che ritrovano sé stessi, il senso del vivere, che ritrovano la vera libertà. Ecco, Du Guan Fu è un ragazzo, oggi padre e marito, che abbiamo incontrato in università quando studiava italiano. Lui racconta: “Al liceo studiavamo così tanto che non avevamo neanche il tempo di pensare, perché qui a Taiwan dall’esame di maturità dipende il tuo futuro, l’accesso all’università e al lavoro futuro. Non avevamo tempo, quindi, di pensare. Incontrando i sacerdoti, il cristianesimo, ho cominciato a domandarmi il perché delle cose. Perché svolgere un lavoro piuttosto che un altro? Perché sposarsi? Perché fare figli? Per cui ho cominciato a discutere con i miei genitori; obbedire senza ragioni non mi bastava più”. E questo è davvero insolito, perché ha ricevuto un’educazione legata al rispetto dei genitori che viene appunto da Confucio, e poi ha compiuto un gesto che può sembrare addirittura assurdo, perché dopo aver ricevuto il battesimo ha discusso con il suo datore di lavoro chiedendo con largo anticipo un giorno di permesso il 25 dicembre perché è Natale, giorno importantissimo per i cristiani. Alla fine, dopo tanto discutere, sotto Natale praticamente il laoban, il suo responsabile, non gli ha dato le ferie e lui si è licenziato. Questo gesto ci può sembrare un po’ assurdo; però, visto il mercato del lavoro lì, è visto semplicemente, secondo me, anche come il coraggio che viene dall’adesione a una fede che è il cuore della vita. Insomma, mi ha colpito questa sua decisione. Poi ha trovato subito lavoro; adesso lavora presso un’azienda italiana, quindi il problema è risolto, visto che qui per ora il Natale lo festeggiamo ancora, quindi le sue ferie sono garantite.

Negli anni, i vescovi di Taipei che si sono succeduti ci hanno affidato due parrocchie molto vicine in una zona popolare della capitale. Taipei è circondata da New Taipei; in totale ci sono sei milioni e mezzo di persone. Noi siamo a New Taipei City, quindi in periferia, vicino all’università dove insegniamo. La parrocchia in cui viviamo è dedicata a San Francesco Saverio. E la domenica, per darvi un’idea, ci sono circa 80-100 persone a Messa, mentre la parrocchia di San Paolo, che è a tre chilometri da casa nostra (quindi in motorino sono 7-8 minuti), ha circa 350-400 persone che partecipano alla Messa il fine settimana.

Nelle parrocchie, ovviamente, accompagniamo spesso persone già cattoliche. Siamo stupiti del cammino che fanno, come dicevo prima, attraverso l’approfondimento dell’incontro con Cristo in una vita da cristiani accompagnati dai pastori, e di come, piano piano, in una storia di amicizia, la loro fede si riempie di ragioni e di ragionevolezza. Io sono stato parroco per diversi anni e molto spesso loro venivano a chiedermi: “Ma perché bisogna andare a Messa la domenica? Perché il prete si veste di questi colori o di questi altri? Perché i cristiani sono contro il divorzio, sono contro l’aborto? Che significano poi il lavoro o i soldi per noi che siamo cristiani?” Io ho riscoperto tantissime cose accompagnando queste persone, dovendo rispondere a queste domande.

Però, alle parrocchie a volte bussano anche persone che non sono cattoliche, persone sconosciute, che secondo me sono veramente chiamate da Dio. Dondon???, per esempio, è una donna che oggi è madre di quattro figli e che alcuni anni fa è stata attratta in maniera un po’ misteriosa dalla parrocchia. Incoraggiata da suo figlio, ha bussato alla nostra porta, ponendo una semplice richiesta: “Vorrei conoscere Dio.” Quel giorno a casa c’era Paolo, che ha iniziato a fare catechismo con lei. “Vorrei conoscere Dio”… io non ero a casa quel giorno, ma quando mi hanno raccontato questa storia, mi sono chiesto: “In fondo, non è la stessa domanda, non è la stessa ragione per la quale io sono qui oggi, la stessa per cui vivere la missione e essere coinvolti in questo cammino infinito di conoscenza di Dio e dell’uomo che noi missionari siamo chiamati a fare insieme alle persone che incontriamo?”. E attraverso questa domanda, Dondon e la sua famiglia hanno ricevuto il battesimo e sono entrati dentro questa famiglia della Chiesa.

Sua mamma si chiama Ashiah ed è una signora che ha sempre vissuto in Cina continentale. Una volta ha partecipato a tre giorni di vacanza col Movimento e alla fine della vacanza ci ha detto le seguenti parole, che mi sono rimaste impresse: “Questi giorni sono stati per me un cammino in cui noi, cuore a cuore, abbiamo vissuto ogni momento che ci è stato dato e di cui sono davvero grata. Io ho avuto una vita non facile. Mio marito, a 31 anni, si è ammalato di tumore e così da sola ho dovuto prendermi cura di lui, dei suoi genitori e di nostra figlia. Ho faticato moltissimo, ma non ho mai smesso di ringraziare. Da piccoli ci hanno insegnato che a Pechino, anticamente, l’imperatore pregava e ringraziava gli dei nell’altare, nel tempio del cielo. Così anch’io, pur in mezzo a tanti drammi, ho sempre sentito la protezione del cielo e ringraziato… Lao Tien sarebbe il Dio del cielo, no? Solo oggi, grazie a mia figlia e a voi, so che lui si chiama Tien Jue, il nome del Dio cattolico. Così posso finalmente ringraziarlo chiamandolo per nome.”

Tra poco Yahan vi racconterà la sua storia. Io vorrei solo dire in un minuto tre cose che porto con me da questa missione. La prima l’ha già detta padre Gianni: la nostra missione a Taiwan non è una missione fatta di grandi numeri, ma di rapporti personali abitati da Cristo. Come ha detto Ratzinger, dobbiamo accettare il mistero che la Chiesa è, al tempo stesso, grande albero e piccolissimo grano. Per cui noi dobbiamo guardare a quello che Dio fa, grande o piccolo che sia.

La seconda riguarda il mio rientro in Italia, che è stato sereno due anni fa ma anche impegnativo per il distacco da tanti amici. Credo che sia impossibile vivere la missione senza partecipare al dono che Cristo ha fatto della Sua vita. Non possiamo dare la vita agli altri senza dare la nostra. E questo è vero per me come per tutti.

E la terza cosa, con cui concludo, è che la missione è innanzitutto una dimensione del cuore. Lo dice benissimo Giussani: è un cuore, dentro tutte le cose che si fanno. È Dio che ci manda, è Cristo che ci manda, dandoci il battesimo. Da quel momento la nostra vita – il mangiare, il bere, il vegliare ha questo scopo: essere mandati. Indipendentemente da dove si è – Taipei, adesso per me Roma o qualunque altro luogo. Ancora, Giussani dice che bisogna pensare al mondo intero, bisogna preoccuparsi del cristianesimo in Africa e in Asia e non solo affaccendarsi intorno alle disobbedienze e alle mancanze di ogni giorno. Se uno ha dentro il senso del mondo, allora può stare in gabbia per tutta la vita con la grandiosa serenità della monaca di clausura. Io non sono una monaca di clausura, mi piace uscire ogni tanto, però in fondo ciò che conta davvero è andare dove Cristo ci chiama. Perché è lì che ci aspetta per farci continuamente rinascere insieme alle persone che ci fa incontrare. Papa Francesco dice: “La gioia evangelizzatrice brilla sempre sullo sfondo di una memoria grata.” Questo è quello che ho vissuto. Grazie.

00:45:31

Grotti. Grazie davvero a don Donato per questa testimonianza, per averci descritto che cosa fa, come la Fraternità San Carlo incontra la popolazione di Taiwan, come fa missione attraverso l’amicizia portando a tutti qualcosa che innanzitutto si vive personalmente e non ci si può tenere dentro. Lo ringrazio, inoltre, perché ci ha restituito un po’ il quadro che ci aiuta adesso a comprendere meglio la testimonianza di Yahan, che non abbiamo lasciato per ultima per ineleganza, ma proprio perché gli interventi precedenti aiutassero a capire ciò che racconterà. Direi che Yahan, dopo un viaggio di 10.000 chilometri per essere qui, merita almeno un applauso! E ringrazio anche don Paolo Costa, che si è reso disponibile per la traduzione. A Yahan vorrei chiedere semplicemente come ha incontrato il cristianesimo e come questo le ha cambiato la vita.

0:47:47**

Yahan. Sono stata battezzata nel 2012, all’età di vent’anni. Mio nonno paterno era cattolico e così anche i suoi figli; io, da giovane, non sono stata battezzata perché mia madre non era cattolica, però ero convinta di esserlo perché, nella nostra tradizione, se il padre segue una religione, anche gli altri membri della famiglia dovrebbero seguirla.

Mia madre è invece di tradizione taoista, e quando ero piccola mi portava al tempio a pregare, soprattutto per necessità contingenti; ad esempio, se dovevo sostenere un esame, ci recavamo in un tempio dedicato a una certa divinità, alla quale dovevo dire il mio nome, il mio indirizzo, il nome, il giorno e l’orario preciso dell’esame, spiegando tutto in modo dettagliato alla divinità perché non sbagliasse e l’esame andasse a buon fine.

Sembra una contraddizione affermare che pensavo di essere cattolica, visto che da piccola non andavo mai in chiesa, mentre invece andavo spesso al tempio con la nonna e la mamma; però non avevo nessuna fede quando andavo al tempio, per cui per me non era una contraddizione non andare in chiesa anche se mi ritenevo cristiana, cattolica.

Quando mio nonno è morto nel 2011 i suoi quattro figli, che erano cattolici battezzati, ma non andavano più in chiesa, avevano iniziato in casa a organizzare il funerale. Tuttavia, mi sono accorta che stavano facendo tutte quante le cose che fanno i taoisti e questo mi sembrava un po’ strano, perché ero convinta che fossero cattolici. Mio nonno e i miei genitori erano cattolici perché quando erano giovani erano davvero molto poveri, e all’epoca molte persone erano aiutate dalla chiesa che distribuiva farina e riso, per cui tanti si facevano battezzare.

Tuttavia, per il funerale i figli hanno iniziato, per esempio, a coprire le immagini sacre in casa (che, comunque, erano tutte della Madonna o di Gesù) con della carta rossa. È una tradizione taoista: quando muore qualcuno in casa, bisogna coprire gli idoli con carta rossa. Così ho detto: “Ma questa roba non è cattolica!”.

Visto quello che accadeva, mi sono preoccupata e ho chiamato subito la suora della parrocchia di San Paolo per raccontarle cosa stavano facendo, perché sapevo che il nonno era cattolico.

La suora è stata molto carina, mi ha invitata alla messa delle 9.30 dove c’erano tanti giovani che cantavano; le ho risposto che sarei andata se avessi avuto tempo, che per un taiwanese equivale a dire: “Non verrò mai”. venuta subito a casa dei miei nonni e subito ha detto ai quattro figli: «Dovete venire a messa e, prima di tutto, dovete confessarvi».

Anche dopo la sepoltura del nonno, sia i quattro figli che la sottoscritta abbiamo continuato ad andare a messa. Non c’era più la necessità, però abbiamo continuato ad andare, anche perché pensavamo: «Abbiamo ancora la nonna, magari quando morirà sapremo un po’ meglio come funziona la messa».

Nelle scale della parrocchia c’era il volantino di invito alla Giornata Mondiale dei Giovani a Madrid del 2011. Mentre lo fissavo, mia mamma mi ha detto: «Se vuoi andare, vai, così vedi un po’ il mondo».

C’erano tanti gruppi che andavano alla Giornata Mondiale e io non conoscevo nessuno, quindi ho scelto quello della parrocchia di San Paolo che però aveva un nome molto strano: Comunione e Liberazione.

Avevo molta paura di Costa che è qui di fianco a me, perché era molto severo e poi, durante il funerale di mio nonno, faceva gli occhi bianchi perché avevano tirato fuori degli oggetti pagane; durante il funerale avevano bruciato dei soldi finti, avevano tirato fuori delle bamboline che rappresentano dei servi, insomma, delle robe taoiste, per cui il prete si era un po’ contrariato e anche un po’ arrabbiato, quindi avevo un po’ timore di chiedere a padre Costa di poter andare alla Giornata Mondiale dei Giovani con il loro gruppo.

Volevo cercare Lele Silanos, però non rispondeva mai, allora ho dovuto chiamare padre Costa. Padre Costa mi chiese: «Chi sei?». E io risposi: “Sono Yahan», ma lui non ricordava nessuno con questo nome. Gli dissi: «Mio nonno veniva a messa da voi».  Allora mi chiese il nome del nonno, ma non conosceva neanche lui.

Alla fine, padre Costa mi chiese: «Ma tu sei cattolica?», al che risposi: «Sì, certo, sono cattolica». «Bene, allora quando è che ti sei battezzata?» chiese lui. «No, non mi sono mai battezzata», fu la mia risposta. «Allora non sei cattolica», concluse. Per vent’anni ero stata convinta di essere cattolica, semplicemente perché mio nonno lo era.

Costa mi disse: «Vieni al nostro gruppo, il prossimo mese ci vediamo; vieni un po’ a vedere.” Quando andai al gruppo, cercai innanzitutto padre Lele, che aveva un nome molto cinese… mi aspettavo che fosse un taiwanese, invece scoprii che era italiano.

Nel 2011, in Spagna, sono rimasta molto stupita vedendo tanti giovani cattolici, perché in tutti gli anni in cui avevo frequentato la scuola non ne avevo incontrato mai neanche uno. Poi sono venuta al Meeting per la prima volta, ho visto tanta gente cattolica; tornata a Taiwan, ho iniziato a seguire la scuola di comunità, ma c’era una cosa che non mi piaceva tanto e che ancora adesso non mi piace: alla scuola di comunità bisogna parlare, e a me non piace molto parlare davanti alla gente.

**SPEAKER_02 – 1:00:33** 

Mi chiedo di parlare di misa-hoi, quando ero molto vecchia, e mi chiedevano molte domande. Mi chiedevano come stessi.

**SPEAKER_05 – 1:00:54** 

Dopo la messa domenicale andavo al gruppo dei giovani, anche se ero un po’ vecchia perché ero universitaria, e tutte le volte facevano queste domande: come stai? Come è andata questa settimana? Dove hai incontrato Gesù questa settimana nella tua vita? Io queste domande non me le ero mai fatte, per cui non sapevo come rispondere. Oppure la scuola di comunità… leggevamo i libri di Giussani tradotti in cinese, e pensavo: «Ma se è scritto in cinese, perché non capisco niente?».

Non mi ero mai posta questa domanda: chi ha creato il cielo e la terra? Io amavo la montagna, amavo la natura, però non mi ero mai chiesta chi l’avesse fatta. Quindi ho scoperto che tutto il mondo, la bellezza, è stata creata da uno, cioè da Dio.

Ho iniziato anche a andare alla caritativa. Ogni volta, prima di cominciare, ci chiedevamo: «Perché facciamo questa attività? Che senso ha amare gli altri?». Avevo già partecipato a delle attività di caritativa presso delle chiese protestanti, aiutando i bambini a fare i compiti, ma era totalmente diverso l’approccio rispetto alla caritativa di CL. Per esempio, io amavo stare con i bambini, ero contenta quando stavo con loro, ma non mi ero mai chiesta perché lo facessi o che senso avesse quell’attività. Adesso, però, più vado alla caritativa e più capisco il libro che leggiamo (Il senso della caritativa) e capisco anche, attraverso la mia esperienza, che cosa significhi amare gli altri. Dopo due anni ho seguito il catechismo in parrocchia e nel 2013 sono stata battezzata. Al battesimo ho ricevuto tantissimi rosari, non sapevo cosa farmene, così ne ho dato uno a mia madre. Mia madre non era cattolica, e neanche mio fratello, però ho visto che pian piano mia madre in casa guardava una tv protestante, leggeva la Bibbia, pregava.

Poi mia madre ha comprato anche la Bibbia, l’ha letta e ha detto che è molto interessante. Ha coinvolto anche suo figlio, hanno frequentato insieme il catechismo e dopo due anni anche loro hanno ricevuto il battesimo.

Quando mio fratello è partito per il servizio militare in marina, è stato mandato in una zona molto calda politicamente. Mia madre era molto preoccupata che gli succedesse qualcosa o che morisse, così tutti i giorni ha pregato il Rosario per lui finché è tornato a casa sano e salvo. Allora mia madre ha detto: «Il Signore ha ascoltato le nostre preghiere; quindi, adesso dobbiamo andare in chiesa e diventare cattolici». Nel 2015 mia madre, mio fratello e altri parenti – in tutto sei persone – hanno ricevuto il battesimo. Ho incontrato i miei amici e ho cominciato ad apprezzare la mia fede. C’erano molte cose meravigliose dopo l’apprezzamento, ma dopo l’apprezzamento mi sono incontrata di più con mia madre.

**SPEAKER_05 – 1:06:39** 

Attraverso i preti della Fraternità San Carlo ho conosciuto la compagnia/comunità???, attraverso questa ho incontrato la fede e poi sono entrata nella Chiesa. Questo non vuol dire che, dopo essere diventata cattolica, tutto sia stato bello, anzi… anche nei rapporti in famiglia ci sono stati molti scontri, perfino con mia madre. Oggi non posso dire di aver capito tutto, però attraverso la compagnia della Chiesa posso affrontare i problemi e le questioni, non sono da sola in questa strada perché abbiamo insieme lo stesso destino, lo stesso scopo e posso così vivere la mia fede. Sono molto  grata di aver conosciuto voi e tutta questa grande famiglia; penso che, senza la compagnia della Chiesa, se fossi stata da sola ad affrontare la mia vita, probabilmente avrei abbandonato la fede e magari adesso sarei persa, o sarei in un tempio a pregare qualche divinità. Grazie mille!

Grotti. Ringrazio tantissimo Yahan, ma anche padre Gianni Criveller e don Donato Contuzzi, perché oggi ci hanno veramente aiutato a vedere l’esperienza della missione in modo nuovo, con occhi che non eravamo abituati ad avere: il fatto che la missione sia amicizia, che si trasmetta non perché dobbiamo andare a salvare qualcuno ma, innanzitutto, perché noi non possiamo fare a meno di parlare di ciò che abbiamo incontrato. Vi ringraziamo anche perché ci avete mostrato che questo non è un compito esclusivo degli esperti della missione (quindi, dei sacerdoti), ma è davvero riguarda ognuno di noi. Di questo la missione della San Carlo a Taiwan è un po’ l’emblema, visto che, come diceva don Donato, senza Rimini, senza i primi riminesi che sono partiti per andare dall’altra parte del mondo, e senza il Meeting, non sarebbe iniziata quella comunità dove poi Yahan ha incontrato Dio. Perciò li ringrazio tantissimo per averci raccontato queste cose oggi. Ricordo a tutti coloro che sono interessati a questo tema e desiderano approfondirlo che è disponibile in libreria La Croce e il Dragone, che racconta proprio la storia della missione e delle persone che l’hanno incontrata. Grazie a tutti!

Data

21 Agosto 2024

Ora

16:00

Edizione

2024

Luogo

Arena Tracce A3
Categoria
Arene