STORIE DEL MONDO

Rassegna di reportage internazionali curata da Roberto Fontolan e Gian Micalessin: Greater di Emmanuel Exitu.

 

MODERATORE:
Buonasera, un po’ di silenzio per cortesia. Scusateci per il disagio, ma questo è un documentario che nasce dall’entusiasmo, nasce dall’entusiasmo di chi l’ha prodotto, di Emmanuel che è qui con me, con noi sta sera. E dal suo entusiasmo nasce anche la vostra partecipazione. Nessun documentario ha mai avuto tanto pubblico, mai ho visto tanta passione per vedere un filmato in queste serate. Io posso dire ben poco. Dico solo questo: la storia di Emmanuel è soprattutto una storia di passione, una storia di entusiasmo. Lui ha voluto fortemente realizzare questo documentario. È un documentario realizzato con pochissimi soldi e con un grande successo a comprova che alcune volte i mezzi non fanno la qualità. La qualità nasce dalla spirito, dalla volontà che c’è, dalla capacità di cogliere il messaggio che si vuole inviare e Emmanuel sicuramente lo ha fatto. Il suo filmato è andato a New York, prima di arrivare qui è andato a Cannes, è stato selezionato da Spike Lee, nonostante che al fianco di questo documentario ci fossero produzioni con un impegno economico molto più elevato, centinaia di volte più elevato. Quindi massimo rispetto per l’opera, tutti i complimenti per l’opera di Emmanuel che adesso ci racconta, in due parole, perché l’ha realizzato. Grazie. A te Emmanuel.

EMMANUEL EXITU:
Le prime parole devono essere per forza delle parole di ringraziamento per un mio amico che si chiama Daniele Mingucci, che non so se è qua, perché ho perso il cellulare, e che è stato il primo ad avere l’idea di raccontare queste storie, dopo di che le abbiamo sviluppate insieme ed è stato suo il merito e dell’idea di andare dietro a queste storie e del fatto di trovare i soldi. Il secondo ringraziamento va ad Arturo Alberti, che è stato il big man che ci ha creduto.
Le altre parole sono queste: due giorni dopo che sono tornato dall’Uganda – per fare questa cosa io ci ho rischiato molto – mia moglie mi scrutava, vedevo che guardava, scrutava, non so, magari pensava che mi fossi portato l’AIDS a casa, e però dopo mi ha chiesto: “Emmanuel ma ti sei innamorato?” e io le ho risposto di sì. Questo per dire che io sono completamente di parte. È nata una cosa bellissima, non so, magari dopo ne parliamo con Rose, ma io sono completamente di parte. Io non ho l’ambizione, la pretesa di aver fatto questo, nonostante sia di parte, ho voluto raccontare questa storia cercando di catturare quello che succedeva, cioè l’esperienza che io ho fatto lì. Senza però tirare le conclusioni come regista e autore. Le conclusioni le deve tirare lo spettatore. Io metto sul piatto l’esperienza che è accaduta lì ed è lo spettatore che poi deve tirare le conclusioni, non sono io che lo devo fare. Per me questo è fondamentale, perché nel rapporto con lo spettatore il più possibile bisogna cercare di salvaguardare la libertà. Adesso vediamo se ha funzionato.

MODERATORE:
Grazie Emmanuel, grazie a voi. Buona visione.

Proiezione del filmato

MODERATORE:
Un grazie ad Emmanuel che ci ha regalato questo documentario veramente, veramente bello, veramente appassionante. Grazie a voi che avete fatto tutta questa fatica per vederlo, perché so che siete in condizioni veramente quasi al limite. Ma direi che tutto questo documentario si riassume, volendo riassumerlo, si riassume in questa frase: la storia senza un valore non è niente, è morta. Ecco, Emmanuel, secondo me, ha fatto questo documentario, l’ho visto per la prima volta oggi, l’avevo visto a pezzetti e pezzettoni, lo ha fatto soprattutto inseguendo la storia. Lui ci ha detto: “Mi sono innamorato”. È vero, è stato conquistato dalla storia, lo ha girato in 3 giorni, in 6 giorni. Lo ha declinato intorno all’amore che ha scoperto per quella storia. È tutto declinato intorno ai personaggi, è questa la grande capacità di questo documentario, di questo film perché non è un documentario. Lui ci ha detto: “sono di parte”. Ma in realtà non c’è niente che sia di parte qui. Questo è un grande racconto, è un racconto che gli è venuto incontro e lui ci ha riproposto attraverso gli occhi suoi e della telecamera, ma ci ha riproposto con un valore, con la capacità di dare un valore a questa storia.
Ecco, adesso la parola a lui che ci racconta un pochino come lo ha girato, come ha funzionato, come sono andate le cose in pratica, sul terreno, e poi a voi che potete fare qualche domanda. Grazie.

EMMANUEL EXITU:
Io ci tengo a dire una cosa per me importante, cioè il motivo del titolo. Quando si fanno questi lavori sai che vai incontro ai giornalisti che ti fanno la domanda: “Qual è il messaggio?”. Diciamo che la versione ufficiale, appunto, l’ho messa in testa al film. È la frase, che sembra apparentemente solo una frase, che la Rose ha detto a Vicky quando lei stava male. Le ha detto: “Ma Vicky, non sai che il valore di te è più grande del valore della malattia?”, cioè tu non sei determinata da quello che hai fatto, da quello che ti hanno fatto, da quello che sei, dal lavoro che ti fa schifo: tu sei più grande. Questa è la versione ufficiale. Ma la versione vera e che io l’ho conosciuta 368 giorni fa e l’ho stremata perché lei mi dicesse di sì. Ho parlato ininterrottamente e cercavo di spiegare questo fatto, cioè di minimizzare le interviste. Nella mia idea ce ne sono troppe. Però a un certo punto mi sono reso conto che, avendo così poco tempo, sono 10 anni che faccio questo mestiere, dovevo portare a casa questo risultato, e quindi ho fatto delle interviste che ho usato come raccordi narrativi. Però io ne avrei volute molto meno, cioè mi sarebbe piaciuto che si fosse potuto vedere tutto quello che viene detto, tutto, tutto, tutto tutto.
Però, diciamo, lei è stata convinta da questo, cioè le ho detto: “Guarda, allora io interviste non te ne voglio fare”, perché era molto diffidente, “voglio soltanto seguire e vedere che vita fai”. Perché io in realtà mi sono reso conto che sono disperato, cioè io non c’è l’ho la speranza. E’ inutile che ce la stiamo a raccontare. Io ero rimasto colpito da tante cose che aveva detto Carrón e questo fatto, che è il mistero che fa tutte le cose, per me al massimo era una parola che fluttuava mentre mi addormentavo, che io riuscivo ad afferrare ma poi ci sputavo sopra la montagnola della mia giornata. Non era una esperienza e io la controprova l’ho fatta perché ho pensato che se una delle persone che ho più care fosse morta, io mi sono fatto questo flash, per me sarebbero stati solo chili di carne che cominciavano a decomporsi, e basta. Io non ce l’ho la speranza – pensavo – questa è la controprova. Qui però ho gli occhi, per cui voglio venire giù a vedere come è. E lei a un certo punto mi ha interrotto e mi detto: “Va bene Emmanuel, vieni. Mi fido del tuo cuore, ho capito che ti interessa la stessa cosa che interessa a me”. Io, nell’impazzimento di questa cosa che mi ha detto, avevo un contatto, per l’appunto, per andare a New York, e le ho detto: “Guarda Rose, non ti vendo la pelle dell’orso prima di averla ammazzata, però all’ONU c’è questo New York High film festival, io faccio le corse, lo montiamo e lo portiamo lì, cioè nel centro delle cazzate dell’ONU, dove l’unica cosa che si pensa dell’AIDS è usare preservativo, portiamo questo filmato”. E lei mi ha guardato e mi detto: “Ma no Emmanuel, no, no, tu sei più grande. La vita non è un soffio che va e che viene. Non devi temere”. Io che alla prima botta non l’ho capita, ho detto: “No, non temere se mi cacciano a calci nel culo dall’ONU perché non si parla per forza del preservativo, io nel casino sto benissimo. Poi Oscar Wilde dice che l’importante è che se ne parli e così le mie azioni schizzano alle stelle”. E lei mi ha detto: “No tu sei più grande, più grande di queste cose, quindi sei responsabile, vieni e fai tutto quello che mi hai detto che mi va bene”. Sei grande, sei responsabile cioè rispondi di quello che devi fare.

MODERATORE:
Vorrei farti una domanda. Documentari come questi, lo dico anche per chi non è del mestiere, si girano solitamente in tante settimane. C’è una settimana in cui scegli i protagonisti, scegli quello che ti piace di più. Poi incominci a girare, poi incominci a studiare le cose che hai girato. Insomma, di solito si girano in almeno un mese. In quanto tempo lo hai girato?

EMMANUEL EXITU:
3 giorni e mezzo.

MODERATORE:
Come hai fatto?

EMMANUEL EXITU:
È la cosa che faceva impazzire gli americani a Cannes. Io adoro gli americani, sono proprio colonizzati nel cervello.
Fuori dei nostri confini il documentario non è una cosa di serie B, è una forma di narrazione nobile. E appunto, siccome c’era questo grosso riconoscimento mi chiedevano – è una cosa importante per gli americani la programmazione -: “Quale è il tuo piano di produzione?”
E io dicevo: il piano di produzione era questo: arrivava la Rose al campo dell’AVSI e io le dicevo: “Allora Rose dove vai oggi?”, e noi le andavamo dietro. Però questo è molto rischioso, perché può succedere poco. Io ho avuto la fortuna, magari scandalizza qualcuno, però, io lì mi sono divertito, magari sono stato male, perché un chirurgo non può svenire davanti al sangue in sala di montaggio. Ho avuto la fortuna, dal punto di vista proprio brutale dello spettacolo, di avere questa Winny che ha proprio scoperto di avere l’HIV, quindi era uno scoop, però anche se non ci fosse stata Winny, e quelle immagini di lei che sta di fronte a una cosa alla quale io non riuscirei a stare di fronte – perché era tutto nella sua faccia, era tutto nella sua mano -, anche se non ci fosse stata lei, la cosa per me sarebbe stata lo stesso facile, perché la realtà parla, e io cercavo di conseguenza di usare lo stile del reportage di guerra. Lui è un grandissimo, e io sono molto contento che ci sia lui che l’abbia visto, così dopo ne parliamo. Però lo stile del reportage di guerra è che tu devi girare sempre. E quindi non ho messo in posa nessuno, la telecamera non anticipa mai quello che sta avvenendo, la telecamera va dietro a quello che sta avvenendo non anticipa, bisogna solo appostarsi e cercare si catturare tutto quello che succede. Per cui, come dire, sì, qualcuno mi ha aiutato, però lo stile è questo qua: poter raccontare l’esperienza facendo sentire quello che sta accadendo, non impostare una cosa. Non so se avete presente, ogni tanto in TV si vede la famiglia, la telecamera che entra dentro la famiglia, si vede la mamma che prepara da mangiare, prepara la colazione per il bambino e c’è un’impressione di falsità incredibile, eppure quella donna fa quel gesto tutte le mattine. Perché tu cosa fai, da regista? Chiedi di far finta che la telecamera non ci sia, ma a chi non è attore, non puoi chiederglielo, quindi tu devi fare un lavoro per cui, diciamo, alle tue star (io dicevo tu Rose sei la mia star, Vicky tu sei la mia star) non chiedi di far finta che la telecamera non ci sia; le telecamere entrano, devono fidarsi di te, in modo tale che loro sanno che ci sono questi tre estranei, però sono come tre amici che ti seguono. Quando tu hai un amico che ti segue, non è che ti fai il problema, cioè ti segue e appunto tecnicamente si dice che le immagini sono sporche, non sono tutte in bolla. Però è una cosa che potenzia l’impatto di realtà. Per me era importante anche dal punto di vista dello spettatore, perché lo spettatore ha a disposizione soltanto il punto di vista che gli metto a disposizione io, e quindi è una cosa assolutamente autoritaria come diceva Pasolini, è una delle cose più autoritarie che ci siano. Però, il fatto che la telecamera fosse lì e facesse parte di quello che stava raccontando, finisce col rendere lo spettatore coprotagonista. È lì e deve partecipare a quello che sta avvenendo, come succedeva a noi. L’idea era questa, lo stile era questo, ma non è che ho inventato niente, nell’arte non si inventa niente di nuovo, c’è già tutto, però io ho cercato di usarlo in questo modo.

MODERATORE:
Noi giornalisti diciamo: una grande storia si racconta da sola. E non è vero, perché prima che la storia si racconti, tu devi trovarla. Quando hai capito che avevi trovato la storia, quando è stato il momento che avevi capito che avevi la storia in mano?

EMMANUEL EXITU:
Io mi ricordo che ho visto Rose quando facevo l’università, a un incontro di cui non mi ricordo assolutamente nulla di quello che aveva detto, solo che ero uscito in lacrime e poi, grazie a Dacco e ad Arturo Alberti, è venuta fuori questa possibilità. Io la storia l’ho avuta perché ho avuto un periodo molto duro di malattia, ho sviluppato un sacco di fobie, tra cui il viaggio. E la storia l’ho avuta quando lui mi ha detto quella frase, perché io poi il 23 di settembre ero là che spingevo l’aereo perché volevo andare in Uganda a vedere come era, capito? Quello è stato il tirante. Perché ti chiedi: come mai è possibile, cos’è che vedi di così importante? Quindi per me è stata questa la cosa.

MODERATORE:
Questo documentario chi te lo ha prodotto? Chi te lo ha pagato?

EMMANUEL EXITU:
Grazie a Dacco ed ad Arturo Alberti, poi dopo insomma…

MODERATORE:
Tu sei andato per una tua iniziativa. Quindi hai rischiato

EMMANUEL EXITU:
Sì sì, io ho messo tutto quello che mancava, per cui ci è andata bene.

MODERATORE:
Adesso, visto che siete venuti qui, avete fatto tutta questa fatica per… Fategli qualche domanda almeno, senza che le faccia sempre io.

DOMANDA:
Ciao. Senti ti volevo chiedere, dopo questo lavoro, pensi che il tuo modo di fare il regista sia cambiato o possa cambiare?

EMMANUEL EXITU:
No. Cioè, io sapevo che.., io ero sicuro che funzionava. Ho verificato che funziona. Per cui, non so, magari diventerò più scaltro su certe situazioni. Non ho idea di cosa mi accadrà la prossima volta. Capito? Ho visto che funziona così. Per cui io vado dietro a questa cosa.
A Cannes mi chiedevano come t’è venuta questa idea di stile, perché per loro è molto importante lo stile, e allora io gli ho risposto: perché sono un grande artista! E per me essere un grande artista vuol dire che quanto più guardo, tanto più sono bravo, è sempre la storia che detta le condizioni della sua narrazione. Io sono lì e sono il dio in terra, perché il regista è quello, l’autore è quello, però ci dev’essere un’altra cosa che comanda, ci deve essere questa gente qua, ci devono essere dei protagonisti così. Io, nel mio piccolo, so quando si diventa protagonisti: si diventa protagonisti perché c’è uno che ti vuole bene. Infatti loro sono diventate protagoniste, ma non protagoniste nel senso che vai a Cannes: sei protagonista della tua vita, della tua vitaccia che continua come prima, peggio di prima, perché quando vedi delle cose veramente grandi, vedi chi sei tu. Però una cosa è strana: tu di fronte a lei sei libero di essere quello che sei, solo che cos’è che sei tu? Parlo per me, sei una merda, cioè non sei capace di fare niente, se dipende da te la storia va all’indietro, non va in avanti, fai solo delle macerie, solo che una che ti guarda così e che non vuole niente da te, ti ama per quello che sei.

DOMANDA:
Mi chiedevo se era casuale o se era voluto il fatto di dire o non dire che all’origine di questo atteggiamento di valorizzazione della vita e di tutto c’è il Cristianesimo.

EMMANUEL EXITU:
Volutissimo. Per quello che dicevo prima, cioè, a parte che è un casino spiegare chi sono i Memores Domini, e se tu provi a spiegare chi sono i Memores Domini, nel cervello della gente rimane che sono tipo delle suore. Ma sono affari della Rose. Cioè io voglio che uno veda l’esperienza che c’è lì, per questo io non voglio tirare conclusioni. Deve guardare l’esperienza che c’è lì. Quindi io voglio che uno si impatti con quello che si vede, con l’esperienza che c’è. Uno deve uscire da questa cosa e dire: chi è costei? Non voglio darti nessuna spiegazione, te la vai a cercare tu, cioè deve rimanere quello che vive lei, come quando sono andato dai nostri amici della Cometa e gli ho detto: io entro qua, voglio togliere i volantini, perché se si vede che sono di CL….. Io ho un carissimo amico, un extracomunista, ebbene lui, quando ci son stati i titoli di coda, si è voltato verso di me e mi ha detto: ma non avete parlato della fede, non hai parlato di Dio, non hai parlato di don Giussani. Io gli ho detto: bah, secondo me don Giussani, ma anche Dio, è capacissimo da solo di farsi lo spot, non è che ha bisogno di un pirla che si crede un regista, no? Bisogna stare lì sulla sedia, vedere e poi dopo fare, non lo so. Se io do un appiglio per cui uno possa dire loro sono di CL allora hanno 40 bambini… oppure ah lei sì perché è Memores, penso sia un modo di evitare la botta che ti colpisce in faccia, invece ti devi prendere la botta in faccia e andarci dietro, se ti piace, se no no.

DOMANDA:
Ecco ma sei entrato in relazione con Spike Lee, ti ha chiesto qualcosa?

EMMANUEL EXITU:
Sì, cioè Spike Lee è come Angelina Jolie, è una star, non è che riesci a… l’unica cosa, quando l’ho abbracciato gli ho chiesto perché Greater, perché hai scelto il mio? Lui mi ha detto: non ho niente da dirti, hai fatto un gran film (non ha usato documentary), vai avanti così. E io con il mio inglese tra tre enne gli ho detto: non ripeterlo, perché se no mi metto a piangere. Questo è stato il contatto che ho avuto con Hollywood.

DOMANDA:
Emmanuel, volevo ringraziarti perché siccome io ritengo che il vero artista è quello che mette in luce quello che già esiste, attraverso questo video hai proprio tirato fuori quello che è il cuore di Rose, per cui non è una domanda ma è un complimento. Grazie.

EMMANUEL EXITU:
Non ripeterlo perché se no mi metto a piangere!

MODERATORE:
Io invece avverto che c’è spazio per due domande ancora.

DOMANDA:
Io volevo farti una domanda un po’ personale. Tu prima hai detto che non avevi speranza. Volevo sapere se dopo questo documentario, dopo questa esperienza hai speranza, se ti ha cambiato in qualche modo.

EMMANUEL EXITU:
Mi permetto di leggere una cosa che per caso ho in tasca, cioè che ciò che è divertente del Cristianesimo, è che non è che impari l’arte e la metti da parte. Lì è stata una cosa incredibile, perché ho visto che non è che la speranza è una tecnica di gestione dei problemi, molto scaltra, ma è il fatto che tu guardi qualcuno. Dov’è la tua speranza? Chi stai guardando. È difficile che a me vengano queste cose, per quello che dico che un altro mi ha aiutato, perché quando ero lì e io arrivavo a sera, dicevo: ma dove cazzo son finito? Mi permetto di leggere questa cosa a pag. 90 di Si può vivere così, che mi aveva colpito. Mi permetto di cambiare una parola, quando parla della libertà dice: “Cosa bisogna fare con la nostra libertà? – e io mi permetto di dire, con la nostra speranza? – “Come bisogna fare con la fede? Come hanno fatto gli apostoli a imparare ad avere speranza in quell’uomo? L’hanno seguito”. Quindi bisogna seguire quel filo di simpatia… Cioè tu chi guardi? La Rose è mia, io le faccio scenate di gelosia se viene in Italia e non mi chiama. È mia. Però non è lì, è chi guardi. Infatti io non è che prima avevo degli amici stronzi e nessuno mi voleva bene, cioè è una cosa che non contraddice tutto quello che ho avuto, che ho, però ha acceso un faro da 70 mila milioni di watt sulla mia vita. Allora, io ho speranza se guardo, se tu ti stacchi non ce l’hai più, cioè non riesci più a recuperare tutto quello che magari avevi capito o che vedevi; cioè non esiste, tu sei sotto al mare, ti staccano la canna dell’aria, tu sei morto, non è diverso. Perché se no – cito una cosa che ha detto un mio amico, si chiama Jack, che mi è piaciuta moltissimo – se no noi siamo dei vagabondi che andiamo in giro con dei pensieri giusti. Fa schifo, invece la gente vuol sapere dove abiti, dove abiti vuol dire chi stai guardando.

MODERATORE:
Ringrazio tutti voi per aver fatto la fatica di venire qui dentro in tantissimi. Questa sera, ringrazio Emmanuel di averci raccontato dal di dentro e dal di fuori tutto il suo lavoro, soprattutto per il lavoro che ci ha fatto vedere e vi ricordo per domani l’appuntamento come sempre alle 19, in questa sala.

(Trascrizione non rivista dai relatori)

Data

26 Agosto 2008

Ora

19:00

Edizione

2008

Luogo

Sala A4
Categoria
Incontri