Chi siamo
STORIE DAL MONDO. Rassegna di reportages internazionali. A cura di Roberto Fontolan e Gian Micalessin.
La mia casa è la tua di Emmanuel Exitu. Produzione: Famiglie per l’Accoglienza e Wide Eyes Project. Testimonianza viva del dono dell’accoglienza e della risorsa famiglia. Partecipano: l’Autore; Marco Mazzi, Presidente Associazione Famiglie per l’Accoglienza.
ROBERTO FONTOLAN:
Benvenuti a questo nuovo appuntamento. Vedremo subito il filmato di Emmanuel Exitu, La mia casa è la tua, dopodiché avremo lo spazio per poter dialogare insieme a Gian Micalessin che con me coordina questa rassegna con Marco e Emma. Va bene? Buona visione, a dopo.
Video
ROBERTO FONTOLAN:
Come sa chi ci ha seguito in questa rassegna, adesso se ci sono osservazioni, domande, abbiamo qui l’opportunità dell’autore Emmanuel Exitu e di Marco Mazzi, che è Presidente di Famiglie per l’Accoglienza, come molti di voi sanno e quindi può essere un’occasione per scambiare qualche riflessione su questo. Gian vuole subito intervenire con una domanda. Chi vuole parlare alzi la mano, c’è una ragazza col microfono che ve lo porge. Grazie.
GIAN MICALESSIN:
Complimenti per questo lavoro Emmanuel, che già conosco; complimenti a Marco Mazzi per l’Associazione. Quello che mi colpisce di questo lavoro è che Emmanuel, come sempre, è capacissimo nell’evidenziare il lato solare dei peggiori drammi della vita. Secondo me però, Emmanuel, tu metti le mani in pasta, vai all’argomento, dal mio punto di vista, solamente nelle ultime due storie perché, per quel che ne so, quel poco che so io dell’affido, ogni situazione di affido ha doppia faccia. E’ una situazione di grande amore per chi prende dei figli ma anche di grande dramma per chi li perde, al di là delle sue responsabilità. Anche perché io ricordo di avere sempre lavorato su una storia drammatica di affido, dove i ragazzini venivano tolti in Emilia-Romagna, a Cesena forse, a una famiglia accusata ingiustamente di averli violentati. C’era un prete di mezzo, che venne accusato di aver violentato gli stessi bambini e il prete si suicidò. Una storia terrificante. Ecco, ma io ricordo sempre il dramma di questa famiglia a cui erano stati tolti ingiustamente i figli. Ecco, mi sembra che tu arrivi solo alla fine a vedere i due lati della medaglia. E’ un’annotazione giusta, l’hai fatto per qualche motivo particolare o qualcos’altro?
EMMANUEL EXITU:
Allora, la colpa è di Famiglie per l’Accoglienza e degli assistenti sociali, come sempre. No, perché è vero quello che dici, perché dovevamo comunque fare un prodotto che, diciamo, il nostro committente ci chiedeva di promuovere. Quindi il taglio doveva essere tra virgolette istituzionale e quindi il mio problema era fare un prodotto che fosse istituzionale ma che non fosse palloso come quello istituzionale. Però, diciamo, questa è la colpa di Famiglie per l’Accoglienza; la colpa degli assistenti sociali è il fatto che, per giusti motivi, come dire, io non potevo far vedere l’altra faccia della medaglia, perché l’altra faccia della medaglia non voleva farsi vedere. Io con Alberto Pezzi, che è Presidente regionale ho avuto un buon rapporto; io ho cercato un po’ di spingere, però lui mi diceva che era, insomma non una bestemmia in chiesa, però sul portone. Poi io avevo bisogno di una storia che finisse bene, che è quella della Maddi, dove c’è appunto il fatto che appunto tu hai due mamme, c’è qualcuno che ti ha fatto nascere e c’è qualcuno che ti fa crescere. La penultima storia, quella a cui tu ti riferisci, dei due fratelli, era interessante, perché senza respingere lo spettatore che magari poteva essere interessato all’affido, faceva vedere che non era tutto rose e fiori; per cui c’è la parte risolta, che è la parte maschile e la parte non risolta, che è la parte femminile. Però è una cosa stragiusta.
ROBERTO FONTOLAN:
Invece su questo appunto vorrei sentire il parere di Marco, perché su questa cosa del lieto fine, non lieto fine di queste storie, queste sono sempre storie che hanno un risvolto drammatico.
MARCO MAZZI:
Intanto quello che va ricordato è che ogni storia è quella storia; sono storie vere, è difficile inquadrarle in un certo canone. La gente che è rappresentata qui, è qui, è in mezzo a voi, sono i veri protagonisti insieme con tanti altri e ognuno ha una storia particolare. Il lieto fine parte da una gratitudine, come diceva l’ultima storia. Uno si rende conto di un bene ricevuto e accetta che un giorno in vari modi, una persona dica: posso venire a casa tua? E perché uno dice di sì? Perché questa gratitudine gli apre la porta della speranza, cioè è per una speranza. L’ha detto benissimo la Maddi quando dice: ciò che è stato male, ciò che è stato negativo, è stato il tramite per il positivo, per il bene. Quella cosa che ad un certo punto uno dice: non c’è niente da fare. No? Quante volte nelle nostre storie uno ha detto: non c’è niente da fare. Eppure la speranza rimane, rimane la speranza che comunque ciò che si è vissuto ha affermato il bene; ha affermato il bene dell’altro col Mistero, anche se noi non l’abbiamo saputo risolvere il suo problema e ha affermato il bene nostro come persona in cammino, poveracci in cammino, in cammino dentro un abbraccio più grande che prende noi. Nessuna di queste storie sarebbe stata possibile da soli; tutte hanno avuto in qualche modo qualcuno che le ha accompagnate e che ne ha custodito il bene anche nei passaggi più drammatici. Per quello che, anche quando l’esito, che non è mai nelle nostre mani, non è quello che si spera, in realtà noi sappiamo che il bene dentro rimane e uno può dire: questa casa comunque ti ha sempre voluto bene e ti ha sempre atteso.
EMMANUEL EXITU:
Se ci sono delle mani alzate, fatevi vivi. Gian, ti hanno soddisfatto queste risposte?
GIAN MICALESSIN:
Mi hanno soddisfatto, ma non era un’accusa, come è stato detto, era un’annotazione. Qui chiaramente c’è un grande lavoro sulle persone, sulla costruzione, sui sentimenti. Però c’è il problema dell’affido, il problema dell’affido che è sicuramente, nella parte terminale che vediamo noi qui, gestito dalle persone che danno grande amore ma è mediato da istituzioni imperfette, che sono quelle, come ha detto Emmanuel psicologi, giudici, assistenti sociali, sul cui operato molto spesso è difficile dare un giudizio positivo. Ecco, quanto l’amore delle persone, delle famiglie che accolgono è in grado di recuperare questi errori che vengono fatti nelle mediazioni? Questa è la mia domanda.
MARCO MAZZI:
Anche i servizi sociali, gli operatori fanno parte del dato. A noi è stato insegnato ad accogliere il dato, il dato è una persona che ha una storia che sanguina, il dato sono le persone che te la propongono. A volte perché lavorano dentro una professionalità, un mansionario, sono molto più staccate di te come famiglia, e qui quello che tu dici accade, ci sono delle incomprensioni, delle fatiche, anche delle diversità di percezione di valutazione tra la famiglia e gli operatori. E noi come associazione cerchiamo in tutti i modi di accompagnare la famiglia anche nel rapporto con gli operatori. E per fortuna ci sono operatori amici e operatori che hanno molto stima di noi, che sono cambiati conoscendo la nostra storia, come le famiglie si prendevano a cuore questi bisogni.
Però come uno prende in casa un bambino, una ragazza madre o qualcuno che ha bisogno e lo abbraccia per quello che è, anche chi te lo propone, per certi versi, è un dato che noi dobbiamo prendere per quello che è; possiamo cercare di cambiarlo, possiamo cercare di fargli percepire perché ci siamo mossi, noi siamo degli eroi, dei generosi, c’è qualcosa che affermiamo che è vero, e che è un bene per noi. Questo tante volte gli operatori fanno fatica a capirlo, credono che siamo soltanto dei grandi generosi che vogliono complicarsi la vita, ma in questo rapporto si cambia, si cresce.
EMMANUEL EXITU:
Comunque Gian ha ragione. Cioè questo aspetto, diciamo la parte fallita dell’esperienza, bisogna farla vedere in un altro contesto. Per me l’aspetto del raccontare l’accogliere non è finito con questa cosa; perché per quanto avessimo poco budget, avessimo un mandato forte da parte del committente, c’è tutto l’aspetto dell’adozione che apposta qui io non ho toccato, perché siccome dovevamo giocarci le poche cartucce che avevamo nell’affido, il gratis dell’amore è nella natura dell’affido. C’è anche tutto l’aspetto dell’adozione che a noi interessa e che secondo i quattro pensieri che ci ho fatto sopra, comincerà così: ci sono esperienze di gente che cerca tenacemente di avere una adozione, poi quando arriva questo bambino o questa bambina si scatena un odio incredibile, e tu devi fare questo tipo di lavoro di accettazione ulteriore e questo aspetto, tra la luce e l’ombra di un aspetto così grande, è un aspetto che bisogna raccontare. Avendo un mandato che vuole raccontare tutta la realtà e quindi anche gli aspetti che dici tu, è interessante vedere come questa associazione li ha affrontati. La questione del lieto fine. Il lieto fine per me non esiste, nel senso che nonostante i limiti, il mio tirante è stato quello di Greater, cioè andare a cercare la speranza che non è il lieto fine, ma cercare quella fiamma che brucia dentro ogni contraddizione.
ROBERTO FONTOLAN:
Ecco lì c’è una persona
DOMANDA:
Buonasera, io volevo chiedere che cosa il regista e l’associazione hanno portato a casa da questo film.
MARCO MAZZI:
Il regista ha portato a casa intanto delle grandi mangiate, perché non so se avete notato che le cose più importanti si fanno sempre a cena, evangelicamente, quindi più o meno anche con sistemi tecnici più o meno avanzati, di solito le mamme che accolgono sono delle grandi cuoche, io ci ho fatto delle grandi mangiate e lui pure. Che cosa abbiamo portato a casa? La prima cosa che mi ha colpito è come rivederti riflesso in uno specchio che illumina alcuni aspetti di quello che vivi. Per cui noi attraverso il film siamo diventati più consapevoli di quello che ci aveva noi per primi commossi. Mi ricordo uno che ha detto – una famiglia che fa affidi e che non parlerebbe mai – quel film sono io, io mi sono visto nel film. L’altra cosa è che abbiamo ancora più coscienza che questo è ciò che tutti attendono, perché il film è un veicolo incredibile di comunicazione di una esperienza molto più che non le parole, dà uno spaccato della realtà in cui tutti si possono riconoscere. Alberto potresti dire qualcosa tu effettivamente, visto che tu sei stato il più grande protagonista di questo film dal nostro punto di vista.
ALBERTO:
Io dico una cosa molto semplice. Ieri pomeriggio un settimanale locale romagnolo, dopo aver partecipato alla rassegna cinematografica di Bellaria, mi ha chiesto se potevamo fare un’intervista. A questa intervista doveva partecipare per ragioni locali la Rita Gioele, quelli con Simona e l’altro figlio, che all’inizio si vede con il cavallo. La famiglia non era disponibile, la Rita mi dice “guarda viene solo Simona”. Facciamo due ore di dialogo con il giornalista ed è emersa una cosa molto bella. Simona dice: “se io non avessi fatto questo film, rivedendomi proiettata non avrei avuto la forza di mettermi in discussione e di uscire da quella solitudine che lei in modo così tenace testimonia in questo film, e quindi di ritornare nella famiglia affidataria come luogo di compagnia ad un cammino e ad un destino”. Se ci siamo portati qualcosa a casa, questo qualcosa è il cambiamento di una persona che, lavorando insieme ad Emmanuel, si è resa più consapevoli dell’esperienza di accoglienza che faceva. Per lui anche questa cosa di ieri pomeriggio è stata una cosa molto concreta. Una persona che dentro questo lavoro cambia, fa delle scelte diverse e nella sua vita fa una cosa bella che altrimenti non avrebbe mai fatto. Queste sono cose molto concrete, credo molto significative.
EMMANUEL EXITU:
C’è un’altra persona
DOMANDA:
Sono anch’io un operatore, sono una psicologa, per cui volevo un attimo dire due cose: primo, per me questo film è stata un’esperienza straordinaria; oggi abbiamo fatto una testimonianza, io e mio marito, nello stand della CDO di Famiglie per l’Accoglienza insieme alla Maddalena che è la nostra figlia e che adesso è adottata. Nessuno lo dice nel film ma il nostro affido, dopo la morte della mamma di Maddalena, è diventato un’adozione. Però io fino in fondo mi sento più una famiglia affidataria, proprio perché la storia – e la Maddalena lo dice sempre – è incancellabile, costituisce la persona. L’adozione è avvenuta perché è morta la mamma della Maddalena e noi l’abbiamo adottata. Comunque questo non c’entra. Io volevo solo dire che per noi è stata un’esperienza molto bella come famiglia, io ho riscoperto ancora di più mio marito. Poi, vedete, io dico sempre che la nostra è la parte comica del film. Adesso che lo rivedo sono molto commossa, perché è come se avessi reso pubblico un privato, che uno tiene come privato. Quando lui spiega tutta la nostra storia, quando Emmanuel nella sua abilità cercava di fargli dire tante cose, di come ci siamo conosciuti, di come questa bambina è stata per noi il motivo fondante anche la nostra unione. Quando mi ha chiesto una volta: ma noi, quanto tempo è che ci conosciamo e io gli ho risposto: quanti anni ha la Maddalena, cioè come questo incontro con questa bambina ha determinato la mia vita e il mio destino. Quindi mettere in pubblico un privato così è essere disposti a rendere pubblici dei sentimenti che io non mi sarei mai sognata. Penso che sia questo il passo per rendere ragione di quello che siamo; quando noi rendiamo pubblico quello che siamo, ne siamo più convinti e il pubblico rende ragione anche alle cose più intime che viviamo. L’altro aspetto è la professione; è vero quello che dite, però secondo me bisogna giudicare dal di dentro. Io sono una psicologa, lavoro coi tribunali, lavoro tantissimo su questi aspetti; io vedo anche un rischio ideologico dall’una e dall’altra parte, di giudizio; perché molto spesso chi pone dei giudizi molto spesso non è dentro la situazione ma lo fa molto spesso, ripeto, da qualsiasi parte, molto ideologicamente. Nella mia esperienza trovo tanto positivo, tanta gente molto sensibile e che del proprio lavoro ne fa anche una professione seria; certo è che è un elemento in gioco che non si può saltare, a volte fa star male ma credo sia un motivo di crescita, proprio perché il destino di quel bimbo non è nelle mani nemmeno della progettualità buona della generosità della famiglia.
FONTOLAN ROBERTO:
Bene, se c’è ancora il tempo di un’ultimissima osservazione, poi vorrei chiudere appunto con Emmanuel e Marco. Sennò chiudiamo, perché le giornate del Meeting si sa che sono molto pesanti, molti di voi vorranno seguire gli eventi della serata e quindi io direi. Ancora dovresti dire cosa hai portato a casa tu da questo film.
EMMANUEL EXITU:
Ah, non ne ho idea, nel senso che io ho portato a casa quello che avete visto nel film ed era la cosa che a me interessava dire, perché se uno mi chiede che cosa volevi fare con questo film, la cosa che mi interessava perché appunto si parlava di amore, era cercare di capire quale fosse la vera natura dell’amore e quindi il fatto dell’essere uno. Cioè, finisce con Giusi e non a caso; cioè, il fatto che tu quando ti innamori di una cosa, di una persona, anche di una cosa, tu sei uno con quella, quella cosa lì è tua ed è tua per sempre. E io ho cercato di andare dentro a questo per sempre, con i limiti, però per me questo era la cosa che mi interessava. L’altra cosa che mi è venuta in mente, sempre per questa intervista che è successa ieri, è che la cosa che io veramente mi ricordo tantissimo durante le riprese, è la fame che avevo, perché dopo le riprese, non lo so, ci stavo pensando in queste trentasei ore che ho parlato con questo, che mi ha fatto venire in mente, è che probabilmente parlare, andare così dentro a delle persone, non è una roba facile. Per cui io mi sentivo talmente svuotato e avevo a fame. Infatti un’amica mi diceva: oh ma tutti quelli da cui sei andato, dicono che mangi come un maiale. E’ vero!
ROBERTO FONTOLAN:
Dunque, l’osservazione mi è piaciuta tantissimo, l’abbiamo presentato anche a Roma al Centro Internazionale del Movimento, con il card. Antonelli, che è il Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia e ne è venuta fuori una bella serata e anche qualche, diciamo, discorso così di prospettiva. Famiglie per l’Accoglienza, il dvd è in vendita, si può comprare qui alla libreria che è anche un modo per sostenere il lavoro che fanno.
MARCO MAZZI:
Il dvd è in vendita presso la libreria e poi ne abbiamo fatte tante copie perché pensiamo che sia una cosa utile da far circolare ovunque in tutta Italia e poi lo abbiamo sottotitolato in quattro lingue, cinque, lo presenteremo in tanti paesi dove Famiglie per l’Accoglienza è presente, dalla Spagna alla Svizzera, al Brasile, all’Argentina. Per aiutare Famiglie per l’Accoglienza uno può iscriversi, può dire ho stima di questa storia, mi interessa che esista come segno di bene dentro la società. Perché uno innanzitutto apprezza qualcosa che accade e che è bene per tutti. Poi magari la guarda e dice: beh, potrebbe anche essere qualcosa che prima o poi c’entra con la mia vita, ma questo è un passo successivo. La prima cosa è averne stima, sostenerla e l’iscrizione è il primo modo in cui la si sostiene e poi guardarla, guardarla e lasciare che quella provocazione buona che abbiamo tutti ricevuto incontrando delle esperienze di gratuità, fruttifichi come un seme buono dentro la nostra vita. Poi abbiamo un sito: famiglieperlaccoglienza.it, abbiamo lo stand.
ROBERTO FONTOLAN:
Chiudiamo qui, non so, devi aggiungere qualcosa?
DOMANDA:
No, volevo dire che c’è una vita e quindi in ogni regione, in ogni città ci sono incontri sull’affido e sull’adozione, si trovano gli avvisi e si può partecipare e incontrare non il sito soltanto ma delle persone vive che vivono l’accoglienza.
ROBERTO FONTOLAN:
Bene, io dico che è vero stimare, mi è piaciuto molto, stimare l’esperienza di Famiglie per l’Accoglienza, delle famiglie che accolgono; a me è piaciuto molto un passaggio di una persona che ha detto: io vorrei che la reazione fosse non “ah come sei bravo”, ma “beh, lo faccio anch’io”; ecco, questo mi sembra una bellissima cosa che c’è dentro a questo lavoro di Emmanuel e nel lavoro vostro di Famiglie per l’Accoglienza. Io vi ringrazio tutti, ringrazio loro, all’uscita vi ricordo il dvd in vendita in libreria, all’uscita c’è anche il banchetto libri per chi volesse comprare il libro di Gian, di cui abbiamo parlato l’altro giorno sul Pakistan. Domani sera il titolo del documentario è: Cinquanta italiani. Grazie, buonasera.
(Trascrizione non rivista dai relatori)