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STORIE DAL MONDO. Rassegna di reportages internazionali. A cura di Roberto Fontolan e Gian Micalessin.
Notte di terrore a Mumbai di Dan Reed. Produzione: HBO. La ricostruzione degli attacchi nella megalopoli indiana che fecero più di 200 morti. In occasione dell’incontro presentazione del libro Pakistan, il santuario di Al-Qaida. Gli 007 di Islamabad fra traffici nucleari e terrore islamico di Gian Micalessin (Ed. Boroli). Partecipa Gian Micalessin, Giornalista e Scrittore.
ROBERTO FONTOLAN:
Buonasera. Mi scuso per la mia assenza di ieri sera dovuta a una contemporaneità di eventi. Molti di voi sanno come è la nostra formula, che è molto semplice. Dopo questa breve introduzione, vedremo il film e poi ci sarà uno spazio di alcuni minuti per poter approfondire alcuni temi. Vorrei dire una cosa: questo documentario di History Channel è molto intenso, molto drammatico, in alcuni momenti anche difficile da sostenere. Racconta quelle che sono state 48 ore da incubo nella storia recente dell’India. Ricorderete, circa un anno e mezzo fa, quasi due anni fa, un assalto di diverse unità di commando terroristici, che poi sono risultati provenire dal Pakistan, che hanno messo a ferro e fuoco per 48 ore la città di Mumbai, grandissima, enorme città dell’India. Questo è il racconto, sviluppato naturalmente molti mesi dopo, di cosa è accaduto, la tragica, drammatica cronistoria di quelle 48 ore. Ci sono delle immagini e dei racconti molto impressionanti di questo episodio, che è tra i più sanguinosi della recente storia del terrorismo e ha messo in crisi i rapporti tra questi due grandi paesi.
L’occasione di questa serata si presta anche per un altro evento importante, perché qui vicino a me è il nostro Gian, che tutti voi conoscete come giornalista e reporter di avventure e di guerra, un grande esperto e studioso della realtà pakistana. È appena uscito il suo libro, Pakistan, il santuario di Al-Qaida, che naturalmente è reperibile nella libreria del Meeting e anche qui all’entrate: l’autore può anche firmarlo, dopo, per quelli che desiderano avere questo souvenir. Benissimo. Quindi, adesso vediamo questo film, ripeto, molto drammatico, quindi preparatevi a scene anche un po’ difficili. Dopo, parleremo della cosa. Adesso Gian, che è il massimo esperto – almeno qui, in questa giornata – del Pakistan, aggiunge qualcosa sulla presentazione di questo documentario.
GIAN MICALESSIN:
Si. Vi volevo raccomandare soprattutto di fare attenzione alle telefonate che intercorrono in questo filmato, perché la sua particolarità è di essere costruito sulle telefonate, sulle intercettazioni telefoniche delle comunicazioni tra i terroristi, gli attentatori, e quelli che li controllano, ovvero i mandanti delle azioni terroristica. Telefonate che arrivano tutte dal Pakistan, forse dai vertici dell’organizzazione terroristica ma, secondo alcuni, anche da esponenti dei servizi segreti deviati di Islamabad. È proprio questo il clou, è lo scoop di questo reportage, particolarmente interessante da questo punto di vista, a cui si ricollega anche il mio libro, per alcuni capitoli. Grazie.
ROBERTO FONTOLAN:
Bene. Ringraziando History Channel e Sky che ci hanno consentito la proiezione di questa sera, vi auguro buona visione. Ci rivediamo subito dopo.
Video
ROBERTO FONTOLAN:
Come avevo detto all’inizio, si tratta veramente di un documento molto impressionante, molto drammatico. Abbiamo, come sapete, alcuni minuti per scambiare qualche osservazione, qualche domanda. Intanto approfitto del fatto che Gian è qui per ricollegarmi alle ultime cose che abbiamo sentito. Cosa è successo poi in questo mondo, in questa realtà, dopo quasi due anni da questi eventi? Gian.
GIAN MICALESSIN:
Non è successo niente di molto più grave, sul fronte degli attentati in India. È successa una cosa molto più grave in Pakistan, un paese che in pratica si sta sgretolando sotto i colpi dei gruppi terroristici, dei gruppi fondamentalisti, che hanno questa origine comune. Operano in Pakistan, contro il governo pakistano, ma sono probabilmente manovrati da parti dei servizi segreti pakistani, da componenti fuori controllo. E questo, perché? Dobbiamo capire un po’ tutta la complessità di questo disegno. Innanzitutto, una parte la capiamo anche guardando questo documentario. Le telefonate, da dove arrivano? Arrivano dal Pakistan. Chi ha addestrato quel ragazzo che vedete, un ragazzo di 22 anni che viene addestrato prima di venire reclutato da Lashkar-e-Taiba, che è il figlio, come racconta lui, di un venditore di frittelle? Chi addestra Lashkar-e-Taiba sulle montagne del Kashmir pakistano? Li addestrano, molto probabilmente, i servizi segreti pakistani, quegli stessi servizi segreti pakistani che utilizzano gruppi come Lashkar-e-Taiba, l’esercito dei puri, per operare all’interno dei confini indiani, destabilizzare la situazione indiana e combattere soprattutto quella guerra che dura dal 1948, da quando, alla suddivisione del subcontinente indiano, il Kashmir, regione a maggioranza musulmana dell’India, resta sotto il Governo indiano. Da quel momento, India e Pakistan combattono due guerre sanguinosissime. Arrivano addirittura, nel 1999, sull’orlo di un conflitto nucleare per il controllo dei confini del Kashmir. Sul Kashmir ci sono innumerevoli risoluzioni del Consiglio di Sicurezza che nessuno dei due Paesi ha mai rispettato. Non si è mai arrivati a un referendum. Quindi, la questione è aperta. E questa è la vera cancrena che insanguina i rapporti tra India e Pakistan e che muove anche tutta la politica del subcontinente indiano, guidata dal Pakistan che inizia, proprio per destabilizzare la situazione all’interno dell’India, a utilizzare gruppi fondamentalisti. Il capo di Lashkar-e-Taiba, l’organizzazione che firma questi attentati, è, negli anni ’80, il capo del Consiglio Islamico del Pakistan, viene nominato dall’allora Presidente del Pakistan. Lui stesso, il capo di Lashkar-e-Taiba in Pakistan, colpisce il predicatore palestinese che ispira Osama bin Laden e da cui nasce Al-Qaeda. Ma, ad esempio, una delle persone che fanno queste telefonate potrebbe essere, anzi, è quasi sicuramente un maggiore dell’esercito indiano che lavora per i servizi segreti pakistani. Un americano-pakistano, nato negli Stati Uniti ma di origine pakistana, che lavora per i servizi segreti pakistani, è quello che conduce tutte le ricognizioni che portano poi a questi attentati.
Da dove inizia tutta questa storia? Inizia negli anni ’80, quando i servizi segreti pakistani incominciano a gestire gli aiuti per la resistenza antisovietica e incominciano a combattere, con i soldi degli americani, con i soldi dell’Occidente, una guerra alternativa. Una guerra in cui una parte di quei soldi, una parte di quelle armi, una parte di quella complessa legione straniera islamica, che arriva da tutto il mondo islamico e combatte in Afghanistan contro i russi, viene utilizzata per combattere i russi ma anche per combattere questa seconda guerra, molto più importante per i pakistani, all’interno dell’India. In questo complesso gioco geostrategico, di geopolitica, in cui sono pesantemente invischiati i servizi segreti pakistani, si inserisce anche questo episodio.
ROBERTO FONTOLAN:
Bene, se c’è qualcuno che vuole porre qualche domanda o scambiare qualche osservazione, alzi la mano.
DOMANDA:
Buona sera, mi sembra di capire che al centro di questa diatriba tra India e Pakistan ci sia il controllo del Kashmir: perché? Che ricchezza c’è nel Kashmir?
GIAN MICALESSIN:
Non c’è nessuna ricchezza particolare, il problema è proprio religioso, etnico, il controllo di un territorio che per il Pakistan è suo, un territorio musulmano. Ricordiamoci che la spartizione del subcontinente indiano nel 1948 viene eseguita senza troppa attenzione dagli indiani ma su base religioso-etnica: in pratica, il Pakistan diventa il paese dei puri, il paese dei musulmani. L’India diventa la parte indù. Per un caso, nel Kashmir c’è un maharaja indiano che, contrariamente alla volontà della popolazione ed ai tentativi dei pakistani di controllarne la zona, mantiene la sovranità della Regione sotto il controllo indiano. Da questo si sviluppa una guerra continua ed ininterrotta. Ma quello che è interessante, è la posizione ambivalente ed ambigua del Pakistan: uno dei capitoli del mio libro è dedicato a questi episodi, ma ci sono dieci capitoli che dedico a questa posizione ambigua del Pakistan, quel Pakistan che utilizza gran parte degli aiuti, forniti dall’Occidente, dall’America ed anche dai Paesi islamici contro i sovietici in Afghanistan, per costruire la propria bomba atomica, li utilizza per perseguire, attraverso il padre della bomba atomica, Abdul Qadeer Khan, un sogno: mettere in comune la bomba atomica pakistana con gli altri Paesi islamici. Una parte delle centrifughe di cui oggi si parla, che viene utilizzata dall’Iran, arriva proprio da Abdul Qadeer Khan, dai suoi laboratori. Lui stesso fornisce le centrifughe atomiche da cui inizia il progetto nucleare iraniano. E dai laboratori di Abdul Qadeer Khan, arriva anche la bomba atomica, le centrifughe che sarebbero dovute servire al leader Libico Muhammar Gheddafi, a creare la sua bomba atomica. Quindi, c’è un disegno preciso di cui questo è uno dei tanti episodi.
DOMANDA:
Sembra che il Pakistan sia il territorio di alcuni signorotti, il signore del nucleare, il signore del terrorismo: sembra assurdo, ma vorrei cercare di capire come quei milioni di persone si fanno condurre così, questa situazione è totalmente lontano dalla nostra mentalità.
GIAN MICALESSIN:
sappiamo che il Pakistan è un paese di 150 milioni di abitanti. Un fattore fondamentale è che si tratta di un Paese che sempre perseguito, dalla sua nascita, dal 1948, questo scontro, questa rivalità con l’India. Rivalità che è seguita da una serie di guerre sanguinosissime, e contrassegnata anche da questa corsa alla bomba atomica. La bomba atomica ce l’hanno prima gli indiani; nel 1974 il Pakistan comincia lo sforzo per costruire la sua bomba atomica e tutta l’atmosfera nazionale è pervasa da questa idea. Parliamo di uno Stato privo di una grande educazione nazionale, diciamo che il livello dell’istruzione è abbastanza basso. Tutto è pervaso da questo grande scontro nazionalista e soprattutto da questo sogno di diventare la potenza che domina il subcontinente indiano, in contrapposizione al grande nemico indiano. Quindi, è un Paese che, dagli anni ’80, si sviluppa ai confini di un conflitto, prima il conflitto afghano contro i russi, poi il conflitto afghano con i Talebani che vengono creati dal Pakistan, perché sono i pakistani che creano l’esercito dei Talebani che conquistano il potere, e poi da questo scontro, questa contrapposizione feroce con gli indiani.
Tutto questo nasce in un clima di follia collettiva, è una escalation continua in cui tutta la nazione si sente protagonista. Ad esempio, ricordo benissimo, negli anni ’89/’90, quando erano finiti gli aiuti, come gli americani bloccassero una fornitura di F-16 che era già stata promessa al Pakistan. In tutto il Pakistan c’è un senso di indignazione collettiva, generale: anche da lì nasce questo odio nei confronti dell’Occidente, nei confronti dell’America. L’America che ci ha dato soldi fino a quando c’era bisogno di noi per combattere i sovietici – pensano -, adesso non ce li dà più perché ha scoperto che vogliamo fare la bomba atomica, perché vogliamo diventare una vera potenza. In più c’è anche questo, il sogno di diventare la grande potenza del subcontinente indiano.
DOMANDA:
Giulio Meotti ha scritto su Il Foglio che gli ostaggi della Nariman House a Mumbai sono stati torturati prima di essere uccisi. È vero o no? Dalla ricostruzione, non sembra possibile.
GIAN MICALESSIN:
Probabile che siano stati maltrattati e torturati, sicuramente sono stati uccisi.
DOMANDA:
Buonasera, volevo farle una domanda sulla ricostruzione; inerente l’inefficienza che si è manifestata nelle forze della polizia indiana. Parliamo di un equipaggiamento vecchio, datato, come quei G3, parliamo di un fucile di assalto con cinque proiettili e una pistola, parliamo inoltre di una risposta antiterrorismo come quella che abbiamo visto nel video, le Forze Speciali indiane che sono arrivate dodici ore dopo, quando i terroristi avevano già avuto il tempo di arroccarsi e fortificarsi logisticamente. Come è possibile che una Regione così in crescita, anche dal punto di vista cibernetico, intellettuale, di comunicazione mass-mediale, abbia un utilizzo così poco accurato di quelle che sono le risorse umane, le risorse della gestione militare internazionale? Voglio dire, oggigiorno tutte le nazioni, anche il Pakistan, hanno forze antiterrorismo mediamente addestrate. Mi chiedo come sia possibile che ci sia questo buco così profondo nell’addestramento delle forze militari antiterrorismo.
ROBERTO FONTOLAN:
Aggiungo che, a parte queste annotazioni veramente da esperto, era impressionante la situazione nella stazione, dove tutti questi poliziotti indiani stavano dietro l’angolo e non riuscivano a tener il controllo: non erano Forze Speciali, probabilmente erano forze di polizia normali, però non sono stati in grado di reagire neanche per un istante. Come è possibile? Anche io ho questa curiosità.
GIAN MICALESSIN:
Ricordiamoci che in questi casi la sorpresa, la determinazione pagano di più, almeno fino a quando parliamo di confronto con le forze di polizia normali. Sono in due ma sono assolutamente determinati, sono stati addestrati per mesi in vari ambienti, sia l’ambiente urbano sia l’ambiente di montagna, hanno un’unica missione che è quella di uccidere, sparare e colpire, non pensano ad altro, non devono neanche preoccuparsi di sopravvivere, perché sono addestrati per morire. Dal loro punto di vista, hanno un vantaggio incredibile rispetto a chi deve difendersi. Poi, hanno il vantaggio dell’armamento, hanno dei kalashnikov, li sanno usare molto bene perché per mesi non hanno fatto altro che sparare, questo è l’effetto sorpresa, per quello che riguarda la stazione. Per quello che riguarda invece le Forze Speciali, sì, è la vera sorpresa, anche per gli stessi indiani: è una vergogna nazionale, quella che succede. Le Forze Speciali vengono dispiegate in ritardo, come hai detto tu, ma soprattutto vengono dispiegate male, non viene fatto alcun rilevamento. Le Forze Speciali sono in grado di operare con scientificità e perfezione quando sanno con esattezza dove colpire: questo significa che, prima di farle intervenire, devi avere individuato perfettamente tutte le postazioni che devi attaccare, devi avere circondato completamente la zona: lì accade una serie di superficialità incredibili. Vediamo gli abitanti che camminano tranquillamente, che si sporgono dalle finestre. Tutta l’operazione è sbagliata, non c’è nulla che funzioni, c’è un errore collettivo colossale su cui infatti c’è stato poi tutto un ripensamento della strategia di difesa indiana. Speriamo la prossima volta facciano meglio.
DOMANDA:
Buonasera, sarò banale ma, dopo avere visto con molto dolore queste immagini, volevo chiederle molto semplicemente qual è lo scenario che ci possiamo immaginare, che si può prevedere, qual è la sua idea sui giorni futuri che ci aspettano, anche rispetto alle notizie che ci giungono dall’Iran e dal Medio Oriente in questi giorni. Grazie.
GIAN MICALESSIN:
Quando mi viene fatta questa domanda, ricordo che gran parte di questi gruppi, tra il ’96 ed il 2001, non si addestravano in Pakistan ma in Afghanistan. Ecco, molto spesso ci chiediamo cosa ci stiamo a fare in Afghanistan, perché ci stiamo, era il tema di un altro mio libro precedente. Ecco la risposta: stiamo in Afghanistan per impedire che una Regione molto ampia, molto importante, ricada sotto il controllo di forze come questa e che quelli che sono 6, 8 terroristi diventino migliaia. Ricordiamo oggi che Al Qaeda è in grosse difficoltà, riesce ancora ad operare, soprattutto lì dove i servizi segreti pakistani, o una parte deviata dei servizi segreti pakistani, consentono loro di operare. Ricordiamo che Al Qaeda oggi nasce, vive e si sviluppa, ha ancora i suoi capi, le sue basi operative, soprattutto in Pakistan: non a caso, il mio libro si chiama Pakistan santuario di Al Qaeda. Quindi, cosa fare? Da una parte, continuare sicuramente le operazioni in Afghanistan per impedire che l’Afghanistan ritorni il grande campo di addestramento del terrorismo internazionale. Dall’altra, proseguire le operazioni di pressione sul Pakistan, pressione difficilissima perché gli americani, quando nel 2001 decisero di bombardare l’Afghanistan ma non il Pakistan, non è che non sapessero quello che si combinava lì. Quando cadono le torri gemelle a Washington, quel giorno stesso c’è il capo dell’ Inter-Services Intelligence, la principale organizzazione dei servizi segreti pakistani. Gli americani lo prendono da parte e gli dicono: “Torna, vai dal tuo presidente (Musharraf, a quel tempo) e digli che se non volete tornare all’età della pietra dovete scegliere da che parte stare”. Il capo dell’Intelligence pakistana, che nel frattempo ha visitato più volte Bin Laden e ha collaborato con lui – si dice addirittura che avrebbe fatto fare un bonifico di 500.000 dollari al gruppo degli attentatori dell’11 Settembre, che quindi abbia favorito direttamente l’operazione – torna in Pakistan e dice a Musharraf: “Guarda, che noi non dobbiamo stare con gli americani, dobbiamo stare con Al Qaeda, con Bin Laden, con i nostri fratelli Talebani”. Ecco, questo è il clima del Pakistan. Però, fare la guerra al Pakistan non si può. Il Pakistan è un paese di 150 milioni di abitanti, con un arsenale nucleare che rischia di cadere nelle mani dei terroristi, se lo Stato si disgrega.
È un’operazione difficilissima, un grande risiko, una grande pressione internazionale che deve esercitarsi soprattutto sulle autorità pakistane e su quei capi militari del Pakistan che sono i veri signori del paese. Operazione difficilissima, ovviamente, perché Kayani, il Capo di Stato Maggiore del Pakistan, intercettato dall’Intelligence americana, ripete che mantenere in piedi le infrastrutture che permettono di colpire l’India è fondamentale. Cosa significa? Significa che questi gruppi terroristici sono fondamentali per condurre una guerra surrettizia, sotterranea, nei confronti dell’India. Quindi, ben difficilmente il Pakistan vuole liberarsene. Però, è chiaro che deve fare i conti con il rischio di disintegrarsi per pressione di quelle stesse forze fondamentaliste che poi mettono a rischio il suo essere Stato nazionale. Il compito della comunità internazionale è riuscire a inserirsi in questo difficilissimo gioco a incastri.
DOMANDA:
Vorrei domandare, dopo questo incidente, quali misure vengano prese a livello pratico perché non accada di nuovo, sia per l’India sia per la comunità internazionale.
GIAN MICALESSIN:
Le misure sono sempre quelle, purtroppo: un estremo ricorso all’Intelligence, alla pressione sul Pakistan, perché consegni i responsabili di queste organizzazioni terroristiche. Tutto questo ad oggi non è servito a molto. È servita di più la guerra segreta che conduce la CIA nel Waziristan, nelle regioni del Pakistan, per cui vengono colpiti, con aerei senza pilota, i capi di Al Qaeda, i capi delle organizzazioni terroristiche. È chiaro che quello che più conta è la capacità di fare pressione sulle forze armate pakistane, sull’Intelligence pakistana, e costringerle a consegnare quelli che effettivamente controllano questi servizi segreti deviati. Operazione difficilissima, perché tutto si intreccia in quello scacchiere complicatissimo che è anche la guerra afghana, dove ovviamente il Pakistan ha interesse a controllare buona metà dell’Afghanistan.
ROBERTO FONTOLAN:
Ecco l’ultima domanda. Intanto, volevo ricollegarmi all’attualità di questi giorni perché sappiamo, lo vediamo quasi tutte le sere al telegiornale, che il Pakistan è il Paese colpito da una catastrofe naturale veramente impressionante, dove i soccorsi – dice Gian – sono gestiti in molta parte dalle stesse organizzazioni fondamentaliste che, come in altri Paesi, sono anche organizzazioni di soccorso, sono anche organizzazioni di carità, pensiamo a Gaza, dove succedono più o meno queste cose. C’è anche un moto di solidarietà nei confronti di queste popolazioni così atrocemente colpite dal terrorismo, dalla loro vita interna nazionale ma anche da questa grande catastrofe naturale. Ancora un’ultima domanda, poi ci avviamo alla conclusione.
DOMANDA:
In questo quadro l’aspetto religioso mi sembra marginale, in quanto questi sparano contro tutti. Volevo capire se è così come si vede, oppure se la guerra religiosa sia fondamentale.
ROBERTO FONTOLAN:
Si, anche per me è importante questo tema religioso. Una cosa mi ha colpito tanto in questo lavoro bellissimo di History Channel, proprio dal punto di vista del messaggio che ci arriva. A parte il “tu tu” del telefono che ritma un po’ tutto, questo percorso diventa impressionante perché ci sono i silenzi e le loro voci. Ma c’è anche questa parola che continua, che percorre l’ora di filmato: “Allah”, “In nome di Allah”, “Morirai in nome di Allah”, “Prega Allah”. Questo tema dell’appello religioso che si trasforma in orrore è impressionante, perché è una cosa che ci tocca molto da vicino, tocca la nostra coscienza: come il fatto della religione può trasformarsi nell’arma per uccidere le persone? Qual è la tua sensazione di questa religiosità, se così si può chiamare?
GIAN MICALESSIN:
La religione è il catalizzatore, in verità, ma non è l’elemento più importante, è solo uno degli elementi che serve a convincere queste persone. Ashmal – lo racconto nel capitolo del mio libro dedicato proprio a questo episodio -, quando viene interrogato con molta attenzione su quelle che sono le motivazioni che lo portano a tentare di morire nell’esecuzione della sua missione, non riesce a spiegare le ragioni per cui deve morire. Non conosce neanche gli elementi base del Corano; è un ignorante, dal punto di vista religioso. Sa solo che deve morire perché così andrà in Paradiso, diventerà famoso e suo padre riceverà 5.000 dollari. E ripete ossessivamente queste cose: la religione, il Corano, l’istigazione a morire nel nome della religione, sono stati più un lavaggio del cervello che una vera crescita spirituale. La religione viene utilizzata come catalizzatore. Ed è sintomatico, infatti, che dal 1989, esattamente da quando i sovietici si ritirano dall’Afghanistan, cambi repentinamente la fisionomia dei gruppi che operano nel Kashmir indiano. C’ero nel 1989, in Kashmir, ero proprio con i gruppi che combattevano contro gli indiani e si iniziavano ad individuare alcune tendenze fondamentaliste. Ma erano in gran parte gruppi secolari, gruppi che combattevano per l’indipendenza. Nel 1989, quando riprende violentemente questa lotta contro il regime indiano scatta la molla religiosa, perché è finita la guerra in Afghanistan, non arrivano più gli aiuti americani, è scoppiata l’ira e la rabbia dei vertici militari pakistani nei confronti dell’Occidente, nei confronti dell’America. C’è questo senso di rivalsa. quindi… Il capo di Lashkar-e-Taiba, che a quel tempo è ancora il Presidente del Consiglio Islamico, organizzazione nazionale nominata dal Presidente pakistano, diventa capo di Lashkar-e-Taiba e incomincia a gestire questa organizzazione. Tutti i gruppi secolaristi incominciano a diventare fondamentalisti e ad essere mandati in Afghanistan, nei campi con i Talebani gestiti dai Servizi Segreti. Lì nasce la nuova forma, la forma religiosa della lotta indipendentista del Kashmir che ci porta a questa situazione.
Altra cosa importante, tornando sul discorso che faceva Roberto: il problema degli aiuti. In questo momento viviamo un altro capitolo cruciale del Pakistan. Il Pakistan era già allo stremo, dal punto di vista economico. Oggi vive una crisi, quella delle inondazioni che lo porterà veramente sull’orlo della bancarotta, lo metterà nell’incapacità di far fronte al fabbisogno alimentare di gran parte della sua popolazione. Ma lo Stato pakistano è assente, non è in grado di portare questi aiuti. Oggi, gran parte degli aiuti arrivano portati da Lashkar-e-Taiba, da tutte quelle organizzazioni fondamentaliste che hanno come ombrello, come apparenza ufficiale, l’immagine di organizzazioni umanitarie. Cosa successe nel 2001, quando il capo dell’Intelligence, che era stato minacciato dagli americani, si oppose a Musharraf e disse: “Dobbiamo stare con gli afghani”? Il Presidente pakistano Musharraf ne ordinò le dimissioni e fece pulizia all’interno dei Servizi Segreti, mettendo fuori, oltre ai capi, tutti gli uomini e tutti i generali che più erano legati ad Al Qaeda. Ebbene, questi formarono i Servizi Segreti deviati, composti proprio da organizzazioni di consulenza e umanitarie. Queste organizzazioni umanitarie, sorte in quel 2001 e controllate dagli stessi capi dei Servizi Segreti più legati ad Al Qaeda, sono quelli che oggi portano gli aiuti alle popolazioni colpite dalle inondazioni, nell’assenza totale dello Stato. Qui, allora, è il compito difficilissimo dell’Occidente. Molti parlano dell’inerzia dell’Occidente di fronte agli aiuti, ma qui si pone veramente un enigma: a chi dare questi soldi? Allo Stato pakistano, che comunque è sull’orlo del tracollo, alle organizzazioni umanitarie, che sono comunque controllate da gruppi legati ad Al Qaeda? O è meglio cercare di operare autonomamente? Questo è veramente il grande cruccio occidentale in questo momento, per cui si è allo stallo e ci si chiede cosa fare, mentre le inondazioni distruggono il Pakistan.
ROBERTO FONTOLAN:
Bene, vorrei che ringraziassimo Gian perché ci ha aiutati a dipanare con grande competenza e profondità una situazione così enormemente complessa. Tra l’altro, scusa, un’ultima nota di cronaca: mi pare questo ragazzo, il giovane terrorista, sia stato nel frattempo, qualche settimana fa, condannato a morte. Non so se la sentenza sia stata già eseguita. E’ l’ultimo atto di questa grande tragedia che abbiamo visto documentata. Vi ringrazio tutti, vi ricordo che domani sera avremo qui un’esperienza interessante nata dalla storia del Movimento a Bogotà, Corazon Bogotà. Vi ricordo il libro di Gian, che è in vendita sia qui che nella libreria. Grazie, buona serata.
(Trascrizione non rivista dai relatori)