Chi siamo
STORIE DAL MONDO. Rassegna di reportages internazionali. A cura di Roberto Fontolan e Gian Micalessin.
Our sky our land di Pietro Gualandi, Edoardo e Francesco Picciolo e Antonio Spanò. Un viaggio nel Kurdistan Iracheno, nella memoria del genocidio perpetrato da Saddam Hussein. Partecipano: gli Autori.
GIAN MICALESSIN:
Buona sera a tutti, sono Gian Micalessin, anche quest’anno sono qui con Roberto Fontolan, che questa sera non può esserci perché presenta l’ultimo libro del Papa Benedetto XVI sulla liturgia, che però ci raggiungerà forse a fine serata o più tardi, dopo la proiezione del filmato, o nei prossimi giorni. Siete tanti anche quest’anno, ho avuto un po’ di paura prima quando sono entrato, perché ho visto tutte le sedie vuote, ho detto quest’anno non ci fila nessuno, invece siete tantissimi, grazie. Grazie, un applauso mio a voi. Questa sera sono particolarmente contento di presentare un documentario fatto da quattro giovani autori, quattro video giornalisti o quattro video reporter che come me, tanti anni fa, 25 anni fa, sono andati giovanissimi in un posto difficile, per raccontare una storia dimenticata, una storia di cui in Italia spesso ci si dimentica, la storia del popolo curdo, delle vessazioni subite da questo popolo durante l’era di Saddam Hussein. E’ un documentario girato bene, con attenzione, un documentario che ci riporta verso una storia sconosciuta, una storia magari dimenticata, adesso che in Iraq tutto sembra più tranquillo. Quindi ecco, ci vediamo questo documentario, vi presento i quattro ragazzi, i quattro videoperatori che sono Pietro Gualandi, Edoardo e Francesco Picciolo, Antonio Spanò. Adesso ci guardiamo il loro documentario, poi ne parliamo con loro e poi chiaramente aspettiamo le vostre domande. A più tardi, grazie.
Video
GIAN MICALESSIN:
Bene, complimenti di cuore a Pietro, Antonio, Edoardo, Francesco, perché hanno fatto veramente un egregio lavoro. Lo dice il vostro applauso ma lo dico anch’io che in Kurdistan ci sono stato tante volte dal 1988 fino a 6 mesi, 5 mesi fa, e molte volte uno che va tante volte in un posto dice: cosa c’è da raccontare, cosa c’è che non conosco ormai? Eppure questo documentario, questo racconto corale che loro quattro ci hanno offerto, è raccontato, come dire, con gli occhi di un bambino, gli occhi di un bambino che non conosce la storia, che va lì, vede e mette assieme tutto quello che gli passa davanti. Il loro racconto mi ha colpito perché mi ha fatto ricordare molte cose, che per me, che le do per scontate, erano passate nel tempo, erano passate nella memoria, non me ne ricordavo più. Invece la loro capacità è stata proprio questa, di unire i racconti delle persone, è bellissimo il fatto che non ci sia un narratore, tutto il racconto è fatto dai personaggi che loro intervistano, questi personaggi scavano nella memoria, vanno indietro, ritornano indietro nel tempo. Il grande pregio di questo documentario è quello di mettere assieme anche quello che un tempo non c’era, ossia le immagini di archivio, le immagini che penso siano uscite poi dagli archivi di Saddam, dagli archivi del regime e che i curdi hanno recuperato, ma questo ce lo racconteranno loro dopo. Invece io voglio fare un attimo una piccola parentesi, così vi spiego cosa vedremo nei prossimi giorni, cosa vedremo assieme a Roberto Fontolan, con cui presento ogni anno questa rassegna. Vi do una piccola anticipazione, e poi ci dedichiamo interamente ai nostri quattro reporters.
Allora domani una cosa molto bella, Notte di terrore a Mumbay. Ve lo ricorderete forse l’attacco a Mumbay, l’attacco terroristico a Mumbay in India, tre giorni di terrore in questa metropoli indiana in cui i terroristi arrivati dal Pakistan si impadroniscono in pratica di alcuni grandi alberghi, di un centro ebraico e tengono la città nel terrore. Ma in questo documentario che vedremo domani sera, vedremo soprattutto un retroscena importantissimo, vedremo le comunicazioni, ascolteremo le comunicazioni tra i terroristi e i loro controllori che gli spiegano dal Pakistan come uccidere, chi uccidere, quando uccidere e quando anche morire, perché poi questi sono tutti attentatori suicidi e quindi i loro controllori del Pakistan gli dicono anche quando il loro compito è terminato e devono morire. Veramente un documentario eccezionale, che domani vedremo assieme, dopo di che vi tocca anche subirvi la presentazione del mio libro Pakistan, il santuario di Al-Qaida dove vi spiego perché il Pakistan è un po’ il retrovia e la culla di Al-Qaida.
Poi invece andiamo a Bogotà, martedì, e vediamo un bel racconto su un centro educativo a Bogotà di Marco Civinelli. Poi abbiamo Emanuele Exitu, che molti di voi conosceranno, perché di aveva presentato, due anni fa, un suo documentario sul centro per la riabilitazione dei malati di Aids in Uganda. Quest’anno torna con noi, torna con noi mercoledì con La mia casa è la tua, che è un racconto sulle famiglie, sull’accoglienza, sulle famiglie per l’accoglienza, molto interessante, girato sempre con l’estro e la creatività di Emanuel Exitu, che rende particolarmente piacevoli i suoi lavori.
Invece facciamo un salto nel tempo giovedì’ 26 agosto e andiamo all’epoca del fascismo e rivediamo, girato da Flaminia Lubin, giornalista italiana, un racconto documentario che ci spiega, ci racconta la storia di tanti ebrei salvati da tanti esponenti del fascismo italiano. Personaggi sconosciuti, personaggi che in quegli anni ricoprivano cariche importanti, che si diedero da fare per salvare centinaia di ebrei.
Poi venerdì vi tocco di nuovo io, però c’è Monica Maggioni, che dà un po’ più di lustro alla mia presenza. Io e Monica Maggioni presenteremo il nostro ultimo documentario su i cristiani in Iraq. Torniamo anche noi nel Kurdistan iracheno, andiamo a Mossul, vediamo quelle zone in cui i cristiani vengono uccisi, sterminati, perseguitati. Cerchiamo di capire il perché di questa persecuzione, venerdì sera. E con questo si chiude la nostra rassegna, rassegna presentata vi ricordo sempre e pensata soprattutto con Roberto Fontolan, con cui da cinque anni penso o anche più ormai, vi presentiamo questi documentari.
Ma torniamo a voi. Allora innanzitutto complimenti per aver girato molto bene, girato in maniera molto professionale, molto fine. Chi mi racconta di voi perché avete deciso di andare a raccontare una storia che sembrava dimenticata, finita? Questo vorremmo sapere innanzitutto, e soprattutto voi siete giovani, ecco, non avevate nessuno che vi finanziava; perché questa è la parte interessante, loro sono andati risparmiando, mettendo via soldi, facendo quelle che io chiamavo, al mio tempo, le vacanze intelligenti; ma penso sia stato così anche per voi ecco. Chi mi racconta perché avete deciso di tentare questa avventura, che poi non è che sia redditizia, perché in queste cose non è che ci si guadagna. Raccontateci un po’.
FRANCESCO PICCIOLO:
Sono Francesco Picciolo. 28 anni. Sono laureato in Fisica e lavoro presso la ASL di Siena. Scusate un po’ l’emozione di questo momento, tanta gente riunita qui, tocca insomma. Questo progetto è iniziato due anni fa, quando abbiamo conosciuto un’associazione che lavora a Siena e si chiama Iniziativa di solidarietà, che ci ha introdotto alla tematica del Kurdistan, a questo genocidio per noi dimenticato. La vera molla che ci ha spinto a fare questo documentario è stata la nostra stessa ignoranza per quanto riguarda questo genocidio. Ignoranza che i nostri conoscenti e persone con cui venivamo in contratto, ci siamo accorti, condividevano ampiamente. Quindi per questo abbiamo deciso di farlo, così è nato il progetto, dal niente e un po’, però da una molla, da un desiderio di far conoscere la storia insomma.
GIANNI MICALESSIN:
Raccontami come ci siete arrivati. Come avete risparmiato? Come avete fatto? Perché questo interessa poi sapere, come siete arrivati da Siena nel Kurdistan, questo vorremmo sapere.
FRANCESCO PICCIOLO:
In realtà ci siamo equamente divisi il prezzo, perché là c’erano solamente tre posti. Purtroppo uno di noi non poteva andare per motivi di lavoro, però avevamo già deciso prima che comunque al progetto avremmo tutti partecipato con la nostra quota individuale per raccontare …
GIANNI MICALESSIN:
Vacanze intelligenti allora, ma andiamo avanti. Col senno di poi, adesso. Cosa avete capito di più? Oggi la situazione è molto cambiata dopo il 2003 e i curdi sono anche spesso accusati di essere una delle ragioni di divisione del Paese. Ci sono i curdi, ci sono i sunniti, ci sono gli sciiti. Qualcuno dice anche che c’è il rischio, dopo il ritiro americano, – io l’ho scritto – di una divisione del paese in tre con i curdi al nord, con i sunniti nel triangolo sunnita ecc. Ecco, da quello che avete capito stando lì, i curdi sono ancora vittime o sono anche, in qualche modo, adesso causa dei problemi dell’Iraq?
FRANCESCO PICCIOLO:
Per quanto riguarda ora… Noi non siamo in possesso di capacità, di analisi…
GIANNI MICALESSIN:
Le vostre impressioni …
FRANCESCO PICCIOLO:
L’impressione: noi nel film abbiamo giustamente raccolto testimonianze sia da parte di politici, di tecnici del ministero e di dottori e soprattutto quello che ci interessava di più, la testimonianza della gente comune, delle persone comuni. Per rispondere alla tua domanda: sicuramente la gente comune è vittima. L’impressione che abbiamo tratto è comunque di persone che si sono trovate sballottate e che non riescono neanche a capire in cosa sono coinvolte, mentre secondo me, come sempre, i politici sicuramente sono parte attiva, insomma. C’è una volontà forte, un’identità forte da parte dei curdi – infatti ora sono in una regione autonoma, come avete visto, dal 1991.
GIANNI MICALESSIN:
La domanda, per essere chiari è: non c’è il rischio che le vittime diventino a loro volta carnefici adesso? Una volta acquisito il potere?
FRANCESCO PICCIOLO:
E’ difficile rispondere. Dal mio punto di vista no, non c’è. Certo che sono sulla difensiva forte. Abbiamo trovato un situazione, tu sei stato anche più di recente rispetto a noi, una situazione molto tesa. Poi è di questi giorni insomma la smobilitazione da parte delle truppe degli Stati Uniti.
GIANNI MICALESSIN:
Un’altra domanda. Un’altra domanda interessante, secondo me, volevo farvi, perché io andavo molto spesso in questi posti. Mi ricordo questi villaggi incredibili, nel 1989-90, questi villaggi senza più uomini, dove c’erano solo donne, di cui avete parlato voi. La differenza tra il vedere questi villaggi senza uomini, che io vedevo, e raccogliere le testimonianze e il vostro documentario, che è molto più efficace dal mio punto di vista, è il fatto che voi siete riusciti a raccogliere del materiale che documenta quello che succedeva dietro lo schermo, dietro la paratia, dietro il grande muro grigio che Saddam Hussein erigeva su queste stragi. Come avete trovato questo materiale? Come avete fatto? Chi me lo racconta?
EDOARDO PICCIOLO:
Per quanto riguarda i materiali di repertorio per la prima volta sono stati concessi a – non so se ben si addice – alla troupe, alla produzione, la nostra insomma. Il governo curdo ce li ha concessi. Sono materiali che, come ricordavi tu prima, sono venuti fuori, sono venuti a galla dopo la caduta di Saddam nel 2003. Sono stati trovati sia i documenti, gli ordini del governo ecc.
GIANNI MICALESSIN:
È un’esclusiva, questa!?
EDOARDO PICCIOLO:
Sì è un’esclusiva. Per quanto riguarda le immagini dell’attacco ad Alaggia sono state filmate il giorno dopo da una troupe di stato iraniana. All’epoca c’era la guerra Iran-Iraq e Saddam bombardò, pensò di bombardare i curdi. Alaggia è sul confine tra Iraq ed Iran. Pensò di bombardare i curdi addossando la colpa agli iraniani e gli iraniani hanno mandato una troupe di stato, proprio sul confine, a documentare quello che era successo. Il governo curdo è in possesso di questo materiale e ce lo ha concesso.
GIANNI MICALESSIN:
Un’altra domanda. Vorrei che anche voi faceste delle domande. Ecco, vivendo lì, stando con loro, che sensazione si ha di questa sofferenza che pervade, si sente questa sofferenza? La si percepisce? Si sente questo dolore per le morti, per queste stragi di bambini?
ANTONIO SPANÒ:
Io penso che ci sia in questa situazione, che dici tu, un doppio volto. La sofferenza si nota assolutamente anche da parte nostra che veniamo da tutt’altra situazione, però allo stesso tempo notiamo una certa dignità di animo, per cui il loro raccontare non è mai lamentoso, non è mai pietoso, è sempre dignitoso. È un racconto chiaro, diciamo limpido pur nella sua sofferenza. Loro hanno anche voglia di raccontarlo. Loro in ogni casa in cui andavamo quasi ci benedicevano e ci dicevano: “Fatelo vedere, portatelo, fatelo vedere al mondo”. C’era questo doppio volto, la sofferenza del racconto e la voglia di raccontare.
GIANNI MICALESSIN:
Tu sei quello che ha girato anche?
ANTONIO SPANÒ:
Sì.
GIANNI MICALESSIN:
Un applauso a lui perché ha girato veramente bene. Complimenti.
ANTONIO SPANÒ:
Grazie.
GIANNI MICALESSIN:
Io adesso potrei stare qui un’ora a fare domande a loro, ma vorrei che voi le faceste, che coglieste l’occasione per fare qualche domanda. Se qualcuno alza la mano, gli do il microfono, qualcuno glielo porta. Ecco, lì in fondo, se ti presenti, per cortesia, poi fai la tua domanda. Puoi venire anche qui davanti.
DOMANDA:
Sì, io, in realtà, conosco tre dei quattro degli autori, perché con Antonio …
GIANNI MICALESSIN:
Fai parte della clac…
DOMANDA:
Sì. Con Antonio siamo andati a scuola insieme e con Francesco ed Edoardo sono una parrocchiana. Volevo sapere qual è il vostro primo ricordo che al solo nominare il Kurdistan vi viene in mente, dopo tutto il vostro sforzo e la vostra fatica di mettere in un film quello che è il dolore e il dramma di un popolo del quale io sapevo soltanto per sentito dire e con pochissime informazioni frammentarie. Bellissimo documentario. Complimenti.
PIETRO GUALANDI:
Sinceramente, oltre alle molte ore di filato in Kurdistan, c’è stato un lavoro prima e dopo, anche all’ospedale di Siena, perché appunto I’iniziativa di solidarietà e l’associazione a cui ci siamo appoggiati, porta a Siena, nella nostra città, dei bambini che vanno dai 5 ai 6, 7, 10 anni, che hanno delle patologie che molti dottori pensano possano essere riconducibili agli attacchi di gas chimici usati da Saddam Hussein. Quindi, paradossalmente, l’immagine del Kurdistan sembra una terra lontana, non l’abbiamo mai sentita dire, e invece, girandoci dietro l’angolo, appunto, nei nostri ospedali, nelle nostre case, possiamo veramente scoprire delle storie importanti, come sono queste, come potranno essere delle altre, che sono presenti accanto a noi. A me rimane sempre impresso il sorriso di un bambino a cui siamo stati a fianco durante la sua degenza all’ospedale di Siena e che avevamo pensato di mettere in un primo momento nel documentario, poi abbiamo deciso di tagliarlo, però sinceramente a me rimane sempre impressa l’immagine di questo ragazzino curdo, venuto a Siena per essere operato.
DOMANDA:
Com’è la loro situazione nelle altre parti di Stato nella quale sono suddivisi? Turchia, Iran, Siria?
GIANNI MICALESSIN:
Faccio io. Com’è la situazione dei curdi negli altri stati in cui sono presenti? Quindi in Turchia, proprio dall’altra parte della frontiera di Daouk dove eravate voi, in Siria, in Iran dove si combatte e cosa abbiamo perso per strada?
ANTONIO SPANÒ:
In Iran e in Siria sono meno rispetto all’Iraq e alla Turchia. La situazione è sempre tesa, non sono ben visti, sono relegati, cioè, i curdi si autorelegano nei posti più impensabili, nei passi di montagna, nei villaggi. Perché non sono ben visti? In Turchia, fino a poco tempo fa, c’è stata e continua ancora con il PKK di Ocalan una vera e propria persecuzione. Fino a un anno fa non si poteva nemmeno parlare in curdo. Il curdo era detto il turco di montagna. Non poteva nemmeno essere nominato. Insomma, sono perseguitati. In Iraq stanno un po’ meglio, perché appunto è una regione autonoma, stanno un po’ meglio. Comunque la situazione ancora è tesa per tutti e quattro gli stati in cui i curdi si trovano.
FRANCESCO PICCIOLO:
In Turchia sono 15 milioni e rappresentano il 15%. Mentre in Siria ci sono circa 200.000 curdi, in Iraq 5 milioni, al momento non mi ricordo in Iran. In Turchia c’è proprio una ghettizzazione e una forte avversità verso i curdi, proprio perché, come dicevamo prima, il popolo curdo, come si evince anche dal film, ha una forte identità e ricerca l’unità. Unità che, a nostro modesto avviso, non gli verrà mai concessa, perché se si unissero tutte le quattro parti del Kurdistan, diventerebbe il paese più grosso del Medio Oriente e il più ricco, penso, del Medio Oriente. Quindi non è nell’interesse di nessuno dei quattro Stati e non solo un Kurdistan unito.
DOMANDA:
Piergiorgio. Su quest’ultima domanda … ma allora, la ragione di questa persecuzione è una ragione puramente politica, è una ragione di identità o, secondo quello che avete visto, c’è qualcos’altro o qual è che prevale di queste? Grazie.
GIANNI MICALESSIN:
Chi parla?
EDOARDO PICCIOLO:
Allora. Prima noi abbiamo deciso attraverso questo documentario di creare interrogativi ai quali poi voi dovrete cercare di rispondere. Noi ci siamo dati una risposta: che il fattore economico è la molla che ha spinto tutto, perché l’arabizzazione della zona curda veniva perseguita sistematicamente dalla parte irachena, quando c’era Saddam, e comunque anche ora nella parte della Turchia interi villaggi vengono spostati dal Kurdistan turco a zone a maggioranza turca, per far perdere, per diluire i curdi all’interno della popolazione turca. Quindi ci sono grandi risorse economiche dovute al petrolio, dovute all’acqua. Ricordiamoci che in Kurdistan passano i due maggiori fiumi del Medioriente, gli unici, insomma e c’è anche ora in Turchia un progetto di una mega diga nella zona turca.
GIANNI MICALESSIN:
Intanto che qualcun altro pensa alla prossima domanda, faccio una chiosa io su questo. Beh c’è il grosso problema di Kirkuk. Kirkuk è la città che i curdi considerano la loro capitale morale e storica, ma è anche una città che durante il periodo di Saddam è stata in gran parte svuotata dagli abitanti curdi e ricolonizzata da turcomanni e soprattutto arabi. Oggi il problema di Kirkuk è uno dei problemi chiave per la stabilità dell’Iraq. A tutt’oggi non si è riusciti a trovare un accordo tra i Curdi che rivendicano il controllo totale della città Kirkuk. Io mi ricordo che ci arrivai nel 2003, la prima città su cui i Curdi puntarono, appena cadde il regime, fu la conquista di Kirkuk, capitale morale, non solo capitale morale, scrigno di quelle immense ricchezze, dei giacimenti di petrolio non sfruttati rispetto a quelli di Bassora che quindi costituiscono la grande risorsa energetica per il futuro dell’Iraq. La prima cosa che fecero i curdi, appena arrivati a Kirkuk, fu quella di buttare fuori i coloni arabi che erano stati messi lì da Saddam Hussein. A tutt’oggi Kirkuk è l’epicentro della grande crisi, l’epicentro di una crisi che potrebbe suscitare una nuova guerra civile tra curdi e arabi. Su Kirkuk non si è ancora riusciti a trovare un accordo. Gli americani si sono ritirati. La mancanza di un governo – ricordiamoci che da marzo ad oggi, si è votato a marzo in Iraq ma a tutt’oggi non c’è un governo, non si è trovato un accordo di governo. Il problema di Kirkuk resta lì irrisolto ed è una miccia che rischia di dar fuoco nuovamente al problema iracheno. Qualche altra domanda? C’è qualcuno? Ecco, ti raggiunge il microfono, così intanto pensi meglio la domanda.
DOMANDA:
Sono Stefano volevo solo sapere: la maggioranza del popolo curdo che religione segue e le famiglie cristiane, se le avete incontrate, come la pensano su quello che è successo?
GIANNI MICALESSIN:
Domanda interessante perché poi, tra l’altro, nel film vediamo il Newroz, che è il Capodanno curdo, che ha ben poco di islamico, perché si riporta a una tradizione ancestrale che è la tradizione del fuoco, la tradizione del sole. Se invece viaggiamo da Kirkuk verso Mossoul, incominciamo a incontrare molti antichi villaggi di tradizione cristiana, villaggi caldei, villaggi assiri.
FRANCESCO PICCIOLO:
Ti ringrazio per la domanda, tocchi un tema… Noi abbiamo centrato la nostra indagine sul genocidio. Abbiamo cercato, nella prima parte del film, un certo equilibrio: quando facciamo vedere la moschea, facciamo vedere anche una chiesa. È a maggioranza di fede islamica. Ricordiamo che venerdì ci sarà il reportage di Monica Maggioni. Molti cristiani, sia assiri che caldei, si rifugiano al sud e al centro dell’Iraq, in particolare da Bagdad e da Mossoul, che era città curda prima, ed è stata arabizzata completamente, infatti è sede di cellule di Al-Qaida ed è fuori dalla regione autonoma ma è nata curda, era curda. C’è un continuo spostamento di profughi cristiani, di religione cristiana che si rifugiano all’interno della regione autonoma curda. Non a caso nell’organizzazione avevamo la cuoca, che poi ci ha invitato a casa sua, che era una cristiana assira. C’è una forte comunità cristiana e a andare per le strade e a camminare per i bazar noti donne cristiane in gonna con i capelli senza velo. Quindi, è una società… la mentalità curda è aperta in questo.
GIANNI MICALESSIN:
Bene. Si è fatta sera. Abbiamo scoperto tante cose sui curdi che avevamo dimenticato e loro ci hanno ricordato. Vi ricordo domani il bellissimo ed interessantissimo documentario, veramente emozionante, vi appassionerà se lo vedrete, sugli attentati che sconvolsero Mumbay nel 2008. A seguito c’è la presentazione del mio libro e ve lo beccate. Invece, ancora un applauso e un ringraziamento ai nostri quattro autori.
(Trascrizione non rivista dai relatori)