Chi siamo
STORIE DAL MONDO. ALELUYA
Presentazione e proiezione del reportage di Fernando De Haro. Produzione: N medio S.L.. Partecipa l’Autore, Giornalista.
ROBERTO FONTOLAN:
Ciao a tutti, buona serata, come da tradizione del Meeting proponiamo sempre una serie di documentari che sono un po’ uno sguardo sul mondo. Questa sera abbiamo Fernando de Haro che è giornalista spagnolo, un inviato, corrispondente, curatore di programmi radio e TV in Spagna, è autore di numerosi programmi, numerosi reportage. Lo scorso anno aveva presentato qui al Meeting un lavoro sull’Egitto, questa sera iniziamo una serie di documentari che saranno tre con un suo lavoro sulla Nigeria. Abbiamo imparato a conoscere in questi anni situazioni un po’ molto difficili ma in un certo senso più vicine a noi, Medio Oriente, Siria, e abbiamo imparato a conoscerle anche grazie a Gian Micalessin, che ritorna al Meeting da grande amico che ci ha fatto incontrare tantissime realtà di conflitto. Insieme condividiamo un po’ questi racconti serali che proponiamo al Meeting. Dicevo che in questi anni abbiamo imparato a conoscere anche situazioni più vicine a noi: questa sera è particolarmente interessante perché la Nigeria è un mondo che viviamo e sentiamo molto più lontano, che vediamo poco e che invece Fernando ha indagato, esplorato con molta profondità. Questa è la particolarità della serata. Gian, due parole, poi chiediamo a Fernando di introdurre questo suo lavoro. Vediamo insieme questo documentario e poi c’è la possibilità, come sempre abbiamo fatto nelle nostre serate, di passare qualche minuto insieme per interloquire con l’Autore e con Gian su quello che abbiamo visto insieme.
GIAN MICALESSIN:
Sì, io sarò velocissimo perché lascio la parola a Fernando. Sono un po’ invidioso perché non sono mai riuscito ad andare in Nigeria, è difficilissimo prendere il visto, e la Nigeria – va ricordato – è uno dei grandi luoghi della persecuzione cristiana oggi, è lì che i cristiani in Africa vengono soprattutto perseguitati, poi da lì Boko Haram risale fino alla Libia. Ma è anche un posto molto vicino a noi perché sui barconi che arrivano in Italia la grande maggioranza delle persone sono nigeriani. Spesso quelli che fuggono non sono cristiani perché i cristiani non possono neppure fuggire e rischiano di venire uccisi strada facendo. Diamo la parola a Fernando che ci racconta.
FERNANDO DE HARO:
Buonasera e scusate il mio italiano, io parlo poco e tutto quello che devo dire viene detto dal filmato. Grazie al Meeting, questo è il terzo anno che ospita i miei documentari, una serie sui cristiani perseguitati. Dico solo due parole su Aleluya, che è il titolo di questo documentario. E’ un documentario su Boko Haram e sulla testimonianza dei cristiani che arriva dalla Nigeria. Voi conoscete qualche cosa di Boko Haram: due settimane fa, le Nazioni Unite hanno dato l’allerta, dicendo che nella regione dove c’è Boko Haram ci sono 50 mila ragazzi che possono morire di fame: una crisi umanitaria bestiale, un gruppo terrorista che è di ispirazione jihadista. Le cifre sono altissime, un milione e mezzo di rifugiati all’interno e all’esterno della Nigeria, 20 mila morti per il terrorismo di Boko Haram. Non è facile andare a visitare la Nigeria, io ho avuto la fortuna di avere il visto e di arrivare al Nord: per me è stato un dono, un dono professionale e personale. Perché non ho fatto un documentario sul terrore di Boko Haram ma soprattutto ho fatto un documentario sulla letizia di questa gente che in mezzo alla sofferenza, al terrore, ha la fede. Boko Haram è un’espressione di quello che il Papa diceva nel messaggio al Meeting, “una incertezza esistenziale che in questo caso è diventata violenza”. La globalizzazione mette in discussione l’identità e si cerca una identità facile, un’identità alla fine conflittuale e nichilista. Di fronte a questo nichilismo terrorista, vedrete adesso come rispondono questi cristiani che sono ammazzati, che sono perseguitati. Ci sono due questioni che si vedono nel film: la prima, una semplice affezione alla fede. Uno dei protagonisti del filmato racconta che quando esce dal suo villaggio, ti fermano al checkpoint e ti domandano “qual è il tuo nome”, con la pistola alla testa. Tu dici “John”. “Rinunci ad essere cristiano, sì o no? Vuoi diventare musulmano?”. “No”. Per me è stato molto interessante capire come questa gente semplice abbia un’affezione tale da dire sì, per dire sì alla fede in questa situazione bestiale, brutale. Mi pare sia questa la grande provocazione che arriva dalla Nigeria. Dalla Nigeria arriva il terrore ma anche un’affezione semplice, una preferenza umana per la fede, per Gesù, che fa confessare la fede a queste persone in una situazione molto difficile. Il terrorista vuole affermare il male, il male definitivo, il male assoluto: solo uno che dà la vita rompe questa catena del male. Mi pare che questa letizia, questa affezione che dà tono alla stessa vita freni il terrore e sia una provocazione, per me lo è stata, lo è adesso. Ho visto questo filmato tante volte ma ogni volta che lo vedo mi viene un brivido, una domanda: chi fa questo? Come nasce questa affezione? Com’è possibile questa affezione per la fede in questa situazione? Da dove nasce questa letizia? Da quando ho fatto il viaggio, questa domanda mi colpisce, mi pare che questa sia la cosa più interessante. Perché questa gente soffre la negazione della libertà religiosa ma fa un’affermazione di libertà gratuita con il dono della sua vita e facendo così, con letizia, dice quale sia la natura della verità, che non è una teoria ma che è dare la vita. Per me è stata una provocazione parlare con tanta gente, girare da una città all’altra. Aspetto che questa sera ci sia per voi la stessa provocazione. Se dopo avere visto questo filmato avrete una domanda in più, sarò contento di essere andato in Nigeria. Grazie, buona visione.
ROBERTO FONTOLAN:
Bene, allora vediamo insieme Aleluya.
Video.
ROBERTO FONTOLAN:
Grazie, Fernando, per questo viaggio in una terra tormentata ma lieta. Da tanti anni penso alla Nigeria come un posto dove alla domenica devi decidere se andare a messa, può essere una scelta tra la vita e la morte: questo fa veramente impressione. Perciò, grazie di questo lavoro, dell’incontro con tutte queste facce, questi volti, queste storie tremende, piene di vita e desiderose di vita. Abbiamo un po’ di minuti per qualche osservazione, qualche commento.
GIAN MICALESSIN:
Comincerei io, perché penso che questo documentario, che si svolge in una terra semplice come l’Africa, dove spesso si arriva molto vicini a toccare la verità, ci racconti una cosa interessante: che l’apice della violenza è Boko Haram ma non solo. Ci racconta che questa violenza è iniziata con l’applicazione della sharìa. E indirettamente ci porta a un dialogo che oggi è molto presente anche nella nostra società. Quando alcuni mussulmani ci dicono: “I terroristi non hanno nulla a che fare con noi, sono qualcosa di completamente diverso dal vero Islam”, qui, nella semplicità africana, troviamo una risposta un po’ dissonante. Questo tuo documentario ci racconta che la violenza è iniziata prima, con l’applicazione della sharìa, con l’istituzionalizzazione dell’Islam che già c’era. E ci racconta anche un’altra cosa, secondo quello che dice il Vescovo: “Abbiamo il sospetto che non condannino ma dialoghino con Boko Haram”. Qual è la verità?
FERNANDO DE HARO:
E’ una domanda molto importante, non posso dare una risposta esaustiva ma la sharìa che si applica dal 1999 è strumentalizzata per un progetto politico. Non è la Sharia. Ci sono tante “sharìe”, ma Boko Haram e la sharìa strumentalizzata per un progetto politico sono la risposta a una globalizzazione conflittuale. Possiamo stare qui tutta la notte per parlare del vincolo fra Islam, sharìa e tutto questo. È una questione molto complessa, non voglio ridurre questa complessità. Ma nel caso della Nigeria, ho visto che la violenza è iniziata quindici anni fa perché si è fatta una strumentalizzazione politica del passato. In nome di un passato, si è fatta una costruzione politica ma alla fine non si è potuta applicare la sharìa, perché non la si può applicare ad uno Stato moderno. C’è una contraddizione tra l’applicazione della sharìa e uno Stato moderno. Non è compatibile perché la sharìa non è un codice. Non ridurrei la questione, la lascio aperta. Il cardinale di Abuja ha detto che non ne parlano in pubblico ma che è in atto tra loro una discussione. Mi pare una questione molto complessa: se non hanno voluto semplificarla, non lo farò io. Preferisco fare domande e lasciare le questioni aperte. Non è facile ma mi pare che non si possa fare una semplice equazione per cui Islam è uguale a violenza.
GIAN MICALESSIN:
Non è questo, però. Il problema è: quanto le autorità islamiche sono in grado di controllare la violenza?
FERNANDO DE HARO:
Questa è una grande questione. Boko Haram è un problema di ieri, nato per una strumentalizzazione politica, per una incapacità di tenere in mano l’educazione. Non posso dire più di quello che hanno detto loro, ma c’è un problema con la globalizzazione. Su Internet la verticalità, che nell’Islam è assente, è assolutamente distrutta. C’è una strumentalizzazione di qualcosa che sta nel passato, un’eredità dell’Impero britannico che non ha imposto l’universalità della legge, ha mantenuto la sharìa e la Common Law. Siamo in una situazione per cui si usa il passato per legittimare una sharìa che non è possibile applicare. Ma è possibile creare condizioni di minore libertà per i cristiani. Il problema non è solo Boko Haram ma una strumentalizzazione della sharìa, che qualcuno usa in questo momento. Mi pare un problema complesso, che non si può semplificare. Un’altra cosa interessante è che le autorità mussulmane dicono: “Questi non sono mussulmani”. Al contrario, Boko Haram afferma: “Io sono mussulmano”.
GIAN MICALESSIN:
Questo lo dicono anche in Europa.
ROBERTO FONTOLAN:
È il grande problema della titolarità.
FERNANDO DE HARO:
Esatto, alla fine non c’è un giudice. E questo fantastico prete dice: “Va bene, sono mussulmani ma cattivi mussulmani”. Abbiamo bisogno che le autorità mussulmane dicano di più che si tratta cattivi mussulmani.
GIAN MICALESSIN:
C’è però una cosa importante che dice una maestra cristiana: “Gesù ci ha insegnato ad amare i nostri nemici”.
FERNANDO DE HARO:
Assolutamente, questo fa la differenza.
DOMANDA:
Grazie, mi chiamo Giuliana. Sono rimasta molto impressionata dal fatto che questi non hanno paura. Io, se mi puntano una pistola… La Chiesa ha dato il perdono anche a quelli che per paura della loro vita tradiscono.
FERNANDO DE HARO:
Non devi pensare alla morale, non è una questione morale! Forse tu e io in questa situazione non sappiamo cosa faremmo, ma la questione non è morale! La questione è che razza di simpatia per Gesù ha questo che dice: “Io rimango”. E’ una grazia per te e per me. Basta. Non è una questione morale o di merito: è un tesoro per te e per me, che questa persona dica una cosa con questa semplicità, con questa affettività. Credo che anche loro abbiano paura, sono persone come te e come me, ma questo è un tesoro per noi.
GIAN MICALESSIN:
La signora forse ti voleva chiedere qual è la forza di questa fede che li fa restare in Africa, che è una cosa strana: da noi forse fuggirebbero tutti.
FERNANDO DE HARO:
Facendo questo documentario, avevo la sensazione di essere ritornato al I secolo, il primo secolo del cristianesimo, dove c’è una rivoluzione culturale assoluta. Si tratta della forza di una vita nuova che si esprime, una carità che si esprime nel canto. Mi pare che questa sia la questione interessante da capire. Dall’Africa viene questa semplicità, questa capacità di letizia, perché , come ha detto Roberto, alla mattina ci sono tutte le chiese piene di gente. Mi pare che sia una provocazione, questa semplicità, perché alla fine il cristianesimo è una cosa semplice, questione di simpatia umana. Alla fine, la questione è una simpatia umana più forte, quella che nasce da una vita nuova. Non so dire, questo è ciò che ho visto. Questa gente, per esempio, questi ragazzini che dopo la tragedia vanno in chiesa. Bonifacio che dice: “Per loro, avere questa piccola chiesa è più importante perché è il luogo dove si vive”. Non è una questione prima di tutto di coerenza morale ma di adesione semplice e umanissima ad una vita che esplode.
ROBERTO FONTOLAN:
C’è un’altra domanda.
DOMANDA:
I bambini che dicevano: “No, Boko Haram, non posso assolutamente…”.
FERNANDO DE HARO:
Ma è normale!
ROBERTO FONTOLAN:
Raccogliamo anche quest’altra domanda, se c’è ancora qualcuno si avvicini subito, così ne raccogliamo due o tre.
DOMANDA:
Sono Pasquale, nel documentario non si vedono esempi di convivenza o di solidarietà tra le due comunità. Non li hai visti oppure non c’è stata possibilità di mostrarli?
FERNANDO DE HARO:
Ci sono, ma io dovevo mostrare la situazione più drammatica. Anzi, mi pare che la violenza sia molto recente. Ci sono gruppi molto radicali, che controllano certi quartieri di Kaduna e di Jos, per esempio. Noi siamo andati per quella strada a Jos, dove c’era uno degli islamisti che chiedeva soldi e si è arrabbiato perché non gli abbiamo dati. C’è di tutto. C’è convivenza ma c’è tensione sociale. E il problema mi pare sia soprattutto un uso politico della religione, al Nord è chiarissimo. Ma ci sono anche episodi di normale convivenza.
ROBERTO FONTOLAN:
Circa le ragazze sequestrate, la famosa storia “bring back our girls!”: recentissimamente c’è stato un nuovo video rilasciato dai rapitori, dai sequestratori, che in qualche modo sembrano voler negoziare dei rilasci, vogliono soldi, non è chiaro. E’ una situazione che politicamente è stata usata anche in campagna elettorale, tutto si intreccia.
FERNANDO DE HARO:
Assolutamente.
ROBERTO FONTOLAN:
I clan, le tribù, l’episodio che hai raccontato, Boko Haram che forse accentua le contraddizioni per usarle… E’ una situazione veramente difficile ma ci sono ulteriori sviluppi sulla vicenda di queste ragazzine che però è stata anche un grande specchio della nostra coscienza. All’inizio c’è stata una campagna enorme, che ha avuto il suo culmine in Michelle Obama, e dopo la memoria di questa ferita si è persa.
FERNANDO DE HARO:
Niente è chiaro, in Nigeria, non è chiaro se il video sia reale o meno. In questo momento c’è una grandissima crisi tra Boko Haram, quelli che stanno con l’Isis, con il Califfato, con il Daesh, e quelli che non sono con il Daesh. Pare che questo video sia una forma di lotta fra le due parti di Boko Haram e non è chiaro se queste ragazze siano veramente queste ragazze. E’ molto difficile avere un’informazione precisa su Chibok, e d’altra parte Buhari, che è il Presidente, non ha fatto una lotta chiara contro Boko Haram. E nessuna forza internazionale vuole aiutare Buhari perché lui ha anche l’esercito, ha una capacità di fare del male, di torturare, di essere complice delle eventuali violenze.
DOMANDA:
Ma noi occidentali, di fronte a questo scenario che poi è analogo anche in Egitto e in Siria, come possiamo agire, cosa possiamo fare?
GIAN MICALESSIN:
Eterna domanda!
FERNANDO DE HARO:
Io ti dico, se puoi prendere un aereo – non è molto caro – e andare in Libano a dare una mano, due campi rifugiati per passare lì un paio di mesi. Si possono fare tante cose. Mi pare che la prima cosa sia il contraccolpo della testimonianza di questa gente, fare tesoro di questa testimonianza, mi pare che sia la prima provocazione.
GIAN MICALESSIN:
Io penso che lui intendesse quanto noi cristiani d’occidente siamo sensibili e consapevoli a quello che succede, e cosa possiamo fare per aumentare la nostra consapevolezza.
FERNANDO DE HARO:
Prima di pensare a che cosa devo fare, c’è l’impatto di questa testimonianza: a te cosa dice, per te è una provocazione? È una domanda, non so se tu sei cristiano o no, è una provocazione per come tu vivi, per la tua vita? Prima di pensare che devo andare a bombardare la Siria, devo fare la milizia curda, devo cercare il fucile: viene prima il contraccolpo e dopo si può fare tanto.
DOMANDA:
La prima cosa che ho provato è una grande stima per queste persone che hanno una fede incredibile, io non riuscirei ad averla, una fede così solida, ma allo stesso tempo anche un senso di rabbia che umanamente mi viene davanti a situazioni del genere. Mi chiedo se effettivamente non possiamo fare niente o se c’è una possibilità.
FERNANDO DE HARO:
Questa domanda la facevano al vescovo di Mosul, Nona, che non è più a Mosul dove non è rimasto alcun cristiano, adesso è in Australia. La risposta a questa situazione è vivere la tua fede dove sei, con più serietà. E la rabbia è la trappola del nichilismo, la rabbia è una spirale che rende molto difficile rompere il nichilismo jihadista. La trappola è questa rabbia che ti fa pensare che il male abbia una soluzione. Il male ha una sola soluzione, la gratuità assoluta di questa gente. Mi pare che noi abbiamo il compito di imparare questa forma di porsi di fronte al nichilismo. Perché noi europei, quando arriva il nichilismo -pensate a Charlie Ebdo, dobbiamo fare questo, dobbiamo fare quello – possiamo comparare la reazione che abbiamo avuto. Questa estate è stata bruttissima per l’Europa: Nizza, Bruxelles, la Normandia, qual è la reazione che abbiamo avuto, qual è la reazione che questa gente ha? Mi pare che il terrorismo, il nichilismo jihadista sia una sfida per tutti, ma bisogna imparare quale risposta dare al livello umano di queste sfide. Io faccio questo tipo di lavoro cercando prima di capire, poi cercando il valore che ha una testimonianza come questa, semplice ma molto critica.
GIAN MICALESSIN:
Interpreto la domanda che ti ha fatto lui…
FERNANDO DE HARO:
…alla fine c’è sempre un giornalista che fa l’interpretazione…
GIAN MICALESSIN:
…con le parole del Vescovo di Aleppo che dice: per voi cristiani d’Occidente, il cristianesimo è una moda che potete abbandonare e lasciare. Potete scegliere se andare la domenica a messa o non andarci, se mostrare la croce o non mostrarla. Per noi, il cristianesimo non è una moda, è una questione di vita o di morte, è una questione di essere o di non essere. Voi cristiani d’Europa vi siete dimenticati di noi, vi siete dimenticati di questo modo di vivere il cristianesimo. Questa penso sia la domanda.
FERNANDO DE HARO:
Sì, ma la cosa importante non è fare l’ennesima invocazione morale. La cosa importante da capire è perché per loro sia una questione di vita o di morte. Perché se noi cambiamo metodo siamo fregati. Ma se noi capiamo perché per loro è una questione di vita o di morte, perché questa affezione, fede e identità sono la stessa questione, in questa situazione non siamo fregati. Con l’ennesima chiamata, “voi cristiani d’Occidente…”, non andiamo fino in fondo, perché il valore della testimonianza è anche scambio di mentalità. Se affrontiamo il problema con la stessa mentalità, che è una mentalità etica, non capiamo né la sfida nichilista né la risposta di quelli che provano affezione per la fede. E non è facile, perché non abbiamo questa capacità di capire bene, non abbiamo la semplicità di cantare e ballare, non abbiamo la capacità critica della religiosità che è capace di afferrare la questione centrale. Ci mancano le due: la semplicità e la criticità. Ma noi, noi occidentali abbiamo il dovere di fare il lavoro, di capire bene, perché sennò alla fine un’altra volta dobbiamo essere seri, dobbiamo aiutare questa gente, dare un’informazione all’altezza della sfida. È più serio, è più umano, è più drammatico.
ROBERTO FONTOLAN:
C’è un’altra domanda, due, veloci per favore, venite tutti e tue, raccogliamo queste domande e poi finiamo.
DOMANDA:
Sono Matteo, volevo chiederti perché hai scelto questo titolo, “Aleluya”, e soprattutto, collegato a questo, perché cantano.
FERNANDO DE HARO:
Il titolo è chiaro, perché questi cantano…
ROBERTO FONTOLAN:
Aspetta, ascoltiamo anche la ragazza.
DOMANDA:
Maria, prima hai parlato di come la religione venga usata per scopi politici in Nigeria: questa cosa è presente anche in Europa?
FERNANDO DE HARO:
Il titolo: non l’avevo e ho cominciato a registrare, ho sentito questa gente cantare in questa situazione. Vi faccio una confessione, ho pianto di emozione e ho detto: “Caspita, questo è il titolo!”. E’ semplice, è l’impatto di questa gente che stava cantando, non c’è altro.
In Europa c’è una strumentalizzazione della religione, assolutamente. Il jihadismo europeo prima è radicalismo, dopo diventa jihadismo. Dobbiamo leggere di più Olivier Roy, che spiega il percorso del jihadismo europeo dicendo che chi ha fatto gli attentati a Nizza questa estate non era gente religiosa, che prima andava alla moschea: prima erano radicali e dopo sono diventati religiosi. C’è una strumentalizzazione. Questa violenza che si fa in nome della religione è una bestemmia e anche una strumentalizzazione. Per questo, la risposta a questo tipo di strumentalizzazione nichilista della religione può essere effettiva, non morale, né politica. Veramente religiosa. Tutto questo ha a che fare con la questione della radice del nichilismo. La risposta a una strumentalizzazione politica religiosa non è meno religione, è più religione, più vera religione, più realtà.
ROBERTO FONTOLAN:
Grazie, a proposito del che cosa possiamo fare, già Fernando ha detto una cosa: leggere ad esempio Oliver Roy o questi studiosi che dibattono…
FERNANDO DE HARO:
…per esempio…
ROBERTO FONTOLAN:
E che ci aiutano a capire tutta una serie di cose. Questo è un modo con cui possiamo entrare di più, essere più sensibili, essere più vicini. Un altro modo è essere amici di queste persone, scrivere, appunto perché abbiamo Internet che può essere usato anche per essere più vicini, per scrivere, per raccontare, per chiedere come va, cosa succede. E’ un po’ l’orizzontalità di cui abbiamo parlato in questa stessa sala poche ore fa con altre persone, è un’occasione, un’opportunità. Possiamo compiere dei gesti umani di vicinanza, anche di vicinanza diretta a queste persone: andare in Libano ad aiutare nei campi profughi è possibile, in qualche modo, magari sono scelte più impegnative, ma nella nostra vita quotidiana ci sono opportunità che possiamo utilizzare. Gian è un esempio, anche se tante volte le discussioni sono giuste, ci aiutano anche ad andare più in profondità di quello che vogliamo, di quello che desideriamo, di come affrontiamo queste cose. Costringono ciascuno ad esibire più profondamente le sua ragioni. Noi chiudiamo qui, Fernando è qua in questi giorni, lo potrete sentire ancora. Lunedì ci vedremo in questa sala e avremo un lavoro di Gian, che quest’anno ci porterà…
GIAN MICALESSIN:
…in Nagorno Karabakh, ritorno alla guerra.
ROBERTO FONTOLAN:
Vuol dire Armenia, che è un altro luogo non tanto frequentato da noi in questi anni, sarà molto interessante.
GIAN MICALESSIN:
Enclave cristiana in mezzo a terra mussulmana.
ROBERTO FONTOLAN:
Lunedì alle 21. L’ultima cosa che vi dico, prosegue la campagna di fundraising del Meeting, l’avrete già sentito 300 mila volte, però è anche questo un piccolo gesto che è alla portata di tutti noi. Come sapete, nei vari padiglioni troverete numerose postazioni dove donare e le donazioni devono avvenire unicamente in questi punti riconoscibili, grazie e buona serata.