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SPIRTO GENTIL – MESSA PER L’INCORONAZIONE
La Messa per l’incoronazione di W. A. Mozart. A cura di Pier Paolo Bellini.
PIER PAOLO BELLINI:
Benvenuti al terzo appuntamento, l’ultimo di questo ciclo. vorrei velocemente riprendere alcuni spunti degli incontri precedenti anche perché sono stati a mio parere una sequenza molto ben organizzata, molto ben riuscita di un percorso che ci aiuta ad approfondire il tema del meeting di quest’anno.
Abbiamo visto la prima volta un esempio di periferia del mondo, come dice il titolo, una periferia geografica, e abbiamo visto come in luoghi lontani dalla nostra tradizione culturale, anche proprio come origini linguistiche, nei Paesi Baschi, sia possibile rintracciare una profondità che è comune a chiunque, in qualunque zona del mondo nasca, in qualunque periferia nasca, che è il desiderio di verità, il desiderio di felicità, la nostalgia per un bene di cui si sente l’urgenza. Nel secondo incontro dal vivo con il maestro Carmusi, abbiamo invece visto un’altra periferia, la periferia della profondità dell’anima, una periferia se vogliamo sterminata, in cui ad ogni angolo è possibile rinvenire un’infinità di bene e nello stesso tempo una possibilità di perdita di sé. Con questa apertura imprevista di Schubert verso una positività, verso quel bemolle, quella dolcezza, quella curvatura di ogni spigolosità che è abbastanza inspiegabile, quasi una forza che viene dall’esperienza in sé.
Oggi vorremmo, se mi date il video, fare un ulteriore passaggio, l’ultimo, perché questo titolo butta alla nostra attenzione, sotto i nostri occhi, un terzo fine di questo percorso in cui si viene ad annunciare che il destino non ha lasciato solo l’uomo. È evidente che stiamo entrando in un campo, in uno spazio, se vogliamo in una periferia, che non è opera dell’uomo, stiamo entrando in un terreno sacro, qualcosa in cui il Destino prende iniziativa. Abbiamo deciso, nella programmazione di questi incontri, di terminare con una proposizione se volete coraggiosa, molto chiara, molto trasparente, molto giovanile, di un brano musicale che racconta esattamente questa ultima, inaspettata, tanto attesa quanto inimmaginabile opportunità, che il Destino non ha lasciato solo l’uomo.
Quello che ascolteremo oggi è un’opera di un ragazzino, un ragazzino che aveva delle doti particolari e che era capace di una profondità non normale a quell’età, una profondità non solo tecnica. Ecco, è quello che spero rimanga dopo la proposta che vi faccio questa sera, non appena una genialità tecnica musicale indiscutibile, rivoluzionaria, che ha segnato, ha aperto le porte a tutto quello che sarebbe successo nel campo musicale. Ma ancora di più, sbalorditiva, la coscienza e la profondità umana e anche di fede di questo giovane che scrive questa Messa che vi propongo come una sorta di “catechismo” per i poveri, si usava a quel tempo, anche precedentemente. Avete in mente forse tante facciate di cattedrali, da quella di Ferrara a quella di Torcello, dove le raffigurazioni, le pitture raccontavano i contenuti di fede in maniera comprensibile a chiunque. Ecco, io vorrei presentarvi questi cinque brani della Messa d’Incoronazione, l’ascolteremo tutta, non è lunghissima, è una Messa breve, e vorrei aiutarvi a capire la semplicità. Sembra assurdo, paradossale, ma ormai siamo così rovinati dall’educazione che abbiamo avuto, che ci risulta difficile capire la semplicità.
E invece la cosa grandiosa di questo giovane compositore è proprio la capacità di dire in maniera semplice, semplicissima, delle verità straordinarie, sia di esperienza umana che di esperienza propriamente religiosa. Vorrei cominciare questo cammino con una proposta, come al solito prendiamo spunto da un suggerimento, quello contenuto nel libretto della collana Spirito Gentil, quindi un suggerimento di don Giussani, come parola sintetica. Voglio partire da qui e arrivare qua: “La verità del Signore, il suo disegno sul mondo prevale per l’eternità”. È un’intuizione di don Giussani dopo l’ascolto di questa particolare incisione che oggi vi propongo: è la sintesi, per questo mi è piaciuta tanto e ve la propongo, “la sintesi è questo risultato straordinario”. Penso che non ci sia nessuno che possa sentirsi indifferente a questa possibilità. Se la parola ultima sulla vita fosse “pace”, non sarebbe possibile un disinteresse a questa possibilità.
Ecco, vorrei proporvi questi 5 brani dell’Ordinarium Missae, inizio con un po’ di catechismo. 5 brani come un percorso che parte, come succede nella liturgia, da un certo stato e arriva ad un altro stato, che è questo che don Giussani definisce “pace”. Penso che non ci sia nessuno umanamente vivente che possa essere indifferente a un’ipotesi del genere. “Prima della pace”, don Giussani dice, che per lui è compresa, descritta e sintetizzata dall’Agnus Dei finale, che forse molti di voi conoscono, “prima di arrivare a questo obiettivo ultimo, c’è un percorso umano veramente impegnativo”. Da dove si parte? Primo brano dell’ordinario, Kyrie: “Signore, pietà, Kyrie eleison”. Leggiamo velocemente il primo suggerimento: “Kyrie eleison, Signore pietà, abbi pietà, questa è la cosa più tremenda che si possa concepire nella vita dell’umanità, che il creatore dell’uomo entri proprio come uomo nell’umanità e gli uomini lo emarginino dalla loro vita. Il tradimento fondamentale è la dimenticanza, la non memoria, quella smemoratezza che la tradizione cristiana chiama peccato. Prima di iniziare con qualunque gesto”, don Giussani ce lo ripeteva continuamente, “prima di qualunque gesto ricordati della tua inadeguatezza, del fatto di essere incapace di un gesto perfetto, senza questo qualunque gesto è fatto male”. Ecco, la messa comincia e cominciamo anche noi, con questo primo brano: il testo, semplicissimo, Kyrie eleison, metà tra greco e latino, Christe eleison, Kyrie eleison. Vi dicevo che è un catechismo per poveri, per gente semplice. Se qualcuno esce di qui e non ha capito vuol dire che non è semplice, non che non è intelligente, vuol dire che non è semplice. Vorrei aiutarvi a recuperare questa semplicità: partiamo con molta facilità per chiunque, dopo le cose diventano un po’ più complesse.
Questo brano dice essenzialmente che si può chiedere pietà in due modi: il primo modo è un grido, il primo modo è la coscienza del mondo, dopo vi dico anche perché vi do questa interpretazione, la coscienza del mondo di essere – come lo chiama il Concilio di Trento – in uno stato di imbecillitas, di incapacità: non sono capace, anzi, distruggo quello che desidero, distruggo quello che amo, quanto più lo amo tanto più lo tratto male. Sentirete un urlo, un grido che sale a Dio, questo Dio che in questo primo caso, Kyrie, è il Dio di Abramo, il Dio di Giacobbe, che giudica. E quindi c’è una decisione, una durezza che quasi mette paura. Improvvisamente, Christe eleison, ecco vedrete che quando entra la parola Cristo, Mozart decide di cambiare totalmente la situazione: c’è un secondo modo di chiedere scusa, di chiedere perdono, di chiedere pietà, che invece è di una familiarità incomprensibile, inspiegabile con quell’onnipotente. Ecco, vorrei che faceste semplicemente attenzione alla differenza tra il coro, che grida di fronte al Dio onnipotente, quasi innominabile secondo la tradizione ebraica, e questa familiarità detta dai solisti, basta dire una volta la parola Christe, Cristo, e lo scenario diventa di famiglia, di un padre, non appena di un giudice. Ma vedrete che nel corso della messa la vedremo spessissimo, questa coscienza di una rivoluzione nel rapporto tra l’uomo e il destino.
Di nuovo il coro, Kirie eleison, non vi dico nulla, state attenti al finale, poi mi dite voi come va a finire questo brano brevissimo. Solo una precisazione: quella che vedete è una registrazione dal vivo, ci perde un po’ l’audio ma ci guadagna tutto il resto perché è una registrazione storica, unica proprio come realizzazione, condotta da Herbert von Karajan con il Berliner philarmoniker durante una celebrazione di papa Giovanni Paolo II, e quindi è una liturgia vera e propria. La guardiamo poi vi dico anche perché questa registrazione colpì così tanto Giussani a suo tempo. Iniziamo con il Kyrie.
Video
PIER PAOLO BELLINI:
La melodia con cui si è chiusa è la melodia del Christe, è un fatto senza possibilità di ritorno, che cambia tutto, cambia il rapporto col Destino. Il secondo brano che ascoltiamo è il Gloria, anche qui ci sarebbero tantissimi particolari, è ricchissima questa partitura. riprendo gli aspetti essenziali: l’idea generale non è più la sproporzione, anche se poi torna e ve la farò notare, ma è proprio l’idea di una grandiosità. I gesti di Karajan sono utilissimi, poi ve ne farò notare alcuni che sono insuperabili, guardate come dirige questo Gloria, è di una potenza per fare emergere la totalità, l’onnipotenza, Gloria a Dio nell’alto dei Cieli, e tutto continua con questo tono di pienezza, finché – e qui viene fuori l’educatore Mozart – si arriva di nuovo a questa triplice supplica. Vedrete che Mozart fa la stessa cosa, tu che togli i peccati del mondo, lo sentirete perché anche qui c’è l’idea del giudizio, Dio giudica, ma nello stesso tempo quel giudizio può essere piegato da una richiesta, anche qui, guarda caso, fatta dai solisti.
Mentre il coro in maniera irrevocabile dice la condanna dei peccati, questi quattro con coraggio possono dire “ma tu perdonaci”. Ecco, volevo farvi notare un’altra cosa semplice, questa alternanza tra un giudizio irrevocabile e la possibilità di parlare in maniera familiare a questo Destino. Dopo questa sequenza, l’ultima perla che vorrei farvi notare, è anche sottolineata nel video. Tutte le volte che viene fuori la parola Gesù, Cristo, Mozart si ferma come a dirci “non siate distratti”. E’ un catechismo per poveri, “non siate distratti, stiamo parlando di colui che ha salvato il mondo”, per cui quando viene fuori quel nome, Iesu Christe, sentirete che tutti si fermano come a far capire che c’è qualcosa che non è uguale a nessun’altra cosa. Questi due aspetti, anzi tre aspetti, la gloria, la magnificenza di Dio, la richiesta di perdono di nuovo, e questo cameo, se volete, questo quadro straordinario di dolcezza di Gesù Cristo.
Video
PIER PAOLO BELLINI:
Il terzo brano che ascoltiamo, il Credo, secondo me è uno dei capolavori assoluti della storia della musica: si combatte forse il titolo con l’ultimo che ascolteremo, ma questo ha una punta di genialità insuperabile. Qual è l’idea del Credo? Attenzione, uno può capirlo anche se non c’è il testo, tanti di voi forse non capiscono il latino, forse non si ricordano neanche il testo del Credo, ma basterebbe ascoltare i suoni per capire cosa si sta comunicando, perché il Credo è il fondamento, non esiste un ritrovo umano in cui non ci sia un credo per costruire i rapporti, ciò che non è discutibile. Uno può credere in Dio, uno può credere nel progresso, può credere nel consumo, nel possesso, ma non esiste umanamente una realtà di relazioni umane senza dei fondamenti, perché se metti in discussione quello non sta in piedi niente. Mozart qui parla dei fondamenti del Credo niceno, dei fondamenti della fede cattolica, ma sarebbe comprensibile da chiunque: ciò su cui poggio i piedi, ciò che non è discutibile, perché se discuto quello, non sta in piedi più nulla, e ciascuno di noi ce l’ha.
Ecco, tutto il Credo, tutta questa prima parte, perché qui succede una cosa clamorosa, e bisogna che non la perdiamo, sono sicuro che non la perdiamo, tutta la prima parte è una dichiarazione esplicita, pubblica, di ciò che non è discutibile. Per cui, che cosa fa Mozart? Non c’è un’ombra di incertezza, parlo proprio tecnicamente dal punto di vista musicale, tutto bello preciso, pulito, un ritmo che non trova intoppi, che non frena, che non rallenta, al di là della tonalità. Il maestro Carusi l’altro giorno ci faceva capire l’importanza: questo è in Do maggiore, di nuovo, un DO maggiore pulitissimo, se uno ha qualche insicurezza e si trova in mezzo a un flusso di gente che cammina così, a ritmo, e non lo dice piano piano, è tutto sicuro, questo è indiscutibile. Se volete si chiama dogma. Se metto in discussione questo, metto in discussione me stesso; ed è una cosa che mi hanno comunicato una serie di cose indiscutibili, che mi hanno comunicato i miei, che sono state comunicate da altri, altri, altri fino ad arrivare all’origine. Bene, le dichiarazioni di fede per Mozart sono qualcosa di inossidabile, non si piegano, sono lì, dei pilastri, dal ritmo al volume forte, non piano, all’organico, tutti, coro, strumenti tutto, tutti dicono la stessa cosa, all’armonia tutta bella precisa. Indiscutibile, quasi matematicamente indiscutibile, finché – e questo è un passaggio straordinario, questa parentesi che ascolterete è una parentesi straordinaria – quella cosa indiscutibile, che san Giovanni direbbe “in principio era il Verbo ed era presso Dio e tutto è stato fatto da lui”, a un certo punto decide improvvisamente di non rimanere all’oscuro, di non rimanere nel retroscena ma di venire alla ribalta, decide di scendere, di entrare nella storia.
Quella che vedrete, ascolterete e vedrete, perché i gesti di Karajan qui sono inimitabili, quella che vedrete è una parentesi di storia, storia di un avvenimento, scusate, me lo sono scritto perché sto leggendo un libro di Péguy molto bello. A un certo punto parla dello storico e dice: “Lo storico conosce il carattere capitale della realtà”. Qual è il carattere capitale della realtà? “Che l’avvenimento della realtà non viene che una volta, la volta che viene”. Bellissimo! Cioè, sembra un gioco di parole ma è stupendo: “Non viene che una volta, la volta che viene”. Questo è un avvenimento. Ecco, Dio entra nella storia, sia chiaro, io non sto facendo propaganda, non voglio convertirvi, sto solo cercando di aiutarvi a capire quanto Mozart fosse cosciente di queste cose grandiose. Non si parla più di un principio di religione, di una grande intuizione umana di quello che è il mistero, ma si entra nella storia, la volta che viene. Descendit de coelis: sentirete che intanto, chiaramente, Mozart usa in maniera geniale la tradizione che ha alle spalle, anche quella gregoriana, la tradizione gregoriana mai direbbe Gesù Cristo in maniera distratta, tutte le volte che cantate il gregoriano, state attenti perché quando viene la parola Gesù Cristo ci si ferma e quasi ci si mette in ginocchio, come ha fatto nel Gloria. Adesso, qui, Descendit, sentirete come, di nuovo, come faceva il gregoriano, come ha fatto tutta la nuova musica del ’600, comincia a fiorire questo Discendi, tutto il coro fa sentire che quel verbo, Verbum caro factum est, discende con una linea discendente, vengono giù tutti, come se si raffigurasse la discesa di Gesù sulla terra. E qui c’è una frenata, da qui cominciate a guardare i gesti di von Karajan, perché vi ripeto, ci aiutano a capire veramente il contenuto della musica. A questo punto c’è una frenata pazzesca, prima era tutto dritto, un carrarmato, un plotone di esercito, frenata brusca perché non stiamo più parlando di principi indiscutibili, stiamo parlando di una storia. Et incarnatus est, sentirete i solisti nella direzione che diventa dolcissima di Karajan et incarnatus est de Spiritu Sancto et Maria virgine, sembra quasi che disegni il profilo della vergine, Mozart. Et homo factus est, è diventato uomo, siamo qui sulla terra.
Aspetto geniale di Mozart: è diventato uomo, non finisce di dire uomo, anche perché questo testo è terribile, abbiamo appena finito di dire uomo e già è crucifixus, non c’è dato neanche il tempo di fare tutta la storia, i tre anni di vita pubblica, come direbbe Péguy, appena detto uomo dice crucifixus, non ha fatto in tempo quasi a respirare. Crucifixus, ecco lì, guardate il gesto di Von Karajan, ma anche la musica di Mozart: è la descrizione di una violenza inaudita, terribile, stupida. Crucifixus etiam pro nobis sub Pontio Pilato, e qui un altro passaggio insuperabile, passus, e lì guardate il gesto di Karajan: passus vuol dire morto, morì, sembra di sentire la morte e sembra che dica “sentite la morte di uno che sta morendo. Et sepultus est, questo sepultus ve lo devo fare vedere, altrimenti non credete a quello che vi dico. Sepultus est, c’è un errore di Mozart, un errore voluto, padre Martini glielo avrebbe corretto ma sappiamo che erano più begli gli originali che quelli corretti. Perché un errore? Un errore, state attenti, che Mozart copia, lo aveva fatto Pergolesi nello Stabat Mater. Qual è questo errore? Che quando si canta, nella tradizione dal gregoriano in poi, non si respira in mezzo alle sillabe. E invece Pergolesi l’aveva fatto nello Stabat Mater, quando deve dire Emisit spiritum, gli ultimi respiri di Gesù, Pergolesi si permette di fare così: “e-mi-sit”, che è terribile perché è l’ascolto degli ultimi respiri, cioè di un uomo che sta morendo.
Siamo così abituati a immagini finte di questa cosa, anche immagini vere come quelle che vediamo ultimamente in televisione, di quello che sta succedendo in Iraq o in Siria, che quasi non ci rendiamo più conto di che cosa sia l’abisso di quel momento finale. Mozart ce lo fa sentire non più con i solisti ma con tutto il coro e tutta l’orchestra, “se-pul-tus”, altro tratto geniale, anche qui non fa tempo a dire che è stato sepolto, Sepultus est, quell’est che è l’ultima parola, che sarebbe la parola fine di una storia, muore, la storia finisce, quando dice “est”, non finisce ma comincia tutto. Mozart anticipa e fa partire la gloria della resurrezione proprio sull’est, Et resurrexit tertie die secundum scripturas et ascendit in caelum. Riparte una festa di vittoria, non ha fatto a tempo a morire che ha dimostrato che quei limiti non ci sono per lui, e ricomincia tutta la certezza dell’inizio, ricomincia la certezza di una continuità: credo nello spirito, credo nella Chiesa, con la stessa precisione dell’inizio. Ecco, questa parentesi di storia è una cosa unica come realizzazione, il che vuol dire come coscienza di chi ha scritto questi suoni. Sicuramente Karajan ci aiuta ad immedesimarci in questo.
Video
PIER PAOLO BELLINI:
questa certezza, nel futuro, Vita venturi saeculi, è resa possibile da quella parentesi straordinaria, parentesi storica, umana. Vediamo gli ultimi due brani. Sanctus ha tre idee di fondo semplici che vi propongo. Primo, anche qui il gesto di Karajan è stupendo, l’idea della pienezza. I cieli e la terra sono pieni della Tua gloria, è tutto pieno. Questa melodia, lunghissima questa volta, come se abbracciasse tutto, spazio e tempo, tutto è pieno della tua santità. E dopo aver detto questo, ripeto, guardate il gesto di Karajan, perché è assolutamente esplicito, un inno di gioia verso il cielo, Osanna in excelsis, una festa, una gioia. Ecco, di nuovo lo sottolineo perché è indiscutibile che Mozart sapesse cosa stava dicendo e cosa voleva che arrivasse alle orecchio della gente, di nuovo una frenata brusca, un cambio di ritmo totale, di ambientazione, di contesto. Siamo in un altro posto, Benedictus qui venit in nomine Domini: state attenti, è un aiuto grandissimo, questo, perché per noi questo è l’ordinario, quello che si dice sempre e siamo totalmente distratti.
Ma essendo l’ordinarium vuol dire che sono le cose più importanti, perché tutto il resto, il proprium, cambia ogni domenica.
Queste siccome le diciamo sempre siamo completamente distratti. E Mozart invece dice: stiamo attenti perché in questo versetto succede un’altra cosa. Non è più nel cielo, non è più la pienezza del Padre ma è un uomo che cammina per la strada. Benedictus, quando entra a Gerusalemme, mette i piedi l’uno davanti all’altro. Viene in mente qui, mi permetto di citarlo, quella intuizione vertiginosa di Leopardi 700 anni dopo, “te viatrice in questo arido suolo io mi pensai”. Questo temine “viatrice” è stupendo, io ho pensato che tu, bellezza, cioè quello di cui è pieno il cielo e la terra, il mistero, ho pensato che tu, Dio, potessi camminare in questo arido suolo, camminare sulla terra. “Ma non c’è cosa alcuna che ti somigli e anche se ci fosse, sarebbe l’aspetto assai men bello”. Qui invece sta dicendo di Dio che cammina, a Gerusalemme, nella polvere di Gerusalemme. Vi dico tutto questo non perché ve lo voglio far dire, la musica dice questo! C’è una frenata, sentirete il ritmo tipico di uno che cammina per la strada, non c’è più il coro, ci sono i solisti. E a quel punto ritorna questo inno grandioso alla Santità di Dio, In excelsis.
Video
PIER PAOLO BELLINI:
Arriviamo all’ultimo brano, che in realtà è il primo, nel senso che siamo partiti da quel brano, la frase che don Giussani ha voluto suggerire come sintesi di questo cammino, perché rimase colpito, don Giussani, soprattutto da questo ultimo brano, Agnus dei, da una cosa che sembrerebbe quasi secondaria e in realtà non lo è per nulla. Leggiamo queste parole che ha lasciato di fronte alla visione di questa registrazione: “Mi capitò di vedere in televisione von Karajan dirigere la Messa dell’Incoronazione davanti al Papa. Pregava dirigendo, obbedendo a Mozart”. Verissimo, abbiamo visto dei gesti e c’è anche una lacrima, ad un certo punto. Ma quello che lo colpisce dell’Agnus dei, “la cosa che più mi impressionò, soprattutto nell’Agnus dei, fu come il soprano lo seguiva”. L’unità di lei con lui. Sembra una cosa secondaria. In realtà vorrei farvi capire perché è una lettura che apre una comprensione estremamente più profonda. Innanzitutto, la scelta stranissima di Mozart. Io ogni tanto cerco di immedesimarmi, mi faccio anche degli schemini di come lo avrei fatto io. E nello studiare la composizione, ti danno un tema e dicono: “vai avanti come avrebbe fatto Bach”, e ti accorgi che lui avrebbe fatto sempre meglio. E con Mozart mi è capitata la stessa cosa: cosa avrei fatto io qui? E la prima cosa che mi viene è la cosa più semplice e scontata: avrei fatto quello che abbiamo visto nel Gloria, nel Kyrie, perché il testo è lo stesso: Agnus dei qui tollis peccata mundi miserere nobis. Perfetto. Mi ha già alzato la palla. Lo abbiamo fatto due volte, allora facciamo che l’Agnus dei qui tollis peccata mundi lo canta il coro, magari forte, un‘invocazione. E invece il Miserere nobis lo cantano i solisti, piano.
E il gioco è fatto. Invece lui fa una cosa diversissima, stranissima, che non ha una forma, non ha nessuna forma tradizionale, è totalmente squilibrata. Di nuovo, se intervenisse padre Martini direbbe: “Mozart, studia un po’”. Perché? Perché questa volta decide di non distinguere quei due botta e risposta. Anche perché, guarda caso, questa volta non è Dio, non è il Padre, è l’Agnus Dei, cioè il Figlio. E Mozart decide di dedicare tutto questo testo solo ad una cantante. Esclude il coro, esclude tutti i solisti e questa è un’altra scelta assurda. Perché? Perché io immagino che per i compositori, e anche io qualcosina ho fatto, avere a disposizione un coro del genere, un’orchestra del genere, ti viene voglia di scrivere tutto per tutti, perché non avrai mai un’altra possibilità di scrivere una cosa che solo per realizzarla ti costa un capitale. E quindi, quando hai una possibilità del genere, la usi tutta. Invece no, solo il soprano, ma paghi anche gli altri tre, no? No, solo il soprano. E invece di fare sentire come prima la sproporzione enorme tra chi giudica e chi chiede, non c’è nessuna sproporzione, nessun dramma, anzi, paradossalmente c’è quasi un peccato di superbia in chi chiede perdono perché questa melodia che sentirete cantata solo dal soprano è una melodia dolcissima, più che dolce. Vi lascio due ipotesi che vanno bene tutte e due: è una mamma che canta una ninnananna ad un bambino, suo figlio, tenendolo tra le braccia. Secondo, è una donna innamorata che canta del suo amore per un uomo che non è per niente di là, è tutto di qua. È una melodia totalmente carnale, direi carnosa. Péguy usa “anima carnale”.
Guardate, non sono supposizioni, ad un certo punto fecero notare a Mozart che forse queste melodie in chiesa non erano del tutto adeguate e Mozart fu così colpito da questa critica che ringraziò e mise questa melodia nelle nozze di Figaro, ringraziando: Grazie, bellissima idea. E la mise in bocca ad una donna che canta l’amore per suo marito, identica. Ma non perché era intelligente e sfruttava le situazioni ma perché per lui chiedere all’Agnello di Dio di perdonare i peccati era della stessa natura, della stessa qualità, della stessa relazionalità che c’è tra un uomo ed una donna, o tra la madre ed il proprio figlio. Tanto che, per tre volte, ripete la stessa frase, sempre dolcissima. E la terza volta, qui anche l’interpretazione aiuta, si permette di alzare la voce, come una madre con il proprio figlio che alla terza volta dice: “Oh, te l’ho già detto tre volte, perdonami”. È paradossale e sentirete che alza la voce finché, terza volta, anche qui scelta assurda, immaginiamo che siano due che si amano, una che canta con l’altro ed ad un certo punto, in questo quadro intensissimo di intimità profonda, viene su il tenore. Ma cosa c’entra? Infatti l’osservazione di Giussani è bellissima, ho tante cose da chiedere ai miei antenati musicisti e chiederò a Mozart, perché questa melodia non si può né scrivere né cantare ad occhi chiusi. Per scriverla bisogna avere davanti qualcuno, per cantarla bisogna avere davanti qualcuno. E infatti, questa è un’osservazione di Giussani, il soprano continua a guardare il maestro, e viceversa, negli occhi, che deve essere abbastanza inquietante.
E continuano a guardarsi negli occhi, perché non si può scrivere una cosa del genere con gli occhi chiusi. Perché il massimo è il potersi vedere con i sensi, non immaginare con la testa. Ecco, in questa situazione di “amorosi sensi”, esagero, se permettete, viene fuori un tenore. Cosa c’entra? Non viene fuori un contralto. Non è, sempre per scherzare, che li abbiamo pagati e qualcosa dobbiamo fargli fare. Ma sformano totalmente la forma di quel brano: non è più né il canto appassionato di una donna e di una madre, comincia ad essere un’esperienza condivisa, prima tutti e quattro i solisti e poi tutto il coro. Scusate la banalità: ma vi immaginate fare una canzone d’amore intima, e poi vengono fuori gli altri quattro e tutta la comunità? Che situazione imbarazzante. E invece diventa una festa, una festa del mondo, una festa dell’universo. È pace per l’universo, Dona nobis pacem. Quella che è iniziata come una cosa unica, individuale, gli incontri di Cristo con le varie donne del Vangelo, diventa una occasione per tutti, non solo per chi era lì ma anche per quelli che sono venuti dopo. Ed è una festa.
Video
PIER PAOLO BELLINI:
Concludo: nel 2006 abbiamo fatto i 250 anni della nascita di Mozart e ci sono stati molti dubbi sulla sincerità della sua esperienza di fede, sul fatto che capisse quello che scriveva. Penso che nessuno lo possa discutere: ne sapeva molto più di noi. Sulla sua sincerità, vorrei leggere questa frase che ha scritto, perché si diceva lo facesse per interesse, come scriveva le messe massoniche, bisognerebbe contestualizzare tutto nella storia. Ma questa frase bellissima ve la leggo, l’ha scritta ad un massone suo amico: “Voi non potete, non sentite quello che vuol dire Agnus Dei qui tollis peccata mundi, dona nobis pacem. Ma quando si è assistito con cuore trepidante ai Sacri Uffici senza sapere esattamente cosa si volesse, quando ci si è allontanati poi più leggeri, come interiormente sollevati, allora è diverso”. Succede qualcosa, viene quando viene. Vi ringrazio e ci vediamo alla prossima.