SPERARE CONTRO OGNI SPERANZA: LAVORARE PER LA PACE IN MEDIORIENTE

Partecipano: Jàn Figel, Inviato speciale della Commissione Europea per la promozione della libertà di religione o di credo al di fuori dell’Unione Europea; Firas Lutfi, Superiore del collegio di Terra Santa e Vice parroco della parrocchia di San Francesco ad Aleppo, Siria. In occasione dell’incontro intervento di saluto di Pasquale Valentini, Segretario di Stato per gli Affari Esteri e Politici della Repubblica di San Marino. Introduce Roberto Fontolan, Direttore Centro Internazionale di Comunione e Liberazione.

SPERARE CONTRO OGNI SPERANZA: LAVORARE PER LA PACE IN MEDIORIENTE

ROBERTO FONTOLAN:
Buona sera. Siamo tutti colpiti dalle drammatiche notizie del terremoto di questa notte, e così oggi in tutte le sale del Meeting iniziamo i lavori con un momento di silenzio e di raccoglimento, alzandoci in piedi. Aggiungo che noi come Meeting invitiamo ad aderire a qualunque iniziativa che sarà indetta dalle autorità in questo momento drammatico. E invitiamo tutti i partecipanti ad aderire alla raccolta di fondi nazionali promossa dalla CEI, che si svolgerà il prossimo 17-18 settembre in favore delle popolazioni colpite, raccolta di fondi che è già operante attraverso la Caritas. Unendoci ai sentimenti di papa Francesco, il nostro pensiero va alle vittime e alle loro famiglie: desideriamo tutti essere vicini a loro, continuando a vivere questa giornata e l’occasione di questo incontro con ancora maggiore serietà. Perché abbiamo bisogno di tutta la serietà, di tutta la passione, di tutta l’attenzione per rivolgere il nostro sguardo ai nostri fratelli uomini del Medio Oriente, alle comunità, alle città, ai popoli della Siria, dell’Iraq, e di tutta la Regione che ci è così cara, da troppi anni vittime dell’odio e delle bombe.
È un mondo popolato da milioni di persone, di famiglie, di bambini, come abbiamo visto anche in questi giorni, diventato forse il più grande pezzo di quella terza guerra mondiale evocata dal Papa con quella ormai celebre espressione. Un mondo che, vogliamo dire oggi qui dal Meeting, è per noi italiani ed europei il nostro “tu”. Lo sentiamo così, lo amiamo così, questo Medio Oriente, così lo abbiamo amato e sentito in tutta la storia del Meeting nella quale sono innumerevoli gli incontri, le occasioni, le testimonianze, le amicizie che abbiamo avuto, attraverso le quali siamo cresciuti. Un tu che vorremmo aiutare più di quanto siamo capaci di fare, ma tutto quel che possiamo fare lo facciamo e lo faremo incessantemente e senza risparmio di cuore e di energie.
Affronteremo questo incontro, questo tema, con due ospiti davvero straordinari, ciascuno a suo modo: padre Firas Lutfi, siriano, francescano della Custodia di Terra Santa: molti di noi sanno bene l’amicizia, l’amore che nutriamo per la Custodia. E’ arrivato da Aleppo dove vive seguendo la parrocchia di San Francesco: e ci capiamo, sappiamo che cosa significa Aleppo in questi anni, in queste settimane, in questi giorni, e cosa vuol dire arrivare da lì. L’altro ospite davvero straordinario, per un’altra ragione, è Jàn Figel, slovacco, da pochissimo tempo nominato Inviato Speciale della Commissione Europea per la promozione della libertà di religione o di credo al di fuori dell’Unione Europea: un incarico, un impegno nuovo e importantissimo, che apre una pagina nuova dell’Europa. Questa è l’occasione straordinaria, eccezionale di oggi: attraverso Jàn Figel possiamo vedere l’inizio di una pagina nuova dell’Europa come istituzioni, come organismi politici, rappresentativi esecutivi e di governo che, come tutti noi e tutti i popoli europei desiderano farsi carico della libertà religiosa. E’ forse una delle prime volte da quando ha assunto questo incarico che Jàn Figel ha occasione di parlare in pubblico: credo che sia un’occasione veramente significativa di questo Meeting. Il Ministro Gentiloni non ha potuto partecipare a questo nostro incontro in seguito agli impegni complicati, urgenti e naturalmente imprevisti dell’intero governo per il terremoto.
Tornerò tra un minuto ai nostri ospiti, ora ci introduciamo al nostro incontro con l’intervento di Pasquale Valentini, che è Segretario di Stato per gli Affari Esteri della Repubblica di San Marino, con la quale il Meeting ha un rapporto storico che non è solo istituzionale ma anche di affetto, di amicizia e di partnership. Sentirete come anche la presenza qui oggi della Repubblica di San Marino sia una presenza di apertura al mondo.

PASQUALE VALENTINI:
Grazie, dottor Fontolan, grazie a tutti voi. Innanzitutto desidero esprimere la piena vicinanza e solidarietà alle famiglie dei terremotati e a tutte le autorità della Repubblica italiana per quello che è accaduto in questa notte. Per venire al tema del Meeting, le dimensioni e la gravità dei problemi che coinvolgono oggi il contesto internazionale (quello della terza guerra mondiale a pezzi) obbligano a non sottrarsi ad ogni tentativo che possa aiutare un processo di pace. Anche un piccolo stato come la Repubblica di San Marino, che è parte dei maggiori organismi europei ed internazionali (Onu, Consiglio d’Europa, OSCE), sente la responsabilità di questo processo, pur nella consapevolezza dei limiti delle proprie possibilità di intervento.
Due riflessioni voglio offrire a questa tavola rotonda, due riflessioni che caratterizzano l’impronta che cerchiamo di dare al nostro contributo: innanzitutto l’attenzione ed il rispetto che vanno rivolti alla dimensione religiosa dell’uomo. Non siamo davanti a guerre di religioni ma la religione c’entra. Sarebbe un grave errore se l’Europa, che è chiamata a svolgere un ruolo fondamentale nella ricerca di nuovi equilibri di pace, dimentica della sua storia, pensasse di svolgere questo compito assumendo un atteggiamento di indifferenza verso quella che è la dimensione fondamentale della persona e quindi dei legami che si stabiliscono fra le persone. In secondo luogo, nella ricerca delle soluzioni, occorre prestare attenzione ai fatti che sono testimonianza di una convivenza pacifica, ricercandoli e riconoscendo i fattori che li hanno resi possibili. Grazie.

ROBERTO FONTOLAN:
Padre Firas Lutfi, come dicevo, è arrivato pochi giorni fa da Aleppo e ha condiviso con noi queste giornate del Meeting. A lui chiediamo di aiutarci a guardare meglio, a incontrare più da vicino, a condividere più profondamente questo tu con la sua terra che è la Siria. Parla un magnifico italiano e quindi tutti voi potrete apprezzarlo veramente. Prego, Padre, la sua testimonianza.

FIRAS LUTFI:
Buonasera a tutti. Permettete che anch’io, a nome mio e del popolo siriano, particolarmente a nome di quella gente che soffre ormai da sei anni e passa questa terribile guerra, ci uniamo al vostro dolore in questo terremoto che ieri purtroppo ha toccato persone innocenti, ha demolito case, raso al suolo fabbricati. Sono immagini che evocano alla mia memoria esattamente quello che affrontiamo noi, quindi sono unito profondamente, con la mia gente, alla sofferenza e al dolore del popolo italiano. La seconda cosa che mi preme sottolineare: un grazie molto profondo per l’invito che mi avete rivolto. Debbo dire che è stata una provocazione accettare o non accettare, date le circostanze in cui vivo. Sapete che la città di Aleppo è un po’ la Milano dell’Italia, la città dell’industria, del commercio, della vivacità, è la seconda città dopo la capitale Damasco, oggi la più colpita. Il punto apice, tragico della situazione accade quando viene tagliato l’ombelico che porta la vita a tutta la città, l’unica strada che lega la città di Aleppo al resto del mondo. E’ accaduto 10 giorni fa, a causa di una irruzione di jihadisti e di una controffensiva dell’esercito siriano ufficiale.
Quando ho ricevuto l’invito, ho comunicato subito con la segreteria: guardate che volentieri accetto l’invito, però se si riapre la strada, e non è detto. Sono passato attraverso una città fantasma, eravamo quasi gli unici: accanto a me c’era anche il padre Custode di Terrasanta, Francesco Patton e il ministro della regione di san Paolo, padre Simone. L’impressione di Padre Francesco, che per la prima volta si recava in Sira e particolarmente ad Aleppo, è stata questa: al massimo nella mia vita avevo visto un terremoto, provato la tragicità di una distruzione del genere. Mai avevo visto una città intera rasa al suolo. Però ha trovato il coraggio per dirmi quello che poi mi ha spinto a venire qui: volevo trovare voi frati che vivete ad Aleppo, perché siete i miei confratelli, e anche le vostre comunità, i cristiani che sono rimasti ad Aleppo, quelli che hanno resistito alla tentazione di abbandonare il Paese.
Non voglio dilungarmi troppo nel descrivere con tanti dettagli quello che sta succedendo ad Aleppo. A mio avviso padre Ibrahim, lo scorso anno, ha già detto tanto, ha descritto veramente come si vive ogni giorno, il modo drammatico per cui una famiglia sopravvive, vive una vita al di sotto del livello umano di dignità. Manca tutto, manca l’acqua, manca l’elettricità, manca il cibo e soprattutto manca la sicurezza, con bombardamenti giorno e notte. Parto subito con la citazione del profeta Geremia, che può essere molto eloquente come portavoce di ogni cittadino che vive nella città più martoriata della Siria. Il Profeta Geremia dice così, in riferimento a quello che è accaduto qualche millennio fa: “Da grande calamità è stata colpita la figlia del mio popolo, da una ferita mortale. Se esco in aperta campagna, ecco i trafitti di spada, se percorro la città ecco gli orrori della fame”. Ovviamente lì non ci sono tante spade in giro ma tante bombe sì, tante bombe che colpiscono ogni giorno e decimano centinaia e centinaia di persone innocenti. Sapete che più o meno il numero dei morti in questa guerra così atroce ha sorpassato il numero di 380.000 persone, e che metà di queste sono bambini e donne?
Anche il grande e bellissimo patrimonio storico, patrimonio dell’umanità, è ferito: stiamo a parlare di Palmira, un sito archeologico un po’ simbolo di quello che è la Siria, della bellezza e dell’antichità di un patrimonio unico al mondo. Ecco, la Siria è quel magnifico Paese di alta civiltà umana ma anche il Paese che all’origine della Chiesa apostolica. Ricordiamo che negli Atti degli apostoli per la prima volta siamo stati chiamati cristiani. Ebbene, tutta questa bellezza, tutto questo mosaico dell’umanità si sta disfacendo, restano macerie. La foto sotto rappresenta la Siria prima dell’attacco dell’ISIS, l’altra lo stato in cui purtroppo è ridotta.
Basterebbe citare un professore esperto di archeologia, che è qui presente e al quale devo tanto: per 40 anni ha lavorato instancabilmente in Siria, particolarmente dedicandosi al sito archeologico di Palmira, il professor Buccellati che è presente con la sua signora. Credo che anche lui come me stia trattenendo le lacrime per quello che mostrano queste immagini dove lui vede non pietre morte ma pietre che sono diventate storia, pietre che sono un pezzo del mosaico umanitario. L’umanità tutta sta soffrendo una mutilazione per questa parte che si va disfacendo. Ebbene, vedete quei piccoli che giocano accanto a queste macerie? E’ una delle nostre succursali. Ad Aleppo abbiamo tre presenze che sono sotto la cura pastorale dei francescani: il nucleo più importante è quello della parrocchia, Padre Ibrahim è il parroco e io sono viceparroco. Questi bambini continuano a vivere nonostante tutte le rovine intorno. Nella succursale intitolata a san Bonaventura da Bagnoregio, non passa una settimana senza essere colpiti: ci siamo veramente stancati di restaurare un edificio che, appena ricostruito, viene distrutto dai missili e dalle bombe. Siamo umanamente stanchi di restaurare il nostro convento. E però, se guardate anche quella bellissima Madonna che è un po’ simbolo della “resistenza”, di quelle persone che non hanno voluto andare via, anche in mezzo a tanta distruzione, capite come viviamo noi. L’altro giorno è venuto da me un papà di famiglia. Mi dice: “Senta, la fame l’abbiamo sopportata, anche la sete, la mancanza di elettricità. Però, padre, vedere un figlio dei miei figlioli colpito da un razzo, oppure mutilato, questo no, non riesco a sopportarlo. Quindi mi dia la benedizione, mi dia il certificato di battesimo e mi lasci andare via.
Ecco, veniamo bombardati ogni settimana da questi oggetti: sono praticamente bombole di gas riempite di materiale esplosivo, “regali” che i jihadisti ci mandano specialmente a Natale e a Pasqua, perché sanno che questi quartieri sono abitati in maggioranza da cristiani e quindi fanno il loro regalo di Pasqua e Natale. Questa immagine rappresenta l’esodo dei tanti innocenti in cerca di un po’ di serenità, di uno spazio dove godere un po’ di pace per sé e soprattutto per i loro cari. Questa è la mia casa, un ex-collegio dedicato a S. Antonio di Padova: qui abbiamo accolto una ventina di persone anziane e malate, dopo che la loro casa, un anno e mezzo fa, è crollata a causa di un attacco, un bombardamento. Le abbiamo accolte con tanta gioia e dedizione. Da quel buco della finestra, è passato il missile che ha fatto fuori una persona anziana di 94 anni e ne ha ferite altre due. Guardate: pochi centimetri ancora e questo missile sarebbe entrato dalla finestra e avrebbe causato la morte di tutti. Non so come spiegare, tante cose non si spiegano con il semplice intelletto, ma io ci ho visto anche un intervento divino. Quel giorno il cuore di queste persone è stato segnato da un’altra amarezza, quella di non poter stare più tranquille nemmeno in un convento. Ecco nella slide la signora Reneè, scusate la forza delle immagini: speravo che fosse viva, pensavo di riuscire a portarla in ospedale, ho cercato di soccorrerla: in questa immagine sembra il crocifisso.
Siccome il titolo è Sperare contro ogni speranza o, meglio, Sperare contro ogni disperazione, non permettiamo alle bombe di darci per vinti, resistiamo alla tentazione di fuggire, di dire basta. Dobbiamo ricostruire. Qui, con le mie mani, sono stato capace di mettere su quei mattoni che la bomba aveva tolto. È un gesto simbolico. Si tratta di persone che non sono cattive in sé, io le chiamo infelici. Anche un terrorista o uno jihadista è fatto a immagine e somiglianza di Dio egli stesso, però ha fatto scelte sbagliate, ha avuto una ideologia che gli ha suggerito, sin dall’inizio: l’altro non è un bene per te, quindi va eliminato. Noi, con questo gesto, vogliamo dire l’opposto: l’altro, queste donne che io chiamo “le mie giovanotte”, sono un bene per me, sono un bene per noi. Sono persone che non chiedono altro che vivere un passaggio all’aldilà sereno, non traumatico.
Per questo, dando un segno, vogliamo ricostruire quella Siria martoriata, ormai distrutta, rasa al suolo dall’odio, dall’intolleranza, dal pensiero unico e rigido, noi che siamo costruttori di ponti, di dialogo, di pace.
Ebbene, non è facile. Tutto quello che ho cercato di dire in poche parole è che non è assolutamente facile. Vorrei citare queste bellissime parole di Giovanni Paolo II che, riflettendo sulla stessa situazione di disperazione per la guerra, per problemi che vanno oltre le possibilità della sopportazione umana, dice così: “Occorre che riprenda vigore la certezza che esiste qualcuno che tiene in mano le sorti del mondo che passa, qualcuno che ha le chiavi della morte e degli inferi”, cita l’Apocalisse, “qualcuno che è l’alfa e l’omega della storia dell’uomo, sia di quella individuale, sia di quella collettiva. E questo qualcuno è amore, amore fatto uomo, incessantemente presente tra gli uomini”. Ebbene, quelle persone sono un po’ il simbolo di che cosa abbiamo bisogno: “non di solo pane vive l’uomo”, direbbe Gesù, ma anche di affetto, di gesti di carità, di compassione, di qualcuno che sente il tuo dolore, il tuo bisogno, di immedesimarci con l’altro così come è.
Questa stretta di mano nella slide era vera, era autentica: “Tu, o padre, sei un bene per me”. Ecco, questo stringere le mani è un gesto di affidamento all’altro. Nella foto sono con un membro del Parlamento siriano, questi sono amici musulmani che ci sono venuti a trovare e vengono spesso, almeno due volte al mese, sono volontari della Croce Rossa e vengono con questo sorriso per dire a queste persone, amaramente colpite dalla perdita di una persona cara e da un momento così traumatico: ci siamo anche noi, nonostante il buio, la sofferenza, il dolore, ci siamo anche noi, quindi voi siete un bene per me.
Accanto a quell’attività di accoglienza, abbiamo anche una sessantina di bambini sordo- muti. Ecco, guardate questo bellissimo bambino: sta imparando a sentire e a parlare. Questa scuola è l’unica in assoluto rimasta ad Aleppo, la zona che la ospita è sempre colpita dai razzi e dai bombardamenti. Se non ci fosse la speranza nel cuore di chi organizza questa attività di bene per l’altro, per questi piccoli, non sarebbe stato possibile farlo. E invece quest’anno siamo riusciti a far sì che facessero l’esame della scuola media, riconosciuto anche dallo Stato. Tutto lo staff è formato da operatori volontari, che non vengono pagati: ma tutti quanti vedono un bene che assolutamente va costruito, va soccorso, va aiutato. Accogliere la sfida della speranza vuol dire allora volersi veramente umani, a testa alta fra il vento e il sole, umili e coraggiosi davanti alla fatica di vivere e all’apparente vittoria del male che ferisce la terra.
Un altro gesto di speranza è stato, questa estate, il campo estivo dei ragazzi, 350 ragazzi, cento in più rispetto all’anno scorso. Mentre facevamo la festicciola di apertura del campo estivo, sentivamo i bombardamenti ma non avevamo paura. Umanamente, è chiaro che di paura ne abbiamo tanta, però non ci siamo lasciati sopraffare, non ci siamo lasciati vincere da questa paura, ma abbiamo gridato con i bambini: vogliamo gioia, vogliamo serenità, vogliamo pace, vogliamo vivere, vogliamo gioire, vogliamo ballare, vogliamo vivere, vogliamo essere considerati come creature di Dio. Ecco, vorrei che anche voi sentiste la canzone insieme a me: “Voglio gioire, voglio cantare, voglio fare i miei compiti di scuola, voglio sentire la campanella, voglio realizzare il mio sogno come tutti gli altri, voglio vivere con serenità, Signore, non ci dimenticare, Tu sei il nostro protettore”.
E in quella piazza, un mese fa, abbiamo avuto quel missile che ha fatto fuori una persona. I jihadisti, il male, la cattiveria umana sono capaci anche di rovinare la nostra serenità, ma noi non vogliamo lasciarci vincere dal male, vogliamo con il bene vincere ogni male. Ecco il grido di persone che vogliono vivere in pace, serenamente, perché ormai la guerra sta sciupando tutto. “Non di solo pane vive l’uomo” ma anche di serenità, di possibilità di crescere, di alimentare un po’ tutte le dimensioni, la crescita spirituale e quella fisica: per grazia di Dio, e grazie a tanti nostri benefattori, soprattutto italiani, siamo riusciti a pulire la piscina che avevamo e che abbiamo tutt’ora nel nostro collegio di S. Antonio. Vedete la gioia di questi ragazzi che – mi ha detto l’allenatore – hanno dimenticato come si nuota? Possiamo anche sentirli fisicamente, in questo video, vi stanno salutando, stanno dicendo “ciao a tutti i partecipanti del Meeting di Rimini”.
Quest’anno siamo riusciti ad accoglierli, l’anno scorso ad Aleppo non c’era acqua quindi sarebbe stato assurdo riempire una piscina mentre la gente moriva di sete. Quest’anno il problema dell’acqua è minore, ho scavato anche un pozzo nel mio convento: abbiamo la possibilità di offrire questa gioia ai ragazzi e alle loro famiglie che vengono a centinaia la domenica, e questo è il clima che trovano, fatto di gioia, serenità, pace e tranquillità. Solo quando il futuro è certo come realtà positiva diventa visibile e vivibile anche il presente: il cristianesimo non era soltanto una buona notizia, una comunicazione di contenuti fino a quel momento ignoti, nel nostro linguaggio si direbbe: il messaggio cristiano non era solo informativo, ma performativo. Ciò significa: il Vangelo non è soltanto una comunicazione di cose che si possono sapere ma è una comunicazione che produce fatti, che cambia la vita. La porta oscura del tempo, del futuro è stata spalancata. Chi ha speranza vive diversamente: gli è stata donata una nuova vita. E’ quello che cerchiamo veramente ogni giorno di vivere, anzitutto sulla nostra pelle, nonostante tutte le paure, le preoccupazioni: ma non siamo preoccupati tanto per noi stessi quanto per la sorte di quei poveri cristi che abbiamo intorno a noi e nelle nostre mani.
Siamo anche persone che vogliono costruire una cultura di pace. Sapete che ad Aleppo, in Siria, ma in tutti i Paesi di guerra, tutto è inquinato? L’aria che respiriamo è inquinata, l’acqua che beviamo, il cibo che mangiamo, tutto è inquinato, anche l’intelletto: vige intorno a noi una (disin)cultura dell’odio, della violenza, del terrorismo. Ma noi, come salviamo i nostri ragazzi? Proprio offrendo una educazione all’altruismo, al rispetto dell’altro, all’accoglienza dell’altro, però senza dimenticare la nostra identità, di chi siamo. Ecco, noi siamo un po’ il tesoriere di Dio in quella terra. Il Signore ci ha affidato il suo Vangelo: nel nostro Dna siamo cristiani e ne siamo tanto fieri. Ma non siamo cristiani egoisti, non siamo cristiani rinchiusi nell’isola del nostro piccolo ego, siamo cristiani perché crediamo che possiamo essere un dono per l’altro. Tutti i conflitti che sono in Medio Oriente hanno un’unica ragione: la bramosia di ottenere tutto, tutto o niente. E poi c’è un altro problema: quello di non saper perdonare l’altro. Con tutto il rispetto, l’ebreo: occhio per occhio, dente per dente. Ma anche i nostri fratelli musulmani: occhio per occhio e dente per dente. Come viene tagliato, questo circolo della violenza, come viene superato? Bene, il cristiano ha una risposta concreta: è Gesù, che sulla croce ha osato perdonare anche i suoi crocifissori. “Padre, perdonali perché non sanno quello che fanno”: non perché giustifica la violenza, la sofferenza, il male, ma perché cerca di conquistare la persona, che non è cattiva, è infelice.
Ebbene, noi crediamo di avere una missione in quel contesto concreto, in quello spazio geografico ma anche salvifico della Terra Santa, oggi in Siria ad Aleppo. E vogliamo vivere questo messaggio. Questa foto l’ho scattata dalla mia finestra ad Aleppo. Mi dice tanto: noi attualmente viviamo nel buio, in un tunnel di cui non vediamo veramente l’uscita. Non è una guerra civile, è una guerra di interessi mondiali, ci vuole semplicemente un dono dall’alto che possa dare pace a quella terra martoriata. Però, ogni giorno esce il sole e noi non ce ne accorgiamo: è il motivo in più per sperare che anche la notte più oscura del male passi. Tutto passa. Tutto ciò che ha un inizio ha anche una fine, speriamo che anche il sole della giustizia, della pace, possa regnare, possa mettere fine a una tribolazione, una sofferenza enorme. E che alla fine ci venga in dono la pace.
Questo sacerdote si chiama padre François Mourad, tre anni fa è stato ucciso barbaramente con sette colpi al petto dai gruppi jihadisti al confine con la Turchia. Una persona che non ha voluto, sotto le minacce, lasciare il piccolo gregge: aveva sette, otto parrocchiani. Diceva: “Io vado via da qua per ultimo, resto finché ci sono i miei fedeli”. Ebbene, in quella zona mi sono trovato anch’io, per due mesi, sono andato lì a sostituire il parroco che è venuto a respirare un po’ d’aria pulita e a riprendere un po’ di energie per poi tornare. Ho dovuto fare i conti con una situazione assai drammatica, andare a prendere le spoglie di questo martire. Ebbene, sapete che cosa vuol dire andare lì e passare un po’ in quella che la Bibbia descrive come “la valle della morte”? Lungo il cammino, per tutta la strada, avevo recitato il salmo “Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla. Anche se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me”.
Solo per grazia di Dio sono stato aiutato da amici a celebrare dignitosamente il funerale di questo martire e a portar via altre tre sorelle, tutte anziane e malate, che erano terrorizzate. Per tutta la notte avevano aspettato semplicemente la morte. Siamo riusciti, per grazia di Dio, ad andare in quel villaggio che adesso è in mano all’ISIS, dove nessuno poteva mettere piede e uscirne vivo. Ebbene, se sono vivo è per raccontare che ci sono molte persone che hanno avuto speranza e ancora l’hanno, che non vivono solo per se stessi ma per fare del bene, per quanto possono, con i mezzi di cui dispongono: padre François Mourad, padre Frans van der Lacht, un missionario gesuita olandese che stava ad Homs e ha deciso di rimanere nonostante tutti gli appelli della sua ambasciata, accanto ai musulmani e ai cristiani, i suoi poveri che erano rimasti nella città vecchia. Un giorno, prima di arrivare ad un accordo con il Governo, i jihadisti gli hanno sparato. Per ultimo, Padre Jaques, vittima del terrorismo anche lui.
Ci chiedono spesso se abbiamo paura del terrorismo. Ma la paura è un sentimento molto naturale nell’essere umano, però chi ha fede nel Signore, nel Signore della vita e della storia, credo possa superare certe paure. Certamente, se abbiamo nel cuore quello che san Paolo è riuscito ad avere: “Né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze né altezze né profondità, né alcuna altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio che è in Cristo Gesù nostro Signore”. Quando avrete il tempo di venire ad Aleppo – siete tutti calorosamente invitati – vi farò vedere questo arcobaleno in una fotografia nel mio studio. Vedremo la pace finalmente realizzata, affinché il popolo siriano ma non solo, tutte le persone che soffrono, che patiscono ogni genere di sofferenza, di guerre, di persecuzione, vedano davvero zittita l’arma della morte, affinché si apra davvero un’era di pace e di serenità. Grazie per il vostro paziente ascolto.

ROBERTO FONTOLAN:
Questo applauso, padre, è il modo più semplice ma anche più immediato che abbiamo di dirle, come le hanno detto i suoi parrocchiani, come le hanno detto i suoi amici musulmani, che ci siamo anche noi. Forse oggi possiamo solo applaudire ma questa è la testimonianza del nostro desiderio di essere con voi, con lei, con tutta la nostra capacità. Grazie. Ora, come avevo detto, Jàn Figel: è slovacco, ha un’intensa vita di uomo politico, è stato Commissario europeo e in quella veste venne qui al Meeting nel 2007. Per la seconda volta è con noi, in questa nuova veste. Desideriamo ascoltare perché possiamo insieme aprire questa nuova pagina della coscienza europea. Grazie per la sua presenza qui.

JÀN FIGEL:
Buonasera a tutti. Voglio innanzitutto esprimere le mie condoglianze più profonde a tutte le famiglie e ai parenti delle vittime del terremoto e anche la mia solidarietà nei confronti del popolo italiano. Quello che è successo conferma la nostra vulnerabilità, il fatto che siamo tutti mortali e che abbiamo bisogno sempre più l’uno dell’altro. Siamo alla 37° edizione del Meeting e questo porta ad avere rispetto ed apprezzamento perché Comunione e liberazione già porta la seconda generazione di giovani italiani verso la cultura, il dialogo, l’amicizia, l’etica della responsabilità. Questo è importante per voi, per il vostro bel Paese, per l’Italia, per un’Europa comune, ma anche per un mondo migliore. Sono qui di nuovo perché sono stato invitato, e di questo ringrazio, ma anche per imparare, per ricevere ispirazione come è accaduto adesso con questa testimonianza dalla Siria di padre Firas. Sono stato qui in veste di Commissario per l’istruzione e la formazione, la cultura e la gioventù. E sono successe tantissime cose da allora, tanti cambiamenti. Adesso mi trovo qui come inviato speciale per la promozione della libertà di religione e di credo al di fuori dell’Unione Europea. Ed è qualcosa di veramente nuovo, forse siamo arrivati un po’ in ritardo, però per lo meno adesso l’Unione Europea ha dato un segnale chiaro sul fatto che la libertà di religione è un valore essenziale e che è importante all’interno e al di fuori di essa.
A Roma, in Vaticano, si è svolta la cerimonia solenne in cui sono stati espressi tutta una serie di pensieri e in cui Papa Francesco ha ricevuto il premio Carlo Magno, come grande europeo, nonostante le sue origini argentine. Penso che questa sia stata una decisione giusta. L’Unione Europea e le sue istituzioni desideravano esprimere non solo un apprezzamento ma anche un impegno ad agire, a fare di più nei confronti della libertà, della dignità umana e della libertà religiosa nel mondo. Perché la dignità umana è il primo valore che ci unisce. Siamo tutti uguali di fronte alla dignità e siamo tutti diversi perché ognuno di noi è originale a suo modo, questo è il principio della creatività e del Creatore. La libertà di ciascuno parte dalla libertà di coscienza, continua con la libertà di pensiero, di credo, di religione, di espressione, la libertà di associazione, la libertà di assemblea. Ed è anche la libertà di cambiare la religione o di non credere. Siamo tutti liberi e dovremo tutti preoccuparci di questo dono. Perché nel mondo di oggi, nel XXI secolo, la libertà religiosa è sottoposta a pressioni notevoli e c’è una tendenza negativa verso una riduzione progressiva di questa libertà. La nostra risposta migliore alla libertà di religione in Europa è occuparcene e far sì che la libertà promuova la dignità umana.
Il mio mandato dura solamente un anno, è all’inizio, l’inizio però è importante proprio per stabilire qual è l’ordine del giorno, le priorità, i rapporti, le azioni e poi per arrivare a costruire una vera agenda per la libertà di religione nel mondo. Vedo diverse priorità nel mondo: la priorità numero uno sta nel Medio Oriente, per diverse ragioni che adesso io andrò ad illustrare, poi sicuramente anche il Sud Est asiatico, poi l’Africa settentrionale e orientale. E poi ci sono diverse priorità di temi perché ci sono diversi modi in cui la libertà viene oppressa o limitata. Ad esempio, nel mondo ci sono regimi totalitari, come abbiamo avuto anche in Europa. Ci sono atti legislativi sulla blasfemia, che spesso vengono utilizzati in modo alterato dalle minoranze. Ci sono Paesi dove ci sono discriminazioni nei rapporti di caste e ci sono regioni in cui le minoranze etniche e religiose soffrono diverse violenze. Sono arrivato qui per dare un contributo al dibattito che si svolge sul tema della speranza nel Medio Oriente, ma che è anche collegato alla speranza dell’Europa per tutti noi. Viviamo in un’epoca in cui possiamo per lo meno dire, a mio avviso, che potremmo chiudere e porre fine al secolo dei lupi, un secolo che è stato così sanguinario con i conflitti mondiali, due guerre mondiali, una guerra fredda, poi sangue sui confini o invenzioni terribili come i gulag, i campi di concentramento, le camere a gas: tutto questo è partito in Europa! Ed è stato anche di fatto il secolo del genocidio.
Recentemente, il Parlamento tedesco ha votato una risoluzione in cui veniva sancito che l’eccidio di massa degli armeni è stato proprio un genocidio, tra il 1915 e il 1916: c’è voluto quindi un secolo, un periodo in cui abbiamo avuto anche i campi di concentramento nazisti. Ci sono stati genocidi in Cambogia, in Rwanda, in Bosnia, e adesso penso che si possa parlare di genocidio di nuovo nel Medio Oriente. Cosa prevarrà dopo tutti questi secoli? Dipende da una risposta relativamente semplice. Saranno il timore e l’indifferenza a prevalere, oppure saranno l’umanità e la solidarietà? Perché i frutti del primo caso sono i crimini contro l’umanità e i frutti del secondo sono invece la pace e la riconciliazione, la stabilità e la prosperità.
Tu sei un bene o sei un problema per me? Questo è un paradigma, una domanda, perché se capiamo la nostra umanità, l’approccio è diverso, se ci dividiamo, ecco che cominciamo con il piede sbagliato. Questa manifestazione a Rimini per decenni è stata una manifestazione di dialogo, di pace, di amicizia e ha fatto crescere una mentalità di speranza. La nostra fonte di speranza è la fede e anche la ragione. Tutti hanno ricevuto questo come un dono. Però bisogna usarlo con responsabilità, perché in questo modo si diventa più forti, non si condivide il timore ma il coraggio, come abbiamo potuto vedere anche nelle parole del nostro fratello ad Aleppo. Come ha detto Roberto, il Medio Oriente è parte di noi, penso che sia una prova che ci fa chiedere cosa deve prevalere nel prossimo secolo. Perché il Medio Oriente è un punto gravitazionale e focale per tutto il resto del mondo. E’ un crocevia di rapporti internazionali e globali, un luogo in cui le nostre culture e le nostre civiltà hanno delle radici, un punto di incontro di tre religioni monoteistiche.
Ieri abbiamo sentito la notizia dell’incontro di due fratelli importanti nella fede, il Patriarca di Roma e il Patriarca di Mosca, Papa Francesco e il Patriarca Kirill. Forse è stato un incontro tardivo, forse avrebbe potuto essere svolto prima: è stato per la prima volta ma è avvenuto ed è stato un incontro per l’impegno a fare qualcosa, ad aiutare, a mostrare ai fratelli e alle sorelle dei passi concreti. Penso che stiamo ancora aspettando, che non stiamo ancora facendo abbastanza per trovare il nostro senso di unione. La fratellanza cristiana è ormai ritardata ed è necessario accelerare il processo: il prossimo passo sarà il riconoscimento e la promozione del fatto di essere tutti figli di Abramo, un dato molto legato alla civilizzazione. Nella Carta universale dei diritti umani, ci sono tantissimi diritti, si potrebbero anche contare, ma ci sono solo due doveri per tutti. Uno di questi è comportarsi in spirito di fratellanza nei confronti dell’altro. E’ sufficiente per equilibrare tutti gli altri diritti.
Quello che vorrei sottolineare qui è ben conosciuto: la verità libera. Dobbiamo conoscere la realtà, i fatti del Medio Oriente perché accettare la pace è la base per la giustizia e la giustizia è la base per la pace e la pace è la base della stabilità e della prosperità. E’ relativamente facile da esprimere ma difficile da raggiungere. Però bisogna lavorare su questo. Ecco perché abbiamo dato sostegno ai negoziati di Ginevra sulla Siria, all’assistenza umanitaria ma anche alle attività militari, specialmente in Iraq dove la coalizione globale assieme alle forze di sicurezza irachene gradualmente sta liberando quei territori dall’Isis. L’eliminazione dell’Isis è ormai una precondizione perché si abbia pace e stabilità in Medio Oriente. I crimini che sono spesso commessi in quelle zone sono veramente gravi, sono crimini di guerra, sono contro l’umanità.
Nel ’48 si tenne la convenzione sul genocidio, adottata dopo la tragica Seconda Guerra Mondiale. Il motto all’epoca era questo: “Mai più! Mai più!”. Però da allora molte volte siamo venuti meno a questa promessa, non l’abbiamo mantenuta. Di recente, è stato pubblicato un libro proprio con questo titolo: Never again!, mai più! Riguarda la risposta legale ad una promessa non mantenuta nel Medio Oriente. Perché, se in precedenza avevamo bisogno di provare i crimini ex-post, adesso è tutto online, gli autori dichiarano le loro ideologie attraverso le immagini, attraverso le trasmissioni, attraverso l’uso dei social media. Quello che è successo là in poco tempo è probabilmente una persecuzione vera e propria dei cristiani. Il Iraq il numero dei cristiani è diminuito, dal 2003, da 1,4 milioni a circa 260.000, stando a certe stime. In Siria, dal 2011, siamo passati da più di 2 milioni a meno di un milione. Le persone sono esposte nelle loro dimore, sono cacciate ed espulse dalle loro case, sono ridotte in schiavitù, uccise oppure torturate, violentate. Queste atrocità di massa, sistematiche, sono state denunciate e definite come genocidio dal Consiglio d’Europa, dal Parlamento Europeo, dal Congresso e dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d’America, dal Parlamento britannico e anche dal Parlamento australiano. Penso che sia giunto il momento di parlarne anche qui in Italia. Dobbiamo dare voce a quelli a cui la voce non è stata più concessa. Abbiamo bisogno che le Nazioni Unite intraprendano delle azioni perché servono azioni più efficaci e costruttive a livello del Consiglio di Sicurezza e della Corte di Giustizia internazionale.
Noi abbiamo un ruolo con molteplici funzioni. Innanzitutto, dobbiamo porre termine alle atrocità, poi aiutare le vittime e infine portare alla giustizia i colpevoli, perché la giustizia è importante. E poi ci sarà il perdono, il perdono ha senso, però i crimini devono essere chiamati per quello che sono, i criminali devono essere messi di fronte alla giustizia dopo un’indagine indipendente e poi arriverà il punto di svolta. Dobbiamo, penso, interrompere questa catena che si ripete di spargimento di sangue, di violenza, di strumentalizzazione e di vendetta. Però dobbiamo innanzitutto fermare quello che sta succedendo in quelle zone del mondo.
Quindi, alla domanda se c’è pace per il Medio Oriente, la nostra risposta penso sia sì; se c’è speranza, sì, la speranza per il Medio Oriente è la nostra speranza. Quante persone 70 anni fa avrebbero detto che l’Europa sarebbe diventata una zona di speranza, dopo così tante guerre sanguinose? Adesso non possiamo neanche immaginare una guerra tra la Francia e la Germania e l’Italia. Questo è stato il sogno, ma anche l’impegno di Schuman, di Adenauer, di De Gasperi. Non avevano più potere, avevano più coraggio, più impegno, fede e ragione per costruire, attraverso passi concreti, una solidarietà, una comunità di pace. Il vicino Oriente è proprio vicino a noi e dovrebbe essere vicino a noi anche a livello mentale, nei nostri cuori. Possiamo dare solo quello che abbiamo. E quindi dobbiamo condividere la speranza europea per dire che è possibile la riconciliazione e per costruire una comunità di persone, di valori, una comunità di regole. E le religioni possono aiutare. Spesso vengono usate in maniera distorta, come è stato anche in Europa in passato molte volte. Il confine non sta tra le culture e le civiltà. Se c’è un confine che divide, potenzialmente si trova tra il nostro cuore e la nostra mente e sta proprio a noi capire cosa vogliamo sostenere. Il confine sta tra il fanatismo e il rispetto per la dignità umana. E nella nostra storia ci sono state così tante fonti e tanti fenomeni di fanatismo di tipo religioso, di tipo ideologico, politico, etnico. Però ci sono stati anche molti casi che hanno offerto ispirazione e responsabilità. Vogliamo promuovere le forze moderate all’interno delle comunità islamiche e abbiamo bisogno di più istruzione, di più dialogo, ma anche di più cooperazione tra culture e tra religioni, perché l’ignoranza è figlia dell’intolleranza.
E vorrei concludere ribadendo un pensiero: la creazione di un Inviato Speciale per la libertà religiosa si è svolta con una cerimonia a Roma. Papa Francesco ha ricevuto questo premio Carlo Magno per tutta una serie di fatti e di idee, fra cui anche la sua visita a Lampedusa e a Lesbo, dove ha accolto molte famiglie. Papa Francesco ci ricorda che Gesù Cristo, anche lui, è stato profugo. Quindi, vorrei esprimere a lui pubblicamente il mio ringraziamento per essere un esempio di ispirazione, per la testimonianza che ci offre. Ho visto le vostre mostre qui al Meeting e per questo voglio anche rendere omaggio alle lotte costruttive di tante italiane e tanti italiani nei confronti di profughi e migranti, per i vostri corridoi umanitari. Sono esempi grandiosi di solidarietà e di umanità.
Cari amici, ci sono due fratelli del male, sono chiamati timore e indifferenza: non dobbiamo avere paura e dobbiamo agire secondo giustizia e secondo umanità. Qui sono stato incoraggiato non solo dagli esempi che ho visto ieri. Ho sentito della conversione di Daniel, dal Brasile, un criminale che si è convertito ed è diventato una personalità grandiosa. San Paolo, che ha deciso di agire per il bene comune, è un esempio grandissimo per tutti noi. Poi c’è il gran rabbino della Croazia, il gran muftì che ha deciso di recarsi nei Paesi islamici per chiedere ai leader islamici di trattare le minoranze con rispetto, così come succede per le minoranze nelle zone cristiane in Europa. Ha voluto chiedere ai leader islamici di comportarsi come Papa Francesco: questa è la grande conferma di una regola preziosa, “fai all’altro quello che vorresti fosse fatto a te”. Spero che questo spirito di Rimini si diffonda non soltanto in Italia ma anche nella comunità internazionale. Grazie e tanti auguri a tutti.

ROBERTO FONTOLAN:
Dopo aver ascoltato Figel, posso dire che abbiamo veramente bisogno di un’Europa così, forse è un po’ tardi ma possiamo cominciare, il nostro desiderio è di poter collaborare con uomini come lei. Grazie di questo discorso e delle cose molto importanti che ha detto, segno di una volontà nuova dell’Europa. Vorrei tornare per pochi istanti a padre Firas, approfitto di questo passaggio per salutare alcuni amici diplomatici che vedo qui, l’ambasciatore dell’Honduras presso la Santa Sede con la sua signora, che ho nominato capo di tutti i volontari del Meeting perché ha curato e promosso la mostra sulla misericordia e da qui la porterà in giro per il mondo. E’ un ringraziamento fuori dal protocollo che desideravo farle. Vedo anche gli amici del Coreis, la comunità religiosa islamica italiana che ci seguono da tanti anni, attraverso la grande attenzione che il presidente Pallavicini ci riserva sempre.
Qualche istante ancora con padre Firas che mi spiegava prima delle qualità del cavallo e del leone: lui è un insieme delle due cose, c’è bisogno di questa tenacia, di questa forza, di questa energia. In questi anni abbiamo invitato tante personalità, figure, testimoni, da queste regioni, da queste terre: lo facciamo con un certo egoismo, perché abbiamo bisogno di sentire persone come lei. La nostra possibilità di aiuto viene solo dopo aver imparato qualcosa e solo dopo l’aiuto che ci date voi, l’aiuto a una pienezza umana, ad una apertura, ad una accoglienza, ad una perseveranza. Abbiamo visto le foto, abbiamo visto che cosa significa vivere lì e vivere lì per gli altri. Ecco, allora, se siamo un po’ egoisti a chiedere continuamente, è perché abbiamo bisogno di sentirvi, di imparare qualcosa da voi, da persone come lei. Ma detto questo, non vogliamo sentirci ingrati, il nostro applauso di prima non era per niente formale ma esprimeva la volontà di essere vicini a voi, a lei, alla Custodia, ai suoi fedeli, alle persone che aiutate e con cui siete tutti i giorni. Come possiamo ricambiare?

FIRAS LUTFI:
Anzitutto, non so se quello che facciamo è per farci vedere, lo facciamo e basta, lo facciamo perché lo sentiamo fare e sentiamo il dovere di farlo e ci sentiamo realizzati così come siamo. La seconda cosa è che è un bene di tanto in tanto tornare in Oriente, perché tutto di là è partito, il sole viene dall’Oriente, questo è il sacro orgoglio che abbiamo. Ma, come Gesù diceva, “a chi è stato dato molto, molto sarà chiesto”. Quindi, se a noi è stata data tutta questa grazia di poter nascere nella Terra Santa, nella terra dei patriarchi, di Abramo, prima di lui di Adamo ed Eva, i nostri progenitori, abbiamo sì una grazia, come si dice, un onore e un onere, l’onore di rimanere, di stare, di vivere, di essere i tesorieri di quel background, di quella grazia e di quel dono, ma anche una grande responsabilità. Bene, come potreste contribuire a tutto quello che avete sentito?
Quando sono arrivato a Rimini il giorno 20, sono stato invitato dagli amici nella piazza di Rimini perché, da quasi due anni, si fa una preghiera lì, la recita del rosario. E poi, se c’è una persona che dà una testimonianza da un contesto di conflitto, la chiamano. Quindi hanno invitato me, che a questi incontri vado non per fare vedere che sono bello e bravo e parlo abbastanza bene l’italiano, ma perché sento che ho una missione. La mia missione per esempio, attualmente, è di aprirvi una finestra sul Medio Oriente, su quello che sta succedendo lì, su quello che i vostri fratelli nell’umanità e nella fede stanno attraversando. Ebbene, il primo contributo che potreste fare lo state già facendo, quello di essere solidali, quello di essere compartecipi del dolore e della sofferenza, primariamente nella preghiera. Io sono persona credente, prima il signor Figel diceva che bisogna rispettare tutti, è chiaro che rispetto anche chi non crede in Dio, però la mia vocazione, la mia gioia nasce dalla mia fede, non posso farne a meno perché mi aiuta anche in quel contesto particolarmente doloroso, sofferente e tragico che vivo. Chiedo ai miei amici dispersi in tutto il mondo di pregare, usando la figura o lo simbologia che san Paolo usa riguardo alla Chiesa, come un unico corpo che ha come capo Cristo, dove però tutti quanti sono membra gli uni degli altri. Se un membro gioisce – e qui faccio il caso di Madre Teresa di Calcutta, che tra qualche giorno diventerà santa -, tutti siamo contenti di avere una nostra sorella, una della nostra carne e delle nostre ossa, che diventa santa, ma tutto il corpo, tutta la Chiesa. E non solo i cristiani sono contenti ma anche i buddhisti, quelli che l’hanno incontrata a Calcutta. E ugualmente, quando un membro di questo unico corpo soffre, tutte le membra soffrono. Quindi, la preghiera è importante, partecipare condividere, sentirsi fratelli e sorelle e aiutare spiritualmente l’uno e l’altro. Poi, ciascuno potrebbe dare il suo contributo per il ruolo che svolge. Io non sono un politico ma con il signor Figel abbiamo scambiato qualche parola riguardo al ruolo che hanno i politici di tutto il mondo. Non facendo una politica di sfruttamento, non facendo una politica di egoistico interesse del proprio Paese e soprattutto non facendo male agli altri, almeno diminuiscono i problemi che ci sono.
Ma anche i giornalisti: facendo una battuta, dico che il ruolo di un giornalista oggi è trasmettere la verità. Quindi, si aiuta trasmettendo la verità su quello che si sta vivendo in Siria, in Medio Oriente, nei posti delicatissimi dove la guerra è anche pericolosa; offrendo una informazione e non una disinformazione, che a volte consiste nell’ingigantire magari un aspetto che non è tanto importante, a scapito di una notizia di non tanto peso che però fa il giro del mondo.
Insomma, la preghiera, l’azione di ciascuno nel ruolo, nella posizione che occupa nella società e, terzo elemento, fondamentale, e anche questo lo fate già, il contributo economico. Se riusciamo a portare avanti il discorso di sostenere quei cristiani, e comunque ogni persona povera che bussa alla nostra porta, abbiamo degli amici, quelli che ci dicono: “guarda che in questa parrocchia abbiamo raccolto tot soldi per voi”. Faccio solo due esempi perché il tema è scottante. Due esempi veri: in una scuola elementare di Grosseto avevo parlato ai ragazzi del problema del conflitto siriano, della sofferenza dei loro coetanei, dei bambini, ecc. Dopo qualche mese torno lì e rimango sbalordito e sorpreso per il gesto che hanno fatto. Mi danno una bustina e dicono: “Padre, questi sono gli aiuti che noi bambini siamo riusciti a raccogliere per i vostri ragazzi della scuola estiva”. Sono gesti fatti di piccoli sacrifici, a volte belli e impressionanti. Che cosa sono questi sacrifici? “Abbiamo rinunciato a mangiare un gelato, abbiamo rinunciato a comprare nuove scarpe, ci accontentiamo delle vecchie, abbiamo rinunciato a fare una gita di un mese, di una settimana, di dieci giorni, ci siamo limitati a farla di tre giorni”. Ecco, questa busta contiene piccole rinunce che vanno indirizzate ai bambini delle Siria. Un secondo esempio e concludo: amici che hanno celebrato il matrimonio hanno già fatto la scelta di non godersi le offerte che si fanno in questa bellissima circostanza ma di dedicarle ai bambini o comunque alle famiglie che soffrono in Siria. Solo un accenno alle tre cose – la preghiera, la fedeltà e la missione nel ruolo che ognuno di noi occupa – che sono segno della generosità fatta concretamente e con il cuore.

ROBERTO FONTOLAN:
Grazie, un secondo ancora per Jàn Figel. Lei è nato in Cecoslovacchia, ha vissuto grandi cambiamenti nella sua vita, vedendo un’Europa che è cambiata radicalmente, ha lavorato molto nelle istituzioni europee: come porta questa nuova responsabilità? Glielo chiedo perché sento che non si tratta solo di un mestiere, un’attività, un impegno politico, ma di un servizio vero e proprio, quasi più importante dei precedenti che ha ricoperto. Mi scusi se lo dico, ma è questo il sentimento che ho dentro.

JÀN FIGEL:
Sì, penso che tutti debbano svolgere il proprio ruolo, la propria missione, che si parli di sacerdoti, insegnanti, medici o politici, a seconda dell’idea abbiamo della vita: se si vive il lavoro come servizio per il bene comune penso che si trovino le risposte giuste. Io mi chiamo Jàn Figel: era anche il nome di mio zio che è stato assassinato dai servizi segreti comunisti della Cecoslovacchia nel ’53: molte persone non potevano rispondere alla domanda di vivere in una Europa di pace, comprese anche le persone della mia famiglia. Mio padre morì prima del crollo del comunismo: voglio dire che quelle persone avrebbero voluto avere i nostri problemi, con l’euro, con l’economia, perché non avevano la libertà, la dignità, non avevano nessuna opportunità. Molte persone scapparono dall’Europa perché c’erano divisioni, persecuzioni; adesso molte persone vengono in Europa, qual è la situazione peggiore per l’Europa? O, sarebbe meglio dire, cos’è meglio per noi? Essere attrattivi oppure essere un luogo in cui si ha paura di vivere? Ho parlato dei gulag, dei confini sanguinari, delle fosse comuni, cose che c’erano vent’anni fa, nell’Europa dei Balcani, non lontano da Rimini. Per me, l’Europa è la madre patria della mia patria, è una casa più grande, ed è diverso essere qui un turista o un cittadino. Io sono un cittadino della nostra Europa, a Rimini. In Europa, perché i turisti vengono e poi se ne vanno, quelli che sentono un’affinità invece si interessano: penso che questo sia veramente il punto principale. Dobbiamo sentire la responsabilità della situazione attuale e del futuro della nostra casa, a Rimini, in Italia, in Europa, e ovviamente poi si continua ad andare avanti.
Non voglio prendere altro tempo però il cristianesimo e lo scetticismo non vanno di pari passo, ci sono tante lezioni da imparare, tante questioni che ci possono ispirare, tanti dati, tante figure a cui ispirarsi. Per ogni leader l’ispirazione è l’elemento principale. E adesso questa cosa sta un po’ mancando, però voglio incoraggiarvi e non fare prediche. Dall’ultima volta che sono stato qui, l’Unione Europea, la nostra Europa, la nostra casa ha attraversato tanti processi critici, è passata da crisi a crisi. C’è stata una crisi professionale dopo l’allargamento, quando la Francia e i Paesi Bassi hanno votato no al nuovo Trattato. Però poi abbiamo fatto un nuovo Trattato e abbiamo avuto un altro nuovo membro, nove anni fa. Poi abbiamo avuto la crisi economica e finanziaria: ne sapete parecchio anche voi di questa, e da allora l’Europa è diventata più forte, più credibile, più stabile, e ci sono ancora più membri nella zona euro.
Adesso c’è la crisi dei attuale dei rifugiati, dei migranti, che è molto più complicata, è molto più sensibile perché non parliamo di beni, non parliamo di denaro o di fattori economici, si parla di essere umani. E penso che adesso la risposta sia ancora più importante e faccia appello all’integrità umana che rispetta e promuove le dimensioni spirituali e culturali di ogni essere umano, ovviamente anche assieme alle necessità materiali, economiche e sociali. Infine, quello che vorrei dire è che il politico di ispirazione più grande per me è stato Robert Schuman: ha lasciato alcuni punti in eredità a tutti noi, innanzitutto l’Europa come portatrice del proprio destino, che significa che l’Europa che è libera, è sovrana, che non è comandata, non è guidata da altri. Poi, secondo punto, l’Europa è leader di umanità, non è soltanto un luogo di umanità ma conduce, porta questa umanità. Terzo punto, l’Europa è la culla della democrazia e la difende, è guardiana della democrazia. Infine, il quarto punto che è importante: l’Europa è un esempio di solidarietà universale, fondamentale per il Medio Oriente, per l’Africa e per tutto il mondo. Spero che siamo abbastanza maturi non solo per parlarne ma anche per mettere in pratica questi punti. Ecco tutto.

ROBERTO FONTOLAN:
Grazie, mi prendo la responsabilità di avere abusato del vostro tempo ma credo che veramente ne sia valsa la pena. Perciò vi auguro buona serata, vi chiedo di lasciare immediatamente la sala perché tra pochissimo qui comincia un altro incontro: mi perdoneranno gli organizzatori e le persone che lavorano qui. Grazie ancora ai nostri ospiti di stasera.

Data

24 Agosto 2016

Ora

17:00

Edizione

2016
Categoria
Incontri