Chi siamo
South working per lo sviluppo responsabile e sostenibile del paese
In diretta su Repubblica TV.
Presentazione della ricerca a cura di Randstad e Fondazione per la Sussidiarietà.
Marco Ceresa, Group Chief Executive Officer Randstad Italia; Mario Mezzanzanica, Professore di Computer Science and Engineering, Università Milano Bicocca; Elena Militello, Presidente Associazione Southworking; Gilberto Pichetto Fratin, Viceministro dello sviluppo economico. Introduce Giorgio Vittadini, Presidente Fondazione per la Sussidiarietà.
La parola “coesione” emerge chiaramente tra gli obiettivi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza creato dal Governo per stimolare la ripresa economica in Italia e per “curare” ciò che la pandemia ha esacerbato in questi anni, ossia il divario di reddito tra Nord e Sud del Paese. In questo contesto quindi le Istituzioni e alcune illuminate imprese stanno lavorando per evitare che, dalla crisi in corso, emergano nuove diseguaglianze e per proteggere il tessuto sociale del Paese. Promuovere la coesione territoriale significa ragionare anche sul futuro del mondo produttivo e sulle nuove modalità di lavoro che – con il supporto della tecnologia – possono diventare una leva strategica per i suddetti obiettivi. In questo contesto, la Fondazione per la Sussidiarietà e Randstad – società leader al mondo nei servizi per le risorse umane – hanno indagato le potenzialità della creazione di “hub di lavoro” nelle zone remote o fragili del Sud Italia in cui le persone, grazie allo smart working, possono offrire le proprie competenze. Si tratta quindi di una nuova opportunità per le imprese che si colloca tra le iniziativi di responsabilità sociale, in contrasto ai fenomeni di emigrazione Nord-Sud e di spopolamento dei borghi, ma anche di sostenibilità e riqualificazione ambientale.
Con il sostegno di Randstad.
SOUTH WORKING PER LO SVILUPPO RESPONSABILE E SOSTENIBILE DEL PAESE
Giorgio Vittadini: “South working per lo sviluppo responsabile e sostenibile del paese”. Questo incontro mette a tema uno dei punti più importanti non solo per il Meeting ma per la gente: la possibilità di lavorare. dopo anni in cui rispetto alle politiche attive del lavoro ha prevalso molte volte l’assistenzialismo, l’intervento semplicemente contro la povertà, giusto, ma che molte volte è stato confuso con l’aiuto del lavoro, vogliamo chiederci dopo la pandemia cosa sta succedendo, cosa sta succedendo soprattutto nell’area più problematica dell’Italia il Sud. Infatti il tema South working significa il lavoro al Sud e riprende il titolo di un’associazione che avrà presente, come vedremo, la sua Presidente per parlare di questo tema. Ma non nasce semplicemente da una riflessione estemporanea, ma da una ricerca da questo tema sul South working, sul lavoro al Sud, condotta da Randstad, una delle più grandi società di lavoro, di intermediazione del lavoro in Italia, e dalla Fondazione Sussidiarietà. Quindi è innanzitutto la presentazione di questa ricerca, la discussione su questo tema. Chi sarà presente, innanzitutto Marco Ceresa, che è un gradito ospite del Meeting già da qualche anno ed è il Group Chief Executive Officer Randstad Italia, quindi il responsabile di tutto ciò che avviene in Italia di Randstad che appunto è la più importante in Italia Società di intermediazione del lavoro, quindi lo ringraziamo per la sua presenza. Poi abbiamo Mario Mezzanzanica, che ha condotto questa ricerca ed è Professore di Computer Science ed Engineering all’Università di Milano Bicocca, poi abbiamo la Presidentessa dell’Associazione South working Elena Militello, e non può mancare come in ogni incontro del Meeting un confronto con l’Istituzione e infatti abbiamo Gilberto Pichetto Fratin, Viceministro dello sviluppo economico. L’incontro comincerà con una presentazione della ricerca da parte del Professor Mezzanzanica e poi una discussione con i nostri ospiti e poi un giro finale di domande sulla base di quello che vi verrà emerso. La parola al professor Mezzanzanica.
Mario Mezzanzanica: Buonasera a tutti e grazie dell’invito. Innanzitutto devo ringraziare sia coloro che hanno dato vita a questa ricerca, e questa ricerca mi permetto di dire che è nata in un incontro con il dottor Ceresa che ci ha raccontato un’esperienza molto bella, che poi magari lui citerà fatta da Randstad ad Aliano proprio a favore dello sviluppo del Sud. Questo lo dico perché le attività di ricerca in Università non nascono solo da alcuni pensieri che noi abbiamo, ma proprio dalla relazione col mondo del lavoro e con le persone che incontriamo quotidianamente, è una grande occasione poi per sollecitare e andare a fondo su alcuni aspetti. Il tema chiaramente è quello di cogliere, come è stato detto da Giorgio Vittadini, di cogliere innanzitutto alcuni aspetti di criticità che forse tante volte sono sottovalutati e dall’altra parte cercare di capire che cosa potrebbe succedere perché le cose cambino. Ed è evidente che noi siamo in un momento molto particolare del mercato del lavoro e più in generale del tema dell’aspetto economico e sociale del nostro paese, sia per la pandemia che è successa e che sta finendo e speriamo tutti che finisca prima possibile, sia per la drammatica guerra in Ucraina che ultimamente, sta dando dei grandissimi problemi a tantissime persone. Questi fenomeni hanno a che fare con un mercato del lavoro che storicamente ha delle criticità. Quali criticità, una particolare: é diffuso mismatch tra domanda e offerta, quindi difficoltà da parte delle aziende di trovare le persone con le qualifiche corrette, con le proprie competenze corrette, piuttosto che persone che svolgono dei lavori che non sono adeguati alle loro competenze. C’è un tema molto critico sull’aspetto salariale, siamo in un paese in cui le dinamiche salariali sono fortemente limitate nel tempo, c’è un tema grosso di difficoltà del lavoro al sud, ci sono tantissimi cosiddetti Neet, persone che non lavorano, non studiano, e quindi sono uno dei punti più critici, soprattutto i giovani al Sud del nostro paese. E dall’altra parte ci troviamo di fronte a una serie di divari sempre più rilevanti tra Nord e Sud del paese. Vorrei mettere in evidenza, da questo punto di vista, tre aspetti. Il primo è legato al tema della demografia e al tema dei flussi migratori, è un fenomeno estremamente rilevante nel nostro paese, che impatta significativamente sulle disparità territoriali e sulla disponibilità effettiva di competenze per le aziende. L’Istat ha elaborato degli studi da questo punto di vista e dei dati estremamente significativi relativi all’invecchiamento, al saldo naturale e al saldo migratorio, sia interno che esterno al paese, ed emerge sostanzialmente, nell’analisi fatta tra al 2030 confrontandolo con il 2020, che ci troveremo di fronte a una riduzione di circa 2.200.000 persone nella classe di età tra i 20 e i 64 anni, e questa è l’intervallo di età che contiene la maggior parte della vita lavorativa di una persona. E, drammaticamente, questa diminuzione prevista per la maggior parte, circa 1.200.000 dei 2.200.000 al Sud del paese. Il secondo aspetto che vorrei mettere in evidenza, e che è strettamente connesso al primo, riguarda la specializzazione territoriale. Siamo in un paese in cui le grandi imprese manifatturiere, quelle dell’informatica, della comunicazione, della finanza si concentrano prevalentemente al Nord, mentre le piccole imprese e i servizi della Pubblica Amministrazione hanno un peso maggiore nel mercato del lavoro del Centro-Sud. E anche questo ha come conseguenza sostanzialmente che, mentre nel Nord esiste una ampia varietà di disponibilità di posti di lavoro e richiesta di competenze, al Sud questo non esiste. Quindi sono mercati che attraggono risorse e forzano, potrei dire così, lo spostamento dal Sud verso il Centro-Nord del paese, soprattutto al Nord. Il terzo aspetto riguarda i livelli differenziati dei redditi da lavoro, dei redditi da lavoro dipendente. Abbiamo elaborato i dati delle Agenzie delle Entrate, messi a disposizione con degli open data a livello comunale, e da lì sostanzialmente emerge che i redditi tra gli 8.800 euro e i 18.800 euro sono prevalentemente concentrati nei comuni del Sud e delle isole, mentre i redditi tra i 18.800 euro e i 52.000 e rotti euro, sono prevalentemente concentrati al Centro-Nord e, soprattutto al Nord del paese. Sono questi tre elementi che generano una situazione che sostanzialmente acuisce le differenze tra i mercati del lavoro di diverse parti del paese, favorisce o forza, in particolare i giovani del Sud, a migrare verso il Centro-Nord. Questo è uno scenario che è presente da diversi anni e che chiede una forte riflessione tra diversi punti di vista. Ed è uno scenario in cui la pandemia si è inserita e ha portato alla ribalta il tema del lavoro remoto nelle sue diverse forme o lavoro agile nelle sue diverse forme. Innanzitutto un telelavoro emergenziale, scoppiato nell’inizio e nel punto centrale della pandemia, che poi sta migrando verso la forma del lavoro agile o dello smart working. É stato per le aziende questo un test forzato che ha portato, nel giro di questi tempi, a un apprendimento significativo da parte delle imprese per capire cosa significa affrontare il tema del lavoro a distanza. E cosa significa, abbiamo visto nella ricerca che abbiamo fatto sia nelle relazioni interne nelle diverse aree organizzative della impresa, sia nelle relazioni che le aziende hanno con i loro clienti o con i loro fornitori. Quello che emerge è che sostanzialmente ogni impresa ha potuto verificare quali sono le migliori condizioni e ci sono diversi scenari nelle diverse tipologie di impresa. Noi abbiamo intervistato prevalentemente aziende di medie e grandi dimensioni che lavorano sia sul territorio nazionale, sia sui territori europei o mondiali da certi punti di vista. Ed è evidente che da lì, da queste imprese stanno nascendo diverse riflessioni sulle forme migliori e sulle professionalità o le aree delle aziende che possono essere coinvolte all’interno di questo lavoro remoto, chiamiamolo così, in termini generali per semplificare. Ciò che è emerso dalla ricerca è che per le imprese questo, nel tempo, diventerà certamente uno strumento di realizzazione delle proprie strategie, di cambio delle proprie strategie ed è interessante osservare, anche, a questo punto, la prospettiva dei lavoratori: che cosa significa per i lavoratori fare il lavoro remoto, cosa significa per le comunità locali sviluppare aree in cui può esistere il lavoro a distanza? Questi sono punti di riflessioni che, con i dati che prima ho citato, certamente hanno molte relazioni. Che cosa è successo durante la pandemia? Poi la collega dell’associazione South working lo potrà anche raccontare per la propria esperienza diretta. È successo, sostanzialmente, che molte persone sono tornate nei luoghi che avevano lasciato per andare a lavorare presso le aziende, le Università e i centri di ricerca, che si trovavano, come dicevo poco fa, al Nord del paese, sono tornati nei propri insediamenti e lì, dopo una prima solitudine nella propria casa, è evidente che molti hanno cercato spazi e costruito spazi, questa è la cosa interessante, di lavoro, nei quali persone che provenivano magari da diverse aziende di telelavoro e quant’altro, potevano avere dei momenti relazionali, dei momenti di confronto, mettendo in evidenza che il lavoro non è solo il fare, lo svolgere il proprio compito, ma che, per lo svolgere il proprio compito al meglio e dare il proprio contributo all’impresa, l’aspetto relazionale è un aspetto estremamente fondamentale. Da questo punto di vista sono nati tanti luoghi di lavoro che favoriscono aspetti relazionali e sociali e nel contempo diventano incubatori di nuove idee imprenditoriali e nuove iniziative professionali. Abbiamo raccolto nella ricerca diverse esperienze di persone che hanno sviluppato queste attività e hanno coinvolto le comunità locali a sostenere lo sviluppo di queste attività o hanno favorito, coinvolto le loro imprese a favorire la creazione di queste opportunità. Sto parlando di comuni di piccole dimensioni che anche per me all’inizio erano assolutamente non noti come Aliano, il Comune di cui sicuramente anche il dottor Ceresa accennerà, Sant’Angelo le Fratte, Castelbuono, Tursi, Licata, nota forse solo per Montalbano, ma esperienze poi anche in centri più significativi come Palermo, Trapani e molte altre. Le cito perché credo sia anche importante cogliere che qualcosa è successo realmente in luoghi forse sostanzialmente dimenticati dal lavoro e queste iniziative sono tese a contrastare da una parte, lo spopolamento, dall’altra parte ad agevolare l’inserimento lavorativo delle persone e, perché no?, a far sì che le imprese sviluppino sempre di più il tema della responsabilità sociale all’interno delle proprie politiche. E vado verso le conclusioni. È evidente che questi tentativi, di cui adesso ha accennato, sono tentativi che nascono dal basso per rispondere a esigenze di singole persone che si sono trovate in un certo istante a lavorare da sole a distanza per la propria impresa. E queste iniziative rispondono a una serie di criticità, come quelle di cui abbiamo parlato. Innanzitutto la valorizzazione dei territori, la capacità di trovare e valorizzare delle competenze mantenendole sul territorio, lo sviluppo sostenibile del mercato del lavoro. Mi permetto di fare questo tipo di osservazione. C’è un fattore che mi sembra estremamente importante mettere in evidenza, servirebbe, credo, un cambio di paradigma. Finora le persone sono andate dalle imprese, forse inizierà una riflessione, occorre che inizi una riflessione seria, in cui le imprese possono andare dalle persone. E, in questo senso, occorre anche tenere presente che la pandemia e le restrizioni del mercato del lavoro di cui abbiamo parlato, hanno mostrato che la concentrazione delle competenze in alcune aree non è perseguibile all’infinito e che molte delle competenze generate dal sistema scolastico e universitario non debbano necessariamente, e a volte non possono o non vogliono, spostarsi per essere impiegate al meglio. Ciò che è nato e ciò che emerge nella ricerca è evidentemente una attenzione, uno sviluppo di natura sussidiaria, una risposta sussidiaria ai problemi del mercato del lavoro, e sono dei tentativi che possono però prefigurare un potenziale sviluppo sul futuro. È chiaro che bisogna consolidare queste esperienze e dall’altra parte cercare di capire come gli strumenti che abbiamo a disposizione, importanti come il PNRR, ad esempio, possono diventare strumenti che facilitano la crescita di un mercato del lavoro che sia capace di valorizzare i territori, che sia capace di aiutare a reperire le migliori competenze che servono per le imprese e quindi partecipare attivamente a uno sviluppo del paese. Grazie.
Giorgio Vittadini: Allora, data questa ricerca, chiediamo alla dottoressa Militello come si inquadra all’interno degli studi del lavoro che fa l’Associazione del South working, che tipo di panorama loro vedono in questa situazione del Sud dopo la pandemia.
Elena Militello: Grazie mille! È un onore, ringrazio per l’invito. Sicuramente mi inserisco nel solco della ricerca del professore e cercherò brevemente di indicare cosa abbiamo inteso in questi due anni e mezzo per South working e perché un po’ è nata South working. Per rispondere a un fenomeno che è nato spontaneamente dal basso, come si diceva, di rientro nei territori di origine di giovani lavoratori e lavoratrici che si erano allontanati, diversi anni prima, per cercare migliori occasioni di studio o di lavoro, quasi costretti, in molti casi, dalla carenza di opportunità nei propri territori, spesso il sud, spesso, si diceva già, le aree interne, quindi in generale le aree marginalizzate del paese. Ma, ancora di più e ancora più in generale, e per questo credo il tema interessi un po’ a tutti in questo paese, anche dall’Italia nei confronti dell’estero, con un aumento delle migrazioni cosiddette intellettuali circa del 142% negli ultimi otto anni, secondo i calcoli della Corte dei conti. In effetti nel momento in cui la pandemia ha colpito la socialità e quindi ha costretto a un confinamento sicuramente fisico, a un distanziamento fisico le persone, tutti coloro che si erano trasferiti per motivi di studio e di lavoro, si sono trovati a domandarsi cosa fare laddove è stata consentita loro la possibilità di lavorare a distanza. Quindi, sicuramente, per una classe di lavoratori e lavoratrici particolarmente fortunati, in qualche modo privilegiati, e che quindi avevano la possibilità di svolgere il loro lavoro a distanza. Si è piombati, da un giorno all’altro, nella situazione del telelavoro emergenziale da casa che è stata prima spiegata, e quindi una situazione a cui molto probabilmente le imprese e le pubbliche amministrazioni non erano pronte. Da un giorno all’altro ci siamo trovati a svolgere da casa quello che prima facevamo al lavoro e per di più in una situazione di isolamento. Questo, dopo il primo lockdown, ha portato molti di questi giovani a rientrare presso i propri territori di origine, oppure a scegliere territori diversi dai quali si desiderava lavorare fintanto che era possibile, e quindi a mettere in discussione in qualche modo anche il modello con cui eravamo cresciuti, fortemente individualistico, finalizzato alla carriera principalmente, andando a ripescare forse delle spinte comunitarie, la voglia di fare qualcosa per la comunità che è emersa prepotentemente proprio nel momento in cui eravamo costretti a stare a casa. E quindi proprio in questo contesto, centinaia, se non poi migliaia di giovani lavoratori e lavoratrici cosiddetti intellettuali, quindi con la possibilità di non dover necessariamente essere sul posto di lavoro al 100% per tutto il periodo lavorativo, e abbiamo iniziato a dare vita a un movimento culturale che poi, grazie alla Fondazione con il Sud, si è trasformata in associazione di promozione sociale, proprio con l’idea di trarre qualcosa di positivo da quel momento tragico che stavamo vivendo ed immaginare un futuro per il post pandemia, che purtroppo non pensavamo sarebbe stato così lontano. E quindi proprio andando a studiare dalla comunità di persone che abbiamo creato le esigenze, le criticità e anche le aspirazioni, abbiamo dato vita a un’ideale di South working che potrebbe risolvere le criticità che sono state rilevate. Un superamento del telelavoro e un passaggio a periodi di lavoro agile, quindi un lavoro per obiettivi, quello che è chiamato smart working nella denominazione del Politecnico di Milano. Veramente passare ad un modello che possa essere cosiddetto win win in cui le diverse parti coinvolte possono trarre dei reciproci vantaggi, sia le aziende in termini di passaggio a un sistema per obiettivi che può migliorare anche la produttività, sia i lavoratori che lo desiderano e che riescono a gestire diversamente il loro tempo e i loro luoghi di vita. Anche un superamento del lavoro da casa, che avevamo vissuto con quella sensazione di isolamento, di effetto grotta è stata chiamata, di doppio, triplo carico di lavoro, soprattutto per i lavoratori che erano anche genitori e soprattutto per le lavoratrici madri. L’idea che abbiamo avanzato è stata proprio questa di investire sui luoghi terzi, sugli spazi di lavoro condiviso, che abbiamo chiamato presidi di comunità, non soltanto coworking privati tradizionalmente intesi, ma anche proprio, sulla spinta di comunità di South worker sui territori, sono nati diversi coworking pubblici in spazi che erano prima inutilizzati del patrimonio storico monumentale, che è così diffuso nei nostri territori, e quindi sale di biblioteche che non erano utilizzate, sale di musei che non erano utilizzate, spazi appartenenti al patrimonio ecclesiastico, ma anche al patrimonio di privati, laddove arrivano i privati. Quindi proprio l’idea che in questi luoghi si possono realizzare dei prerequisiti di base e di socialità, ma anche di una buona connessione ad Internet, stabile, ed anche di raggiungibilità, quindi un’infrastruttura di trasporto che sia quantomeno decente, che permetta di rientrare presso le sedi laddove è necessario anche per incontrare i propri colleghi e o i clienti, ed anche appunto la possibilità di andare a incontrare le comunità locali, quindi l’idea di superare l’isolamento, non soltanto nei confronti di altre persone che come me o come i miei colleghi lavoravamo a distanza, ma anche e soprattutto con le comunità locali, che sono quelle più a rischio di subire i costi della mancata questione e dei divari territoriali. In questi spazi hanno iniziato ad avere luogo e ad essere stimolati incontri proprio con i giovani, con le scuole locali, in generale occasioni di restituzione alla comunità di quanto appreso altrove e in qualche modo, ad esempio, di orientamento, di mentoring, di affiancamento di ragazzi che sono andati via, a ragazzi degli istituti superiori che devono scegliere cosa fare della propria vita. Anche di questo abbiamo visto diverse opportunità, e quindi abbiamo cercato di creare una rete fra tutte queste realtà che esistevano, o che sono nate sia nel Sud, sia nelle aree interne, e dare voce ai rappresentanti di questa comunità di South worker che si è creata cercando di portare questa proposta per come articolata ai diversi livelli istituzionali e quindi avanzare delle proposte di advocacy, di sensibilizzazione delle istituzioni, proprio a queste esigenze, con la missione, che è rimasta fondamentale, di contribuire nel nostro piccolo a migliorare i divari territoriali e quindi ad arrivare un po’ più vicini a quella coesione territoriale di cui parla la nostra Costituzione. Grazie.
Giorgio Vittadini: In questo quadro variegato di luci e ombra, evidentemente per noi che non disdegniamo l’intervento dello Stato, non siamo neoliberisti, è fondamentale capire cosa ha fatto l’Istituzione Pubblica e cosa pensa di fare in funzione dello sviluppo, a lei Viceministro.
Gilberto Pichetto Fratin: Grazie, davvero grazie, io partendo proprio dalle considerazioni del Presidente Vittadini ribalterei la cosa, per fortuna lo Stato ha avuto un salto in avanti nelle competenze forzatamente dovuto alla pandemia, dovuto ad una disgrazia, dovuta a un curatore negativo, ma se solo immaginiamo qual è stato il salto nelle più basse capacità digitali quali possono essere quelle di alcuni di noi e della mia età in particolare, il salto di qualità è stato un recupero di dieci anni di formazione al passo precedente. E questo è, e quindi la risposta ribaltata, in questo caso lo Stato inteso come l’insieme della comunità ha avuto anziché dare. Ma è chiaro che la partita, delicata peraltro in un momento come questo, perché ricordiamo ancorché oggi ci sia scoperto il gas a Cipro e quindi ci siano delle novità di speranza, che comunque sotto l’aspetto produttivo vedremo fra qualche anno, il fatto fondamentale è una presa di coscienza che abbiamo avuto ed è il fondamento anche del PNRR, perché il PNRR ha come missione trasversale Sud, giovani e donne, che sono tre fragilità nazionali: la fragilità territoriale, quindi indicando il territorio, la fragilità dovuta alla storia, ai percorsi, all’istruzione, alla formazione, alla cultura, ai tanti motivi che ci hanno sempre portati ad affrontare la questione una volta chiamando la cassa del Mezzogiorno, una volta limitando il 40% delle risorse del PNRR, e la volta successiva con interventi spot o richiamando grandi opere. Questo è il mettere l’ accento su quelle che sono fragilità, ma mettere l’accento su questo è significato anche nel periodo pandemico il mettere l’accento sul fatto che ha unificato Nord e Sud, e lo dice uno che arriva al profondo Nord, l’avere la rete e non averla, avere la capacità di utilizzo delle moderne tecnologie e non averlo, rendersi conto che siamo piazzati al ventesimo posto scendendo nella classifica dei paesi europei come capacità di dignità, di digitalizzazione. E quando dico questo lo dico sia sul fronte delle imprese sia sul fronte proprio delle singole persone, quindi dove c’è un passaggio fondamentale che riguarda Nord e Sud, riguarda le aree interne, citate prima, e riguarda in particolare tutta la grande area del Sud che ha un basso anche indice di popolazione, tante aree rurali dove l’intervento va fatto. Un amico mi consigliò forse dobbiamo mettere i professori, dobbiamo mettere gli allievi più giovani, più piccoli, ad insegnare ai professori la prima fase di corso e poi ribaltare e andare avanti. Ma certamente c’è un problema di alzare il livello delle competenze che è il primo scalino. L’altro è quello che utilizzando sia i fondi nazionali che quelli del PNRR è quello di creare la rete, perché è inutile che ci riempiamo la bocca con le best practices ma se poi nella vallata della Basilicata vedo un amico Lucano seduto in avanti, nella vallata della Basilicata non mi arriva la rete e non riescono mai, oppure anche nelle vallate del Nord, delle Alpi non riescono neanche a vedere la televisione o a telefonare, di conseguenza è inutile parlare di queste. Quindi il ruolo dello Stato certamente è quello di creare la condizione della rete, di infrastrutture, di creare le condizioni di utilizzo, ma fondamentalmente di far crescere il livello di capacità delle persone. Quindi e la sfida ce l’abbiamo utilizzando i fondi a disposizione nazionali, ma guardate che non è, sotto l’aspetto della formazione pura non è solo una questione di fondi, perché io vorrei, uno dei temi più trattati durante l’importantissimo Meeting di quest’anno è certamente il PNRR e quando si parla di PNRR si parla di 192 miliardi, poi che qualcuno ci aggiunge i 30 miliardi del fondo complementare declinato sulle varie missioni, ma io ci aggiungo i 79 miliardi del fondo sviluppo e coesione di cui l’80% per il Sud, ci aggiungo gli 85 miliardi del quadro di finanza pluriennale, i cosiddetti fondi strutturali ordinari dove c’è tutta la parte di fondo sociale che va alla formazione, essenzialmente legata a formazione e lavoro, cioè abbiamo tutta una serie di programmi, abbiamo oltre 400 miliardi che corrispondono a cinque volte all’attualizzazione del piano Marshall, quello che ha permesso ai nostri nonni di fare dell’Italia il sesto paese mondiale, e vorrei ricordare non è il 40% quello che va al Sud di tutto questo, è più del 50% perché già solo l’FCC sbilancia oltre. Allora la sfida cos’è, la sfida è fare in modo che questa non sia assistenza, che questa sia davvero un investimento così come previsto dagli obiettivi del PNRR al di là delle riprogrammazioni o revisioni che sono termini generali che invece vanno poi valutati puntualmente laddove è possibile intervenire, e fatto questo tipo di valutazione naturalmente accelerare su quella che è la parte di investimento. Investimento significa una serie anche di centro dell’innovazione, e come Ministero dello Sviluppo Economico, noi stiamo investendo moltissimo sia sulle persone con utilizzo di meccanismi di voucher ed altre forme, sia su centri innovativi, su centri di innovation center che devono essere sparsi sul territorio nazionale proprio per accompagnare la crescita, cioè la crescita delle imprese e la crescita delle persone, che non può essere separata è la stessa cosa, se non cresce l’uno non cresce l’altro, e inoltre, e questo lo riferisco solo al Sud dei 44 secondi che ho a disposizione, io dico noi abbiamo sempre pensato agli interventi nelle aree più in difficoltà con la grande impresa che arriva in quel luogo. Oggi stiamo pensando a quella grande impresa che arriva in quel luogo e fa smart working anche col personale. Il termine coworking significa che sta nascendo un nuovo modello di impresa che può nascere dal basso e può nascere su quei territori che è un’impresa dove l’opificio è un qualcosa di diverso da quello che pensavamo e non è la maestranza a distanza della grande impresa. Questa è la sfida che abbiamo e ce l’abbiamo al Sud come su tutte le aree diciamo interne o depresse del Nord. Grazie.
Giorgio Vittadini: Allora contrariamente ai dibattiti in cui alla fine almeno del primo giro in generale si lascia sempre il politico in questo caso lasciamo il Dottor Ceresa, perché essendo uno che si muove sulle politiche attive del lavoro partendo dalla ricerca, dalla situazione generale, anche da quello che fa l’Ente Pubblico, gli chiediamo, una domanda da cinque minuti, che speranze abbiamo per il lavoro al Sud?
Marco Ceresa: Le speranze sono grandi, però voglio un po’ raccontare la storia di Aliano, perché tutto è nato un giorno ero in mensa a Milano e avevo una collega che veniva da un paese della Sardegna, poi vicino c’era una collega che veniva da Soverato, che è in Calabria, e poi c’era un’altra collega che veniva invece dalla Sicilia. E allora a tutti loro ho chiesto: “ma come mai siete qui a lavorare?” “perché qui ci sono tante opportunità”. Però una era in Randstad da vent’anni, quell’altra da quindici anni e quell’altra da dieci anni, per cui in realtà di opportunità hanno trovato solo quella della Randstad. Dopo qualche giorno sono andato su invito del mio amico Mario ad Aliano, perché era il suo paese natale, e tra me e me ho detto: “Vabbè Mario è diventato un bel dirigente della Bosch per cui proprio stupido non doveva essere, anche in un paese come Aliano non nascono personaggi diciamo come si dice una volta: tutti lazzaroni, tutti incompetenti. E allora sono andato ad Aliano a fare un momento di orientamento per i giovani e ho visto, ho incontrato dei ragazzi, ma poi il sindaco di Aliano, Luigi che è qui presente, mi dice il problema è riuscire a trattenere le persone qui ad Aliano perché qui c’è poco lavoro e soprattutto chi studia, chi va all’università e così via. Allora tornando a Milano mi è successo che il giorno stesso si è dimessa una persona perché voleva tornare a vivere a Bari, in Puglia, perché aveva voglia di tornare verso casa. Allora mettendo assieme tutte queste cose ho detto: “dai, proviamo ad aprire ad Aliano un ufficio così diamo del lavoro a qualcuno che può vivere, costruire la sua vita ad Aliano”. E lì è partito subito il gufo, cioè quello che dice: no, Aliano non troverai mai nessuno, non ci sarà la connessione tecnologica, disastro. Per cui prendo la nostra Direttrice delle risorse umane, va ad Aliano, incontra un po’ di persone, noi dovevamo assumere in realtà due persone, torna indietro e mi dice: “eh, c’è un po’ l’imbarazzo della scelta perché ho incontrato persone valide.” “Vabbè, dai, prendiamo le prime due”. Poi mando il geometra e il geometra torna a casa e mi dice: “Ho trovato un ufficio, a metro quadrato è il più basso che c’è in Italia come costo, per cui molto interessante”. Mando quello dell’informatica e mi dice: “Ma, io non lo so, c’è una linea che è più veloce di quella che abbiamo a Milano”. Infatti poi chiamo il sindaco, dico: “Sindaco si assicuri che non c’è qualche trucco”, “Non ho fatto mettere la banda larga e così via”. Per cui c’erano tutti i motivi per poter partire ad Aliano con un ufficio. Questo l’abbiamo fatto due anni fa credo, dopo due anni, messi a posto gli uffici, trovati gli uffici, vado dal responsabile della funzione di amministrazione del personale e chiedo: “Ma come vanno i ragazzi di Aliano?”. Contentissimo, per cui dico che adesso ne dobbiamo assumere altri quattro, per cui adesso dovremmo andare ad assumere altre persone, e il risultato di tutto ciò per me è stato molto positivo e non riesco a trovare un motivo per cui non dovremmo fare un’altra Aliano, magari nel Sud. Uno perché è difficile trovare persone al Nord, c’è molta domanda per cui è difficile avere una realtà stabile, una struttura stabile, due perché le persone che abbiamo incontrato ad Aliano, magari saremo stati particolarmente fortunati, ma sono molto brave, loro sono contente di stare lì per cui diciamo vogliamo riuscire a convincere dei nostri clienti a far fare la loro amministrazione del personale da persone giù di Aliano, perché vogliamo specializzarle proprio nell’amministrazione del personale, poi andremo a trovare un altro paese nel Sud dove magari lì specializzeremo qualcuno in contabilità o magari qualcun altro in informatica. Cioè dobbiamo riuscire a portare delle persone lì. Tutti hanno fatto il loro compito, spesso si parla male del governo, dei politici e così via, però ci sono anche lì degli importanti aiuti affinché le persone possano formarsi e soprattutto hanno un costo del lavoro che è anche inferiore al costo del lavoro che c’è in altri paesi del Nord. L’importante è non essere troppo ingordi cioè volere risparmiare su tutto e pensare che non ci sia potenziale per cui quello che dovremmo fare è riuscire a far fare anche a loro la carriera, affinché un domani questi giovani di Aliano non debbano fare come Mario, che è dovuto andare prima a Torino poi a Milano a trovare un buon lavoro, ma possono svolgere un buon lavoro anche in quel di Aliano. Questo è quello che abbiamo fatto. Per quanto riguarda le politiche attive è vero, il governo, i politici ci possono aiutare, ma soprattutto quello che abbiamo bisogno è che noi aziende ci si dia da fare ad orientare le persone a iniziare loro al lavoro tramite un buon lavoro, a formarle e a dar fiducia ai giovani o anche ai meno giovani che abbiano voglia di lavorare. e questo è quello che noi di Randstad facciamo quotidianamente per cui non riesco a trovare una cosa negativa rispetto a questo esperimento che abbiamo fatto ad Aliano.
Giorgio Vittadini: Allora mi sembra che il quadro sia esauriente, allora arriviamo alla lampada di Aladino, cioè l’ultimo intervento è voi avete a disposizione uno strumento che ritenete fondamentale, la pistola fumante per far partire qualcosa, cosa fareste? Diciamolo a Mezzanzanica.
Mario Mezzanzanica: Bisognerebbe cominciare veramente a pensare che il lavoro è una grande opportunità per le persone e quindi che oggi sono scarse all’interno di tantissime aree aziendali e che necessitano invece di crescere e quindi da questo punto di vista il capitale umano è il fattore fondamentale per lo sviluppo, e il capitale umano bisogna riuscire a valorizzarlo e non semplicemente a portarlo, pensando al Sud, da un’altra parte per valorizzarlo. La valorizzazione del capitale umano è un fattore che sta di per sé, non ha bisogno di essere estrapolato da dov’è per essere valorizzato, ha bisogno proprio di una coscienza chiara che questo è un fattore fondamentale di sviluppo, è il fattore primario dello sviluppo.
Giorgio Vittadini: Prego.
Elena Militello: Sicuramente partirei come primo strumento dall’incentivo alla creazione di nuovi presidi di comunità per i territori in cui non ci siano privati disposti ad investire quindi in cui vi sia un fallimento del mercato e in cui non vi siano spontaneamente dei sindaci che mettono a disposizione parti del proprio patrimonio veramente di grandissima rilevanza culturale che abbiamo. Per superare quello che avevo detto prima e andare a chiedere un po’ di più forse il secondo requisito fondamentale è proprio quello dei trasporti, perché chi rientra al Sud molto spesso si scontra con una realtà che sicuramente non è idilliaca e questo siamo tutti consapevoli altrimenti non faremmo questa scelta di South working, però allo stesso tempo che richiede una manutenzione che non è stato possibile ricevere direttamente per tutti i territori dai fondi del PNRR e che sicuramente dovrà essere la priorità delle Amministrazioni regionali e locali del Sud e delle aree interne a partire dalle ferrovie ma anche le strade secondarie e anche le strade primarie a dire il vero, proprio perché chi rientra in questo tipo di territori molto spesso mantiene quella voglia di mobilità, quella voglia di curiosità anche di spostarsi non necessariamente rientrare in un piccolo paese o nella propria periferia e rimanere lì 365 giorni l’anno, e quindi è fondamentale per poter lottare contro lo spopolamento che affligge questi territori e quindi questi flussi migratori solo in uscita, consentire, mettere in condizione le persone di usufruire di infrastrutture sicuramente di connettività ma anche appunto di trasporto e infrastrutture sociali, che permettano di godere del luogo in cui si sceglie di vivere, però allo stesso tempo di mantenere una mente aperta e uno stile di vita che sia compatibile con quanto abbiamo studiato, con il modo in cui siamo cresciuti e soprattutto con l’ambiente, quindi con il futuro dei nostri territori.
Gilberto Pichetto Fratin: Io prima ho parlato di infrastrutture quindi di necessità di avere la rete certamente vale la considerazione fatta anche delle infrastrutture fisiche che su alcuni territori continuano a mancare, ma io credo che noi da un giorno all’altro non riusciamo a fare la rivoluzione, peraltro poi col caldo che c’è fuori la rivoluzione non so se funzionerebbe ma certamente noi possiamo investire proprio partendo dal basso, e partendo dal basso io dico partendo dagli asili nido proprio, e quando dico partire dagli asili nido vuol dire anche rispetto al Governo di cui faccio parte, se dobbiamo mettere attenzione al PNRR forse è il caso meno mattone e più asilo, perché è interessantissimo costruire nuovi edifici dove ci si impiega anni, ma forse in un paese che ha la popolazione che decresce poi qualcuno dice critica il Governo, no in un Governo di coalizione, di grande coalizione di salute pubblica unità nazionale un colpo cerchio e un colpo alla botte quindi non voglio fare la critica, voglio dire stiamo attenti che noi dobbiamo porre l’attenzione forte sul capitale umano, sulle persone, sulla crescita, sulla formazione, perché se siamo in fondo alla classifica è perché non abbiamo né i soggetti formati né i formatori ed è questa la sfida che prima di tutto dobbiamo vincere, poi è chiaro che questo è il presupposto, prima devo saper andare in bicicletta, poi posso fare la corsa, correre alla corsa, quella per amatori probabilmente, quella cicloturistica, ma il passaggio fondamentale è questo, devo in qualche modo far crescere il capitale umano e dare una motivazione, dare una volontà di fare, ed è la sfida di tutti non è solo la sfida del Pubblico, dello Stato perché è una sfida culturale che devono avere tutti i soggetti che si sentono investiti di un ruolo di indirizzo di rappresentanza pubblica.
Marco Ceresa: Io penso prima di tutto che bisogna avere bene in mente che c’è una differenza tra chi ha delle idee e chi poi fa, e a noi in Randstad piace avere sempre delle persone che facciano. Per cui bisogna poi riuscire ad essere ottimisti e se qualcuno fa e sbaglia non è un problema, ma non bisogna mai cadere invece nel tranello di pensare: “ehi tu hai sbagliato per cui in qualche maniera devi essere punito o devi essere deriso”. E devo dire che ho trovato, qui parlo di Aliano, perché siamo qui a parlare di Aliano, ho trovato invece ad Aliano questa grande capacità di fare. Cioè c’è bisogno delle linee veloci, ok abbiamo le linee veloci, c’è bisogno dell’ufficio, ok c’è bisogno dell’ufficio. Forse giustamente quello che dobbiamo fare adesso è una scuola che sia più moderna, per cui fare in modo che anziché studiare magari i faraoni e non so che cosa, magari studiare qualche cosa che è più pratico, più vicino alla realtà. Certo magari far capire, diciamo dal ‘900 in avanti cosa è successo nella storia, ma non andare troppo indietro, per cui bisogna in qualche maniera investire sulla scuola. E questo credo che sia un sogno che noi in Randstad abbiamo che però dobbiamo riuscire a tradurre in realtà, cioè stare vicino alle scuole affinché le persone riescano ad essere formate per riuscire a dare al nostro paese un futuro. L’altra cosa importantissima è fare in modo che in questo paese nascano più bambini. Io son terrorizzato dal fatto che tra trent’anni in Italia non nasceranno più di 200.000 bambini, e con 200.000 bambini non vai da nessuna parte, perciò bisognerà fare qualche cosa per riuscire o a far venire qua delle persone oppure incentivare le famiglie a fare i bambini.
Giorgio Vittadini: Trentasei anni fa lavoravamo sulla legge De Vito che era una legge in qualche modo interessante e che si connette a quello di cui abbiamo parlato ieri sera, perché invece di essere il grande piano di sviluppo del Sud che se ha funzionato nella prima parte fino al 1970, creando effettivamente lavoro, dal 1970, un po’ da quando sono nate le regioni, ha creato tanti soldi, simili all’acquedotto pugliese che ormai sapete spreca il 60% dell’acqua, si mette l’acqua ma poi va sotto. Invece quella legge aveva l’idea di partire dal basso, di individuare quelli capaci di costruire qualcosa di nuovo, con un limite però che se tu anche fai quello che fai, quello che diceva adesso il dottor Ceresa ma non hai le idee, hai l’ascissa ma non l’ordinata, come se hai le idee hai l’ordinata ma non l’ascissa, devi costruire avendo dei punti che aiuti, ma avendo anche l’idea di dove vai a aiutare questi punti. Io penso che una ricerca come quella che è partita e una un’associazione che lavora in questo e la collaborazione tra pubblico e privato abbiano questo scopo far nascere dei punti che già sono occupazione, che già sono sviluppo, che già sono punti che vanno avanti, ma dargli quelle infrastrutture, quelle possibilità, quell’acqua in cui possano nuotare, quei punti che, perché è un’impresa che nasce al Sud deve avere un mercato, deve avere delle condizioni nell’acquisto delle materie prime, deve avere una formazione di persone capaci di andare avanti. Questi due aspetti sono quelli fondamentali. Da questo punto di vista più che un ministero che pensa dall’alto qualcosa, e come è arrivato anche negli ultimi anni un po’ inconcludente, perché magari fa grandi convegni ma poi non rimane nulla, quello che c’è bisogno è di una community di persone pubbliche e private che fanno questo lavoro assieme. Fanno crescere certe realtà ma nello stesso tempo riflettono su quello che sta capitando che non può non avere a che fare con lo sviluppo mondiale, Pensate per esempio, qui veramente andiamo su altri punti che sono stati trattati in altri momenti del Meeting come nel talk di ieri sera, alle possibilità del lavoro al Sud che danno le nuove rotte, l’allargamento di Suez, l’investimento sui porti, l’investimento sulle infrastrutture che finalmente si vuole cominciare a fare, si diceva ieri sera che il PNRR prevede un’enorme investimento sul ferro, sullo spostamento delle merci dalla gomma al ferro, un potenziamento dei porti, tutto questo è lavoro e ha bisogno di chi fa ma ha bisogno di chi ha le idee. Quindi l’auspicio che viene anche da questo incontro, di questa community, di questo lavoro insieme, che simbolicamente oggi ha a questo tavolo un Professore, un’Associazione che è sul territorio, un Viceministro e l’Amministratore Delegato della più importante impresa di intermediazione possano lavorare insieme non solo al Meeting. Quindi questo è semplicemente il calcio d’inizio. Grazie.