SOSTENIBILITÀ SOCIALE: PER UN’AGRICOLTURA RESPONSABILE, IN GRADO DI RISPONDERE ALLE NUOVE ESIGENZE DELL’UOMO E DELLE COMUNITÀ

Sostenibilità sociale: per un'agricoltura responsabile, in grado di rispondere alle nuove esigenze dell'uomo e della comunità

Sostenibilità sociale: per un’agricoltura responsabile, in grado di rispondere alle nuove esigenze dell’uomo e delle comunità

Workshop in collaborazione con Confagricoltura. Partecipano: Lucia Briamonte, Ricercatrice di Inea (Istituto Nazionale di Economia Agraria); Raffaele Cirone, Presidente della Federazione Apicoltori Italiani; Maria Trinidad Collalto, Azienda Agricola Borgoluce; Marco Bernardo di Stefano, Presidente di Rete Fattorie Sociali; Aurelio Ferrazza, Azienda Agricola Il Casale di Martignano; Danilo Giovanni Festa, Direttore Generale per il Terzo Settore e le Formazioni Sociali del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali; Massimo Fiorio, Vice Presidente della Commissione Agricoltura della Camera dei Deputati; Ezio Veggia, Vice Presidente di Confagricoltura. Introduce Mario Benedetto, Direttore Area Comunicazione di Confagricoltura.

 

MARIO BENEDETTO:
Buon pomeriggio a tutti e ben trovati. L’appuntamento di oggi fa seguito a un percorso che Confagricoltura ha avviato ormai da tempo e che ha visto protagonisti Confagricoltura stessa e il Meeting lo scorso anno, in una circostanza che ha visto nuovamente al centro la sostenibilità di un dibattito che ha avuto un seguito importante ed è per questo che siamo qui a riprendere le fila e fare un punto su questo percorso. Un percorso che nasce dalla volontà forte di Confagricoltura di mettere al centro dell’attività a livello confederale e anche valorizzare le attività delle imprese associate che riguardano la sostenibilità ambientale e sociale. Una sostenibilità che fa rima con produttività. La prerogativa è quella di produrre in maniera sostenibile ma tenendo conto ovviamente dei criteri economici. Alla luce dell’EXPO, è una sfida che si è fatta sempre più importante, si è fatta crescente, si è fatta incombente, ed è per questo che l’incontro di oggi è dedicato come vedete alla sostenibilità sociale, quindi a un’agricoltura che sia responsabile e che parli di esigenze dell’uomo, delle comunità e che metta quindi al centro l’uomo senza dimenticare il criterio produttivo. È nato da questa forte volontà della Confederazione un progetto che si chiama Ecocloud, che è stato presentato lo scorso anno e ha avuto come seguito la scrittura, la nascita, il pensare insieme alle imprese un manifesto che è stato recentemente presentato, che stila una serie di criteri ai quali le aziende si devono attenere per comportarsi, produrre e per formare in maniera sostenibile. Oggi siamo qui con protagonisti del tessuto imprenditoriale, il tessuto sociale, il tessuto istituzionale, per dire cosa significa sostenibilità sociale e in che direzione va. La direzione tracciata nel solco della tradizione ma che guarda fortemente a un’innovazione che ha come partenza, ma anche come arrivo, per certi versi, l’appuntamento di EXPO. Faccio questa introduzione anche a nome del Presidente Guidi che non può essere presente per impegni di carattere istituzionale, e di conseguenza inizierei rispettando il programma che ci siamo dati e cercando ovviamente di stare nei tempi. Partirei passando la parola a Lucia Briamonte, che è una delle ricercatrici dell’Inea e ci parlerà di sostenibilità come responsabilità sociale ed impresa nel sistema agroalimentare, quindi, cosa significa essere sostenibili e comportarsi in maniera sostenibile. Grazie.

LUCIA BRIAMONTE:
Un veloce ma sentito ringraziamento a Confagricoltura per aver organizzato questo evento e per averci invitato come Inea a parlare di responsabilità sociale ed impresa nell’agroalimentare. Un tema che mi sta molto a cuore, di cui mi occupo per l’Inea da diversi anni, dal 2006, quando il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali ci chiese di inquadrare che cosa significa responsabilità sociale per l’Agroalimentare. Ammetto che è un tema abbastanza particolare, anche difficoltoso: le tre parole, responsabilità sociale ed impresa, creano problemi a non pochi, nel senso che spesso si confonde con l’agricoltura sociale di cui si parlerà dopo. La difficoltà si ha anche per il fatto che non c’è stata una definizione univoca, ufficiale, se non nel 2001. Questa che vedete alla mia destra è la definizione che venne proposta dalla Commissione Europea nel primo Libro verde sul promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese. Vi ho messo a confronto le due definizioni, quella del 2001 e quella del 2011. L’ultima comunicazione è della Commissione, quindi passano dieci anni in cui cambiano diverse cose, in cui ci sono diverse esperienze, in cui sia il mondo imprenditoriale che il mondo istituzionale si rende consapevole di cosa significa responsabilità sociale per le imprese, in particolar modo per l’Agroalimentare. Passano tanti anni, tante esperienze a livello istituzionale, a livello di OCSE, a livello di Global Compact delle Nazioni Unite, il consumatore diventa sempre più sensibile a questi temi: la responsabilità, con la nuova definizione data dalla comunicazione del 2011 della Commissione Europea, cerca di semplificare la prima definizione. Riguarda in qualche modo l’impegno che le imprese devono assumere e che va oltre gli obblighi di legge. Uno non è socialmente responsabile perché adempie a tutte le normative, a tutti gli obblighi di legge. La responsabilità sociale inizia quando io ho adempiuto a tutta la normativa, a tutto ciò che il mio settore produttivo prevede. Le due definizioni hanno in qualche modo degli elementi in comune che molto velocemente vi elenco. Innanzitutto, la volontarietà, ed è stata forse una delle motivazioni per cui la responsabilità sociale, soprattutto nei primi anni, non ha tanto preso piede. Non può essere sicuramente uno standard, una certificazione, quindi è un fatto lasciato alla volontà dell’imprenditore e delle istituzioni, tanto che nel 2010, con l’approvazione delle ISO 26000, che per la prima volta non sono una norma di certificazione ma è proprio una linea guida sulla responsabilità sociale, si parla di responsabilità sociale delle organizzazioni. La stessa Commissione, nella comunicazione del 2011, parla di impatto, cioè di compito dell’impresa nel preservare l’ambiente, nel preservare la comunità sociale in cui opera. Quindi, teniamo conto che alla base della responsabilità sociale c’è il triplice approccio: l’aspetto economico, l’aspetto sociale e l’aspetto ambientale. Lo vedremo meglio dopo.
Ognuno, insomma, deve fare la sua parte. Le imprese ma anche le istituzioni. A me piace anche dirlo in termini un po’ più concreti, con una frase di uno dei casi studi che seguimmo nei primi anni in cui abbiamo iniziato ad occuparci di responsabilità sociale. Il nostro capolavoro non è il prodotto, la cui qualità e salubrità, essendo qualcosa che ingeriamo, deve essere garantita, ma è come l’abbiamo ottenuto. Cioè, l’attenzione cresce soprattutto sulla modalità di ottenimento del prodotto, quindi la sfida dell’agricoltura, ma di tutto il mondo produttivo, è proprio la modalità con cui i prodotti vengono ottenuti. Quindi, maggiore cibo, nel caso dell’agricoltura, ma con meno spreco di risorse naturali, meno utilizzo di prodotti chimici, più attenzione alle risorse umane che si hanno all’interno, meno impatto sulla sostenibilità socio-ambientale. Perché negli anni la responsabilità sociale è diventata così importante molto velocemente? Sicuramente, la globalizzazione dei mercati, la maggiore attenzione per i diritti umani, gli scandali, i fallimenti: pensate a tutte le crisi che ci sono state a livello economico ma nell’agroalimentare. Di conseguenza, la maggiore sensibilità da parte del consumatore nel cosiddetto consumo critico. Il consumatore è attento a quello che va a richiedere.
Dal punto di vista invece microeconomico, diversi sono i moventi che in qualche modo spingono le singole imprese a occuparsi di responsabilità sociale, a seguire un percorso di responsabilità sociale. Cosa che, come vedremo subito dopo, nell’agroalimentare spesso si fa. Ma lo si fa in modo consapevole, quindi sicuramente il primo passo è rendere consapevoli gli imprenditori che determinate azioni che stanno facendo rientrano nell’ambito della responsabilità sociale: si va dalla reputazione, dal rafforzamento dell’immagine, alle buone relazioni sia con la pubblica amministrazione che con tutti gli attori del territorio in cui si opera, al maggior senso di appartenenza dei lavoratori, di tutte le risorse umane che operano nell’azienda. La responsabilità sociale, anche nell’ultima comunicazione della Commissione, sicuramente è un elemento di competitività che riesce a coniugare produttività e sostenibilità. E sicuramente, il settore agricolo per le sue specificità è un luogo privilegiato pe favorire l’adozione di scelte, di comportamenti, di approcci alla responsabilità sociale. Quello che probabilmente ancora non è chiaro è come comportarsi, come agire, e quali sono le azioni che rientrano nella responsabilità sociale. Quello che è chiaro è che sicuramente il sistema agroalimentare ha un ruolo centrale nella società nel creare valore, perché, nel caso della responsabilità sociale, si parla di creazione di valore e non di puro profitto. Ma anche perché ha una serie di influenze per la salute pubblica, il benessere e la qualità della vita, lo sviluppo economico, la biodiversità. Quindi, il rafforzamento di un approccio alla responsabilità sociale per tutti i problemi legati all’alimentazione, per la crisi di fiducia dei consumatori e per la maggiore sensibilità al prodotto che si va a utilizzare è diventato sempre più importante. Le imprese agricole in qualche modo già svolgono, anche se inconsapevolmente, azioni di responsabilità sociale e proprio perché svolgono, oltre alla funzione economico-produttiva, una serie di altre funzioni di salvaguardia dell’ambiente, di valorizzazione degli spazi rurali, di valorizzazione delle tradizioni, e via di seguito.
Abbiamo detto che la responsabilità sociale è un fatto volontario, quindi non può essere uno standard, non c’è un disciplinare da seguire per cui bisogna fare prima una cosa e poi l’altra, e poi l’altra ancora. Una delle difficoltà è proprio capire che cosa sta dentro. Io ho provato a mettere qui una serie di azioni che possono rientrare nella responsabilità sociale, alcune delle quali sono presenti anche nella road map per la sostenibilità presentata agli Stati Generali della Green Economy. Ve li lascio tra i materiali, non ve li sto a elencare, ma sicuramente molte di queste azioni vengono portate avanti dalle imprese agricole. Alla luce di questo, l’Inea, su richiesta del Ministero delle Politiche Agricole, dal 2006 ha iniziato questa attività sulla responsabilità sociale, cercando innanzitutto di capire che cosa significava per l’agroalimentare e quindi cercando negli anni di promuovere e diffondere la cultura di responsabilità sociale attraverso la propria attività. L’istituto Nazionale di Economia è un ente pubblico di ricerca, fa attività di studio, di assistenza tecnica e di promozione e divulgazione delle attività che segue. Il primo passo è stato mettere a punto delle linee guida di settore per capire che cosa stava dentro e cosa stava fuori dalla responsabilità sociale nel sistema agroalimentare. Linee guide che sono accompagnate da casi aziendali, quindi da degli esempi concreti di aziende che già, anche in modo inconsapevole, hanno avviato un percorso di responsabilità sociale. Non sono linee guida calate dall’alto ma linee guida che abbiamo messo a punto con un approccio partecipato. Negli anni, abbiamo fatto una serie di approfondimenti tematici sul tema, stiamo portando avanti delle attività dedicate, seguendo da vicino anche le attività delle aziende.
Vi parlerò molto velocemente del primo laboratorio sulla responsabilità sociale che è nato in Basilicata. Solo per dirvi che vi rimando alle linee guida sia per quanto riguarda la griglia di autodiagnosi, che è una griglia di valutazione con cui le aziende possono valutare il loro percorso di responsabilità sociale, e le aree che secondo noi possono sviluppare azioni di responsabilità sociale e quindi il territorio inteso come comunità territoriale, non tanto come luogo geografico. L’ambiente, il prodotto, le risorse umane, è il triplice approccio che sta alla base della responsabilità sociale. La responsabilità sociale ha alla base la creazione di valore condiviso, non tanto di profitto. Quindi, un’impresa che va in questa direzione sicuramente ha garanzia di successo duraturo sul mercato. Sono molte le imprese che hanno intrapreso percorsi di responsabilità sociale, qui vi sono tutta una serie di iniziative che stanno valorizzando questo tipo di approccio. L’Inea partecipa a molte di queste iniziative, al punto di contatto nazionale per le linee guida dell’OCSE sulla responsabilità sociale presso il Ministero dello Sviluppo Economico. La Commissione Europea ha richiesto un piano di azione sulla responsabilità sociale a tutti i suoi Stati membri, responsabilità sociale e diritti umani. L’Italia ha prodotto il primo Piano di Azione sulla responsabilità sociale e c’è stato anche un incontro con la Commissione Europea, lo scorso anno, per presentarlo con quattro Stati membri che sono venuti ad ascoltare il percorso che come Italia avevamo fatto. E’ stato redatto anche un Piano di Azione sui diritti umani. Partecipiamo al Piano Interministeriale dei Diritti Umani, al Global Compact delle Nazioni Unite, il Ministero degli Esteri ha chiesto di presentare le linee guida di settore sulla responsabilità sociale.
Cito velocemente due attività che in questo momento stiamo facendo e poi chiudo. Un progetto interregionale, che mi sembra importante citare, e il laboratorio sulla responsabilità sociale. Velocemente, il progetto interregionale: per la prima volta si sono messe insieme sedici Regioni, tre Ministeri, il Ministero del Lavoro, il Ministero dello Sviluppo Economico, il Ministero delle Politiche Agricole e Inea per cercare un linguaggio e un percorso comune nell’ottica della responsabilità sociale. Questo gruppo ha in qualche modo un duplice obiettivo. Da un lato, aumentare la diffusione dell’approccio alla responsabilità sociale per le imprese, quindi renderle consapevoli del percorso che fanno e che possono fare. E dall’altro, avviare un approccio formativo, culturale, anche per la stessa Pubblica Amministrazione che in qualche modo abbia una sensibilità nel premiare le azioni che in quest’ottica vengono portate avanti. Molto velocemente, un’iniziativa che stiamo facendo attualmente in Basilicata è questo primo laboratorio sulla responsabilità sociale d’impresa. Ha cercato di valorizzare quello che in quell’area, in quest’ottica, c’era già, quindi di sfruttare le potenzialità per uno sviluppo sostenibile di quel territorio. Laboratorio perché permette dialogo, coinvolgimento, collaborazione: e infatti tra i risultati, io li ho divisi in prodotti tangibili e intangibili, secondo me il risultato per eccellenza è il Piano di Azione che definisco dinamico sulla responsabilità sociale. Ma il vero risultato sono i risultati intangibili: dal momento iniziale in cui le imprese in qualche modo non sapevano che cosa gli stavamo proponendo, a cosa andavano incontro, all’entusiasmo poi nell’impegnarsi in questo tipo di azioni. Ovviamente, quanto detto sulla responsabilità sociale è assolutamente in linea con gli obiettivi di Europa 2020 e gli obiettivi inseriti nei Piani di Azione Regionale. Grazie.

MARIO BENEDETTO:
Ringraziamo Lucia Briamonte anche per lo sprint finale, per venirci incontro e per le cose molto interessanti. Grazie mille. Parliamo di sostenibilità, esiste quindi una sostenibilità sociale. C’è quindi anche un’agricoltura sociale, chiaramente, che praticando la sostenibilità ha diversi spunti da fornire. La parola a Marco Bernardo Di Stefano, che ci parlerà per l’appunto di agricoltura sociale. Cos’è? E cosa fa? Grazie.

MARCO BERNARDO DI STEFANO:
Buonasera, sono Marco Di Stefano, Presidente della Rete Fattorie Sociali. La Rete Fattorie Sociali è una rete in cui le principali organizzazioni agricole, le associazioni di consumatori e le associazioni di familiari di persone con disagio si sono riunite per promuovere l’agricoltura sociale in Italia. Che cos’è l’agricoltura sociale? Ora vi mostrerò il filmato di una delle tante fattorie sociali che ci sono in Italia: mi aiuterà a spiegare meglio di che cosa stiamo parlando. Se fosse possibile mandare il filmato, per favore…

Video

MARCO BERNARDO DI STEFANO:
Ecco, questa è l’agricoltura sociale, questa è una delle fattorie sociali che ci sono in Italia, più avanti ci saranno altre testimonianze. In questo caso, nella fattoria vengono occupati ed ospitati i ragazzi disabili e I pazienti psichiatrici, in altri casi persone che hanno altro tipo di disagio: persone vittime della tratta, ex detenuti, persone che hanno avuto problemi di tossicodipendenza o altro. La rete fattorie sociali in questi anni si è occupata di promuovere l’agricoltura sociale e di far sì che acquistasse una rilevanza anche normativa a livello nazionale: la legge nazionale sull’agricoltura sociale è stata votata presso la Camera dei Deputati il 15 luglio, quindi è una cosa molto recente. Come Presidente della rete, devo dire che la Commissiona Agricoltura della Camera dei Deputati ha sempre prestato grande attenzione agli operatori di questo mondo, per cui la legge che è stata votata alla Camera non è un vestito calato dall’alto ma è frutto di un confronto costante per arrivare effettivamente ad avere una norma che potesse essere di sostegno e che permettesse lo sviluppo dell’agricoltura sociale.
Ora, nel prosieguo del mio intervento, evidenzierò, i punti più importanti di questa legge che è stata approvata alla Camera. Ecco, fino a qualche giorno fa, se avessimo parlato di agricoltura sociale ci sarebbero state una serie di definizioni tutte vere. Ora, esistendo una legge nazionale, c’è una definizione univoca per cui andiamo verso un’omogeneizzazione di quella che è la definizione di agricoltura sociale. Le foto che vedete nelle slide sono foto di fattorie sociali che ci sono in varie parti d’Italia. Di che cosa si parla quando si parla di agricoltura sociale? Allora, si parla di agricoltura, si parla di multifunzionalità delle imprese agricole finalizzate allo sviluppo di interventi e di servizi sociali, socio-sanitari, educativi e di inserimento socio-lavorativo. Io chiaramente tratterò solo le cose salienti, non è possibile in questa sede entrare nel dettaglio della norma. Ai fini della presente legge, per agricoltura sociale si intendono le attività esercitate dagli imprenditori agricoli, in forma singola o associata “e dalle cooperative sociali” con determinati requisiti che vedremo successivamente. Che cosa svolgono le fattorie sociali? Svolgono attività di inserimento socio-lavorativo. E qui c’è un passaggio importante: per chi conosce l’argomento delle cooperative sociali oggi, le categorie che vengono considerate svantaggiate per quanto riguarda le cooperative sociali sono individuate dalla legge 8 novembre del 1991 n. 381: la commissione agricoltura ha ritenuto di ampliare il numero di soggetti che possono essere considerati svantaggiati e quindi fa riferimento anche al regolamento comunitario 800/2008. In questo periodo di crisi, in particolare alcune categorie che qualche anno fa non necessariamente venivano considerate svantaggiate, oggi è più evidente che lo siano. Pensiamo che un signore di mezza età che perda il lavoro oggi vive una situazione di disagio che magari non immaginavamo potesse vivere qualche anno fa. E così via, tante altre situazioni che la crisi naturalmente ha fatto emergere. Svolgono prestazioni di attività sociali e di servizio per le comunità locali: tra queste attività in particolare si fa riferimento all’accoglienza dei bambini in età prescolare, quindi agri-nido ed agri-asilo, asili che sono presenti nelle aree rurali. Immaginate che spesso le signore che magari lavorano in campagna hanno degli orari che non sono compatibili con gli asili comunali.
Quindi, il fatto di fare degli agri-asili nelle zone rurali permette magari alle signore che hanno orari di lavoro particolari di poter affidare i propri bimbi. Poi, accoglienza e soggiorno di persone in difficoltà sociale fisica e psichica. Inoltre, che cosa svolgono le fattorie sociali? Prestazioni e servizi che affiancano e supportano le terapie mediche e psicologiche riabilitative, anche attraverso l’ausilio di animali e la coltivazione delle piante. Quello che viene normalmente chiamato ippoterapia, pet-therapy, orto-terapia e via dicendo, rientrano fra le attività dell’agricoltura sociale. E ognuno di voi avrà avuto occasione nel tempo di leggere o di vedere che risultati eccezionali si ottengano nel rapporto con gli animali.
Quello che dico sempre, al di là dei trattati clinici, è che ognuno di noi, se passa una giornata a contatto con un animale, sicuramente è più sereno, si è svagato e gli ha fatto bene. Quindi immaginate per una persona che magari ha maggiori difficoltà l’emozione di essere su un cavallo e poter decidere lui in che direzione andare. E’ qualche cosa di sconvolgente in positivo, per chi non aveva avuto prima l’occasione di provare questo tipo di esperienza. Progetti finalizzati all’educazione ambientale, alimentare ed alla salvaguardia della bio-diversità. Si prevede poi che, con un decreto del Ministero, vengano definiti i requisiti minimi e le modalità relative alle attività suddette. Noi abbiamo l’onore, la gioia di aver questo pomeriggio con noi il Vicepresidente della Commissione Agricoltura, l’On. Fiorio, che ci ha seguito moltissimo nella stesura del testo, ha ascoltato spesso le nostre istanze. Onorevole, relativamente a questo punto ti pregherei di continuare a starci vicino e, nel momento in cui dovrà essere prodotto il decreto ministeriale, di assisterci per far sì che effettivamente tenga conto di tutte le istanze che nel tempo abbiamo avuto modo di rappresentare alla Commissione. Questo è un punto molto importante soprattutto per gli addetti ai lavori.
Le attività di cui alle lettere precedenti, esercitate dall’imprenditore agricolo, costituiscono attività connesse ai sensi dell’articolo 2335 del Codice Civile. Per i non addetti ai lavori, probabilmente è una notizia che induce sonnolenza, però diciamo che per gli addetti ai lavori il fatto che le attività di agricoltura sociale siano considerate connesse di fatto è una cosa molto importante perché, se non fosse stato così, ci saremmo trovati nella situazione in cui qualcuno sarebbe dovuto venire col cronometro a misurare il tempo che lo psicologo passava con un paziente psichiatrico piuttosto che a misurare il tempo che ci voleva per svolgere determinate attività o a stabilire se assistere una persona – parlo ad esempio di un educatore che raccoglie le olive con i ragazzi – sia un servizio sociale o agricoltura. Vi immaginate che complicazione di applicazioni avrebbe avuto? Questo articolo risolve tutti quanti questi problemi e quindi un’impresa agricola che svolge un determinato tipo di attività è attività connessa di diritto. Gli altri soggetti che possono svolgere attività di agricoltura sociale sono le cooperative sociali. In questo momento nella norma suona un passaggio un pochino articolato nell’applicazione, che speriamo possa essere semplificato. Si parla di una prevalenza di fatturato per la cooperativa sociale che è operatore di agricoltura sociale. Inoltre, queste attività possono essere svolte in collaborazione tra le imprese agricole, le cooperative sociali, le associazioni di promozione sociale, i soggetti di cui all’articolo 1 comma 5 della Legge 328, che sono una serie di soggetti che possono svolgere attività sociali di varia natura.
Ci sono poi una serie di articoli che sono più di carattere tecnico. Questo è un passaggio importante: gli operatori dell’agricoltura sociale possono costituire organizzazioni di produttori. Che cosa sono le organizzazioni di produttori? Sono organizzazioni caldeggiate dall’Unione Europea, nelle quali gli operatori di un determinato settore, che può essere l’ortofrutta piuttosto che un altro, si mettono insieme perché unendosi hanno una maggiore capacità di penetrazione del mercato, riescono a ottimizzare in meglio i costi. E noi abbiamo proposto, e la Commissione ha accolto, che potesse essere costituita un’organizzazione di produttori di agricoltura sociale. Per favorire l’aggregazione, ci auguriamo che possano essere individuati parametri che rendano più facile l’accesso alla costituzione dell’OP. Oggi l’asticella è un po’ alta, bisogna avere un fatturato molto alto, bisogna essere tanti associati, ecc. L’agricoltura sociale non è ancora sviluppata come la zootecnia o l’ortofrutta, che sono attività che hanno una storia molto più lunga. Ci auguriamo che sia possibile prevedere di avere un’asticella un pochino più bassa, per permettere di partire con le organizzazioni dei produttori. Questo è un passaggio importantissimo: fondamentalmente dice che i fabbricati agricoli possono essere utilizzati per sviluppare attività di agricoltura sociale in varie parti d’Italia. Nel tempo, mi era capitato di assistere imprese agricole che si sono trovate nella seguente situazione: andavano nel Comune di riferimento chiedendo di poter realizzare un centro diurno, un centro di formazione o qualcosa che fosse comunque collegato, una casa famiglia all’interno di un fabbricato agricolo; e si vedevano negato il diritto perché il fabbricato era a destinazione di uso agricolo e quindi non poteva essere utilizzato per altri scopi.
Quindi, un ostacolo enorme. La norma risolve questo problema e questo è un passaggio veramente molto, molto importante per gli operatori. Gli interventi di sostegno: investire in agricoltura sociale per il pubblico è un risparmio, perché un paziente psichiatrico in un centro diurno costa 80 € al giorno. Quella persona non solo ha una rivoluzione positiva pazzesca nella sua vita, perché a un certo punto scopre di saper fare delle cose e viene pagato per farle, anche la famiglia ha un miglioramento incredibile perché chiaramente una persona più serena dentro casa migliora la serenità di tutta la famiglia. Ma è anche fonte di grande risparmio per il pubblico perché, se una persona che ha bisogno di un certo tipo di assistenza, attraverso un percorso, riesce a diventare autosufficiente, riesce a diventare lavoratore, non costa allo Stato. Noi abbiamo delle esperienze bellissime di ragazzi che hanno iniziato un percorso all’interno di una fattoria sociale e sono arrivati a un punto tale che hanno poi potuto aprire una propria fattoria sociale. Quindi, a loro volta sono diventati non solo autonomi ma addirittura datori di lavoro, perché avevano bisogno di sbloccarsi, di risolvere qualcosa che impediva loro di essere autonomi, avevano bisogno di qualcuno che li aiutasse a fare questo e in mezzo alla natura, nel lavoro agricolo, si ottengono risultati che in altri settori sono assolutamente insperati. Quindi, investire in agricoltura sociale è motivo di risparmio, perché si risparmia su tante altre voci. La norma prevede che per esempio le mense scolastiche e ospedaliere, ove possibile, prevedano dei punteggi per favorire la parte di fattorie sociali, perché ogni anno in Italia si spendono centinaia di milioni di euro di alimentari. Pensate se, senza spendere una lira in più, questi soldi venissero destinati a progetti di inclusione lavorativa. Senza spendere una lira in più si otterrebbero dei risultati incredibili.
Poi, valorizzazione dei prodotti provenienti dall’agricoltura sociale nelle aree pubbliche o nei mercati: si prevede l’alienazione dei beni demaniali e l’assegnazione dei terreni confiscati alla malavita organizzata. E’ previsto che le Regioni promuovano i distretti di partenariato tra i soggetti interessati alla realizzazione di programmi di agricoltura sociale: è anche questo un passaggio molto importante perché si crea attivazione sul territorio. E un altro passaggio molto importante è la creazione dell’Osservatorio sull’agricoltura sociale. Oggi succede che magari vari settori della Pubblica Amministrazione riconoscano la bontà dell’agricoltura sociale, ma si muovono autonomamente, quindi non sempre si interfacciano tra loro: non camminano con lo stesso passo oppure non adottano gli stessi parametri. Il fatto di creare un Osservatorio di coordinamento ha lo scopo di far sì che tutto il settore, tutta la Pubblica Amministrazione si muova seguendo la stessa rotta, adottando gli stessi criteri e quindi evitando che ci siano situazioni di conflitto tra le varie disposizioni normative. Ho concluso, era l’ultima slide. Grazie mille!

MARIO BENEDETTO:
Purtroppo c’è la variabile tempo, perché come avete visto sono dei temi interessantissimi, oltre che affascinanti, di grande concretezza e veramente di grande aiuto, per chi ha dei disagi ma anche perché, come diceva il Presidente De Stefano, hanno delle ricadute, gli economisti austriaci direbbero “inintenzionali”, sulla collettività. Passando alle case-histories, quindi alle aziende che sposano e mettono in pratica questi criteri, questa sostenibilità che stiamo imparando a conoscere meglio, partirei con Raffaele Cirone, che è Presidente della Federazione Apicoltori Italiani e ci anticipava, prima di iniziare, il discorso sui percorsi formativi in apicoltura per detenuti che, devo dire, è particolarmente interessante. Gli cedo subito la parola, cercando sempre di stare dentro i 10 minuti. Poi vedremo di fare un altro giro di interventi.

RAFFAELE CIRONE:
Grazie. Se di un merito possiamo parlare per raccontarvi di cosa siamo stati capaci di organizzare noi apicoltori all’interno della Pubblica Amministrazione, ed in particolare utilizzando quella filiera zootecnica che viene detta “minore”, perché all’interno del mondo agricolo questa è l’apicoltura rispetto a tutto il resto, è quello di aver messo attorno a un tavolo l’Unione Europea da una parte e, a casa nostra, il Ministero delle Politiche Agricole e il Ministero della Giustizia, in particolare il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, per proporre dei percorsi formativi utilizzando l’ape all’interno della cinta muraria.
Prima di entrare all’interno di questo percorso formativo, vorrei dirvi qualcosa di riferimento, a proposito di quello che l’apicoltura è e vale in Italia rispetto alle principali e grandi produzioni. Diciamo che è uno di quei settori che, come si dice a Roma, “ce la battiamo” discretamente bene. Rispetto a tutti gli altri Paesi dell’Unione Europea, siamo collocati al 3°, 4° posto, 1.100.000 alveari, 75.000 apicolture, sicuramente la migliore produzione di miele su scala internazionale, se non altro per quanto riguarda la qualità. L’indice di professionalità in Italia è molto elevato, le attrezzature di equipaggiamento di questa filiera specifica che è l’allevamento delle api fanno scuola al mondo, dove vengono addirittura esportate un po’ ovunque sul pianeta. E dunque noi, all’interno della cinta muraria, abbiamo proposto ai Ministeri, utilizzando uno strumento che è un regolamento comunitario specificamente assegnato all’incremento produttivo dei percorsi formativi per i detenuti a fine pena, una sorta di percorso premiale per chi domani, scontata la pena, si trovasse nella necessità di un reintegro nel sociale. E questo è quello che ci troviamo a fare ormai da 16 anni a questa parte, all’interno di qualcosa come 40 istituti penitenziari. Perché è corretto chiamarli così, detto “carcere” non piace.
E portiamo dunque gli alveari, vi assicuriamo che è qualcosa di abbastanza problematico, ed inizia quel momento di incontro, un po’ come quando i bambini aprono i pacchi, con i materiali di base per svolgere questo allevamento all’interno della struttura penitenziaria. Questi sono detenuti, una piccola specifica: non li vediamo in faccia perché è vietato. Quindi, il Ministero ci ha concesso l’utilizzo di queste immagini ma con determinate procedure autorizzative. Dunque, arrivano le api, si popolano gli alveari, voi non potete immaginare cosa significa per un recluso partecipare a quella che prima era “l’ora d’aria” e adesso è diventata “l’ora d’ape”. Aspettano con grande, grandissimo interesse, con una motivazione che noi in 15 anni abbiamo potuto verificare con un incremento crescente di attenzione e di impegno e anche poi di recupero, perché è di questo che stiamo parlando. Qui vedete all’interno di una cella si scorge giusto in alto a sinistra quella che è un’inferriata, di fatto un laboratorio allestito con attrezzature minimali, semplificate al massimo, ma comunque efficiente di tutto punto, capace di dar luogo, una volta realizzato tutto il percorso produttivo – i corsi di formazione di cui vi sto parlando iniziano in primavera e finiscono alla fine dell’estate -, a piccoli telai ormai fatti favi pieni di miele, pronti per essere centrifugati, con il miele che spilla, altro momento di grande entusiasmo, perché in quel momento il recluso si rende conto, avendo avuto cura delle api lungo il percorso formativo di mesi che ha fatto, che qualcosa è successo, ha rubato fiori oltre le mura! Qui siamo sempre all’interno del piccolo laboratorio allestito, ecco, questa è un’idea di quello che poi l’apicoltura in realtà conta. Voi immaginate che in Italia la nostra produzione lorda vendibile vale qualcosa come – parlo di miele, polline, pappa reale, tutte le cose che gli apicultori mettono insieme – forse 25, 30 milioni di euro di fatturato, un’inezia rispetto alle grandi filiere zootecniche e alle grandi produzioni agricole e alle grandi economie agricole. Però, ecco il però, l’apicoltura significa impollinazione: in agricoltura i colleghi sanno quanto è importante questo lavoro che l’ape svolge, non solo oltre le cinta murarie ma addirittura in ambiente agricolo, nell’ambiente in generale. Quindi, il valore che noi incrementiamo ogni anno all’interno del mondo agricolo supera i 2,5 miliardi di euro, in Europa raggiunge i 250 miliardi. In sostanza, l’agricoltura produce di più grazie all’intervento impollinatore delle api.
Ecco, qui vedete degli esempi di quello che poi è successo con gli anni: e cioè dall’interno siamo arrivati all’esterno, perché le cinta murarie non erano più in grado di contenere la dimensione produttiva che si era andata man mano incrementando e dunque ci sono state le autorizzazioni specifiche per 1) spostare gli alveari oltre la cinta muraria; 2) concedere ad alcuni apicoltori più meritevoli, che sempre detenuti erano, di oltrepassare questo confine. Perché facciamo vedere questa isola di Pianosa? Giusto per ricordare che il nostro progetto nasce proprio lì. Nel 1996, la Direzione del carcere di massima sicurezza – allora a Pianosa si scontava il 41 bis e quindi ergastolo, mafia, reati pesanti – ci chiama perché alcuni alveari stavano “sbandando”, diceva il direttore. Noi siamo andati lì a dare uno sguardo e a cercare di rimediare. Rimediare a Pianosa ha significato incontrarsi con questi calibri del regime penitenziario, che sono qui mimetizzati da tute di apicoltori, che comunque avevano grandissimo piacere di fare insieme a noi quello che poi il Ministero della Giustizia ci ha riconosciuto come un merito e encomiabile, al punto da assegnarci un progetto che è partito nel 2000 e che ancora oggi dura, cofinanziato dall’Unione Europea e dagli altri due Ministeri di cui vi parlavo.
Una curiosità che cito per il mondo agricolo, anche per i cittadini del Meeting, è che in Italia i tenimenti agricoli dell’amministrazione penitenziaria a volte raggiungono dimensioni veramente molto, molto ragguardevoli. Parliamo di aziende che hanno a disposizione migliaia e migliaia di ettari e non è che si faccia solamente allevamento delle api ma addirittura vera e propria zootecnia, se non produzioni specializzate come, in questo caso, serre destinate ad ortofrutta e immancabilmente impollinate dalle api. Gli istituti penitenziari coinvolti: nel 2000, quando abbiamo siglato la convenzione con il Ministero di Giustizia, Politiche Agricole, d’accordo con l’Unione Europea, erano 10 le carceri, meglio, gli istituti penitenziari. Quest’anno sono diventati 39 un po’ in tutta Italia, fanno eccezione solamente le regioni – perdonate se le definisco tali – minori, come Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige e Valle d’Aosta. Cosa curiosa ma non sorprendente, per noi addetti ai lavori, è che all’interno del grande alveare recluso che la federazione apicoltori ha messo in piedi nel sistema penitenziario, 10 anni fa a malapena raggiungevamo la produzione di 3.000 kg di miele. Siamo arrivati a 7.500 kg di miele, non è poco, e soprattutto – cosa curiosa cui ho accennato prima che ci trovassimo qui al tavolo del convegno – addirittura l’amministrazione penitenziaria ha fatto la vendita diretta o attraverso i mercatini di Natale o in altre occasioni durante l’anno, e addirittura uno su tre ha un sito dedicato. E quando si vende un chilo di miele prodotto dentro le mura, tutto torna all’erario, quindi è l’erario che incassa quei soldi.
Poi ci sono dei casi molto particolari all’interno della case-history, come in questo caso: ci troviamo in Molise, dove dall’allevamento delle api siamo passati alla piccola falegnameria autorizzata dall’amministrazione penitenziaria. In sostanza, dentro la cinta muraria fanno gli alveari che poi gli apicoltori liberi e civili, fuori dalla cinta muraria, comprano come fossero produzioni ottenute normalmente. Il ruolo che abbiamo avuto nel promuovere tutto questo come un percorso di riscatto sociale pensiamo sia importante, anche perché antesignano di quella che oggi vediamo finalmente conclamata come l’agricoltura sociale che, con il vostro permesso, noi definiamo apicoltura sociale. Un altro dato, e sono davvero in conclusione: gli apicoltori formati vanno a batterie di circa 500 l’anno: dall’inizio del progetto fanno un esercito apistico di circa 3.500 apicoltori, per avere un’idea, come se fosse la più grande associazione di apicoltori che abbiamo in Italia perché equivale a quanti apicoltori ci sono nella sola provincia di Bolzano, dove 3.300 apicoltori ci danno il piacere della “melinda”, ogni volta che mangiamo una mela. Questo abbiamo potuto verificare, ma ce lo dicono i feedback che raccogliamo dentro la struttura penitenziaria, ce lo dicono gli educatori: l’apicoltura, come un po’ tutti gli allevamenti animali, si presta non poco per far percepire al recluso cosa significa quel senso particolare della speranza che nella periferia del mondo, quale il carcere certamente è, necessita per poter sopravvivere in condizioni a volte non così particolarmente romantiche o bucoliche come quelle delle grandi aziende agricole penali che qui vediamo ancora fotografate. E dunque, fare apicoltura significa sicuramente stimolare e responsabilizzare i reclusi in un processo di rieducazione che poi noi abbiamo visto, quando in particolare questi “fine-pena”, come li chiamano nel gergo carcerario, tornano in libertà e gran parte di loro, essendo stranieri, tornano a casa propria, nei paesi dell’Est europeo in particolare, avere quel titolo che noi rilasciamo di formazione in apicoltura equivale a dire che si trova la certezza di un reintegro sociale. Dico una cosa in conclusione, quanto è importante l’impatto e agricolo e ambientale che questo progetto ha conseguito negli anni, perché siamo arrivati a coprire di sola superficie agricola 7.000 ettari di tenimenti agricoli appunto penitenziari, ma un’area impollinata da questo grande numero di alveari che abbiamo messo in attività in produzione che è pari a 35.000 ettari. Quindi, un habitat davvero straordinario ed esteso. Non ho altro da aggiungere se non ringraziare Confagricoltura che da una nostra organizzazione di riferimento ci ha consentito oggi di portare qui questa esperienza, ma soprattutto collocarla in questa magnifica vetrina che è il Meeting di Rimini.

MARIO BENEDETTO:
Grazie molte anche a Raffaele Cirone. Veramente anche questo è un intervento molto interessante, anche puntuale, quindi veramente grazie e davvero complimenti per il lavoro che fate. Andando avanti, parlerei di reintegrazione del sociale di minori ed adulti: ce ne parlerà Aurelio Ferrazza dell’azienda Il Casale di Martignano, per approfondire il tema reinserimento e reintegrazione. Grazie.

AURELIO FERRAZZA:
Buonasera a tutti. Mi associo anch’io ai ringraziamenti per questo bellissimo convegno. Ringrazio Confagricoltura di avermi dato la possibilità di venire qua a descrivere un po’ quello che si svolge all’interno della mia azienda. Forse per introdurre il mio intervento potrebbe essere interessante vedere le immagini del TGR. Proseguo dopo. Il sonoro lo faccio io.

Video

AURELIO FERRAZZA:
Ecco, il mio intervento vorrebbe in qualche maniera affrontare il discorso dell’attività sociale all’interno di un’azienda agricola dal punto di vista dell’imprenditore, perché abbiamo visto bellissime opportunità che offre l’azienda agricola in diversi casi e soprattutto in certi tipi di necessità di riabilitazione. Il punto di vista dell’imprenditore è ovviamente, secondo il mio punto di vista, l’anello più debole di tutta la catena, e la nostra scelta, dico nostra perché l’azienda la conduco insieme a mio fratello, è stata abbastanza facile per il fatto che abbiamo un’esperienza di disabilità psicofisica in famiglia, anche piuttosto grave, per cui per noi il discorso sociale è abbastanza conosciuto. E infatti l’intenzione mia e di mio fratello era riuscire a rendere fruibile e utile anche per nostra sorella l’attività agricola che svolgevamo: per questo volevamo impostare immediatamente un’attività di tipo fattoria sociale all’interno della nostra azienda. Fortunatamente ho conosciuto all’interno della famiglia Confagricoltura Marco di Stefano, che mi ha preceduto nell’intervento e che un’esperienza del genere l’aveva già avuta, come ha avuto modo di raccontarvi. Ci siamo resi conto che non è una cosa così semplice improntare un’attività così complessa all’interno di un’azienda agricola che, anche se multifunzionale, sociale ancora non è. E abbiamo cominciato così a partecipare ad un progetto del Comune di Roma che prevedeva coinvolte la Rete delle Fattorie Sociali, l’Associazione Oasi, come avete potuto vedere dal servizio e aziende agricole. Per questo motivo, il progetto cercava aziende agricole che fossero multifunzionali e la nostra azienda agricola lo era: facciamo attività di agriturismo, abbiamo attività di allevamento di suini allo stato brado, di pecore, abbiamo attività di trasformazione interna, quindi un caseificio aziendale e un salumificio aziendale, un orto e anche la trasformazione in azienda.
Poi abbiamo il contatto con il pubblico, essendo agriturismo, abbiamo una spiaggia sul lago, quindi anche attività molto più semplici, anche se ovviamente correlate all’attività agricola e quindi la nostra azienda è stata in qualche maniera scelta per collaborare a questo progetto. I risultati che ho visto sono stati assolutamente superiori a quelli che potevo immaginare, considerate che i ragazzi che sono stati coinvolti in questo progetto erano minori presi proprio dalla strada, perché erano stati intercettati da centri di aggregazione del Comune di Roma: ragazzi che durante la loro giornata non facevano praticamente nulla venivano coinvolti in queste attività dal centro di aggregazione e poi nulla più. Immaginate che questi due ragazzi che inizialmente venivano accompagnati dai loro collaboratori in azienda, nella prima fase che c’è stata di sperimentazione, di orientamento al lavoro, dove abbiamo fatto provare a questi ragazzi tutte le attività che svolgevamo all’interno dell’azienda, abbiamo fatto con loro un contratto di tirocinio. E sono stati in grado per sei mesi di venire tre volte a settimana. Ora, per chi non conosce Roma è un po’ complicato spiegarlo, ma comunque vivevano in un luogo esattamente all’opposto di dove è collocata l’azienda, quindi si svegliavano alle 6 del mattino, prendevano l’autobus, prendevano la metropolitana, scendevano all’ultima fermata della metropolitana, prendevano un trenino, scendevano all’ultima fermata del trenino a nord di Roma, prendevano una navetta che passava una volta sì e una volta no, genericamente ogni ora, e si facevano, se per caso non venivano intercettati da nessuno di noi, io o mio fratello o qualcuno che veniva a lavorare in azienda, fino a 3 km a piedi per venire in azienda e per volgere il loro lavoro.
Questo per dire quanto un’attività agricola ovviamente seguita, filtrata per certe tipologie di persone, possa contribuire a migliorare e a motivare persone con anche grossi problemi. Accanto a questa esperienza che abbiamo avuto con questa associazione Oasi del Comune di Roma, abbiamo coinvolto nelle nostre attività lavorative anche un’associazione di ragazzi africani, provenienti dall’esperienza di Rosarno, notissima e tristissima esperienza, che erano venuti a Roma e si sono aggregati per fare dello yogurt. Era un’attività che sapevano fare e inizialmente la facevano dentro casa, utilizzando le borse dell’acqua calda per mantenere a temperatura il latte, e vendevano questo yogurt casa per casa, finché ad un certo punto sono stati fermati ed è stato detto loro che se avessero proseguito così nessuno avrebbe più comprato da loro, ovviamente per motivi igienico-sanitari. Allora abbiamo fatto questo accordo: noi abbiamo messo a disposizione il nostro caseificio, loro, la loro capacità lavorativa e commerciale. Abbiamo fatto un vero e proprio accordo imprenditoriale, per cui loro producono yogurt e ci aiutano a produrre i nostri prodotti orticoli, noi mettiamo le nostre capacità e le nostre macchine a disposizione e loro la distribuzione dei prodotti dell’azienda in tutta Roma.
Anche questa è stata un’esperienza enorme, che mi ha fatto convincere sempre di più di quanto possa essere economico e vantaggioso per la società il coinvolgimento e la rieducazione di certi tipi di disabilità. Ho avuto modo di parlare con tantissimi operatori del sociale i quali mi hanno descritto i costi, un po’ quelli che aveva accennato precedentemente Marco di Stefano, che la società per riabilitare persone e magari, dopo percorsi lunghissimi e con scarsissimi risultati. Per la mia piccolissima esperienza, ho avuto modo di vedere quanto il risultato invece ci sia stato e in che brevità di tempo, per questo come al solito coinvolgiamo la politica nelle nostre conclusioni. Mi auguro proprio che oltre a questa nuova normativa che c’è stata sulle fattorie sociali, come per l’agricoltura si riesca a riappropriarsi di tutta la tematica ambientale, perché l’agricoltura in Italia è quella che ha plasmato l’ambiente, così che anche il sociale veda l’agricoltura come soggetto fondamentale per la rieducazione di diverse disabilità. Grazie.

MARIO BENEDETTO:
Grazie ad Aurelio Ferrazza, che ci ha ricordato il rapporto un po’ intimo tra agricoltura e ambiente, agricoltura e socialità. Dall’idea tradizionale del focolare, ci proiettiamo verso un futuro più innovativo ma tenendo sempre conto di questo legame molto, molto forte. Passerei dunque all’ultima tesi da analizzare oggi, che riguarda l’azienda Borgoluce e darei la parola alla dottoressa Maria Trinidad Collalto per parlarcene. Grazie.

MARIA TRINIDAD COLLALTO:
Buongiorno, sono veramente contenta di essere qui oggi e ringrazio per questo invito che mi dà l’opportunità di parlare dopo che sono stati toccati dei temi così importanti e con delle testimonianze altrettanto importanti. Se possono partire le immagini…
Io parto da un presupposto diverso, il sociale per noi è basato su un’attività agricola molto complessa ed è indirizzato ad un pubblico più fortunato di quello di cui abbiamo sentito parlare, cioè ai visitatori, a chi vuole fruire della vita di campagna, alle scuole e ai ragazzi che ci vengono a trovare. Per raccontarvi come facciamo questo, ho bisogno di introdurvi l’azienda, che è in Veneto, in una situazione geografica straordinariamente fortunata, perché va dalle pianure lungo il Piave alle prime colline delle Prealpi, con una distribuzione orografica incredibile che ci permette di portare avanti, ora come una volta, tantissime attività diverse e questo grazie anche ad un’estensione notevole perché 1200 ettari in Italia accorpati non sono facili da trovare. Ecco che le nostre attività sono molteplici, ma quando qualche anno fa con mio cognato, Ludovico Giustiniani, abbiamo voluto pensare come sarebbe stata l’azienda che gestivamo tra venti, trenta, quaranta, cinquant’anni, abbiamo visualizzato questo logo in cui questo sistema planetario vede proprio come pianeti l’energia, l’ambiente e l’alimentazione. A noi piace questo discorso della circolarità, perché vediamo come nella nostra azienda riusciamo a collegare sinergicamente tutti i campi dell’attività agricola in maniera tale da ottimizzare le risorse e creare naturalmente un reddito, evitando quanto più possibile gli sprechi e nell’ottica che ogni cosa serva a qualcos’altro. Qui vedete questi cerchi, sono tutte le cose di cui ci occupiamo ma di cui non voglio parlarvi adesso: voglio solo farvi presente come da ognuno di questi cerchi si sviluppino proprio dei prodotti. E l’innovazione degli ultimi in agricoltura è stata proprio di completare le filiere, esaurire una filiera all’interno dell’azienda, arrivando a proporre sul mercato e al pubblico il prodotto finito. Dal vino, il prosecco, siamo nella zona del prosecco, ma anche i cereali e la farina di mais bianco perla. Abbiamo un allevamento di bufalo con caseificio e produzione di mozzarelle e di altri prodotti, in collina allevamenti di bovini e suini allo stato brado, produzione di salumi e carni e altri prodotti minori. La cosa importante, secondo noi, è che tutto questo possiamo offrirlo direttamente e renderlo fruibile attraverso lo spaccio aziendale, dove le persone possono venire a comprare, attraverso il ristorante, l’agriturismo e, importantissimo per il tema di oggi, la fattoria didattica. La dottoressa Briamonte diceva che spesso le aziende agricole già al loro interno sviluppano dei modelli di responsabilità sociale e questo è assolutamente vero: nel nostro caso, questo poi è abbastanza naturale perché la nostra azienda agricola storica, la famiglia Collalto la cura da centinaia di anni, per cui c’è un fortissimo radicamento nel territorio, con le famiglie del territorio che magari da generazioni lavorano con noi per il territorio, per l’azienda, per cui per noi questi concetti di sostenibilità sono abbastanza naturali.
Però, se posso fare un passo avanti, l’avere adesso focalizzato questo, grazie anche al progetto di Confagricoltura di EcoCloud, l’avere veramente posto l’attenzione su cosa significa sostenibilità, ci ha fatto capire come fosse possibile fare un passo ulteriore, cioè la sostenibilità ambientale è sì multifunzionalità, biodiversità, risorse rinnovabili, ma è anche rendere tutto questo ambiente fonte di benessere per la comunità, intanto per la comunità della zona ma anche per la comunità più allargata. Sapete che il Veneto è terribilmente urbanizzato, industrializzato, per cui questo polmone verde fruibile è una grande risorsa riconosciuta dal territorio: non solo le persone della zona ma anche da fuori vengono per poter godere dell’ambiente. Altro punto importante è quello della sostenibilità economica: un’azienda agricola adesso fa una fatica tremenda, ne parlavamo prima, a fare un bilancio che sia positivo. E il fatto di aver comunque voluto arrivare a chiudere delle filiere e a presentarsi sul mercato, ha fatto sì che potessimo anche pensare a nuove figure da introdurre in azienda, con professionalità diverse.
Con grande gioia negli ultimi anni abbiamo assunto molti giovani e anche molte donne, che non è così automatico in agricoltura, e pensiamo che anche questo abbia la sua valenza, creare dei posti di lavoro per i giovani e per le donne, che sono naturalmente più orientati verso le tematiche più importanti oggi, quelle del mercato, della comunicazione. Per quanto riguarda l’aspetto invece più sociale, la nostra volontà è quella di condividere il patrimonio culturale agricolo con quante più persone possiamo. Lo facciamo in varie maniere, vi dicevo attraverso l’agriturismo, il ristorante, la frasca e dando la possibilità di venire in azienda. Una volta le aziende agricole erano dei luoghi molto chiusi, un po’ pericolosetti, c’erano i trattori, c’erano gli animali, ecc. Noi tentiamo di fare in modo che questa sia il più aperta possibile, che sia visitabile e fruibile. All’interno di questo, l’attività che ci inorgoglisce molto è quella della fattoria didattica: non è una fattoria sociale un luogo in cui le scuole, i gruppi possono venire per avere la coscienza di quello che è il mondo agricolo, per fare dei laboratori, per toccare con mano un mondo che, non so se anche nelle altre regioni d’Italia, ha ancora delle connotazioni negative di tristezza, di sofferenza, di lavoro. Ecco, quello che vogliamo dare come messaggio ai giovani è proprio che in agricoltura si può ancora lavorare con moltissima soddisfazione, facendo delle cose belle, creando benessere, creando prodotti assolutamente tracciabili e genuini. Sappiamo quanta tensione c’è adesso sul prodotto che mangiamo, quello che ingeriamo deve essere assolutamente certificato. Tutto questo lo facciamo da anni con soddisfazione, però se è vero che vogliamo che la cultura agricola non venga dimenticata, per cui guardare comunque alle origini e alla nostra base culturale, è vero anche che bisogna sempre stare nel mondo e guardare al futuro, anche attraverso le opportunità che ci vengono offerte dalle situazioni contingenti. In questo caso, per noi EXPO 2015 è veramente un qualcosa di importantissimo, perché sapete che i temi sono quelli che riguardano l’agro-alimentare, visto però non solo come contenitore di caratteristiche organolettiche ma come un contenitore di tradizione, di artigianalità, di manualità. Tutto questo si vuole raccontare ai visitatori di EXPO a Milano, ma noi lo vogliamo raccontare in campo, cioè vogliamo essere la possibilità per le scuole di sperimentare in campo tutti quei temi che sono presenti in EXPO ma che il Ministero della Pubblica Istruzione ha indicato come linee guide dei programmi didattici nei prossimi anni, temi che vanno declinati in ogni disciplina.
Ecco che il poter essere effettivamente esperienza in campo, noi la vediamo come un’occasione straordinaria, però, insomma, noi siamo fattoria didattica, siamo Borgoluce, ed è per questo che con moltissima soddisfazione ho lavorato personalmente con la Regione Veneto e con le fattorie didattiche del Veneto perché questi temi fossero sviluppati da tutte una serie di fattorie didattiche. Ed è così che adesso abbiamo presentato all’ufficio scolastico un elenco di quaranta fattorie didattiche dove ognuna, con le proprie peculiarità, caratteristiche, con i propri punti d forza, potrà accogliere dal prossimo anno scolastico i gruppi di ragazzi per sperimentare in campo questi temi. Ci sembra che questo sia importante, sia un’operazione culturale valida, e ripeto allargata a tutti, in particolare dedicata alle scuole ma che sicuramente può avere un valore sociale alto. Ultimissima cosa, parliamo di didattica in fattoria: nella regione Veneto abbiamo fatto un passo avanti ancora, cioè di unire l’attività didattica nelle ville venete del Palladio – architetture straordinarie, affreschi – in una unità agricola culturale, per cui anche all’interno delle ville c’è molto da insegnare a livello di agricoltura. E così abbiamo anche qui unito e stimolato le ville venete perché stimolassero questi temi EXPO per la didattica, per cui adesso, accanto alle fattorie didattiche, abbiamo anche la didattica in villa, un’operazione culturale che speriamo venga recepita e che speriamo possa essere modello per altre regioni. Grazie.

MARIO BENEDETTO:
Grazie alla dottoressa Collalto, mi è piaciuta molto la chiusura in riferimento alla cultura, perché in realtà, se parliamo veramente di un’operazione culturale, spesso si vive l’anima commerciale di EXPO o di altre iniziative: però c’è un’operazione culturale da fare, un’azienda molto bella, il progetto di EXPO che è importante e ambizioso, e anche il riferimento che ha fatto alla collaborazione con la regione. Venendo quindi agli sviluppi futuri, darei immediatamente la parola all’onorevole Massimo Fiorio, che è Vicepresidente della Commissione Agricoltura della Camera dei Deputati. Grazie.

MASSIMO FIORIO:
Io volevo fare un ringraziamento non solo di cortesia a Confagricoltura perché credo che il fatto che un’associazione abbia un orientamento e un’attenzione particolare alla dimensione aziendale e imprenditoriale dell’azienda abbia colto nell’agricoltura sociale, nell’aspetto della sostenibilità sociale, una dimensione che va oltre quella dell’attenzione al settore sociale che a volte sfocia anche in un aspetto un pochettino velleitario o fine a se stesso. L’avere capito che si sta aprendo una dimensione sociale, in cui la dimensione dell’impresa agricola ha un ruolo importante, è davvero una novità. Il fatto che Confagricoltura l’abbia sposato e questa nuova apertura, questa nuova porta che si apre per l’agricoltura, lo ritengo molto importante.
Mi ha impressionato una mostra che c’è qui al Meeting, intitolata “Dalle potature ai nuovi germogli”: la stavo ripensando e declinando rispetto all’iniziativa di oggi e alla questione dell’agricoltura sociale. Io credo che l’agricoltura sociale faccia suo in qualche modo il titolo di quella mostra. Tutto quello che questa società in qualche modo ha pensato come un aspetto marginale, una dimensione dell’individuo e delle persone marginalizzate in questa società, renderlo invece parte attiva della dimensione aziendale-imprenditoriale di un’azienda agricola, è davvero una novità. E credo che sia una novità sui generis, perché in realtà chi conosce cos’è un’azienda agricola, che cos’è una cascina? Lo diceva prima Maria Trinidad Collalto, chi sa che dentro un’azienda agricola, nel tempo, soprattutto in passato, le relazioni solidali si sviluppavano in un modo tale che uscivano anche da quella che è la dimensione attuale della famiglia, ma sapevano coinvolgere soggetti anche svantaggiati, individui con difficoltà che facevano la loro parte nel lavoro agricolo? Quello che attraverso l’agricoltura sociale si sta cercando di fare è recuperare quella dimensione, recuperare quell’aspetto che è connaturato di fatto all’attività agricola.
Per uno strano caso dovuto probabilmente a quella che continuiamo a chiamare crisi, ma che è anche qualcos’altro, è anche un cambio, come dicono gli intellettuali, del paradigma produttivo, noi recuperiamo nell’azienda agricola qualcosa che c’è sempre stato, che per una deviazione della modernità abbiamo pensato fosse da superare. Vorrei ricordare quanti osservatori economici sui giornali ci ricordavano che l’agricoltura sarebbe stata sempre di più un’attività marginale di questo Paese: insomma, bisognava dedicarsi al terziario e al terziario avanzato. E adesso gli osservatori economici dicono invece che il settore primario è importante, che va recuperato, che questo Paese ha perso delle chance. Probabilmente esageravano allora, magari esagerano anche adesso, anche perché sono gli stessi. Però è vero che qualcosa è cambiato ed è vero che l’agricoltura ha recuperato una centralità non solo nell’economia di questo Paese – perché i dati sulla capacità produttiva del settore, sulle performance commerciali ci danno in qualche modo ragione, con tutte le difficoltà e le battaglie – ma anche rispetto alla dimensione sociale che l’agricoltura sta riguadagnando. Io sono il primo firmatario di questa legge sull’agricoltura sociale che è nata attraverso un viaggio che il sottoscritto con alcuni colleghi ha compiuto per conoscere cosa fosse l’agricoltura sociale in questo Paese, con l’idea anche un po’ avventurosa di capire se è possibile pensare uno stato sociale che non sia soltanto una dimensione assistita, ma che abbia all’interno una capacità produttiva.
Quando pensiamo alla riforma del welfare, pensiamo anche a riformare quell’aspetto completamente assistenzialistico. Io credo che nel piccolo l’agricoltura sociale sia una grande opportunità – lo è stato detto – e questa legge in qualche modo cerca di andare in quella direzione, preservando la dimensione imprenditoriale dell’azienda agricola, quindi preservando il fattore economico, ma mettendola a sistema anche con un altro mondo che è quello del sociale, che è quello che si dà attraverso le istituzioni, gli assessorati. Prima Marco di Stefano ha fatto un excursus molto approfondito sulla legge che tra l’altro è la prima norma in agricoltura di questa legislatura di derivazione parlamentare. Siccome abbiamo un Parlamento che da anni lavora attraverso la produzione legislativa del Governo, per ora questa è la prima che la Camera ha fatto per l’agricoltura, ne arriveranno nei prossimi mesi anche altre. E credo che rispetto ai discorsi che sono stati fatti sia importante il fatto che noi sul tema della sostenibilità sociale e ambientale, come Commissione Agricoltura, stiamo cercando anche di segnare un solco culturale. Arriverà in aula una legge sulla tutela della biodiversità entro ottobre, stiamo lavorando ad una legge sul consumo di suolo e ad una legge sulla riforma del settore biologico: l’attività culturale della Commissione di Agricoltura sta rispondendo a queste esigenze di sostenibilità sociale e ambientale. Ma in quel viaggio l’intenzione del legislatore era di cercare innanzitutto di dare una norma quadro rispetto ad una proliferazione legislativa anche regionale che consentisse di avere un riferimento nazionale generale finito, ma che naturalmente non incidesse troppo sulle realtà esistenti perché ci siamo accorti che le realtà e il fenomeno di agricoltura sociale è così ricco, che qualsiasi norma nazionale rischiava in qualche modo di ostacolare quello che questo nuovo settore sta dando, di innovazione, di ricerca, di coinvolgimento di soggetti deboli e svantaggiati. Durante la discussione alla Camera, abbiamo avuto un elemento di polemica e dialettica con altre forze politiche, le quali ci dicevano: “Il riferimento al regolamento europeo è troppo largo, voi tendete a coinvolgere una gamma troppo larga di soggetti svantaggiati”. In realtà, abbiamo risposto, non spetta tanto allo Stato ma agli enti di competenza locale – gli assessorati, i distretti – avviare progetti di collaborazione con le aziende agricole che decidono qual è il soggetto a cui rivolgersi, se è un disagio psichico, fisico o sociale, e quindi gli enti a carico dei quali è stato posto il coinvolgimento. C’è un riferimento in questa norma che dice che gli enti preposti alla dimensione socio-assistenziale devono dotarsi di un piano di agricoltura sociale: è già un passo oltre, rispetto al punto di partenza da cui ci siamo avventurati. Da quando abbiamo deciso di esplorare che cos’è l’agricoltura sociale, abbiamo capito poco per volta che non solo poteva essere qualche cosa in più ma di fatto lo era già, perché iniziative di collaborazione tra istituzioni e aziende agricole che sappiano coinvolgere soggetti svantaggiati e di disagio, che sappiano collocarli dentro una dimensione lavorativa e fattiva erano già avvenuti. E portare questo elemento a sistema anche della dimensione socio-assistenziale, crediamo sia un passo avanti. Lo diceva prima Marco di Stefano, che se ad un ente proposto la collocazione di un soggetto svantaggiato costa in questo momento quasi cento euro al giorno, collocato in una dimensione attiva e fattiva di produzione, e diventando esso stesso fattore produttivo, costa molto meno ma costa non soltanto in termini di quello che produce ma di guadagno per la sua dimensione esistenziale.
Se andiamo a vedere, quelle sono aziende che, come ci stava ricordando prima Maria Trinidad Collalto, multifunzionali, con produzioni differenziate: molto spesso hanno a che fare con l’agricoltura biologica, sono molto spesso produzioni a ciclo breve, tutti elementi che sanno ridare una dimensione creativa a soggetti svantaggiati e ricollocarli produttivamente dentro la società. Questo era il pensiero che ci siamo dati affrontando il tema dell’agricoltura sociale che abbiamo cercato di portare a casa, perché la battaglia dentro la Ragioneria dello Stato, dentro il Ministero dell’Economia, per recuperare quelle poche risorse che consentissero di dare un po’ di motore a questa legge, è stata poi una battaglia campale e il fatto di averla riconosciuta come attività connessa è stato un altro fattore di guadagno importante. Noi pensiamo che l’attività connessa sia soltanto l’agriturismo, qui si apre una nuova partita. Io devo ringraziare da questo punto di vista Confagricoltura perché, anche rispetto ad altre associazioni, ha saputo cogliere la sfida che c’è in questa legge, che sa coinvolgere altri soggetti, perché la questione sull’apertura alle cooperative di tipo B è una sfida anche dal punto di vista del confronto che si ha. Questa è un’iniziativa che è partita all’interno della Commissione Agricoltura e naturalmente noi abbiamo tenuto fermo che sia innanzitutto l’azienda agricola a fare quel tipo di attività: ma non potevamo non guardare al resto che viene avanti e che sa anche produrre. Pensiamo che l’agricoltura non debba chiudersi rispetto ad un modello ideale, ma che all’interno abbia le risorse per andare avanti. Altri pensano che invece occorra soltanto mantenere quello che si ha. La prima battaglia quando aprii il discorso all’interno della Commissione Agricoltura, era con chi mi diceva che tanto c’è già l’articolo 2135 che ti dice cos’è la multifunzionalità: e quindi, che bisogno c’è di una legge sull’agricoltura sociale? Gli stessi che mi dicevano così allora sono venuti avanti e hanno imparato che lì c’è anche una dimensione imprenditoriale che fa solo bene, è un potenziale di reddito in più per l’agricoltura, per l’imprenditore agricolo, qualcosa in più che si può dare non solo all’azienda ma alla comunità rurale. Ne parlavamo prima, non dobbiamo dimenticare che questo è un Paese fatto anche di piccole comunità, che non sanno dotarsi di un sistema di sevizi sociali, penso agli asili, che magari l’azienda agricola può fare e può farlo perché lo sta già facendo in molte parti di questo Paese. Noi non cerchiamo una dimensione velleitaria, di agricoltura bucolica, perché innamorati di un’idea molto anni Sessanta, ma pensiamo che abbia forti risorse e che quella sociale sia una di quelle sfide da prendere ed accettare fino in fondo.
Questo significa anche coinvolgere altri soggetti non interamente deputati all’agricoltura. Poi la soluzione normativa che abbiamo dato in realtà protegge molto l’azienda. Io accetto il suggerimento di Stefano, nel senso che credo che sulla questione di organizzazione di prodotto dobbiamo fare un passo avanti; l’ho detto prima, non siamo riusciti a dotare di un fondo questa legge, ma anche perché non era nel nostro interesse fare una legge e poi, come capitava una volta, dotarla di un fondo che si esauriva, ma dare degli strumenti perché questo nuovo settore avesse le gambe proprie per andare avanti. Il tema dell’organizzazione di prodotto è uno di quelli che abbiamo individuato anche attraverso una discussione che abbiamo fatto, perché abbiamo pensato che l’organizzazione di prodotto potesse essere la soluzione. La soluzione normativa è effettivamente troppo pesante rispetto a quello che sono le aziende che fanno agricoltura sociale in questo momento. Credo che una correzione sia ancora possibile, però era importante che questo Paese si dotasse di una legge di agricoltura sociale, che desse una definizione di cos’è, che evitasse anche le speculazioni che in qualche modo sono a rischio, perché gli accordi di partenariato che questo Paese ha contratto nella Comunità Europea aprono davvero delle possibilità nuove per l’agricoltura sociale. Non mi riferisco soltanto al PSR, metto tutti in tranquillità, ma qui c’è una possibilità anche di attingimento a risorse importanti: noi dovevamo tutelare chi fa onestamente agricoltura sociale e non soltanto chi apre la propria azienda una settimana all’anno alla visita o alla presenza di qualche progetto. Crediamo che l’azienda che fa agricoltura sociale debba essere strutturata, in grado di aprire collaborazioni con gli enti esistenti, in grado – attraverso il fatto di essere riconosciuta come ente – anche di assumere personale che non abbia a che fare direttamente con l’agricoltura, penso a psicologi, a operatori del settore. Questa è la sfida che la politica in qualche modo ha fatto sua e che io finora credo abbia portato avanti con un certo successo. Grazie.

MARIO BENEDETTO:
Grazie al Vicepresidente Fiorio degli scenari, è un’intenzione che lascia ben sperare. A questo punto passerei anche agli sviluppi che immagina il dott. Giovanni Festa, Direttore Generale per il Terzo Settore e le Formazioni Sociali del Ministero del Lavoro. Grazie.

DANILO GIOVANNI FESTA:
Cercherò di essere breve e ringrazio anch’io il Meeting e ovviamente Confagricoltura, di cui porto con onore la spilletta.
Sono state dette tutte le cose più importanti: oltre all’importanza della legge, si vede che in un articolo il legislatore dà vita a un Osservatorio sull’agricoltura, che comprenderà diversi Ministeri. E’ una cosa molto importante, ci saranno rappresentanti di sanitari, di politiche agricole, del Ministero del Lavoro: verrà fatto un lavoro di coordinamento che molte volte nelle amministrazioni manca, quel lavoro che è stato fatto anche da noi. Vi si è accennato ad inizio pomeriggio dalla dott.sa Briamonte, si tratta del lavoro che ha portato al Piano Nazionale della Responsabilità Sociale di Impresa dove si parlava di agricoltura responsabile. C’è anche una direttiva di immediata applicazione, quella sugli appalti pubblici, che è importantissima: è stata fatta a gennaio di quest’anno e allarga ancora di più le categorie. Questa legge è stata approvata da un ramo del Parlamento, quasi precede alcune delle cose che vengono dette perché finalmente viene cancellata la corsa al ribasso dei servizi, per esempio, che penalizzava le cooperative, penalizzava le persone serie perché, per prendere un appalto, bisognava tagliare del 70% i costi. Lo vieta e viene data invece una via preferenziale alle cooperative sociali e alle cooperative responsabili, quindi anche l’agricoltura sarà aiutata da questa direttiva dato che, entro due anni, questi principi devono rientrare nel codice degli appalti. In realtà, parlando in Commissione Europea, si potrebbero già applicare, quindi, se qualcuno li applicasse direttamente in un bando di gara non potrebbe essere contestato nei vari tribunali.
L’altra cosa importante da dire è l’utilizzo del Fondo Sociale Europeo: prima l’Onorevole parlava dei fondi che devono essere messi, ha fatto un accenno in generale, questi sono fondi che noi come direzione abbiamo già indicato nel nostro obiettivo T9, vi è espressamente una linea di attività che riguarda l’agricoltura responsabile. Vuole dire che, finiti gli accordi di partenariato, arriveranno venti milioni di euro che dovranno però essere impiegati nelle varie linee di attività. I soldi del Fondo Sociale Europeo, come voi sapete, non possono essere elargiti direttamente, quindi devono essere fatti degli accordi con le Regioni che poi, successivamente, saranno intermediarie per poter fare dei bandi o organizzare degli interventi diretti che riguardino questa materia e le categorie che abbiamo detto prima. Quindi, non so esattamente quanto di questi fondi resterà, comunque è sempre meglio di niente perché, se da pochissimo si passa a poco, già c’è stato un miglioramento. E’ stato citato nella norma il chiaro riferimento all’ impresa sociale, quando si parla di agricoltura sociale.
Anche su questo, vi ricordo che c’è la legge di riforma del terzo settore: l’impresa sociale verrà rafforzata enormemente, quindi la 155 verrà completamente cambiata, ci sarà la possibilità di ammettere un relativo guadagno perché in una economia occidentale democratica è ovvio che, al di là di chi si impegna solo ed esclusivamente per gli altri, se uno ha questo afflato verso il sociale, gli si deve anche permettere di guadagnare: un minimo di guadagno per un imprenditore ci deve essere. Quindi, la norma sarà cambiata in questo senso e vi saranno delle risorse, come sa bene l’Onorevole: c’è già un pacchetto generale per tutto il terzo settore di circa cinquanta milioni di euro. Anche per l’ impresa sociale ci sarà qualcosa sul Fondo Sociale Europeo. Sono le tappe prossime e future che riguardano l’impiego di questo tipo di denari che dovranno essere attivati. Per la prima volta è stato inserito come organismo intermediario il Ministero della Giustizia, con i soldi del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Ho avuto occasione di parlare con il Direttore Generale Serenella Pesarin, che segue i minori in stato di fermo. Si farà un accordo anche con loro, verranno dati dei soldi alle Regioni… L’ effetto benefico di tutte queste attività è già stato detto in precedenza. Una società civile deve chiaramente tutelare la società e quindi chi ha sbagliato deve pagare però chi ha sbagliato deve avere una seconda possibilità. Mi sembra che sia del tutto naturale, quindi, l’utilizzo di questo strumento per far sì che le persone con disabilità vengano a sentirsi utili non solo a se stessi ma agli altri.
Ho visto quei video che in parte mi hanno anche commosso, persone che invece di stare in istituti, fermi a casa a vedere la televisione e a chiudersi nel mutismo, escono e si rendono utili: penso agli asili nido, e poi ovviamente alla catena che riguarda il consumo responsabile, che deve essere un consumo che vede la partecipazione chiara del cittadino e del consumatore. Sono tutte cose che rientrano nel concetto di responsabilità sociale. Si diceva prima dell’ ippoterapia: io credo che non c’è solo l’ippoterapia. Una persona normale, se passa una giornata in campagna, fuori dai rumori, tra piante e animali, abbia un rientro psicologico di gran lunga superiore. Ritengo che passare dallo sfruttamento di tipo commerciale dell’ agriturismo a attività che comprendano anche un comportamento sociale sia un passo avanti, quindi per una volta vorrei ringraziare i legislatori che si sono dati da fare per approvare questa norma.

MARIO BENEDETTO:
Grazie al Dott. Festa, passerei definitivamente la parola al Vicepresidente Veggia, Vicepresidente Nazionale di Confagricoltura, per le conclusioni di questo incontro direi molto interessante.

EZIO VEGGIA:
Bene, pochissimi minuti per trarre una conclusione. Intanto vi voglio ringraziare, siete ancora numerosi, vuol dire che l’argomento era interessante. Per noi di Confagricoltura, che abbiamo voluto proporre questa giornata, è sicuramente un ottimo stimolo. Vi porto i saluti del Presidente Guidi, che avrebbe avuto piacere di partecipare a questa giornata ma è stato convocato a Roma per un colloquio alla presenza dei Ministri Martina e Padoan per la situazione critica che tutti voi conoscete, per quanto riguarda la stesura dei conti per la prossima legge di stabilità. Il nostro Presidente, naturalmente, come portavoce di Agrinsieme è a Roma a difendere gli interessi della nostra categoria, però in questi ultimi anni, con la Presidenza Guidi, abbiamo voluto dare un’impostazione diversa all’ azione della nostra organizzazione.
La storia ci ha sempre visti in difesa delle istanze dei nostri associati ma soprattutto in una azione rivendicativa. Riteniamo invece che le associazioni, in questo momento di crisi, debbano farsi portatrici di un’azione propositiva. Proprio in questa giornata si è visto come abbiamo cercato di portare alla attenzione di tutti delle esperienze veramente interessanti, con delle aperture verso ciò che può fare l’ agricoltura. Quindi, contribuire a riportare l’agricoltura al centro dello scacchiere. Non dimentichiamo che il settore primario, l’agricoltura, è stata la prima forma di attività organizzata stanziale quando si è passati dalla caccia alla coltivazione delle piante. Nei secoli è sempre stata l’attività principale degli uomini. Solo in questo ultimo secolo c’è stata una grande trasformazione che aveva quasi relegato l’agricoltura ad una attività di seconda importanza.
Non molto tempo fa, anche noi del mondo occidentale pensavamo che l’attività agricola fosse riservata ai popoli in via di sviluppo e che noi avremmo dovuto occuparci di cosa più elevate: tecnologia, industria, commercio, servizi. Probabilmente ci siamo sbagliati, il percorso inverso è già iniziato, anche la giornata di oggi ci fa capire come la multifunzionalità dell’agricoltura, vista in tutti i suoi aspetti, sia estremamente importante. Mi fa piacere che l’Onorevole Fiorio, che conosco da tempo perché siamo molto vicini anche territorialmente, si sia attivato su questo disegno di legge. Noi di Confagricoltura siamo stati vicini, vedo che lui è un po’ stupito di questo, a me fa piacere che abbia manifestato questa cosa perché mi permette di dirgli che Confagricoltura è a difesa del settore agricolo in generale, non solo delle grandi aziende, di tutte le aziende che vogliono fare agricoltura in modo competitivo, accettando le sfide, volendo progredire e non semplicemente pensando al passato: non abbiamo una visione minimalista, non pensiamo all’aspetto semplicemente bucolico. A noi interessa il concetto di sostenibilità, di sviluppo sostenibile, ci interessano i tre fondamenti: quello ambientale, quello sociale e, non dimentichiamo, quello economico, perché se una cosa non si può sostenere economicamente non ha lunga durata. In questi ultimi tempi, il concetto di sostenibilità si è allargato, se ne parla sempre di più, dall’Unione Europea ci arrivano indicazioni di come la sostenibilità debba tenere conto anche delle innovazioni tecnologiche, dell’inclusione, dell’inclusività di aree marginali. In questo caso, abbiamo parlato dell’inclusione di soggetti che hanno qualche difficoltà ad inserirsi nella società e abbiamo visto delle bellissime esperienze che ci hanno fatto capire la grande potenzialità dell’agricoltura. L’Onorevole Fiorio ha anche fatto riferimento ad una mostra che ho visto anch’ io, quella della potatura e del germoglio, molto bella. In questa mostra viene spiegato come dalla potatura, che è un momento di sofferenza della pianta, vengono fuori i germogli. L’esperienza della famiglia Ferrazza che ha vissuto, come spesso capita nella vita, purtroppo, un momento di difficoltà e di sofferenza, ha mostrato come si può reagire in modo positivo, inventandosi delle soluzioni che non solo permettono di superare nel proprio ambito familiare il momento di difficoltà, ma servono, grazie a queste giornate di comunicazione, a dare spunti anche ad altri che possono quindi avventurarsi con un po’ più di coraggio nell’affrontare le nuove sfide.
Le nuove sfide ci aspettano, la crisi sappiamo che vuol dire difficoltà, sofferenza ma c’ è anche un aspetto positivo che vuol dire nuove opportunità. Queste nuove opportunità ci aspettano, noi dobbiamo avere il coraggio di affrontarle, sicuramente anche EXPO 2015 ci darà una grande opportunità: dobbiamo essere capaci di comunicare al mondo come nel nostro Paese siamo in grado di produrre prodotti di altissimo livello. Il settore agroalimentare produce il 17% del PIL, quindi è una cosa assolutamente importante. Non solo prodotti di grande qualità ma anche prodotti che derivano da un settore che ha una particolare sensibilità verso tutti gli aspetti. Si parlava prima di produzione del valore, non solo del reddito: il reddito lo si misura, ci sono dei numeri, c’ è il simbolo dell’ euro vicino. Il valore non ha un’unità di misura, è una cosa relativa. Noi di Confagricoltura riteniamo che la produzione del valore sia molto importante e quindi ringrazio tutti quelli che hanno partecipato a questa giornata, voglio ringraziare anche i funzionari di Confagricoltura che hanno lavorato sodo, faccio un nome per tutti, Donato Rotundo. Tra l’altro, ricordo che ci sarà un piccolo rinfresco al nostro stand. E voglio concludere con una massima che non è mia ma che mi piace ricordare, che fa riferimento al bene al quale noi agricoltori siamo particolarmente attaccati, non solo per motivi di reddito ma anche di passione, ed è la terra. Dobbiamo vedere questo bene, non tanto come una cosa che abbiamo ricevuto in eredità dai nostri padri ma piuttosto come un bene che abbiamo ricevuto in prestito dai nostri figli. Grazie.

MARIO BENEDETTO:
Grazie a tutti, alla prossima occasione, grazie al Meeting, arrivederci.