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SONO ANCORA POSSIBILI RIFORME CONDIVISE? INTERGRUPPO PARLAMENTARE PER LA SUSSIDIARIETÀ
Sono ancora possibili riforme condivise? Intergruppo parlamentare per la sussidiarietà
Partecipano: Vannino Chiti, Vicepresidente del Senato della Repubblica italiana; Gian Luca Galletti, Deputato al Parlamento italiano, UDCPTP; Enrico Letta, Deputato al Parlamento italiano, PD; Maurizio Lupi, Vicepresidente della Camera dei Deputati; Tiziano Treu, Vicepresidente della Commissione Lavoro e Previdenza Sociale del Senato della Repubblica italiana; Raffaello Vignali, Vicepresidente della Commissione Attività Produttive della Camera dei Deputati. Introduce Emmanuele Forlani, Coordinatore della Segreteria dell’Intergruppo Parlamentare per la Sussidiarietà.
SONO ANCORA POSSIBILI RIFORME CONDIVISE? INTERGRUPPO PARLAMENTARE PER LA SUSSIDIARIETÀ
Ore: 15.00 Sala C1 Siemens
EMMANUELE FORLANI:
Buongiorno a tutti, diamo inizio a questo incontro dal titolo: Sono ancora possibili riforme condivise?
Entrando, noi stessi siamo rimasti particolarmente colpiti dal notare come effettivamente tutti gli anni l’Intergruppo abbia pochissimi relatori, anche nello standard degli incontri del Meeting, e abbiamo notato come effettivamente non ci siano interventi femminili. Però ci siamo ricordati che, nell’edizione 2011 dell’Intergruppo, effettivamente eravamo riusciti a fare un’eccezione rispetto alla regola della politica, perché la stragrande maggioranza degli interventi erano appunto di onorevoli donne.
Io ringrazio di cuore il Meeting di Rimini che ha voluto ospitare anche in questa edizione l’incontro dell’Intergruppo Parlamentare per la Sussidiarietà. Si va verso la conclusione di una legislatura: dal 2008 l’Intergruppo ogni anno ha avuto la fortuna di potersi incontrare qui al Meeting e di fare un momento di dibattito mai legato a temi astratti ma sempre legati a temi concreti e ad occasioni di approfondimento.
Sono numerosi i parlamentari che fanno parte anche dell’Intergruppo, vi ricordo che sono oltre 300 quelli che, tra deputati e senatori, nel corso di questi cinque anni – questa è la quinta edizione – sono intervenuti al Meeting di Rimini.
Questo è un anno particolare, perché, appunto, come dicevo, si colloca a conclusione di una legislatura e quindi è anche una occasione speciale per potersi domandare quale possa essere il bilancio di un lavoro di una intera legislatura e quale possa essere la prospettiva. L’Intergruppo ha una durata decisamente record, anche rispetto a quello che è avvenuto nella storia delle ultime legislature, perché nel 2003 viene costituito, nel 2006 viene ri-costituito e nel 2008 nuovamente.
In questi dieci anni di vita dell’Intergruppo sono nate tante iniziative. Qualcuno meno giovane ricorderà che anni fa erano nati tavoli trasversali che avevano occupato per diversi giorni le pagine dei giornali, mi riferisco a un tavolo che era chiamato Tavolo dei Volenterosi, che aveva fatto tanto clamore per qualche giorno, ma dopo poco era svanito. Una durata così lunga, appunto di dieci anni, nel panorama politico è sicuramente un indicatore interessante che oggi ci auguriamo di potere sviscerare, non spetta certo a me farlo e quindi gli ospiti di oggi lo faranno.
Dicevo, siamo in una situazione particolare, appunto, alla fine di una legislatura, in una situazione molto particolare, come abbiamo potuto vedere e ascoltare nei tanti incontri interessantissimi in questi giorni del Meeting, e quindi la domanda “Sono ancora possibili riforme condivise?” riguarda non solo gli ultimi mesi di legislatura ma anche quello che arriverà dopo.
Questa domanda è stata in qualche modo condita da una ulteriore provocazione del Professore Giorgio Vittadini, Presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, nelle ultime settimane, e che nasce, appunto, da un lavoro che, fin dall’inizio dell’Intergruppo, il Professor Vittadini con la Fondazione per la sussidiarietà ha svolto, cioè quello di stimolo e di segreteria scientifica del gruppo. Quindi davvero gli ingredienti ci sono tutti perché oggi si possa assieme affrontare questa domanda sulle riforme condivise e abbiamo immaginato, nel poco tempo che avremo a disposizione, non fatevi spaventare dai tanti relatori, di dividere anche un po’ gli interventi per poter aiutarci a rispondere concretamente a questa domanda e a quale possa essere la prospettiva e il valore dell’Intergruppo parlamentare per la sussidiarietà. Ed è proprio da qui che mi piacerebbe partire, chiedendo innanzitutto all’onorevole Lupi e all’onorevole Letta di intervenire. Sono tra i primi, appunto, che hanno costituito già nel 2003 l’Intergruppo e che l’anno scorso, lo ricorderete, sono intervenuti in occasione della presenza straordinaria del Presidente della Repubblica a Rimini. A loro due quindi io chiederei in particolare di aiutarci a rispondere alla domanda e aiutarci a capire qual è il valore, qual è stato, quale può essere il valore, appunto, di una esperienza come l’Intergruppo.
Gli altri ospiti, che non ne avrebbero bisogno, li presento rapidamente: l’Onorevole Raffaello Vignali, Vicepresidente della Commissione delle Attività Produttive alla Camera; il Senatore Tiziano Treu, altro conosciutissimo dal Meeting di Rimini. Maurizio Lupi, l’ho presentato; il Vicepresidente del Senato, Sen. Vannino Chiti; Enrico, anche lui già presentato; poi l’On. Gian Luca Galletti, capogruppo dell’Udc alla Camera dei Deputati. Mi fermo aggiungendo solo un ultimo dettaglio: ho avuto la fortuna di ascoltare i numerosi incontri di questa settimana, di poter visitare le mostre davvero straordinarie che sono state poste all’interno del Meeting. Le provocazioni che sono emerse riguardano tutte una dimensione che è squisitamente personale; non ultima, quella dell’incontro su desiderio e politica che si è svolto ieri nell’Auditorium. Nel passare la parola ai nostri relatori, io chiederei proprio a loro di aiutarci a capire cosa significhi, non solo in termini di sistema ma in termini di esperienza personale, il lavoro dell’Intergruppo che è stato fatto in questi anni e quale è il valore, anche da un punto di vista di un impegno personale nella politica, di questa esperienza. La parola all’On. Maurizio Lupi.
MAURIZIO LUPI:
Innanzitutto buongiorno a tutti e grazie di cuore per essere qui con noi anche quest’anno. Devo dire che noi vi dobbiamo ringraziare – lo faccio io a nome di tutti gli amici che sono qui, ma anche di quelli che in questi anni a Roma hanno lavorato con noi – perché veramente sentiamo tutto l’anno la simpatia e l’affetto con cui seguite il nostro lavoro. E lo sentiamo dai numerosi inviti che riceviamo da parte di tutta Italia, alcuni più, alcuni meno. Ormai c’è il ticket Lupi-Letta che, se non fosse che c’è in ballo anche la discussione sulle coppie di fatto, avremmo qualche problema io e lui, ma siamo felicemente sposati tutti e due con dei figli. Aldilà della battuta, questo dice veramente l’attesa e la domanda che rispetto al lavoro che noi facciamo c’è, non solo da parte degli amici del Meeting, ma da parte di tutti quelli che hanno passione per il bene comune, per la propria comunità, per il proprio Paese. Allora non vogliamo assolutamente, almeno io, in questo intervento che faccio – ci siamo divisi come un gruppo di amici gli interventi, anche per non ripetere le stesse cose – esimerci dalla domanda che Emmanuele Forlani, che tra l’altro è la persona che da sempre accompagna il lavoro dell’Intergruppo come segretario scientifico e senza di lui non ci sarebbe il lavoro che ci accompagna tutto l’anno. Quindi noi ne raccogliamo i frutti, anche quelli pubblici, ma il lavoro, come sempre avviene, è quello dei tanti che ci credono veramente. Allora io non voglio esimermi dal rispondere alla domanda che Emmanuele ha posto, anche perché io credo che le sollecitazioni che ci sono arrivate, non ultima quella dell’amico Giorgio Vittadini, siano sollecitazioni non solo positive ma necessarie a chi fa politica. Perché quando si rompe il rapporto, il legame tra la società con tutta la sua vivacità e la coincidenza del tuo progetto, avviene quell’allontanamento a cui noi assistiamo continuamente. Il rischio per chi fa politica è quello di dare per scontate le cose, e di non rimettersi continuamente in gioco, approfondendo le ragioni che ti hanno spinto a fare una scelta, un’appartenenza politica oppure una cosa inimmaginabile, come quella che abbiamo fatto io ed Enrico, perché eravamo io e lui qui al tavolo, fondando l’Intergruppo ormai 10 anni fa. Parto, perché il tempo è breve, da due esempi e da due sollecitazioni. La prima a cui noi tutti, amici dell’Intergruppo e del Meeting, abbiamo assistito, è l’intervento del Presidente Napolitano lo scorso anno. Il Presidente Napolitano ha definito quell’intervento successivamente, personalmente quando si dialogava ma anche pubblicamente, un intervento storico. Era in un’altra situazione storica, in un’altra situazione politica – e questo va sempre ricordato, perché la realtà è sempre più grande di quello che noi possiamo immaginare – e quindi in quel momento l’appello che ci fece il Presidente Napolitano – io leggo solo quello rivolto all’Intergruppo – fu questo: “Qui in Italia va perciò valorizzato ogni sforzo di disgelo e di dialogo, come quello espressosi nella nascita e nelle iniziative, cari amici Lupi e Letta, dell’Intergruppo Parlamentare per la Sussidiarietà”. Questa settimana, anche io ho vissuto come voi l’esperienza del Meeting e ieri, Emanuele faceva riferimento ad un altro incontro, secondo me bellissimo – e mi dispiace per chi non ha potuto parteciparvi e lo invito a rileggersi gli atti – dal titolo “Desiderio e politica”. C’era il professor Farouq, che è uno dei protagonisti della primavera araba. Raccontava quello che era successo nella primavera araba e diceva una cosa che a me ha colpito molto e per questo collego l’intervento del Presidente Napolitano a quello di Farouq e alla ragione per cui l’Intergruppo esiste. Diceva: “Gli analisti, i commentatori dicono che la ragione per cui la primavera araba è nata è una ragione di tipo sociologico, economico, la fame, la non libertà, l’oppressione, tutti i problemi che esistono in Egitto da 60 anni, esistevano l’anno scorso come esistono esattamente da 60 anni. E allora cosa ha fatto scattare, che cosa ha messo in gioco, la primavera araba? Certamente non le cause economiche, perché quelle la persona le viveva, noi le vivevamo. Quello che ha fatto scattare la scintilla è stato il desiderio di ognuno di noi, personale non collettivo, di voler essere protagonisti della nostra vita”.
Il desiderio, combinare il desiderio con la politica significa recuperare il fattore umano trascurato sempre dagli analisti. È inconcepibile che questo sia un giudizio politico: quando noi diciamo che la sfida, innanzitutto che abbiamo davanti oggi, è che la persona torni ad essere protagonista, pensiamo, noi che facciamo politica, che sia una cosa astratta. Io credo che il valore dell’Intergruppo, che ha portato a quel discorso di Napolitano un anno fa, che ha portato all’assunzione di responsabilità da parte di ognuno di noi nelle scelte che ha fatto, convintamene, di partito, non stava e non è nel fatto che l’Intergruppo è un progetto politico. Sarebbe morto, sarebbe morto dopo un anno. Il valore dell’Intergruppo è che l’Intergruppo Parlamentare per la Sussidiarietà è un progetto politico proprio nel senso che ieri si diceva: ha messo in gioco la responsabilità personale di ognuno, la voglia di ognuno di essere protagonista lì dove eravamo, nelle scelte che facevamo, di voler essere segno e protagonista di un modo vero di concepire la politica. E questo permette un dialogo e non lo impedisce e permette anche di ottenere risultati. L’esito è certamente affidato alla nostra capacità di lavoro, ma certamente anche ad altro: poi ognuno dia il nome a questo altro come vuole definirlo. Allora io dico che il punto di partenza e il grande valore dell’Intergruppo di questi cinque anni parte esattamente da questo e su questo può permettersi di continuare. In questi giorni noi assistiamo a grandi discussioni: legge elettorale, grande coalizione, Europa. Io credo che troppo spesso e troppe volte – lo voglio dire con chiarezza – noi pensiamo di dare risposte alla crisi della politica con delle analisi, con degli schemi o con dei progetti che non fanno i conti con la realtà. Il mio personale parere è che la grande coalizione così come viene presentata oggi, come progetto partitico, è un enorme stupidata: perché quello che serve nel nostro Paese non è innanzitutto una grande coalizione, in cui i tre partiti diversi, Partito Democratico, Udc, Pdl si presentino agli elettori uniti e si facciano giudicare. Perché non sta insieme quel progetto partitico, non sta insieme come progetto politico, c’è diversità. E grazie a Dio c’è diversità tra di noi. Ma il grande valore, che abbiamo imparato in questi mesi, è che se abbiamo a cuore il bene del Paese prima ancora che il legittimo interesse dei nostri elettori, dobbiamo cercare convintamente e ostinatamente luoghi e passaggi in cui alcune cose si possano e si debbano fare insieme. Gli elettori sceglieranno a Marzo se vincerà Alfano, Bersani, o vincerà il Partito Democratico o vincerà il Popolo della libertà; ma una volta che tu hai avuto dagli elettori il dovere e la responsabilità di governare, non puoi immaginare la politica come una continua lotta muscolare, come un braccio di ferro continuo che vede nell’altro solo il male assoluto. Ci sono dei passaggi, delle azioni che devi fare in comune, che devi fare insieme. Vi faccio una proposta personale, ma credo che in molti di noi la condividano. I 18 anni di bipolarismo duro, a cui noi abbiamo assistito, hanno visto non salvare neanche le istituzioni da questo scontro frontale. Le istituzioni sono il luogo che rappresenta la pluralità, la sensibilità del Paese, l’unità del Paese.
Bene, dalla prossima legislatura, chiunque vinca e chiunque perda, qualunque forza vinca, si salvino le istituzioni da questo scontro frontale. Uno dei due Presidenti di Camera o di Senato sia rappresentante dell’opposizione, perché le istituzioni non sono il luogo del Governo, sono il luogo del confronto, del fare le leggi e ve lo dice uno che ha fatto il Vicepresidente della Camera per cinque anni. Sulla legge elettorale io credo che le cose siano assolutamente chiare: su questo poi un po’ di diversità ci sono. C’è necessità assoluta di una legge elettorale: i cittadini vogliono scegliere il proprio parlamentare, vogliono scegliere chi li dovrà governare. Non è più sopportabile un partito di nominati. E ve lo dice una persona che è stata nominata nel 2006 e nel 2008. Io credo personalmente che il migliore strumento, anche se le leggi elettorali sono strumenti ovviamente perfettibili – qualunque legge elettorale può dare risultati cattivi se usata male – siano le preferenze per poter eleggere il proprio rappresentante. Il criterio, anche se sappiamo come la preferenza in tante parti del Paese è uno strumento negativo se usato male, deve essere quello detto prima. L’Intergruppo parlamentare può determinare anche un’idea nuova e diversa di politica. Io credo che ci siano alcuni temi che possano per forza già vedere, nei programmi con cui i partiti si presenteranno, visioni comuni. Il primo fra tutti è il tema dell’Europa. È evidente che c’è un grande tema che è quello che l’Europa non può esistere se è solo un Europa monetaria o solo un Europa economica. Oggi ho letto critiche su un giornale tedesco a Draghi – che tra l’altro è stato qui al Meeting di Rimini e che sta facendo un ottimo lavoro e credo che l’applauso nostro e di tutto il Meeting vada al Governatore Draghi allora e Presidente della Bce oggi -, che le azioni di Draghi porterebbero a una nuova Repubblica di Weimar. Tanto di più falso non è mai stato detto, tanto che la Repubblica di Weimar è nata proprio perché è prevalso l’egoismo. E un Europa con gli egoismi non va da nessuna parte: quando insieme qui al Meeting dieci anni fa discutevamo che l’Europa per stare insieme deve riconoscere le proprie radici, deve riconoscere la ragione per cui sta insieme – vi ricordate la Costituzione, le radici giudaico-cristiane – venivamo tacciati come idealisti e come portatori di temi che non c’entravano niente con l’Europa. Adesso, a distanza di dieci anni, abbiamo il risultato davanti, l’abbiamo sotto gli occhi. Se non c’è una ragione più grande, un ideale più grande per cui dei popoli possano unirsi, nessun popolo starà mai insieme. Credo che questo sia uno dei temi su cui noi dovremmo lavorare per costruire una grande Europa. Infine i tre temi su cui siamo stati sollecitati: scuola, università e lavoro. C’è una meravigliosa mostra al Meeting di Rimini, ci sono proposte molto concrete. Io credo che anche il lavoro dell’Intergruppo, come contributo da dare ai diversi partiti e agli schieramenti che andranno in campo nel 2013, dovrà essere nel prendere quelle sollecitazioni e nel renderle parte integrante del programma, che su alcune cose dovrà essere per forza diverso; ma se su alcune cose potrà essere comune, credo che noi avremmo fatto un grande passo avanti. Lo dico come esemplificazione: non si può parlare di un principio di sussidiarietà, non si può parlare della persona come protagonista, della libertà della persona come guida dell’azione politica e come riscatto dell’azione di un Paese, se poi, quando arriviamo alla declinazione di questa libertà e di questa sussidiarietà, e la prima declinazione è l’educazione e quindi la libertà e la possibilità di educazione, noi non interveniamo per favorire che questa libertà di educazione avvenga. L’Intergruppo ha lavorato tantissimo perché, anche in questi anni di crisi, non fosse toccato un euro nei contributi alle scuole paritarie. È stato solo grazie all’azione loro, e nostra in particolare e di alcuni amici che sono anche qui e ad altri che non ci sono, penso a Gabriele Toccafondi, se fino ad oggi siamo riusciti a dare non un privilegio alle scuole paritarie ma ad affermare un principio grande di libertà. Abbiamo un ultima grande battaglia da fare prima della fine della legislatura: c’è un taglio da 250 milioni già previsto, dobbiamo lavorare insieme se crediamo che la persona debba essere protagonista del cambiamento, perché questo taglio non avvenga. Già nei tre anni precedenti ci siamo riusciti: io credo che il lavoro comune che abbiamo davanti possa ottenere anche questo piccolo risultato. Non vi aspettate un progetto partitico, aspettiamoci insieme che ci siano parlamentari diversi, con storie politiche diverse, che credono ancora che la politica possa servire il bene comune.
ENRICO LETTA:
Ho ancora davanti l’immagine dello scorso anno, l’immagine di Napolitano, che apriva il Meeting di Rimini e cambiava da qui la storia del nostro Paese, perché quel discorso di Napolitano al Meeting di Rimini dell’anno scorso ha cambiato la storia italiana. E noi dobbiamo essere grati a lui e a tutti coloro che insieme a lui hanno fatto quelle scelte. Cos’è che ci accomuna? Ci accomuna oggi un sentimento che è in controtendenza rispetto allo spirito del tempo. Il sentimento che ci accomuna è l’amore per la politica, la passione per la politica, il credere, il pensare che la politica sia una cosa diversa dai due estremi che oggi invece sembrano prevalere. C’è chi pensa che la politica sia soltanto un mondo nel quale entri per averne un vantaggio tu, personale; c’è chi pensa che la politica sia semplicemente un luogo arido, nel quale il Parlamento è un consiglio di amministrazione, il Sindaco, o il Presidente del Consiglio, è un Amministratore Delegato.
Sono due estremi che non ci appartengono, perché noi pensiamo, riteniamo che la politica sia il luogo di crescita della persona, che consenta il passaggio dall’io egoista alla persona responsabile. Questo passaggio dall’io egoista alla persona responsabile può avvenire soltanto dentro e attraverso il confronto che nella società politica avviene. Questo oggi è messo in discussione, in crisi, innanzitutto dalla politica stessa. La partita della legge elettorale, quante volte io mi sento ripetere in questi giorni, quando ne parliamo: “Basta, sono temi che non c’entrano nulla con i veri problemi: la crisi, il lavoro, la crescita che non c’è…”. E’ vero che i veri problemi sono quelli, ma i veri problemi nascono anche dal fatto che il nostro Paese ha un sistema politico completamente delegittimato e questa delegittimazione parte dal fatto che i nostri cittadini, e noi in quanto cittadini, quando guardiamo al Parlamento, guardiamo a un insieme di 945 persone nominate dai partiti e non legittimate dal consenso della sovranità popolare dei cittadini. Quando noi diciamo oggi che il cambio della legge elettorale è fondamentale, diciamo una cosa che passa attraverso un impegno di tutti noi, ma soprattutto con un obiettivo: il prossimo Parlamento sia un parlamento legittimato, nel quale il cittadino trasferisca la sua sovranità popolare e di conseguenza riporti la politica al centro, come attività di crescita della persona. Il passaggio dall’io egoista alla persona responsabile. Il tema che abbiamo di fronte è questo. Maurizio Lupi ha detto prima una cosa sulla quale concordo e rilancio anch’io: la prossima legislatura sancisca questo cambio netto, non soltanto attraverso una legge elettorale che consenta al cittadino di scegliere il proprio parlamentare, ma consenta alle nostre istituzioni di vivere in una situazione in cui la maggioranza che vince le elezioni non abbia l’approccio proprietario alle istituzioni: chi vince si spartisce tutto. No, le istituzioni sono di tutti, i Presidenti delle Camere scegliamoli insieme, il Presidente della Repubblica scegliamolo insieme, facciamo una scelta che vada nella direzione che il Presidente della Repubblica Napolitano ha indicato qui: la politica responsabile e soprattutto il linguaggio della verità. Guardiamo lungo rispetto a queste scelte e facciamo delle scelte che siano in grado di consentire al nostro Paese di avere l’anno prossimo una campagna elettorale nella quale si confrontino schieramenti che parlino di cose concrete, che non passino il loro tempo a delegittimare l’avversario, che parlino di che cosa vogliamo fare per il Paese, che dicano che l’Europa è il nostro orizzonte comune. La forza di Monti in questo momento, a mio avviso, è soprattutto questa: Monti in Europa ha riportato l’Italia protagonista soprattutto perché ha creato un’alternativa alla linea di leadership oggi in Europa, testimoniata dal Cancelliere tedesco e dalla Germania; cioè una linea, quella della Merkel, di un’Europa dove la Germania non molla nulla, rispetto a tutto ciò che ha fatto e a tutto ciò che ritiene le spetti. L’alternativa che Monti propone è l’Europa federale, in cui noi sappiamo che da soli non ce la faremo nel mondo dell’India, del Brasile, della Cina. Anche i tedeschi devono sapere che da soli, nel mondo dell’India, del Brasile, della Cina, non ce la faranno. La forza di Monti è stata questa, l’aver posto un’alternativa a livello europeo, un’alternativa che sta facendo passi avanti. Io credo che questo sia il grande impegno che ci porta alle prossime elezioni, a una prossima legislatura. Il secondo e ultimo concetto che voglio esprimere riguarda quella bellissima mostra sui giovani che il Meeting di Rimini quest’anno ci ha proposto, la mostra sui giovani che rimette al centro la grande questione della “generazione perduta”, come ha fatto Monti quando è venuto qui l’altro giorno. Io sono ottimista sul futuro dell’Italia soprattutto per un motivo, perché l’Italia di questi anni, – che è in crisi, è in difficoltà, ma è sempre lì, è sempre lì avendo messo da parte i giovani -: se noi a questa Italia rimettiamo i giovani nel motore, io sono convinto che il nostro Paese può dare dei risultati straordinari, ma dobbiamo avere la forza, il coraggio di fare delle scelte prioritarie. Io sono convinto che qualunque sessantenne nel nostro Paese è pronto a fare un sacrificio, ma solo se vede che quel sacrificio serve a togliere il proprio figlio o il proprio nipote dall’angoscia di girare per casa o di girare per i Centri per l’impiego della sua città. Il fatto di rimettere i giovani nel motore deve essere la seconda grande priorità della prossima legislatura. E allora sono convinto: le riforme condivise di una legislatura costituente, nata da una legge elettorale come quella che possiamo approvare e che può rilegittimare la politica e il Parlamento, possono ridare forza alla politica. Stiamo attenti ad una cosa. Le prossime settimane saranno settimane nelle quali si scaglieranno contro la nuova legge elettorale tutti coloro che hanno due obiettivi: il primo, andare alle prossime elezioni con il “porcellum” e quindi continuare a nominare i parlamentari da parte dei politici, segretari di partito o capi delle liste che si presenteranno; il secondo, coloro che pensano che “tanto peggio, tanto meglio”, coloro che pensano che peggio è per il sistema, meglio è per il loro schieramento politico. Noi siamo contro entrambi, noi siamo perché il nostro Paese abbia un Parlamento legittimato, perché i cittadini tornino a contare, perché noi sappiamo che la vita è un cammino, come nella bellissima frase di don Giussani che termina la mostra sui giovani: “Non aspettatevi un miracolo, aspettatevi un cammino”. La politica è la quintessenza di questa aspettativa, non miracoli, ma un cammino, e il cammino lo si fa insieme, e qui torna il ragionamento sull’io, che da io egoista diventa persona responsabile. L’altra bella mostra, quella sulla cattedrale, mi ha fatto venire in mente, e termino, quello che c’è scritto sul Duomo di Barga, le parole del Pascoli, ovviamente: “piccolo il mio, ma grande il nostro”. Quando noi, insieme, riscopriremo che è piccolo il mio, l’io egoista, ma è grande il nostro, la persona responsabile, avremo capito quanto la politica può ancora rendere grande il nostro Paese. Grazie.
EMMANUELE FORLANI:
Questo valore di un’iniziativa e di una responsabilità politica, che ci hanno descritto Maurizio Lupi ed Enrico Letta, chiama ad una responsabilità quotidiana, ad una declinazione concreta ed operativa, non solo riguardo al futuro, come hanno descritto loro, quindi alla prospettiva, ma anche rispetto a quello che è stato il tentativo di lavoro degli ultimi mesi di questa legislatura. Infatti, con tutti i limiti che si possono riscontrare, ci sono aspetti estremamente interessanti come dinamica, che su declinazioni e su argomenti diversi abbiamo chiesto di raccontare a Raffaello Vignali, a Tiziano Treu, a Gian Luca Galletti, a Vannino Chiti. Ciascuno di loro, lo dico adesso così non interromperò più, è stato protagonista, negli ultimi mesi e all’interno dell’intera legislatura, di aspetti specifici del lavoro parlamentare, quindi di una responsabilità politica declinata. Raffaello Vignali, per il lavoro che lo ha in qualche modo coinvolto sulle imprese, in particolare sull’introduzione allo statuto d’impresa, e, qualche settimana fa, sul decreto sviluppo. Tiziano Treu sulla riforma del lavoro, di cui anche ieri si è discusso con il Ministro Fornero. Gian Luca Galletti, come capogruppo dell’UDC, in particolare per un impegno sul tema della famiglia e della scuola. Vannino Chiti, che è anche Vicepresidente del Senato, ha seguito a 360 gradi evidentemente tutto il lavoro con una responsabilità di guida della Camera. Non interrompo più, quindi passo la parola all’onorevole Vignali.
RAFFAELLO VIGNALI:
Per me, fare un po’ anche il bilancio di questi anni, di questa legislatura è anche fare il bilancio della mia partecipazione all’Intergruppo, perché quando l’Intergruppo è nato io lo guardavo dall’esterno, lo guardavo da fuori, certo con favore, perché avevo un altro ruolo, prima come Vicepresidente della Fondazione per la Sussidiarietà, poi come Presidente della Compagnia delle Opere. Quindi lo guardavo un po’ come voi, come molti di voi oggi, ma ne coglievo subito il valore, il valore appunto per una politica che fosse dialogo e costruzione, non solo urlo e teatrino, una politica che fosse veramente arte del compromesso, compromesso non come accordo al ribasso o inciucio, ma compromesso nel senso di compromissione con la realtà, con la realtà del Paese e anche un promettersi a vicenda, ma sempre per il bene comune. E a volte, non lo nego, anch’io, soprattutto con Maurizio, esprimevo un po’ di insoddisfazione, ma non perché non capissi il valore dell’Intergruppo, anzi, ma perché volevo vederlo ancor più protagonista. Quindi era per sollecitare ma proprio perché convinto della bontà di una iniziativa e il fatto che ci sia da 10 anni, che non sia solo, come ricordava Emanuele all’inizio, un fenomeno durato 20 giorni perché pompato dai giornali, forse dice che c’è un lavoro che cresce, che non è solo culturale, ma produce anche degli effetti. Poi quando sono arrivato in Parlamento, ho avuto anche modo di apprezzarne personalmente l’utilità anche per il mio lavoro parlamentare, la possibilità di avere un luogo dove si potesse discutere, dove si potesse dialogare veramente, non come spesso purtroppo capita soltanto urlarsi o parlarsi dai giornali, ma anche luogo di un’azione concreta, di un’azione ovviamente di quello che compete a noi, che è l’azione legislativa. Da questo punto di vista, le cose sono state veramente tante, se le andiamo a vedere. Penso alla prima legge che abbiamo proposto, da parte di due amici, soprattutto da Alessia Mosca e da Guglielmo Vaccaro, la legge “contro esodo” – che abbiamo sostenuto tutti e credo che forse sia stata la prima legge approvata all’unanimità in questa legislatura, in Parlamento – perché i talenti potessero rientrare in Italia, non soltanto chi ha il PG, ma chiunque abbia un talento, anche pratico, e questa secondo me è la grande novità di questa norma. Ma penso anche alla stabilizzazione del 5 per mille – poi magari ne parlerà Vannino perché l’aveva presentata lui all’inizio al Senato, in Commissione Finanze – che oggi è nella Delega fiscale che è alla Commissione Finanze della Camera e quindi c’è da attendersi che il 5 per mille, sulla cui battaglia l’Intergruppo è nato, diventi stabile, quindi che ogni anno non si debba litigare con il Governo di turno per le risorse. Penso anche alla legge per la quale speriamo di arrivare in porto velocemente, a cui si è dedicato soprattutto Renato Farina sul lavoro nelle carceri, che è nato anche dalla visita che abbiamo fato insieme ai carcere di Padova. L’esperienza dell’Intergruppo non nasce mai da una teoria, ma è sempre a partire da una realtà positiva che si capisce possa diventare un’opportunità per tutti. Io poi personalmente ho lavorato soprattutto sul tema dell’impresa, perché venendo dall’esperienza della Compagnia delle Opere, volevo portare anche in Parlamento quello che io ritengo un valore, il valore delle nostre piccole medie imprese, che non sono per modo di dire l’ossatura dell’economia italiana, ma lo sono veramente e non sono quella anomalia italiana troppo spesso disprezzata, bensì il nostro punto di forza. Sullo statuto delle imprese non mi dilungo, ve ne abbiamo già parlato tanto, ma sostanzialmente l’idea è riconoscere il valore delle imprese, non solo da un punto di vista economico ma anche dal punto di vista del benessere sociale che crea per tutti. Ma volevo dire una cosa in relazione al lavoro dell’Intergruppo. Al Senato, lo statuto delle imprese è stato approvato alla fine di ottobre nel 2011 ed è arrivato alla Camera la prima settimana di novembre. L’11 novembre, per ricordarlo, ci sono state le dimissioni di Berlusconi, vi lascio immaginare come era in quelle due settimane il clima alla Camera e al Senato: era un clima rovente e per altro legittimamente il Partito Democratico al Senato aveva deciso di fare ostruzionismo su ogni provvedimento che c’era, addirittura anche senza presentarsi in Commissione. Se non fosse stato, e lo dico chiaramente e pubblicamente, per l’intervento di Enrico Letta e Vannino Chiti che hanno detto che questo non faceva parte della polemica politica anche legittima, e che quindi doveva essere portato avanti perché utile, non lo avremmo sicuramente approvato, probabilmente sarebbe ancora lì da approvare. Invece è stato approvato in quel momento, senza nessun voto contrario e senza nessuna astensione né alla Camera né al Senato, e questo probabilmente dice qualcosa. Dice appunto che senza l’Intergruppo non sarebbe mai divento legge. Lo dico molto chiaramente: posso aver avuto l’idea, posso aver coinvolto gli amici dell’Intergruppo, abbiamo firmato in 150, ma non è detto che passi, poi chi fa il lavoro parlamentare sa quanto è difficile portare in porto una iniziativa di legge. Così per il lavoro delle carceri: ci stiamo lavorando da 4 anni, non è un’idea venuta ieri. Su altre cose parleranno gli altri amici, penso al lavoro, alla famiglia, quelle cose che abbiamo fatto. Io però volevo dire solo una cosa in chiusura, velocemente. Riallacciandomi anche al tema del Meeting, cosa dicono questi esempi, queste azioni concrete di lavoro dell’Intergruppo? A me dicono innanzitutto che la politica ha un grande valore; ha un grande valore quando la politica realizza quello che dice il titolo del Meeting, cioè il rapporto con l’infinito, perché l’infinito non è nell’Iperuranio, l’infinito è nella realtà, anche in quella realtà che viene percepita più lontana ed estrema, che è la terra della politica. E questo è un grande valore, perché per noi, e chiudo, la politica non è affare di pochi ma è la passione per la vita del popolo, la vita del nostro popolo.
TIZIANO TREU:
Grazie, buongiorno a tutti. Avete sentito l’impresa; io mi sono sempre occupato di lavoro e di problemi del lavoro, due temi non di dettaglio nella vita di tutti. E anche temi molto difficili: se guardiamo i mezzi di comunicazione, quello che si dice sulle piazze, sono temi molto conflittuali. Sono quasi emblematici di questo bipolarismo muscolare che dal Parlamento poi deborda anche nel sentire comune. Lo dico per sottolineare una cosa generale che avete già capito dall’introduzione: che noi, in questi anni di lavoro, anche difficile, un po’ nascosto, bisognava essere più visibili e forti, non ci siamo occupati di cose marginali, abbiamo cercato di affrontare i temi di fondo: impresa, lavoro, famiglia, impianto istituzionale, ecc. La testimonianza che io posso darvi è duplice. Uno: che lavorando sui temi, confrontandosi tra persone diversissime, come storia, come carattere, si può elaborare insieme qualcosa di significativo, e noi abbiamo elaborato una serie di cose. Avete sentito adesso l’esempio del rientro dei talenti, lo statuto dell’impresa, ma noi abbiamo altre cose nel cassetto: quella sul lavoro delle carceri, che è un tema piccolo ma esplosivo a proposito della persona. Siamo andati a vedere questa esperienza nelle carceri, abbiamo visto la differenza tra l’umiliazione e la difficoltà delle persone nel carcere, purtroppo normale, e cosa invece si poteva fare con degli esperimenti di lavoro vero dentro le carceri. Abbiamo elaborato una proposta sul lavoro degli svantaggiati, l’uso della cooperazione per inserirli, avete già sentito dei problemi sul rientro dei talenti. Bene, cosa ne ho tratto? Uno: che si può elaborare veramente qualcosa di importante, però che il contesto è ostile. Io ho sofferto molto in questi anni a vedere che, pur avendo questa esperienza bellissima dal punto di vista umano, fuori c’era una cappa, una difficoltà di trasmetterla, anche nel Parlamento. Mi ha colpito molto questo esempio che ha fatto Vignali sulla legge sul rientro dei talenti. Quando l’ho vista arrivare in Senato – era già stata elaborata dalla Camera – ho detto: è una legge bellissima, perché, sia pure con poche risorse, dice che i giovani bravi che sono andati all’estero, che hanno fatto cose belle, sia dal punto di vista intellettuale che dal punto di vista pratico, devono avere una piccola opportunità di rientrare per arricchire il Paese. Una cosa proprio piccola, eppure vi assicuro che in quella seduta – forse tu eri presente, perché avevamo qualche ospite della Camera – ho sentito nel Parlamento ancora queste reazioni: ma chissà cosa c’è dietro? Cosa vogliono? Serve a questo, serve a quello? Però ce l’abbiamo fatta. Perché? Mi illudo ma penso che sia vero. Perché alla fine, dopo averne un po’ discusso, si è sentito che dietro c’era una elaborazione, che c’era un sentire comune forte e quindi era inutile fare melina, come purtroppo invece capita. Un’altra cosa che invece è capitata un po’ fuori da noi è la seguente. Questi lavori che abbiamo faticosamente messo assieme hanno fatto fatica ad andare avanti, ci siamo anche rimproverati per questo e poi è arrivato il Governo Monti, un amministratore straordinario che, di fronte alle nostre debolezze, ha detto: qui bisogna fare alcune cose importanti per tutti, per tutti noi, per tirare fuori l’Italia da questa difficoltà. E ci siamo trovati, io mi sono trovato con dei nostri colleghi, ad affrontare in Senato per la prima volta questa riforma del lavoro, che affronta temi discussi e conflittuali da decenni. Io non è che sono da decenni in politica, ma è da decenni che mi occupo di problemi del lavoro, ebbene vi assicuro che non avrei mai creduto – questo è un segno fortissimo di ottimismo – che in una materia così super conflittuale, oggetto di “tirata” da tutte le parti, si riuscisse ad approvare una legge – non perfetta, per carità – una legge che apre una strada, che indica un messaggio giusto (l’Europa l’ha approvata), con una maggioranza così ampia come nella storia del Parlamento italiano non c’è mai stata. In materia di lavoro – io vi assicuro, vi posso dare tutti i documenti – non c’è mai stata una legge approvata con questa maggioranza. Certo, l’emergenza…, ma io credo anche che, sotto traccia, ci fosse questo spirito, a cui anche noi abbiamo contribuito, questo spirito di guardare al di là della tattica, del conflitto ideologico e trovare delle soluzioni. Io credo che questo sia un segno positivo; naturalmente è un segno, è un inizio. Anche io ho visto la mostra dei giovani; tra l’altro io, essendo un vecchio professore, ho guardato la bibliografia, ho guardato, oltre che le immagini, cosa c’era scritto, gli spunti di riflessione di questi ragazzi – mi hanno detto che hanno fatto quasi tutto loro – e ho trovato delle cose di grande buonsenso, molto vicine alle nostre aspirazioni e quindi anche questo mi sembra un segno positivo. Noi abbiamo davanti una legislatura che Enrico Letta ha detto debba essere costituente, ma non solo per l’Italia! Nei prossimi anni l’Europa deve dimostrare se vuole essere un continente vecchio, in declino, o se invece vuole essere ancora una casa che alimenta cultura, che dà lavoro, che promuove i giovani. Abbiamo davanti degli anni molto importanti: quindi si tratta di riprendere, di vedere se questo spirito che abbiamo coltivato in piccolo riesca a penetrare nelle dure pareti degli schieramenti partitici. Qui ha ragione Maurizio Lupi: se bisogna fare riforme condivise, accordi sulle cose, si devono fare con i partiti necessariamente, ma anche forzandoli. Perché non è che questa esperienza passata si superi d’amblè; però questo è il test. Anche nelle materie nostre abbiamo appena grattato la crosta: c’è moltissimo da fare per liberare le energie dell’impresa, che faccia bene, che sia responsabile, che non sia egoista e per dare spazio ieri abbiamo fatto un dibattito – prima col Ministro e poi con degli operatori – su quanto c’è da fare ancora per mobilitare le risorse del lavoro. Si dice sempre: ci vuole crescita, facciamo delle cose insieme perché la crescita è un interesse di tutti. E se c’è crescita, ci può essere opportunità di lavoro per i giovani e per i meno giovani, che è anche un problema. Però è anche vero il contrario: solo se mobilitiamo le risorse delle persone, di tutti, che invece sono spesso avvilite dalla precarietà e dalla mancanza di lavoro, riusciamo a rimettere in moto questo Paese sulla strada giusta. Quindi abbiamo da fare sussidiarietà al quadrato per i prossimi anni, e soprattutto rompere le resistenze che ci saranno. Non sarà un percorso facile, sarà un percorso pieno di sassi, ma mi pare che sia la strada giusta.
GIAN LUCA GALLETTI:
Grazie. Io voglio iniziare raccontandovi un aneddoto che mi è capitato quest’inverno. Mi stavo preparando a casa e mio figlio, di 9 anni, mi fa due domande. Alla prima non ho trovato risposta; era perché mi mettevo la cravatta e vi assicuro che a quello una risposta logica non c’è. La seconda, invece è stata: “Che cosa vai a fare a Roma?”. Io ho provato a dare la solita risposta: “Vado a Roma, a fare le leggi”. Lui mi ha interrotto e mi ha detto: “Ma lo fai anche per me?”. Io credo che in quella risposta ci sia molto di più di tutto il dibattito estivo che abbiamo fatto sulle alleanze, sulle non alleanze, sulla grande coalizione, non grande coalizione. Come ci si dividerà da oggi in poi, in politica? Ancora fra destra e sinistra, o fra chi vuole salvare questo Paese – perché crede che abbia ancora un futuro – e chi non lo vuol salvare? Cioè fra chi pensa di potere fare ancora una politica per se stesso o pensa che sia venuto il momento, veramente, di fare una politica per i nostri figli? Noi non possiamo essere l’unica generazione che lascia ai propri figli un Paese peggiore di quello che abbiamo ereditato dai nostri genitori! Io non voglio appartenere a questa classe politica. Allora è questo il vero tema, e come facciamo a svegliare questo Paese? Vi do un solo dato economico, perché non voglio entrare nei particolari. Un Paese che ha un tasso di interesse sul proprio debito pubblico maggiore del tasso di crescita è matematico che non ce la può fare. È chiaro a tutti che noi dobbiamo fare riforme invasive in questo Paese! Dobbiamo rifare questo Paese da capo a piedi! Solo così noi riusciremo a venire fuori da questa crisi. Queste riforme non sono una passeggiata; l’abbiamo visto in questi nove mesi. Noi in questi nove mesi abbiamo fatto, con il governo Monti, delle riforme importanti. Non è che io vado in giro per la strada – non so se capita a voi – e la gente mi ringrazia per avere fatto le riforme. La gente mi dice: “Ah però tu mi hai mandato in pensione più tardi”, “tu mi hai messo l’Imu”, “tu hai fatto le liberalizzazioni”, “tu mi hai tolto le tariffe”, ognuno ha qualcosa per cui lamentarsi. Però io so che quelle riforme sono indispensabili, se noi vogliamo salvare il Paese e se io voglio dare la risposta a mio figlio: “Sì, faccio qualcosa per te a Roma”. E questo, ve lo dico con la massima trasparenza, continuerà anche dopo le prossime elezioni. Non è che a marzo finisce tutto, la crisi finisce, dopodiché possiamo tornare a fare quello che abbiamo fatto fino a ieri. No! Noi avremo bisogno di continuare su questa strada di riforme. Allora, a me non interessa se saremo insieme, o no; io però, già da adesso, dico che su molti temi, con le persone che sono a questo tavolo, mi ritrovo, mi sono ritrovato in questi anni e mi voglio ritrovare dopo. Con loro, non con altri! Se mi mettete con uno dell’Italia dei Valori o con uno della Lega, vi dico che io non voglio trovarmi con loro in un’ipotesi di governo, perché la pensano diametralmente opposto da me. Le persone responsabili vogliono continuare questa esperienza, vogliono andare avanti con l’esperienza che abbiamo fatto in questi mesi? Io penso che sia l’unica soluzione possibile. Poi, vogliamo fare una campagna elettorale all’arma bianca? Facciamola, non sarà questo la fine del mondo. Faremo un po’ di danni, perché una campagna elettorale, oggi, all’arma bianca, sicuramente non aiuta il Paese. Ma l’importante è che ci sia un fondamento comune. Seconda considerazione. La domanda che mi sono fatto in questi mesi è: i temi che noi abbiamo lanciato come Intergruppo per la Sussidiarietà, sono attuali con la crisi? La risposta che mi sono dato è che i temi che noi abbiamo portato avanti come Intergruppo per la Sussidiarietà non solo sono compatibili con la crisi, ma sono la risposta alla crisi. Perché l’unica risposta alla crisi è la famiglia e la sussidiarietà. Paradossalmente, il messaggio che voi mandate con la mostra dei giovani, il messaggio che il Meeting manda, che tenta cogliere gli aspetti della crisi, dice ai giovani: guardate che la crisi c’è ed è brutta, però ci sono anche delle opportunità davanti alla crisi. Io credo che noi, quelli che si riconoscono nei valori dell’Intergruppo per la Sussidiarietà, debbano seguire quell’esempio e vedere che nella crisi ci sono gli aspetti positivi di poter portare avanti ancora con maggior efficacia i propri valori. Perché? Se questo Paese non è finito in uno scontro sociale fortissimo, è solo perché c’è stata una presenza della famiglia invasiva. Nei periodi di crisi, e anche oggi, quando c’è un figlio che non ce la fa, sono i genitori che lo aiutano; quando c’è un anziano che con la propria pensione non arriva a fine mese, sono i figli che lo aiutano, ed è questa la famiglia. Allora questo ci deve dire che dobbiamo continuare sulla politica per la famiglia, perché alla famiglia non possiamo sempre chiedere senza dare mai, perché prima o poi quella si sgretola, invece è un patrimonio di tutti su cui dobbiamo insistere. In questi mesi qualcosa abbiamo fatto; ad esempio, lo sconto Imu di 50 euro per ogni figlio presente nel nucleo familiare, per me, è un risultato importante, non tanto e non solo in termini economici, ma lo è anche perché abbiamo fatto passare il principio che i figli sono un valore per la società, sono un valore di tutti, sono un valore in quanto tale. Secondo: nella battaglia sull’ISEE, finalmente nell’Indice della Situazione Economica Equivalente il mio secondo figlio conta più del primo, il mio terzo figlio conta più del secondo e il quarto più del terzo. Non più come prima che, addirittura, se avevo quattro figli ero penalizzato rispetto agli altri. Quindi la politica per la famiglia dobbiamo continuare a portarla avanti. Secondo tema: la Sussidiarietà. Noi parliamo molto di spending review, cioè di riduzione della spesa pubblica. E lo facciamo sotto l’emergenza economica. Io vorrei che noi ci fermassimo un attimo a valutare il valore di quello che stiamo facendo; quando noi riduciamo la spesa pubblica, noi riduciamo l’influenza dello Stato nella sfera della società. Noi riusciremo a ridurre la spesa pubblica, senza creare danni seri, solo ed esclusivamente se noi applicheremo il principio di sussidiarietà, cioè trasformeremo i Comuni, le Regioni, lo Stato, da ente erogatore in ente controllore della qualità e della quantità dei servizi che vengono erogati ai cittadini. Solo così possiamo fare. Attenzione che, per fare questo, noi dobbiamo cambiare la testa a questi enti. Non è un passaggio facile, perché se sbagliamo questo passaggio, noi rischiamo di svalutare la sussidiarietà, cioè un domani ci rinfacceranno i danni che la sussidiarietà fa se non è accompagnata da un buon controllo. E’ un po’ quello che è successo col federalismo per la Lega; noi abbiamo fatto un federalismo sballato e oggi il federalismo viene visto da molti come ostile. Il federalismo è un passaggio buono se tu fai un federalismo buono; se lo sbagli diventa una cosa cattiva. Quindi famiglia e sussidiarietà sono due valori attualissimi sui quali noi dobbiamo continuare a batterci fino alla fine. Terza cosa ed ultima: le scuole paritarie. Io credo che le scuole paritarie rientrino nel principio della sussidiarietà che dicevo prima. È una battaglia che abbiamo fatto in Parlamento in questi anni e dobbiamo continuare a farla in maniera tenace, perché da lì non passa solo un risparmio di costi per lo Stato, ma c’è l’affermazione del diritto allo studio e della libertà di educazione delle famiglie. Lo faremo passare forse come “scusa” dal punto di vista economico, ma faremo passare un grande valore per il nostro Paese. Concludo con un’ultima battuta sulla legge elettorale, visto che ho ancora un minuto. Io credo – e noi lo diciamo da tempo – che la legge elettorale a oggi debba avere due punti cardine. Il primo: deve passare attraverso le preferenze. Restituiamo la possibilità agli elettori di scegliere il proprio eletto con le preferenze, non con altro. E guardate, lo dico per me, lo diciamo soprattutto per noi, perché quando io fui eletto con le preferenze in consiglio comunale, nessuno mi poteva colpire con l’antipolitica, perché avevo il mandato elettorale, avevo migliaia di persone che mi avevano votato. Oggi sono un nominato dal partito e rischio di non rappresentare nessuno. Io voglio battermi con le preferenze a rischio di perdere. E io continuo a dire: un sistema elettorale proporzionale. Perché oggi un sistema maggioritario, in un Paese come il nostro, ha dimostrato di non funzionare: l’ha dimostrato nel 2006 con Prodi, l’ha dimostrato nel 2008 con Berlusconi. Io credo però che, al di là che passino queste cose che ho detto, l’accordo sulla legge elettorale vada trovato in tempi brevi, perché con l’attuale legge elettorale non possiamo tornare a votare. Io vi ringrazio di avermi invitato qua oggi, sono venuto molto volentieri e continuerò il mio impegno nell’Intergruppo per la Sussidiarietà.
VANNINO CHITI:
Io vorrei partire prima di tutto da una esperienza personale, cioè come ho vissuto e che cosa ha rappresentato per me l’Intergruppo sulla Sussidiarietà, facendo un antefatto. Da Presidente di Regione, insieme ad altri Presidenti di Regione e Sindaci di diversi schieramenti, ci eravamo battuti – allora non fu molto compresa a dire la verità da tutti, sembrava un’idea un po’ velleitaria – perché anche nella Costituzione italiana fosse inserito il principio della sussidiarietà così come è dentro la Carta europea, e ci riuscii. Certo non è nella prima parte, perché la prima parte della Costituzione non è stata rivista, ma la sussidiarietà è nella Costituzione italiana. E la sussidiarietà io penso che sia una sfida, non è qualche cosa di acquisito, è davvero una sfida che impegna tutti, non è un’araba fenice, impone un nuovo modo di essere delle istituzioni dello Stato. Non meno Stato o non meno Stato, ma un modo diverso di essere delle istituzioni dello Stato. Non coincide l’interesse pubblico esclusivamente con l’istituzionale, ma le istituzioni hanno dei doveri di programmazione, di controllo, non soltanto di gestione. Si danno dei servizi più personalizzati, migliori, e si riesce a determinare una universalità di queste prestazioni. L’Intergruppo per me è stato una occasione, lo dicevano Maurizio Lupi ed Enrico Letta, intanto di dialogo, una occasione di confronto. Scusate lo slogan, io penso che sia stato un impegno per cercare di costruire una buona politica, che non è data dal fatto che noi eravamo al governo, perché ci sono state posizioni diverse, e altri amici che sono a questo tavolo erano all’opposizione. C’è stato sempre un atteggiamento di responsabilità e di lealtà, attraverso il confronto e il dialogo, che ha portato alla costruzione di soluzioni condivise su temi importanti, che sono alcuni dei grandi risultati che si sono ottenuti. Sul 5 per mille, non solo nazionale ma per tutti quanti, Maurizio era il primo firmatario alla Camera e al Senato, Vignali prima ancora ci aveva edotto su questo e abbiamo costruito una proposta di legge largamente condivisa ed è importante che sia entrata nella Delega fiscale, così sugli altri temi, sugli altri risultati che sono stati detti. Ne voglio citare solo uno, da conquistare, perché proprio qui al Meeting di Rimini, un paio di anni fa, ho visto una mostra straordinaria sulle carceri, e mi colpì il fatto che a volte parlare di carceri è scomodo e fa paura, non è più di moda, anche se nelle carceri, per una nostra antica e grande cultura secolare, ci deve essere un momento certo in cui c’è una punizione, ma anche una possibilità concreta di riscatto e di recupero. In questa mostra mi colpì da un lato l’esperienza, che era lì visibile, di alcuni che erano condannati e facevano vedere il lavoro che veniva svolto nelle carceri e che loro riproducevano lì; dall’altro il fatto di come sia scarsa la possibilità di lavoro nelle carceri e ancora più bassa la possibilità di studio nelle carceri, e quindi temi su cui è importante cercare di impegnarsi ancora nella fase finale di questa legislatura. Ecco, l’altra domanda che mi vorrei fare è questa: c’è ancora bisogno, negli ultimi mesi di questa legislatura, nella legislatura che varrà, per chi ci sarà, di un modo di lavorare come quello che noi abbiamo cercato di portare avanti in questi anni? Io penso di sì, e penso che, se dovessimo farci uno spoglio, dovremmo dirci non ce n’è meno bisogno, forse ce n’è più bisogno, c’è bisogno anche di osare di più, anche in questa legislatura. Noi abbiamo con gli altri un dovere di costruire una legge elettorale che, con sistemi diversi – ci sono le preferenze e non soltanto le preferenze – consenta ai cittadini di guardare in faccia le donne e gli uomini che sono candidati e di sceglierli, e che superi le distorsioni più gravi di questa legge attualmente in vigore, che non fa soltanto un Parlamento di nominati, non fa neanche più forte il lavoro parlamentare e più forte l’azione dei governi. Penso che noi dovremmo impegnarci per cercare di avere, negli ultimi mesi, assieme alla legge elettorale, l’attuazione di quell’articolo 49 della Costituzione, che renderebbe i partiti non come oggi un’associazione privata, ma darebbe loro una natura giuridica, e questo vorrebbe dire che all’interno ci deve essere trasparenza, ci deve essere democrazia, ci deve essere rigore e si può controllare e sanzionare. Guardate che l’attuazione dell’articolo 49 della Costituzione, assieme a quel fatto positivo del dimezzamento del finanziamento a partiti, fa la medaglia completa e sarebbe un contributo importante a quella ricostruzione di un rapporto di fiducia tra cittadini e istituzioni che noi dobbiamo perseguire, su cui noi dobbiamo sentirci impegnati ad andare avanti. E’ vero che la prossima legislatura sarà una legislatura costituente, com’è stato detto, lo ricordava Tiziano Treu, costituente per l’Italia, costituente per l’Europa, perché se già siamo d’accordo per costituire gli Stati Uniti d’Europa, questa non è poca cosa rispetto alle dislocazioni non solo partitiche ma di una cultura politica. Io penso che in Italia l’aggiornamento alla nostra Costituzione non lo possono fare soltanto quelle che saranno maggioranze di governo, lo devono fare maggioranze ampie e devono vedere la sovranità dei cittadini. Se dipendesse da me, con le leggi elettorali che ci saranno, che comunque avranno lo sbarramento e quindi non saranno tipicamente proporzionali, i cittadini dovrebbero sempre pronunciarsi. Modificherei l’articolo 138 sui cambiamenti alla Costituzione, perché la Costituzione è un punto unitario dei cittadini italiani, è dei cittadini, non è dei partiti, non è di una maggioranza di Governo, ed io penso che questo ci debba dire che su questo tema dobbiamo lavorare insieme. Ma dobbiamo lavorare insieme sulla giustizia. Anche qui non è un principio generale: in Italia una riforma come quella della giustizia, dopo le contrapposizioni di questi anni tra politica e magistratura, dobbiamo costruirla, dobbiamo cercare di realizzarla su dei binari che siano dei binari condivisi, dobbiamo sistemare la vita delle Regioni e delle Autonomie locali. Noi oggi abbiamo una grande confusione a livello locale. Attenzione, perché senza Regione e senza Autonomie locali, che sanno quali sono i loro compiti e quali sono le risorse di cui sono depositarie, non si costruisce neanche la sussidiarietà, perché la sussidiarietà non può vivere a Roma, per definizione. La sussidiarietà vive sui territori, e ha un riferimento importante nelle Autonomie locali, e io personalmente ritengo che sulle Province si stia facendo un grande pasticcio. Avrei voluto che fosse scritto: le Province attuali sono abolite, punto e a capo, quindi non “accorpate o non accorpate”, non ne usciremo. O nascono all’interno di un certo x di tempo le città metropolitane, altrimenti scatta un potere sostitutivo; le Regioni e i Comuni del territorio decidano se ne hanno bisogno con le loro responsabilità di risorse, di coordinamento di funzioni, ma sono decisioni e responsabilità che spettano a quelle Regioni, alle Regioni e ai loro Comuni, altrimenti non so da che parte andremo. Potrei continuare con gli esempi, ma per dire che su questi temi bisogna continuare a lavorare insieme, e non è il discorso del governo di grande coalizione. È vero, questo dibattito sui governi di grande coalizione è astruso: perché un governo di grande coalizione, anche là dove si sperimenta, come in Germania, è un’eccezione e non una regola, ed è un risultato del voto, non una proposta con cui si va al voto, dipende dal risultato del voto, e quindi in qualche modo dalla scelta dei cittadini e dalle sfide che si devono affrontare, dai rapporti di forza che ci sono in Parlamento. Io voglio dire, concludendo, una questione più generale: bisogna osare di più e lavorare insieme, aldilà delle collocazioni su questi temi nelle maggioranze e nelle opposizioni, perché la mia convinzione è che gli orientamenti innovatori, come le resistenze a cambiare e a rinnovare, non sono situate in un solo luogo politico o sociale, per cui è facile snidarle e batterle: sia le possibilità di innovazione sia le resistenze alle riforme sono dislocate in modo trasversale. Ognuno di noi spera che nel suo mondo siano prevalenti quelle dell’innovazione, ma il dovere di tutti è che, chiunque sia maggioranza di Governo, su questi temi riesca a spingere insieme a chi vuole l’innovazione. Sennò perderanno sempre in tutte le coalizioni, in tutti i partiti quelli che vogliono rinnovare, perché è più facile, anche se più irresponsabile, conservare. E infine, io penso che il nemico più grande oggi, in Europa, sia il populismo, e quindi il confine più grande da cui bisogna guardarsi e che bisogna sconfiggere sia quello del populismo. E’ questo il tarlo che rischia di mettere in crisi la democrazia rappresentativa e il suo funzionamento. E ultima, davvero ultima considerazione, io penso che l’Italia abbia bisogno di fare squadra, aldilà delle maggioranze di Governo, che i cittadini abbiano bisogno di riappassionarsi, abbiano strumenti, occasioni, e anche voglia di appassionarsi alla politica; a me ha sempre colpito un discorso che fece a Milano Piero Calamandrei nel 1955, pensate un po’, 1955, quando, dopo aver valorizzato la Costituzione, si pose il problema di quale fosse uno dei più grandi nemici della Costituzione. Piero Calamandrei disse: “E’ l’indifferenza alla politica, la non partecipazione politica, che deve essere pretesa e non delegata”. È per questo che io ritengo che la concertazione vada certamente rinnovata e modificata, ma sia sbagliato buttarla alle ortiche. Vedete, se avessi tempo voglia o capacità, vorrei scrivere un libro che intitolerei così: Elogio della mediazione politica, elogio della mediazione. La mediazione va valutata nel merito, perché l’alternativa alla mediazione è la contrapposizione continua, quali che siano le leggi elettorali, e la mediazione è stata quella che ci ha dato la nostra Costituzione. Allora guai a buttare via il bambino con l’acqua sporca: la cattiva mediazione va buttata alle ortiche, ma la mediazione è uno strumento con cui un Paese può crescere, con cui le forze politiche, aldilà della lori dislocazione, si possono parlare, possono dialogare e i cittadini possono sentirsi protagonisti nella vita del loro Paese. Grazie.
EMMANUELE FORLANI:
Abbiamo iniziato questo nostro momento domandandoci se è possibile ancora fare riforme condivise. Penso che la risposta che abbiamo sentito sia una risposta affermativa: sicuramente è possibile. Vale ancora la pena di domandarsi a quali condizioni, modalità, dove lo vedremo: c’è un banco di prova che è inequivocabile, cioè ineliminabile, che è la realtà e nelle prossime settimane e nei prossimi giorni vedremo che cosa succederà, se veramente questa possibilità si traduce. Le proposte che sono emerse oggi saranno anche oggetto di un documento, che l’Intergruppo nelle scorse settimane si è impegnato a realizzare e che presenterà ufficialmente nell’appuntamento annuale di Spineto nel prossimo autunno, entro la fine di settembre e i primi di ottobre, proprio per provare a esprimere nero su bianco un’intenzione, una dichiarazione, una proposta, come abbiamo sentito questa sera. Io, nel chiudere questo incontro, vorrei citare due cose che mi hanno colpito particolarmente, ascoltando e vivendo questo Meeting. La prima la mutuo da una citazione che ha già fatto il professor Vittadini all’inizio di questo Meeting e che trovate nella mostra sui giovani, quando, citando Guareschi, viene ricordato il dialogo che don Camillo fa con Gesù e nel dialogo lui si domanda, in una situazione di difficoltà, da dove si può ripartire, dove si può recuperare la speranza, come si può superare la difficoltà; e la risposta è straordinariamente interessante, perché il Gesù sulla croce risponde: “Ciò che fa il contadino quando il fiume travolge gli argini e invade i campi: bisogna salvare il seme. Quando il fiume sarà rientrato nel suo alveo, la terra riemergerà e il sole l’asciugherà. Se il contadino avrà salvato il seme, potrà gettarlo sulla terra resa ancora più fertile dal limo del fiume, e il seme fruttificherà e le spighe turgide e dorate daranno agli uomini pane, vita e speranza”. È l’augurio e l’auspicio di partire da questo seme, di cui oggi forse qualche spunto mi sembra sia stato dato, ma con un’ultima nota che ho letto all’uscita della mostra sul Duomo, e che richiama ancora una volta non ad uno schema, ad un’organizzazione, ad un’ipotesi preconcetta o anche particolarmente lungimirante di azione e di presenza politica, ma richiama ad una responsabilità personale. Citando Saint-Exupéry, alla fine della mostra sul Duomo, c’è questa citazione: “Colui che si assicura un posto di sagrestano o di seggiolaio nella cattedrale costruita è già un vinto, ma chiunque porta nel cuore una cattedrale da costruire è già un vincitore”. Ecco, penso che la scelta di essere vinti o vincitori riguardi proprio questa decisione, che ancora una volta è squisitamente personale.