Chi siamo
SI PUÒ VIVERE COSÌ
Partecipano: Cleuza Ramos, Responsabile del movimento “Trabalhadores Sem Terra” di San Paolo, Brasile; Marcos Zerbini, Deputato al Parlamento dello Stato di San Paolo, Brasile. Introduce Giorgio Vittadini, Presidente Fondazione per la Sussidiarietà.
MODERATORE:
Protagonista è colui che usa la ragione, colui che desidera fino in fondo, che è rispettoso del suo senso religioso, protagonista è chi vive la fede come una risposta a questa domanda umana; allora, chiunque, non solo le persone che partono con qualità eccezionali, diventa protagonista. Allora quale miglior modo per descrivere, per rispondere al tema che i fatti, gli avvenimenti che mostrano nella realtà una posizione umana, una fede diversa a cui chiunque deve guardare. Per questo, Si può vivere così, questo ciclo all’interno del Meeting, mostra una vita diversa. Uno può pensarla diversamente, ma di fronte a certi avvenimenti non può che rimanere stupito e domandarsi da dove nasce questa diversità umana, e da questo punto di vista l’incontro di oggi è il migliore inizio di questo ciclo, anzi il migliore inizio del Meeting, perché mostra visibilmente un fenomeno eccezionale che nasce da persone “normali”, rese eccezionali dalla posizione umana. Marcos Zerbini e Cleuza, marito e moglie, sono all’origine del movimento dei Senza Terra, un grande movimento sociale che conta centomila persone, che parte dai movimenti di occupazione della favelas e pian piano costruisce la possibilità di risposta prima alla casa e ai tanti bisogni di San Paolo e che poi recentemente, pochi mesi fa, nella cattedrale di San Paolo annuncia pubblicamente, di fronte a Mons. Carrón, successore di Giussani, di aderire a Comunione Liberazione. Oggi vedremo questo grande fatto umano e cristiano che sono innanzitutto loro. Per questo partiamo con un breve video, un video in cui sarà mostrata l’altra faccia della medaglia, ciò che loro hanno originato. In questi cinque minuti non vedremo loro, che vedremo dopo qua, ma le persone a cui danno continuamente speranza e possibilità di vita.
Filmato
MODERATORE:
Diamo quindi la parola a Marcos e Cleuza che si alterneranno, tradotti da Alexander che è il primo di noi che li ha incontrati, professore di medicina a San Paolo. Prego.
CLEUZA RAMON:
Buon giorno, io vorrei ringraziare la presenza di ognuno di voi, vorrei ringraziare voi e Cristo per questo giorno meraviglioso.
Quando ho saputo che il tema del Meeting era “O protagonista o nessuno” sono stata molto contenta, perché è in questo che io credo. Quando abbiamo cominciato a fare il nostro movimento, io facevo un lavoro nelle favelas, che era un lavoro assistenzialista. Portavo alla gente da mangiare e da vestirsi. Gli anni sono passati e io non riuscivo a vedere un risultato. Nel ’86 abbiamo cominciato a costruire la nostra associazione, abbiamo cominciato una cosa diversa, abbiamo cominciato ad aiutare la gente povera a risparmiare i soldi perché potessero comprare la loro casa. Con la nostra compagnia noi eravamo lì, insieme a loro, perché potessero costruire la loro storia, senza i soldi di finanziamenti pubblici o privati che potessero aiutarci. Abbiamo cominciato a costruire la nostra associazione passo dopo passo. In Brasile, nel 60% delle famiglie, è la figura della donna la più importante. Esse lavorano come donne delle pulizie e il loro stipendio è basso. Allora la nostra lotta è stata quella di far loro comprare un terreno e dopo farsi la casa, in una lotta continua con gli enti pubblici. La nostra terra è nella periferia, lontano dal centro della città. Organizzavamo la gente tutti i giorni, perché un gruppo di loro doveva andare a esigere l’acqua, l’altro la scuola, tutti i giorni lavoravamo. E pian piano abbiamo costruito un quartiere. Gli anni sono passati e ogni bisogno che il nostro movimento aveva, noi cercavamo di risolverlo. Prima la terra, dopo la casa, poi l’acqua, la scuola… e a un certo punto sono arrivati i giovani. In Brasile il grande sogno di un giovane è andare in università. Son pochi i posti nelle università pubbliche, in Brasile, e l’esame per entrare è molto difficile. Riescono a entrare quelli che hanno studiato in una scuola privata, che si son preparati molto. E quelli che studiano nelle scuole pubbliche, i figli dei poveri, non hanno la possibilità di andare all’università. In Brasile ci sono tanti istituti universitari privati e metà dei posti di questi istituti è libera, non sono occupati. E con l’esperienza che avevamo acquisito nell’ organizzare la gente per comprare le terre e costruirsi la casa, siamo andati in queste università private perché mettessero a disposizione quei posti liberi. Abbiamo portato un grande numero di gente in una università e siamo riusciti ad avere un prezzo molto più a buon mercato. Oggi abbiamo quarantasettemila giovani che sono in università. Giovani poveri, figli di donne delle pulizie o di muratori che oggi vanno in università. Perché il tema del Meeting mi è sembrato molto importante? Perché il ruolo della nostra associazione è costruire protagonisti della loro stessa storia. Sono donne, sono famiglie, che risparmiano nell’acquisto del cibo, perché così possono costruire la loro propria storia. Sono giovani che lavorano tutto il giorno e forse dormono tre-quattro ore al giorno, perché così poi possono andare a studiare all’università. Spesso, in questi raduni che avete visto in video nelle prime ore del mattino, succede che tre o quattro svengono perché non hanno fatto colazione. Pur con enorme difficoltà, queste donne, queste famiglie, questi giovani hanno conquistato quello che hanno e sono protagonisti della loro storia. La nostra associazione non è una casa di carità. In Brasile ci sono tante organizzazioni così e lo stesso governo fa, lavora in questo senso. Il governo vuole essere il protagonista. Nella nostra associazione al primo posto sono le persone. Tanti mi domandano: qual è il segreto, come siete riusciti a costruire un’associazione così grande dal nulla?
Quando aiuti uno a costruire la propria storia, questa persona riesce ad aiutare altre persone a costruire la loro storia. Don Giussani dice: “genera chi è stato generato”. Grazie.
MARCOS ZERBINI:
Buon giorno a tutti. Vorrei scusarmi perché capisco bene l’italiano ma non sono capace di parlarlo. Tante persone ci domandano: cosa è cambiato nel vostro incontro con Comunione Liberazione? Perché avete consegnato la vostra associazione a Mons. Carrón il 24 febbraio scorso?
Abbiamo incontrato, loro hanno incontrato nel 2001 CL con me.
Dal 1990 eravamo praticamente stati esclusi dalla vita della comunità per causa della teologia della liberazione. Siamo stati sempre cattolici, andavamo sempre alla messa, però la gente della teologia della liberazione ci guardava come dei traditori, perché, dicevano, non volevamo impegnarci nella costruzione di un progetto ideologico. Dal 1990 al 2001 sono stati anni di grande attesa, avevamo l’intuizione che l’importante era guardare la gente che ci cercava, però era una fragile intuizione. Nel 2001 il nostro movimento era già grande, aveva grandi dimensioni e noi non sopportavamo più il peso del lavoro. Siamo arrivati a dire: finiamo i lavori che restano e smettiamo, perché è molto pesante, non ce la facciamo più. Qual era il grande problema? Noi pensavamo che chi doveva rispondere alla gente, chi doveva arrivare ad avere dei risultati eravamo noi. E avere sulle spalle il peso del risultato della vita di migliaia di persone è una cosa insopportabile. Io ho capito molto bene questa differenza sentendo una predica di Mons. Petrini. Era la predica sul brano del Vangelo del giovane ricco. Prima di Petrini il prete è arrivato e ha detto: “Cristo è molto esigente, Lui non accetta solo una parte di noi, Lui vuole tutto.” Dopo arriva Petrini e dice: “Cristo è così attraente e ci fa innamorare, che noi possiamo lasciare tutto per andare dietro a Lui. Questa è stata la grande differenza che noi abbiamo capito. Noi abbiamo capito che dovevamo fare quel lavoro non perché era un’esigenza di Dio, ma per amore verso di Lui. Quando abbiamo capito quello che don Giussani diceva sempre, che da noi dipendeva solo il nostro sì e che il risultato era fatto da Cristo, è come se avessero tolto dalle nostre spalle duecento chili. Oggi il movimento è tre volte più grande di quanto era ed è molto più leggero, perché abbiamo capito che basta il nostro sì e il risultato è di Cristo. Perfino la mia vita personale, mia e di Cleuza, è cambiata. Perché noi guardavamo uno all’altro semplicemente come una compagnia per fare l’associazione. Quando abbiamo conosciuto CL, abbiamo sentito don Giussani ripetere che tutta la vita doveva essere vissuta seriamente. Abbiamo allora guardato la nostra vita personale e abbiamo detto: non stiamo vivendo il nostro rapporto con serietà. Un matrimonio non può servire solo perché uno aiuti l’altro a costruire un’opera. E abbiamo pensato di separarci, così che ognuno di noi potesse risolvere il problema della propria vita e quando è arrivato il momento di dire: da domani in poi non stiamo più insieme, mi è venuto in mente un esempio che Carrón ci aveva raccontato: tu capirai il valore della tua moglie, di tuo marito, solo quando lei, lui avrà un infarto davanti a te e tu ti renderai conto di cosa è per te. Nel momento di separarci abbiamo capito che non eravamo insieme solo per costruire un’opera ma che Cristo aveva regalato uno all’altro come aiuto per fare la strada della vita e invece di separarci abbiamo deciso di sposarci. All’inizio civilmente, tre anni fa e lunedì scorso con rito religioso, perché sono riuscito ad avere la nullità del mio ex matrimonio. Abbiamo capito che Cristo ci aveva dato uno all’altro non perché uno viva in funzione dell’altro, perché il matrimonio come vocazione è che uno aiuti l’altro a incontrare Cristo, che è quello che veramente importa.
Lunedì scorso, ad Assisi, abbiamo celebrato questo matrimonio. Io ero molto commosso perché in quel giorno ho scoperto un’altra cosa che non sapevo. Mons. Filippo Santoro, che ha celebrato il matrimonio, ci ha detto: “Il 24 febbraio si celebra la vocazione di san Francesco, il giorno in cui lui ha capito la sua vocazione missionaria.” Ed è stato nello stesso giorno che noi abbiamo consegnato il nostro movimento nelle mani di Carrón. Cosa abbiamo capito? Che più importante che aiutare la gente ad avere casa, università o salute è aiutare la gente a incontrare Cristo e nessuno può aiutarmi di più a incontrare Cristo che don Carrón. Sentire Carrón, leggere don Giussani, sentire l’esperienza di tanti amici che hanno visto, che hanno vissuto con don Giussani – perché noi non abbiamo mai conosciuto Giussani – mi aiuta a capire sempre di più come incontro Cristo. E quando ho visto il tema del Meeting mi sono domandato: cos’è essere protagonista? E io, in forma equivocata, ho cominciato a pensare cos’era essere protagonista. Quando ho capito che per capire cos’era il protagonismo io dovevo guardare la mia esperienza, in una forma molto chiara ho capito che essere protagonista è dire sì. Guardate don Giussani, il suo sì ha generato questo che sta succedendo oggi. Il sì di tanti tra voi ha fatto sì che io incontrassi Comunione Liberazione. Ieri siamo stati nel paese di amici nostri, italiani, don Vando, don Luigino, Mons. Petrini. E loro ci dicevano: grazie per la vostra testimonianza. Se c’è qualcuno che deve ringraziare siamo noi. Forse non ve ne rendete conto, però è stato il vostro sì che ha portato questa storia fino qua. E se non aveste detto il vostro sì, io non avrei incontrato questa bella storia.
La volta scorsa che sono stato a Rimini, negli esercizi dei giovani lavoratori, ho detto: “forse non vi rendete conto della bellezza della storia che avete incontrato; forse, per il fatto di aver atteso undici anni per incontrarla, per me è più chiaro il cambiamento che è successo nella mia vita e quello che desidero di più. Quello che non mi fa fermare è che i miei nipoti possano incontrare questa stessa storia, e perché i miei nipoti, i vostri nipoti possano incontrare questa storia, ognuno di noi deve avere la preoccupazione, tutti i giorni, riaffermare il suo sì.”
Havier Prades mi ha detto una cosa a Madrid che mi ha colpito molto: un santo è riconosciuto quando dopo la sua morte quello che ha cresce, quando la sua presenza è sempre più grande della sua assenza fisica. Io non ho nessun dubbio che don Giussani è un santo e io non ho nessun dubbio che il nostro sì farà vedere questo al mondo. Per questo io, tutti i giorni, prego di essere fedele al mio sì e ringrazio perché tutti i giorni incontro migliaia di persone che dicono il loro sì. Grazie per far parte della mia vita. Grazie per aver portato questa storia fino a qua.
MODERATORE:
Siamo all’inizio del Meeting ma ne abbiamo già la chiave, perché protagonista è chi guarda la propria esperienza, che comincia sempre essendo seri rispetto a quello che si ha davanti. Quando si è seri, se si ha davanti della gente che non ha la casa, che non ha niente, l’uomo che è protagonista da subito si coinvolge con questo, passa vent’anni a tirar su possibilità per far la casa, per andare all’università, per dare una vita decente alla gente. Ma tanti tra quelli che sono seri si fermano qui. Più si impegnano, più qualcosa manca, più qualcosa non torna, non basta. Nasce una stanchezza ma una stanchezza che invece di fermare, fa guardare intorno. C’è qualcosa diceva Marcus, che risponde a questo. Il mondo moderno dice che si inventa una risposta a questa domanda, e invece loro dicono: abbiamo incontrato qualcuno che corrispondeva profondamente a questo. Nell’incontro con Giussani hanno incontrato uno che corrispondeva al punto tale che tutta la domanda umana di prima rimaneva intatta. Infatti l’associazione si è triplicata. Ma è nato qualcos’altro, si è capito che nella compagnia c’era un’altra presenza, qualcosa dietro, con dei tratti inconfondibili. Allora la natura della compagnia cambia, c’è qualcos’altro a cui portare questa gente, qualcuno che dà ragione dello sforzo precedente, qualcuno che lo moltiplica, che lo rende duraturo, lo rende per sempre, qualcuno che rende lo stesso legame affettivo duraturo, per sempre, un sacramento. Qualcuno che è il cuore della compagnia, per cui tutto lo sforzo consiste nello scoprirlo insieme. Protagonista significa dire sì e allora il segno di questo è che si è più felici, più contenti; non appagati, perché guardate se sono appagati questi qui, sono profondamente e molto più di prima alla ricerca, ma con un cuore che testimonia la stessa natura di quello che abbiamo incontrato. Questa è la ragione del gesto del 24 febbraio. Questo incontro ci proietta nell’esperienza del Meeting: voler scoprire di più questo Colui che è la ragione di tutte le cose che vedremo, a partire da oggi pomeriggio, quando l’incontro con il cardinal Bagnasco presidente della Conferenza Episcopale Italiana, Arcivescovo di Genova, dal titolo La chiesa è un popolo che fa storia, ci riproporrà in modo diverso lo stesso cuore, la stessa origine che abbiamo visto in modo così commovente quest’oggi. L’avventura di questa scoperta ci accompagni in questo Meeting
(Trascrizione non rivista dai relatori)