Chi siamo
SENZA TIEMPO
Presentazione del CD di Alfredo Minucci, Cantautore napoletano.
WALTER GATTI:
Ciao a tutti, buongiorno e benvenuti. Io mi chiamo Walter, non canto e non suono, per vostra fortuna. Faccio soltanto quello che introduce e introduco questa mattinata in cui sentiremo della grande musica, sentiremo della musica nuova, qualcosa di vecchio e della musica nuova. Io faccio il giornalista e i giornalisti solitamente si rompono le palle raccontando cose spesso false, cose inutili, cose che non sono assolutamente interessati. Io invece ho la fortuna oggi di raccontare un cosa che m’interessa, una cosa a cui sono molto affezionato, una persona di cui sono profondamente amico, una persona che fa il musicista, che è nato in una città difficile. Negli ultimi due anni, sono andato un po’ di volte da questa persona che mi ha fatto vedere la sua città, mi ha fatto sentire la sua musica, mi ha fatto girare nei vicoli. Io sono un milanese, non amo particolarmente Napoli. Questa persona si chiama Alfredo Minucci e, siccome siamo nel Meeting della luna, nel Meeting del cuore, pochi in Italia come Alfredo possono raccontare come, a un certo punto, in una città e in una vita si spenga la luna. A un certo punto, sembra che sia spento tutto e che il cuore non batta più: ma d’improvviso vedi, come noi abbiamo letto altre volte, “uno sguardo in mezzo alla folla”, e di colpo tutto riparte, si riaccende la luna, si riaccendono le luci, il cuore ricomincia a battere perché magari scopre che il cuore di qualcun altro ha continuato a battere. Allora, decidi di rimanere nella tua città, rimani a fare musica.
ALFREDO MINUCCI:
Continui a vivere. Se vivi, fai anche musica, no?
WALTER GATTI:
Continui a vivere. Siccome oggi siamo qui a raccontare di questo cuore che si è rimesso in moto, e si è rimesso in moto un paio di anni fa, facciamo una cosa, se sei d’accordo, Alfredo. Prima di parlare del nuovo disco, chiediamoci dove eravamo rimasti, dove eri rimasto. Perché tu, un anno fa, esattamente oggi, eri qui con un grande spettacolo a fare la festa finale, portando soprattutto una grandissima canzone. E allora, io ti chiederei: ripartiamo da dove eravamo rimasti. Alfredo Minucci.
ALFREDO MINUCCI:
Va bene. Grazie. Allora, prima di raccontare il percorso che continua, che stiamo facendo insieme io e i miei amici, ora, come ha detto Walter, che mi ha fatto una sorpresa, ripartiamo da dove eravamo rimasti, con questa canzone.
JAMM’A VEDÈ
WALTER GATTI:
Fino a qui, la storia come la conoscevamo. Poi è successo qualcosa, e questo qualcosa, Alfredo ce lo racconta oggi. Questo, che ho in mano, è il nuovo disco che s’intitola: Senza tiempo. Attenzione, il disco è sicuramente alla libreria di Itaca, ma anche fuori da questo salone. Quindi, chi lo vuole lo prende qui, chi vuole lo prende in libreria.
ALFREDO MINUCCI:
Chi non lo vuole, non lo prende!
WALTER GATTI:
Chi non lo vuole, non lo prende. Fino a Jamm’a vedè, un po’ la storia la sappiamo, la storia che c’è dentro il nuovo Cd, ce la racconta adesso Alfredo con la sua band.
ALFREDO MINUCCI:
Grazie. Diciamo che Jamm’a vedè è un momento in cui incontri una cosa bella e dici: “Ma fammi vedere che cos’è questa cosa”. Però, ovviamente, all’inizio ti sembra tutto bello: ti accolgono, ti tengono anche un po’ ovattato in questa cosa per farti capire bene. Ma dopo ti scontri con la realtà e devi cominciare a camminare, insieme agli altri ma da solo, senza nessuno che ti sorregga. Questo disco racconta del percorso che continua. Prima di cominciare, voglio dire che lo condivido con i miei amici del Rione Sanità, perché è grazie a loro che sono nate queste canzoni. È grazie a loro che racconto in questo disco la consapevolezza che c’è un qualcosa di più grande, che nella mia vita è entrato qualcosa di più grande. E io sono sicuro che c’è, questa cosa, tant’è vero che la prima canzone che vi voglio fare ascoltare s’intitola ’O blue’s ‘e Salvatore, e racconta che all’improvviso a Napoli (io parlo di Napoli, per un fatto di cuore) arriva Gesù per le strade, oggi, nella metropolitana. E la gente si chiede: “Ma questo, chi è?”. Questa canzone racconta, con ironia, forse, la consapevolezza che nella mia vita, come nella vita di tutti, se siamo qui, è entrato Cristo. Allora, ’O blue’s ‘e Salvatore.
’O BLUE’S ‘E SALVATORE
ALFREDO MINUCCI:
Grazie! È vero che siamo tutti amici, ma sono contento che vi sia piaciuta. Poi c’è modo di approfondirla. La prossima canzone dà il titolo a questo disco, s’intitola Senza tiempo. Racconta di un amore, un amore che non finisce mai, anche se magari non è corrisposto: questa cosa è un po’ la caratteristica delle canzoni napoletane, anche quelle classiche. Infatti, don Giussani diceva che le canzoni napoletane sono così belle perché raccontano di amori così grandi che non possono mai finire, perché sono come un dono di Dio. E anche questa canzone racconta di una cosa che non finisce. Tutto il disco, che s’intitola Senza tiempo, racconta la storia di persone che si sono incontrate: se un’amicizia è così vera, non può mai finire. Per questo ho voluto intitolare questo disco Senza tiempo, perché sono sicuro che questa cosa mi accompagnerà per sempre. Perché è una cosa vera, e una cosa vera non può mai finire. Allora vi dedico questa canzone perché voi siete qui, siamo insieme e saremo insieme senza tempo.
SENZA TIEMPO
ALFREDO MINUCCI:
Allora, andiamo avanti. Ovviamente non faremo tutte le canzoni del disco, se no vi tolgo la curiosità: chi vuole sentire le altre lo deve comprare, no? Non abbiamo avuto il tempo di prepararle tutte, però la prossima canzone s’intitola Annanz’o mare. Noi, a volte anche per uno sfogo, andiamo davanti al mare e lo guardiamo da lontano. Annanz’o mare è una canzone d’amore che però racconta di un’attesa, di qualcosa che uno aspetta e a un certo punto accade. Questa canzone racconta di questa grande attesa, davanti al mare, di qualcosa che noi abbiamo nel sangue. Non potevo scrivere Annanz’o la montagna perché non m’è venuto, allora ho scritto Annanz’o mare.
ANNANZ’O MARE
WALTER GATTI:
Allora, ieri sera c’è stato Giancarlo Giannini che ha recitato Leopardi. E in questi giorni, parlando con lui, intervistandolo, la cosa che mi ha colpito di più è che lui diceva: “Io ho fame, ho fame di Mistero, ho fame d’infinito”. Quando il cuore batte, in ognuno batte in un modo diverso e si esprime in un modo diverso. Giannini mi parlava di questa sua fame. Secondo me, una costante delle canzoni di Alfredo – non te l’ho mai detta, questa cosa – è che Alfredo parla tanto e molto spesso di guardare, vedere, gli occhi: e in questo disco ci sono alcune canzoni in cui il guardare, il vedere, sono una cosa commovente. Allora, io so la tua scaletta, le prossime due sono canzoni che, come tu sai, io amo particolarmente. La prima è, la dico in milanese, Se il mondo fosse così: in napoletano, è?
ALFREDO MINUCCI:
Si ‘o munno fosse accussi’: è uguale.
WALTER GATTI:
Passano i sottotitoli: è una canzone, per chi non la conoscesse, i cui primi due versi sono bellissimi. Dicono: “Se il mondo fosse così, come gli occhi che vedo io, che mi guardano e mi fanno vedere Dio”. La fame di Giancarlo Giannini diventa incontrarsi, guardando con gli occhi dei propri amici più cari. Questa è la prima canzone che tra poco ci canterai, e la seconda, invece, è la canzone a cui io sono più affezionato, perché credo di essere uno dei primi a cui lui ha avuto il coraggio di farla sentire. Si chiama Marì. È una preghiera alla Madonna, è una preghiera così bella, così semplice, così piena di ritmo vero, che a me è arrivata subito. La sera che me l’ha fatta sentire, sono rimasto lì e ho detto: “Ma come fa a scrivere una canzone così?”. Non gliel’ho detto, se no poi lui si montava la testa.
ALFREDO MINUCCI:
Hai fatto bene.
WALTER GATTI:
Però, anche in questa canzone c’è: “Maria, fammi guardare”. Allora, non volevo farti un’intervista, ma ho la sensazione che…
ALFREDO MINUCCI:
E’ una deformazione professionale, è giornalista, capite?
WALTER GATTI:
Ho la sensazione che fame, cuore e occhi facciano parte dello stesso giro umano, mi sbaglio?
ALFREDO MINUCCI:
Penso di sì. Sono cose che mi fai capire anche adesso, perché poi le canzoni uno le scrive ma non è che le capisce subito, nel senso che vengono fuori. Se ci penso bene, è così. Confrontarsi serve anche a questo. Non è che io dico: “Ho scritto una canzone e dice questo, punto e basta”. Anche perché le canzoni sono di chi le ascolta, non di chi le scrive, no?
WALTER GATTI:
Quindi, implicitamente, è come se tu dicessi a me, a noi, spiegamela: “Impariamo a guardare, proviamo a guardare che forse s’impara molto”.
ALFREDO MINUCCI:
E infatti. Io ringrazio Walter, facciamo un applauso per lui, perché non mi spiego neanche io, com’è nata questa amicizia a Napoli tra un lombardo, come ha scritto anche nella prefazione, e un napoletano. Però voglio dire, e lo dirò nella canzone Si ‘o munno fosse accussi’, che ho imparato che il cuore non conosce geografia: non importa stare in un posto o in un altro, quando il cuore è lo stesso. Ho incontrato delle persone del Kazakhistan, ci siamo visti oggi ma ci vogliamo già bene: non è importante dove uno sta. Vi spiego prima Si ‘o munno fosse accussi’: c’è il ritornello che dice che io, questa cosa che ho incontrato camminando per le strade di Napoli, nei vicoli dove vedi tanta gente, vorrei che la potessero incontrare tutti. Questa canzone dice: se il mondo fosse così, forse staremmo meglio tutti quanti. Allora, desidero che tutte le persone possano incontrare quello che io ho incontrato.
SI ‘O MUNNO FOSSE ACCUSSI’
ALFREDO MINUCCI:
Grazie. Come diceva Walter, la prossima canzone s’intitola Marì, con l’accento sulla i, perché noi siamo un po’ pigri, le vocali finali le togliamo, parliamo senza vocali finali. E’ una canzone d’amore verso una donna particolare, veramente è una di quelle canzoni che divido con i miei amici, perché loro mi stanno insegnando ad affidarmi alla Madonna, anche nei momenti della vita quotidiana, oppure come oggi, che dovevo fare questa cosa: c’è sempre la tensione, la paura. E a un certo punto c’è sempre chi mi dice: “Affidiamoci alla Madonna e facciamo un preghiera”. Questa cosa poi magari non va come tu vuoi, nel senso che va meglio, oppure va in un altro modo, però tu ti sostieni e ti rendi conto che ti puoi affidare a qualcuno di più grande. Questa canzone è semplicemente questo, affidarsi a qualcuno di più grande.
MARÌ
ALFREDO MINUCCI:
Proseguiamo questo percorso con un’altra canzone che si intitola Ce stai tu, cioè “ci sei tu”. Prima di spiegarvela, volevo ringraziare gli amici di Itaca che hanno distribuito questo disco. Ci siamo sentiti e loro subito hanno detto va bene, facciamo questa cosa, non è che ci siamo messi d’accordo a tavolino, a noi queste cose non interessano. Abbiamo scelto di dare l’opportunità di fare ascoltare queste canzoni. Io li ringrazio e facciamo un applauso per loro che credono in queste cose, che danno spazio e possibilità di diffondere queste cose. In questa canzone, c’è la consapevolezza di una presenza più grande. Questo disco credo sia musicalmente un percorso di crescita, perché, più avanti vai, più capisci delle cose, ti affidi sempre di più a dei professionisti. Magari è anche più bello musicalmente, sarete voi a deciderlo, però per me è un percorso di fede, nel senso che è un passaggio importante. Gesù, fino a tre anni fa, era qualcosa che stava oltre le nuvole, sapevo che esisteva e basta. Oggi non è così e dalle canzoni questa cosa viene fuori: come ho detto già a qualcuno, non è che io ho un contratto discografico per cui devo per forza scrivere canzoni. Se viene fuori qualcosa dal vivere di tutti i giorni, allora va bene. Se mi metto lì a scrivere, escono solo stupidaggini. Questa canzone è nata per dire che in tutte le cose, nelle cose belle ma anche nelle cose brutte che possono capitare, nelle contraddizioni, in tutto, ci sei Tu.
CE STAI TU
WALTER GATTI:
Se comprate i libri, ho i soldi per andare dal barbiere, la prossima volta!
ALFREDO MINUCCI:
Anche se, per me, sta bene con la barba un po’ troppo lunga.
WALTER GATTI:
Giustamente Alfredo diceva: non è che facciamo qui tutte le canzoni, così uno si registra lo spettacolino e non si compra più il disco. Ci sono 12 pezzi in questo disco, ricordiamo che fra i pezzi che non fate oggi c’è, mi pare, la canzone, che molti conoscono, che hai scritto dopo che sei stato all’Aquila nei giorni del terremoto.
ALFREDO MINUCCI:
Sì, c’è una canzone che si chiama Aspettu u sole, “aspetto il sole”, che racconta delle vittime del terremoto, che di notte avevano sempre paura, come se la notte non passasse mai. Racconta di un bambino che vuole tornare alla normalità: Aspettu u sole, perché aspettare il sole è anche dimenticarsi delle cose brutte.
WALTER GATTI:
Poi c’è la canzone dedicata al caffè del Rione Sanità.
ALFREDO MINUCCI:
Na xx caffé. A parte che io vi invito, se permetti, Walter, mi prendo questa licenza, a venirci a trovare al Rione Sanità, perché noi vi aspettiamo. Ovviamente, veniteci a trovare, ci sono persone meravigliose che vi aspettano per accogliervi. Io vi invito per stare insieme, veramente, veniteci a trovare. Questa canzone, Na xx caffè, racconta proprio di questa umanità che corre avanti e indietro senza sapere dove andare: vanno sempre di fretta, ma non sanno dove andare. Racconto di questo bar di cui abbiamo accennato, c’è anche qui il mio amico Nando, lo saluto: eccolo, vieni qua, racconta delle fatiche che si fanno in un bar così.
WALTER GATTI:
Il più famoso barista di Napoli, anzi d’Italia, anzi, diciamo una cosa: Ligabue ha scritto Bar Mario e tu hai scritto la canzone sul bar di Napoli.
ALFREDO MINUCCI:
Racconto delle fatiche di chi lavora in queste zone, dove ci sono tante persone che entrano ed escono e la vita sembra che sia una giostra dove tu fai sempre il giro per correre appresso ai guai. Però, mentre nelle giostre di prima tu prendevi il fiocco e vincevi un altro giro, qua senza fiocco fai un sacco di giri e vinci sempre. Racconta un po’ questa cosa.
WALTER GATTI:
Un’altra canzone che però adesso Alfredo vi proporrà è una canzone che per me ha una storia abbastanza particolare, ve la racconto, ci metto un minuto, posso? Una delle sere che eravamo lì a Napoli, ci siamo messi a parlare di autori napoletani, quelli che uno considera comunque importanti: Pino Daniele, per esempio, di Gigi D’Alessio, non abbiamo parlato tanto.
ALFREDO MINUCCI:
Io non lo considero, Gigi D’Alessio. E’ un grande artista, però non rappresenta la musica napoletana che uno intende. Per carità, lo stimo.
WALTER GATTI:
Abbiamo parlato di Gigi D’Alessio e i musicisti che vanno adesso. Ad un certo punto, Alfredo mi dice: “Ad esempio, Nino D’Angelo”. E io: “Ma no, dai, non scivolarmi sulla buccia di banana di Nino D’Angelo!”. Nino D’Angelo per noi milanesi è quello che cantava le canzoni col caschetto, quello dei film che non finivano. E allora lui mi dice: “No, aspetta un attimo, senti questa”. Lui mette su una canzone e, come sempre succede tra amici, uno scopre un mondo nuovo. E io ho detto: osteria! E allora, qualche mese dopo, lui mi dice che voleva incidere nel suo nuovo disco quella canzone di Nino D’Angelo. E io gli do ragione. Allora Alfredo incide questa canzone di cui adesso parlerà lui. Mi manda il disco e una sera, in macchina con mia moglie, la metto su e mia moglie non dice bella o brutta, ma un’altra cosa. La canzone si intitola O pate, spero di averla pronunciata bene.
ALFREDO MINUCCI:
La vocale non si dice, è una regola della lingua napoletana: O pat, la e si toglie.
WALTER GATTI:
Ma non è perché siete pigri, è per risparmiare!
ALFREDO MINUCCI:
É perché siamo un po’ pigri.
WALTER GATTI:
Allora, O pate, significa “o padre”.
ALFREDO MINUCCI:
Il padre, sì.
WALTER GATTI:
Quando l’ho fatta sentire a mia moglie, mia moglie mi ha detto: ti ci ritrovi? Io ho figli, questa è una canzone in cui uno, prima di dire è bella o brutta, ci si ritrova come padre. Dice: “è la vita”. E quindi… è la vita. È una canzone che racconta la vita, che vuol dire che è più che bella, racconta la vita. Le grandi canzoni raccontano la vita.
ALFREDO MINUCCI:
È una di quelle che uno che scrive canzoni dice: “Che peccato, l’avrei voluta scrivere io, però purtroppo l’hanno fatta prima di me”. Magari sono consapevole che non l’avrei mai scritta, una canzone così, però… Allora, io l’ho presa perché, appena l’ho ascoltata, ho pianto dall’emozione. Ho detto: la voglio mettere in questo disco, perché racconta una figura del padre. Rivedo anche i padri nostri, quelli che sembrava che non c’erano mai però poi sapevano tutto, perché la mamma rapportava tutto al padre. Poi crescevano i figli, nel portafoglio, con tutte le foto dentro, oggi c’abbiamo i cellulari, ce li cresciamo sui cellulari, però prima era così. Mi commuove questa canzone, io l’ho messa perché è una canzone in cui mi ci ritrovo.
O PATE
ALFREDO MINUCCI:
Grazie! Vito Barbato al pianoforte. Poi vi presento tutti gli altri. E allora, siamo in chiusura, ci salutiamo con quest’ultima canzone. Io vi ringrazio per essere venuti perché c’è sempre quella paura, che dice: ma se alla fine non viene nessuno? Ero sicuro che c’erano degli amici che mi accompagnavano in questa cosa, quindi vi ringrazio per essere venuti e vorrei salutarvi con questa canzone che era già presente nel disco che avete ricevuto con la guida, quando abbiamo fatto la mostra del Rione Sanità. Si intitola Cammenanne. Siccome siamo partiti da Jamm’a vedè, ci lasciamo con Cammenanne, cioè questo modo di camminare insieme. Come già ho spiegato a qualcuno, mi capitava sempre di camminare da solo, di trovare degli incroci, di sbagliare puntualmente la traversa e di dover ripartire da capo e tornare indietro. Ho cominciato a un certo punto a seguire qualcuno che si trova davanti a me, che magari neanche lui la conosce, la strada, ma segue un altro che forse anche lui segue un altro. Quindi, c’è una fila lunga, che non finisce mai, ma mi piace pensare che all’inizio di questa fila c’è qualcuno che conosce la strada. Quindi, io ci vado appresso con sicurezza. Io ve la dedico, questa canzone, perché comunque, da lontano o da vicino, camminiamo tutti quanti insieme, sulla stessa strada. La dedico a tutti gli amici e a tutti voi, alla mia famiglia, la dedico agli amici che non sono potuti essere qui. La volevo dedicare a Tonino e Lino, che non sono venuti, però è come se fossero qui con noi, perché ci guidano in questo cammino. Allora, vi lascio con questa canzone.
CAMMENANNE
ALFREDO MINUCCI:
Alla chitarra acustica, Roberto Petrella; batteria e percussioni, Gaetano Greco; alla voce, vieni Paola, un’amica che mi aiuta nelle canzoni e nella vita, mi aiuta ad affidarmi, come ho detto, a Qualcuno di più grande: Paola Mazzara. A Walter Gatti, che ha spiegato le mie canzoni meglio di me, un applauso. E, come ho detto prima, al pianoforte Vito Barbato. Grazie a tutti. Buonasera. Grazie. Facciamo un’altra canzone. Mi dimentico sempre le cose, speriamo che mi perdoni: ringrazio ovviamente la direzione degli spettacoli del Meeting che mi ha dato la possibilità di presentare questo disco. Mi sono ricordato perché ho visto Otello, lì. Grazie Otello, scusami. Grazie a voi.
(Trascrizione non rivista dai reltori)